Tumgik
johnthanatoswick · 5 years
Photo
Tumblr media
 Sii come l’acqua                                                        
Margot si era allontanata e aveva preso posto tra il pubblico tonante. Era l’unica a starsene tranquilla, con lo sguardo di chi è sicuro su chi puntare, senza il bisogno di incoraggiamento. E fu a lei che John dedicò un ultimo sguardo prima di stringere il bastone tra le mani e fissare tutta la sua attenzione sull’avversario. L’opponente non era poi così alto, ma John non poteva sottovalutare qualcuno in base alla stazza. Nulla aveva a che fare con il fatto che l’avversario fosse un lescanzi e riuscisse a usare la magia, ma piuttosto che chi era di statura più modesta aveva dalla propria il guizzo veloce delle falciate agli arti dei più alti. John allargò leggermente le gambe, trovando maggiore equilibrio e si rilassò, “sii come l’acqua” soleva dirgli il suo maestro quando i primi tempi saliva sul tatami per imparare le arti marziali, “l’acqua non si fa fermare dal legno o dal cemento”. John chiuse per un attimo gli occhi e prese un lungo respiro, dopo di che un segnale indicò l’inizio del combattimento. L’avversario avanzò con un climax degno di qualcuno così leggero, i passi erano leggeri sulla terra nuda, la polvere si sollevò mentre John faceva strisciare il piede destro indietro, preparandosi al primo scontro. Inizialmente non gli sembrò di impegnarsi poi così tanto, non c’era molto in palio se non l’orgoglio di aver dimostrato qualcosa a qualcuno, quindi si limitò a incassare i colpi parandoli con il bastone. L’avversario era veloce, preciso, i colpi miravano ai suoi fianchi e naturalmente alle gambe. Non c’erano colpi proibiti, l’unica cosa proibita era l’utilizzo della magia, cosa che non toccava minimamente John, visto che si trovava lì proprio per poter provare a controllarla. Con la coda dell’occhio gli parve di vedere l’arrivo di una seconda avversaria, una donna giovane e quasi del tutto svestita che teneva in mano una lunga katana lucente, un’arma che il killer non si aspettava di certo. Si voltò di scatto cercando di contrastare la seconda avversaria, ma quando fu sufficientemente vicina venne colpito a tradimento sulla schiena a livello dei polmoni dal vecchio avversario. Il colpo lo fece piegare in avanti e cadere a terra, momentaneamente incapace di respirare. L’avversario gli fu subito addosso, colpendolo dapprima a un fianco con un calcio ben assestato e poi si inginocchiò sopra di lui, mirando alla faccia. John parò il colpo al viso, prendendosi qualche istante per guardarsi intorno, la combattente era sparita, probabilmente frutto di qualche scherzo non molto simpatico. Qualcuno lo aveva confuso di proposito per animare il combattimento, solo che era stato lui ad avere la peggio. John allora raccolse le forze e il respiro che era tornato a inondare il suo petto e spinse l’avversario verso il lato sinistro, invertendo le parti. Senza volerlo l’avversario lo aveva trascinato in una delle discipline in cui si era allenato maggiormente e in cui l’altezza giocava un ruolo molto importante. Difatti per John fu un gioco da ragazzi usare le proprie gambe e, con un movimento elegante e pulito, incastrare l’avversario in una semplice leva che lo aveva tenuto prigioniero per più di dieci secondi. L’arbitro improvvisato contò appunto fino a dieci e un grande vociare si levò attorno a loro.
Gli occhi di scuri vagarono sulla folla, alcuni stavano incoraggiando l’avversario che ora stava lasciando il ring improvvisato, altri invece sembravano inveire contro di lui, senza mezzi termini. La cosa non lo toccò più di tanto, ma sollevò comunque lo sguardo verso Margot, proprio mentre una ragazzina avanzava nel corridoio di persone che la stavano facendo accedere al ring. Il sicario la guardò e si voltò verso l’arbitro, che come risposta sorrise e indicò la ragazzina con il palmo aperto rivolto verso l’alto. Un fischio a seguire indicò l’inizio dell’incontro e l’espressione di John parve virare subito verso una vaga insicurezza. Poteva passare una donna, ma una ragazzina no. Eppure la piccola furia aveva sollevato il bastone e con un grido acuto si era scagliata su di lui. Il sicario aveva scansato i primi due colpi per poi gettarsi a recuperare il proprio bastone, abbandonato durante l’incontro precedente. John, con l’arma innocua finalmente tra le mani, si scontrò con la ragazzina da adulto durante un comune allenamento, i colpi che avrebbe potuto sferrare vennero momentaneamente rimandati. Il sicario lanciò un paio di sguardi in direzione di Margot e continuò solo a difendersi. Doveva optare per qualcosa di rapido e indolore, doveva immobilizzare la ragazzina senza colpirla mai, ma per farlo avrebbe dovuto avvicinarsi abbastanza. John provò ad alzare una mano per fermare l’avversaria che momentaneamente fermò i propri fendenti. Presero a girare in tondo e John lanciò il bastone a terra, mostrando le proprie mani nude coperte solo da due stracci attorno alle nocche. Anche la ragazzina gettò a terra il bastone e flesse gambe e braccia, piegandosi e proteggendosi le parti più molli con una posa da combattente esperta.
Solo allora John decise di avanzare per primo, attaccando finalmente. A mani nude era più facile evitare di farle male, poiché si sarebbe affidato a un corpo a corpo fatto di contatto e immobilizzazione. Non fu facile evitare le gambe veloci della ragazzina e i tentativi di colpire i punti deboli, ma il sicario sfruttò un piccolissimo errore della ragazzina per fare un’entrata un po’ rozza ma efficace. La ragazzina finì con la schiena a terra e prese a rotolare da un fianco all’altro in preda a un forte dolore provocato dalla caduta. John guardò l’arbitro cercando almeno un po’ di comprensione, ma finì per chinarsi e limitarsi ad appoggiare la mano sull’addome della ragazzina mentre le teneva fermi i polsi con l’altra aspettando il conto alla rovescia dell’arbitro. Si aggiudicò anche il secondo incontro, il vociare stavolta era molto più caldo e probabilmente ancora più violento nei suoi confronti. Di nuovo un fischio che il killer considerò sleale. Non si era ancora preparato che un robusto giovane nel pieno delle forze lo colpì con il bastone sul retro delle ginocchia e con lo stesso pezzo di legno gli circondò la gola, tirando verso il suo petto. John si aspettò che l’arbitro fermasse l’avversario per quella mossa potenzialmente mortale, ma lo vide sorridere divertito, quasi come se si trattasse di uno scherzo goliardico. Il killer inizialmente risparmiò il fiato aspettandosi che lo scherzo finisse, ma quando la testa iniziò a divenire più leggera il panico istintivo si impossessò del suo corpo. L’adrenalina iniziò a irrorare le sue vene, pompando attraverso il cuore. Un alito di vento scosse i presenti, portando con sé bisbigli e respiri strozzati tutt’intorno. John iniziava a sentir formicolare le mani e i piedi, non riusciva ad allontanare il bastone dalla propria gola e il robusto avversario dalle proprie spalle. L’ultimo sguardo schizzò verso Margot, quando uno schiocco secco frustò la schiena dell’avversario, che cadde a terra con un lamento. Lungo il tratto dove era stato frustato, varie gocce di sangue fecero la loro comparsa. John era carponi, stava riprendendo fiato. Il sangue stava pompando di nuovo verso il cervello, facendogli rimbombare le orecchie. Solo dopo qualche istante si accorse che l’andamento delle urla era cambiato, ora non erano più di una folla intenta a incitare dei combattenti, ma direttive confuse e ordini lanciati alla rinfusa. Il sicario alzò la testa e vide dei mostri che si facevano largo tra le persone del tutto intenzionati a far loro del male. John li riconobbe uno a uno, erano gli abitanti del suo subconscio, che probabilmente avevano solo trovato il pretesto per scatenarsi un po’. John affondò nel mani nella sabbia e si alzò a fatica, guardandosi intorno momentaneamente incapace di ragionare. I mostri si muovevano veloci, strisciavano o saltavano attorno alle persone. I più piccoli venivano facilmente tenuti a bada dalle arti magiche dei lescanzi, ma quando mostri più grandi fecero la loro comparsa, John iniziò a provare sul serio paura, come da tempo non provava. Una delle creature sembrò comparire dal nulla, dapprima totalmente invisibile e avanzò facendo schioccare dei lunghissimi tentacoli che gli fuoriuscivano dalla bocca. Questa creatura dopo aver falciato nella sua corsa diverse persone, ora doloranti a terra, indugiò proprio davanti a Margot. Il mostro si era fermato a un passo dalla donna, la aveva osservata a lungo per poi oltrepassarla senza degnarla di altra attenzione. Il sicario si sentiva impotente, sapeva che quelle cose potevano essere controllate da lui, solo che non sapeva come. Girò su se stesso, enumerando le varie creature che sembravano aver stretto e circondato tutti i presenti in un punto preciso. Nonostante venissero colpiti da varie magie, essi si rigeneravano in brevissimo tempo. Improvvisamente il rumore di passi pesanti fece ammutolire schiocchi, ringhi e lamenti delle altre creature, che rimasero in posizione, ma più come guardiani, che come furie senza controllo. I passi erano uniti a un rumore metallico, di catene e di una lama che veniva trascinata a terra. Una creatura umanoide alta più o meno due metri avanzò e affiancò John. Aveva un’enorme maschera triangolare di ferro arrugginito appoggiata sopra la testa, il petto scoperto e una specie di tunica insanguinata a coprirgli il corpo dai fianchi in giù. Nella mano sinistra stringeva il manico di una grossissima spada spessa, somigliante per di più a un machete. La creatura era ferma, di fianco a John, minacciosa. Torreggiava sui presenti, rimanendo però statuaria, in attesa di ordini. John la osservò dapprima con la coda dell’occhio, incerto sulla reazione di quel mostro, ma poi si voltò verso di esso e tentò di prendere pieno controllo della situazione. «Ora potete andare. Hanno capito.», ordinò John con la voce ancora provata dal mancato strangolamento. La creatura di due metri voltò lentamente la testa triangolare verso di lui e stette a guardarlo, in presunto tono di sfida, ma poi all’ultimo parve divenire nebulosa a partire dai piedi e si sollevò verso il cielo sotto forma di fumo grigio scuro. Anche le altre creature si dissolsero lentamente, svanendo nella stessa leggera brezza che le aveva portate lì. Mentre tutti erano impegnati a guardarsi intorno alla ricerca di qualche altra creatura, John provò un forte senso di nausea e vertigini, poi tutto attorno divenne nero. Non sentì le ginocchia colpire il terreno sotto il suo peso e non percepì il contatto doloroso della terra contro uno dei suoi zigomi. Quando riaprì gli occhi era in un campo aperto, l’erba grigia si estendeva fino all’orizzonte in ogni direzione, della cenere danzava mentre cadeva a terra coprendo tutto con un manto secco.
John ricacciò indietro un conato di vomito e si concentrò sulla creatura gigantesca che si stagliava di fronte a lui, minacciosa e spettrale. Se John avesse dovuto descrivere il terrore puro avrebbe dovuto disegnare quello che stava vedendo in quel momento. La creatura era di spalle, occupava quasi tutta la porzione di cielo sopra di lui. Il killer si trovò a sperare che non lo avesse visto, eppure lì in mezzo a un campo aperto era impossibile non essere individuati. Provò a muovere un paio di passi per andare a cercare riparo, ma la creatura si mosse lenta, voltando la testa allungata verso di lui. Il mostro di proporzioni straordinarie osservò John per parecchi istanti, muovendo le lunghe zampe saldamente ancorate a chissà quante miglia di distanza da lui. Il cielo si fece rosso e tempestoso mentre la creatura emetteva dei versi paralizzanti simili a dei boati, ma molto più profondi. Toccavano gli organi interni, raggelandoti dall’interno. Il mostro puntò John e iniziò ad abbassare il collo e la testa, cercando di raggiungere il sicario che si trovò a deglutire paralizzato inconsciamente. Appena prima che la creatura lo investisse con la sua mole il sicario chiuse gli occhi, ma invece di sentirsi colpito e sbalzato via, una mano si era appoggiata sulla sua spalla scuotendola, mentre una seconda mano picchiettava sulla sua guancia. Aveva sentito chiamare il suo nome, tanto che aveva riaperto gli occhi, trovandosi attorno il gruppo di lescanzi e sopra di sé il viso familiare di Margot: non era mai stato così felice di vederla.
1 note · View note
johnthanatoswick · 5 years
Photo
Tumblr media
A metà tra due mondi
Spalancò gli occhi in preda a un improvviso disagio, ciò che sembrava essere un attacco di panico. Però John conosceva abbastanza bene quella sensazione, era da parecchio però che non la provava, il suo Io segreto si era sopito per ripicca o forse per paura. Si alzò dal letto e si trascinò verso il bagno del Continental. La luce fredda della stanza gli colpì gli occhi a tal punto che il sicario dovette schermarsi con una mano, infastidito molto più del normale dal riverbero. Quando riuscì a riaprire gli occhi notò degli strani guizzi nel proprio campo visivo e abbassò le iridi scure sulle proprie mani. Un moto di nausea lo colse, tanto da spingerlo a stringere i denti e chinarsi sul lavandino. «Non di nuovo», la voce del killer nacque strozzata dalla sua gola stretta nel panico e nel preludio di un conato.
Tornò verso il letto dove Margot stava apparentemente riposando. John arrivò a fatica al materasso e si sporse verso la collega, ma quando provò a toccarla la propria mano era affondata verso il basso, attraverso le spalle della donna.
John ritirò l’arto lentamente, osservando le proprie dita tremolanti e compose di una strana sostanza simile a fumo denso misto a fuliggine. Intorno a lui le ombre sussurrarono all’unisono. “Jonathan.” Una voce attraversò l’aria, ma non proveniva da fuori, bensì dai suoi stessi sensi. Provò a toccare di nuovo Margot, ma senza successo. Le luci ancora accese del bagno presero a tremolare fastidiosamente, così il sicario si alzò dal letto. Le luci dei lampioni e poi quelle del palazzo di fronte presero a sfarfallare incontrollate, aumentando la sensazione di nausea e confusione. Qualcosa stava richiamando quella metà oscura e misteriosa del suo essere. Come ben sapeva ormai, da lì non si poteva sfuggire fino a quando la missione non era finita. L’Alter chiedeva un tributo e un sacrificio, forse anche più di uno come capitava spesso ultimamente. Improvvisamente lingue d’ombra salirono dal pavimento avvolgendolo, quando si riassorbirono il sicario indossava il suo completo nero da lavoro invece della solita maglietta e del paio di boxer con i quali era solito dormire. Si chiese cosa stesse succedendo, era palesemente incastrato a metà tra i due mondi, poteva vederli entrambi, ma interagire per ora con nessuno di essi volontariamente. Si guardò intorno indeciso sul da farsi, il suggerimento arrivò dall’esterno: la porta della stanza venne aperta lentamente da un tentacolo scuro che era fuoriuscito da un cono d’ombra proiettato proprio dalla luce del bagno in lontananza. John lanciò un’ultima occhiata a Margot e avanzò verso l’esterno. I corridoi erano bui e incolore. Solo alcune luci segnavano il percorso, ma erano surreali, sfarfallavano e mettevano in mostra delle creature appese ai soffitti o spalmate sulle pareti. Esse fremevano respirando rumorosamente o si spostavano di scatto al passaggio di John, il quale compiva passi lenti e misurati lungo il percorso obbligato.  L’obiettivo era palesemente all’interno del Continental, ma John sapeva benissimo che quell’hotel era territorio neutro, non poteva di certo offrire un tributo strappato dall’interno di quella zona sicura. Le creature iniziarono a lasciare le loro postazioni e a schizzare veloci in avanti, mettendo fretta al killer. John si fermò e prima di svoltare l’angolo guardò un’ultima volta la stanza dove Margot stava dormendo. Una creatura a metà tra un aracnide e un umano stava accedendo alla stanza, premendosi per riuscire a passare con il proprio massiccio corpo attraverso l’angusta porta. Il sicario pensò di tornare indietro, ma ricordò che le creature avevano sempre ignorato Margot, persino nei momenti più concitati. Quando si girò di nuovo però, davanti a lui, si srotolarono una serie di immagini provenienti dall’esterno proiettate direttamente davanti ai suoi occhi senza che potesse controllarsi: alcuni uomini stavano accedendo al Continental dalle uscite secondarie, erano armati e si muovevano in modo sospetto. Le immagini si dissolsero e di fronte a sé trovò due creature umanoidi, ma alte almeno due metri e con gli arti lunghi e sottili che culminavano in artigli affilati. Gli occhi di tali creature erano incandescenti e vacui. Esse rimanevano ferme di fronte al sicario che le osservò per una manciata di istanti, durante i quali non era sicuro se avrebbero finito per attaccarlo o meno. Infine decise di fare un breve cenno di assenso. In un solo attimo tutte le creature sparse nelle strette vicinanze sibilarono o gorgogliarono, strisciando lungo i corridoi o, nel caso delle due creature più grandi, avanzando con movimenti più lenti ma non meno minacciosi. John deglutì appena, si sentiva la bocca asciutta. Le luci presero a tremolare più forte fino a quando si spensero del tutto. Il killer si trovò nel buio, giusto il tempo di oltrepassare il varco tra i due mondi e tornare nella realtà dove tutto era rimasto esattamente come lo aveva lasciato. Le ombre erano svanite, le luci calde erano accese, di loro erano rimasti solo i sussurri nelle sue orecchie. Eppure John non si fermò, riprese a camminare con decisione e si diresse verso l’ascensore che lo avrebbe portato al piano terra.***Un gruppo di individui si infilò nell’hotel a notte inoltrata, sfruttando le porte sempre aperte riservate agli associati. Il loro intento però non era quello di trovare riparo, né quello di rispettare la neutralità del Continental. Giunsero indisturbati fino alla hall e poi proseguirono verso il corridoio che portava sia all’ascensore, sia all’ufficio di Winston. Comunicavano con cenni appena visibili, fino a quando si separarono per portare a termine la loro misteriosa missione. Uno di loro si era chinato davanti alla porta dell’ufficio di Winston e aveva preso a trafficare con la serratura. Un altro era rimasto in attesa guardingo davanti all’ascensore. Gli altri avevano scelto la tromba delle scale e avevano raggiunto diversi piani, tra cui proprio quello di John. Le luci tremolarono sommessamente per poi svanire di colpo, facendo imprecare l’uomo indaffarato con la serratura. Quest’ultimo tastò nella tasca alla ricerca del telefonino e subito dopo della torcia. Quando la accese però il riverbero della luce dello schermo illuminò un viso deformato dal terrore, dalla vista di qualcosa di orrendo. Un grido rimase strozzato in gola, tra le fibre lacerate e strangolate che ormai erano le sue corde vocali.
Ben presto anche agli altri piani uno a uno la luce mancò, fino a lasciare tutto l’intero Continental al buio. La maggior parte degli ospiti non parve accorgersi di nulla, non delle grida provenienti dai corridoi e non dai rumori spaventosi e nemmeno dai versi disumani delle creature e delle vittime. Solo Winston lasciò la sua poltrona nel mezzo di una nuova notte insonne per dirigersi a piccoli passi verso la porta che conduceva nei corridoi. La mano del proprietario dell’hotel si fermò a mezz’aria a debita distanza dalla maniglia, negli occhi si scorgeva la consapevolezza di dover rimanere preferibilmente chiuso lì, seppure al buio. L’arto proseguì e affondò con insicurezza sulla maniglia, la convinzione di essere al di sopra di tutto lo animò. Winston si diresse all’esterno e si incamminò lentamente attraverso i corridoi, non voleva dare conferma al suo sospetto e trovarsi così immerso in un incubo ricreato da John. Aveva sentito due tonfi, uno proveniente da quel corridoio e uno proveniente dal soffitto, purtroppo però il buio gli impediva di vedere cosa stesse succedendo e al contempo non voleva usare luci artificiali e dar vita così a qualche incidente evitabile. Winston aveva compreso cosa stava succedendo, ma non le cause scatenanti. All’ultimo piano, quello dove si trovavano le stanze dei sicari più preziosi dell’Ordine, Specter si era svegliato di scatto, si era gettato giù dal letto, era uscito mantenendosi basso e non ad altezza uomo e aveva strisciato lungo il muro, dalla sua stanza a quella di John, doveva aveva udito provenire strani rumori. «Ehi John?», sussurrò al limite del volume minimo che poteva utilizzare, «John?». Specter si avvicinò alla sagoma che sembrava essere curva vicino al letto, a pochi passi dalla collega sdraiata, intenta a fare qualcosa di poco chiaro sul pavimento. ***La luce tornò di colpo accecando chi, colto dalla tensione, tentava di vedere meglio in quell’oscurità. Winston si schermò la vista con una mano, le sue pantofole bordeaux erano immerse in una pozza di sangue appartenente a un cadavere smembrato lungo il corridoio. La sua faccia divenne una maschera attraversata dalle più svariate emozioni. Raggiunse l’ascensore occupato, premette più volte il tasto senza successo e poi si gettò velocemente verso la tromba delle scale, per poter salire verso l’origine dei rumori che aveva udito. Uno dopo l’altro aveva ritrovato dei cadaveri, alcuni più o meno smembrati. Il tratto in comune era solo un’espressione ben oltre il terrore stampata sul volto delle vittime. Quando giunse nella stanza di John vi trovò Specter, era pallido e fissava una creatura a pochi passi dal letto. L’amico di John teneva una pistola a mezz’aria, senza una vera convinzione. Winston gli fece segno di abbassarla lentamente. La creatura dai lunghi denti affilati stava banchettando su uno degli intrusi ignorando i nuovi ospiti e Margot, masticando per bene fibre appartenenti all’addome del tizio in questione. Specter sollevò lo sguardo atterrito verso Winston, che gli consigliò silenziosamente di non muoversi bruscamente. ***L’ascensore dischiuse le sue porte di fronte all’ultimo degli intrusi, lasciando che appartenesse a John l’ultima mossa di quel gioco ad armi impari. L’intruso si trovò una canna di pistola puntata alla fronte e non ebbe nemmeno il tempo di riflettere che il suo cervello adornò le pareti opposte a quella dell’ascensore. Il rumore dello sparo tuonò nel Continental e fu allora che i suoi ospiti si svegliarono balzando armati nei corridoi. John rimase all’interno dell’ascensore qualche istante, poi avanzò. Le scarpe vennero insozzate dal sangue che ormai si allargava veloce sulle mattonelle di marmo bianco. Decise di muoversi attraverso i corridoi del Continental, non per controllare che fosse tutto in ordine, ma per seguire le tracce di violenza rimaste sparse per tutto l’hotel. Mano a mano che saliva verso la propria stanza, si trovò di nuovo in mezzo ai due mondi, vedeva parte di quello reale e parte dell’Alter. Le creature lo osservavano pronte a ricevere i suoi ordini, i colleghi che incrociava cedevano il passo, colti da un improvviso inspiegabile timore. Quando il sicario svoltò l’angolo che lo riportava verso la sua stanza, in fondo al corridoio intravide la porta aperta, Winston e Specter di fronte a essa. Il proprietario del Continental lo apostrofò con sguardo rimproverante, Specter invece era solo teso e gli indicò il motivo di tale tensione. John avanzò lentamente, l’aura che aleggiava intorno aveva messo a disagio i presenti, che si sforzarono però di non appiattirsi inspiegabilmente contro il muro.
Il sicario varcò la porta della stanza e notò la creatura di prima che si stava frapponendo tra i due sulla porta e Margot. Il mostro dondolava minaccioso, mostrando i denti insanguinati. Brandiva tra gli artigli pezzi del cadavere che aveva consumato quasi totalmente. «Se cerchiamo di avvicinarci ci minaccia...Margot è-», Specter aveva spiegato la situazione con un tono ovvio, John lo aveva ascoltato voltando solo parte della testa, per poi tornare a fissare la creatura pronta ad attaccare gli invasori. Margot era alle spalle della creatura e tra le mani aveva la pistola, che evidentemente non aveva usato. Vi fu una breve pausa, durante la quale John aveva cercato di capire le intenzioni della creatura, Winston e Specter erano pronti a reagire, li riusciva a sentire tesi persino da lì. Il momento di stasi fu spezzato dal fischio di John, accompagnato a un cenno perentorio. La creatura rimase ferma, indecisa sul da farsi e in parte volenterosa di dimostrare la sua rimostranza. Scosse la testa scoprendo i denti e sibilando, si scagliò a qualche millimetro da John, che di tutta risposta rimase immobile e imperturbabile. La creatura si ritrasse e scattò di nuovo ripetendo la stessa scenetta senza sortire l’effetto sperato. Prese a zampettare per la stanza, strillando e dimenandosi, fino a quando si avvicinò troppo a Margot. Fu allora che John fischiò di nuovo e ripeté il cenno di prima, stavolta con più convinzione. Il mostro tese una zampa scura verso Margot ma, appena prima di toccarla, la ritirò e indietreggiò, sciogliendosi letteralmente in un’ombra proiettata dal letto. Il sicario rimase immobile, in silenzio, per parecchi istanti. Quando appurò che non ci fosse più nessuna creatura lì attorno si portò una mano a livello dello stomaco e si esibì in una smorfia appena accennata ma molto sentita. Specter avanzò nella stanza e si chinò per analizzare lo spazio vuoto sotto al letto e il corpo martoriato, Winston si limitò ad afferrare il telefono e iniziare un giro di telefonate. A John vorticava la testa e si sentiva nauseato a tal punto che cercò una sedia dove si sedette con gli occhi chiusi e la testa abbandonata all’indietro. Le cose cominciavano a farsi molto più serie.
0 notes
johnthanatoswick · 5 years
Photo
Tumblr media
Il sonno della ragione
Il Signor Gear se ne stava tronfio nel suo museo di quartiere, che naturalmente serviva solo come copertura per i suoi traffici illeciti. Possedeva una rete così ampia di contraffazione e furto di opere d’arte che il nome “Gear” faceva tremare chiunque al di là di tutti i sette oceani, chiunque ma non la Gran Tavola e un pugno di altre organizzazioni maggiori.«Regole, è sulle regole che si basa la civlità.», Winston aveva appoggiato un contenitore di legno rivestito di velluto sulla sua scrivania. Il contenitore era lungo circa una spanna, di colore nero. «L’obiettivo?», chiese John facendo planare lo sguardo sulla scatola e poi di nuovo su Winston. «E le regole spesso vanno al di là delle amicizie, per quanto qualcuno come noi potrebbe averne. Forse abbiamo più segreti che persone disposte a sacrificarsi per noi, non trovi Jonathan?», il modo in cui Winston spesso marcava quel nome faceva sentire l’Uomo Nero lontanamente in difetto. Winston si appoggiò allo schienale della sedia di pelle, reclinandosi di qualche grado all’indietro. Osservava John dal basso, con le mani incrociate e un’espressione paterna. «Chi?», incalzò John afferrando la scatola sulla scrivania e aprendola per scoprirne il contenuto. Trenta monete scintillanti erano disposte in una fila perfetta all’interno della scatola, abbracciate nel velluto nero come le iridi dell’Uomo Nero che sollevò lo sguardo penetrante verso Winston. «Ce ne sono altre cinque di quelle, se completi il contratto.», il direttore del Continental ci stava mettendo troppo tempo a rivelare il nome dell’obiettivo. John richiuse la scatola delicatamente e stette dritto, immobile, di fronte al criptico Direttore. La guerra di silenzi durò più del previsto e Winston purtroppo ebbe la peggio. «Thérèse Gear.» Il babajaga rimase imperturbabile, immobile, per diversi istanti. Dopo un’attenta riflessione John sospinse la scatola verso Winston. «Non io.» «Regole. Quelle stesse regole che ti hanno permesso di fare tutto quello che desideravi, quando volevi. Non si possono infrangere, Jonathan.» I capelli corvini del sicario ebbero un fremito, conseguenza di uno scatto nervoso della testa, a seguito di chissà quale pensiero teso. I nervi del sicario erano corde di violino e Winston le stava carezzando con maestria. Winston spinse di nuovo la scatola verso di lui, beffardo. «Perché Thérèse?», John si era inasprito, ma manteneva la sua proverbiale calma piatta. «Il Signor Gear tiene di certo alla propria vita e alla propria fama, ma non quanto tiene alla sua famiglia. Ha deliberatamente deciso di infrangere le regole e ora deve pagarne le conseguenze, ma deve anche essere un monito per tutti gli altri.» John osservò di nuovo la scatola di velluto, la stessa che avrebbe potuto contenere la sua anima ormai oscura come quel velluto. «Non puoi rifiutarti, lo sai come funziona.» «Cedo il mio contratto a Specter.» «No John. I sentimentalismi non fanno parte di questo posto già da molte decadi. Mi aspetto che tu lo porti a termine, o sarò costretto a prendere provvedimenti. A proposito, come sta Miss Forrester? È da qualche giorno che non ho il piacere di vederla.» L’espressione sicura e beffarda di Winston costrinse John a prendere delicatamente la scatola tra le dita e lasciare l’ufficio di Winston senza dire una parola. Non appena il sicario aveva varcato la soglia, Winston aveva perso istantaneamente vigore, abbandonandosi sulla poltrona con la fronte premuta contro una mano.John si trovava pesantemente seduto su uno degli sgabelli del bar, fissava il fondo del suo Bourbon, combattendo contro se stesso. «Che strano, un John pensieroso.», Specter comparve alle sue spalle e attese qualche istante prima di sedersi di fianco a lui, «Ho sentito che mi cercavi.» I due sicari non si guardarono direttamente in volto, non prima che John bevesse l’ultimo goccio del suo drink per poi sospingerlo verso la barista dal look pin up, che gli fece un gesto di saluto per nulla invadente. «Thérèse Gear.», sibilò l’Uomo Nero senza aggiungere altro. Specter dapprima aggrottò le sopracciglia, per poi distendere la sua espressione nell’incredulità. «Non possono avertelo chiesto davvero.» John osservò Specter a lungo e lentamente annuì arreso. «Regole. Il Signor Gear ha tirato troppo la corda e ora qualcuno deve pagare.», John sollevò due dita verso Addy che si mise subito a preparare altri due drink. «Comprensibile. Ma perché Thérèse? Perché non M.J. Gear? O la moglie...» John prese delicatamente tra le dita il bicchiere che Addy gli porse, Specter fece lo stesso «Se vuoi...» «No. È una cosa che devo fare da solo.», tagliò corto John. Addy si avvicinò ai due, ponendosi in mezzo, dall’altro lato del bancone, «So che non dovrei origliare ma, Jonathan, credo che lei ne sarebbe quasi felice. Forse più che un sicario vedrà una liberazione.» John sollevò un sopracciglio e lanciò uno sguardo intenso, scuro come la notte più buia, in direzione di Addy, che rispose con una scrollata di spalle e un sorriso innocente, «Credo che tra tutti i professionisti, se proprio dovessi finire in un contratto, spererei che sia tu a portarlo a termine.» John finì il suo drink e si alzò pesantemente, congedandosi dai due con “non mi siete per niente d’aiuto”.Dall’ingresso sul retro del Palazzo Gear una striscia di sangue partiva per segnare il percorso di morte lasciato da Mr Wick. I corpi stesi a terra nelle più disparate posizioni indicavano la solita tenacia del sicario, che sapeva essere una macchina anche quando non avrebbe affatto voluto. Le porte dell’ascensore si aprirono, due uomini di Gear si trovarono faccia a faccia con l’Uomo Nero, che non lasciò quasi loro il tempo di rendersene conto e li centrò con due colpi precisi e puliti alla fronte. Il sicario bloccò l’ascensore ed esitò. Il silenziatore stava fumando, lasciava dietro di sé una traccia grigia e volatile  mentre il sicario lentamente aveva preso ad avanzare nel corridoio. John restò fermo davanti alla porta, respirò lentamente, per poi posare delicatamente una mano sulla maniglia e aprire. La luce all’interno della stanza era fioca, i mobili erano antichi e lucidi, la maggior parte coperti da cuscini imbottiti in stile vittoriano. Sul letto una donna si stava dilettando con un libro di cui sfiorava le pagine con le dita, aspettò qualche momento prima di sollevare le iridi azzurre sul sicario. «Chi c’è? Papà?» John avanzò verso il lato del letto e si posizionò al lato di esso, in silenzio. La donna annusò l’aria, sentiva odore di bruciato e mosse le mani ossute e deformi verso di lui, cercando con il tatto una risposta. Le mani toccarono prima i suoi abiti macchiati di sangue, per poi salire a fatica verso il viso mentre la donna con sforzi dolorosi tentava di mettersi sulle ginocchia. Quando le mani sfiorarono la barba del sicario esse si ritirarono all’istante. «Non è possibile. Come...Come è possibile?» La donna infine cercò le mani del sicario e ne girò una tra le proprie. «Mani di velluto. Mr Wick? È arrivato il mio momento?» La donna era dapprima impietrita, ma poi una lacrima scese lungo la guancia pallida e scavata. Un sorriso consapevole si disegnò sulle sue labbra. «Hai fatto tanto per me. Ricordi quando venisti a salvarmi dopo il mio rapimento?», la donna scosse la testa, il ricordo bruciava ancora ma era lontano. Una nuova consapevolezza però si fece largo in lei, «Avevi però fatto un’ultima promessa. Ricordi?» La donna tastò nervosamente alla sua destra, cercando il comodino, tirò il cassettino e ne estrasse una siringa con una boccetta, porgendoglieli. Qualcuno arrivò di corsa urlando nel corridoio, la donna nella sua cecità sentì solo due netti colpi di pistola e poi di nuovo il silenzio. Deglutì e cercò di voltare il viso in direzione del sicario. «Mi dispiace per quello che è successo a tua moglie. Non l’ho conosciuta molto bene ma ho bei ricordi su di lei. Quando mio padre chiese il tuo pegno tu accettasti. Mi portasti a casa tua. Le dicesti che ero la figlia di un amico, di tenermi d’occhio per qualche giorno. Mi portava tre volte al giorno fuori, spingeva delicatamente la sedia a rotelle... Devi aver perso molto, John.» Le mani pallide di John stavano armeggiando senza esitazioni, aprì la siringa e infilò l’ago, con lo stesso recuperò il liquido dalla boccetta capovolta. Uno, due, tre, quattro, cinque milligrammi. Estrasse l’ago e appoggiò la boccetta sul comodino. «Sai se non fossi nata così, avrei voluto anche io far parte del tuo mondo. Quando ero piccola e venivi da mio padre sentivo un fermento che con me non si sarebbe mai e poi mai scatenato. Anzi, con me ci sono sempre stati sospiri, singhiozzi e pietà. Sono stata chiusa qui per anni. Non potevo andare a scuola e pensavo a cosa avrei potuto fare con un paio di occhi e delle ossa forti. Avrei davvero voluto far parte del Continental.» «No, non avresti voluto.» Sentendo la voce sommessa di John, Thérèse sorrise. «Eccoti finalmente. Speravo di percepire un po’ di umanità. Va bene, è arrivato il momento, spero che il pegno di mio padre sia valso a qualcosa, ma ne dubito.» «Ne dubito anche io.», ammise John in un soffio. La donna si stese e gli porse un braccio magro e pallido. John lo prese delicatamente e tastò alla ricerca di una vena. I suoi gesti erano tranquilli, rispettosi. «Ah John, un’ultima cosa.», la donna indicò l’altro capo della stanza, «Da quella parte c’è il regalo che mi hai fatto quando ero piccola. Portamelo, voglio che mi trovino così, voglio che sappiano che non è stato violento.» Il sicario indugiò, ma poi si diresse verso la bambola dai capelli biondi, gliela posò in grembo e attese. La donna gli porse di nuovo il braccio, sembrava tranquilla. John trovò facilmente la vena in quel braccio delicato, le sue ossa si sarebbero spezzate sotto una pressione poco più forte di quella. Infilò l’ago, lentamente e aspirò un po’ di sangue. Si sedette sul bordo del letto e attese, poteva ancora alzarsi e andarsene, poteva rinunciare, ma la mano di Thérèse si appoggiò sulla sua. «Ti prego John, questo calvario è già durato fin troppo. Ti prometto che ti saluterò Helen.» Il sicario indugiò ancora qualche istante prima di premere lentamente lo stantuffo e riversare tutto il contenuto della siringa nella vena della donna. Estrasse delicatamente l’ago e posò la siringa sul comodino. Rimase fermo a osservare la donna, immobile. «Sai mi ricordo ancora la prima volta che sei venuto da mio padre. Io riuscivo ancora a correre. Quel giorno stavo rincorrendo mio fratello e sono inciampata, cadendoti addosso. Ricordo ancora il silenzio atterrito che si creò subito dopo, ricordo bene la riverenza con cui ti avevano accolto e il terrore nei loro cuori. Però tu ti chinasti, mi porgesti gli occhiali e nel silenzio...più» la voce della donna si stava affievolendo, diventava più pesante, così come il respiro «...totale...dicesti...», la donna chiuse gli occhi e si addormentò profondamente. John stette a osservarla a lungo, senza temere che qualcuno potesse sopraggiungere alle sue spalle. Poi tolse delicatamente il cuscino da sotto la testa di Thérèse e lo pose delicatamente sul suo viso, dopo aver atteso di avere la forza di farlo, fece pressione con tutto il suo corpo sul viso della donna. Gli spasmi involontari di lei cessarono quasi subito, il sicario tolse subito il cuscino, ponendolo di nuovo sotto la sua testa. Le tolse i capelli spettinati dalla fronte e si alzò. «... Ti ho fatto male?», terminò la frase di Thérèse prima di allontanarsi cupo verso l’uscita.La porta dell’ufficio all’interno del salone espositivo si spalancò, il Signor Gear balzò in piedi e arretrò verso il muro decorato con un famoso dipinto di Goya. Davanti a sé vide corpi stesi, sangue e l’Uomo Nero che avanzava verso di lui. «John? No aspetta possiamo parlarne!», l’uomo aveva sollevato le mani in segno di resa, ma le abbassò quasi subito quando vide che il sicario indossava un’espressione disgustata e teneva in mano il medaglione del pegno. L’assassino lo gettò sulla scrivania e guardò l’uomo con sdegno, dopo di che se ne andò, silenzioso come era arrivato. Il Signor Gear prese il pegno tra le mani e lo aprì, era firmato anche dal sicario e la cosa lo lasciò confuso. La consapevolezza si fece via via più limpida e l’uomo si gettò sul telefono, compose il numero, ma non appena dall’altro capo risposero lui parve atterrito.Il sicario sentì il grido di dolore dell’uomo mentre risaliva in auto, era per quel motivo che diversi anni prima aveva lottato duramente per poter smettere con quella vita.
0 notes
johnthanatoswick · 7 years
Video
169 notes · View notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media
John vagava in un appartamento vecchio e angusto, in compagnia di una donna dall’aria annoiata e distaccata. Stava seguendo delle tracce, una crepa nel pavimento che conduceva fino a una libreria e lì sembrava inabissarsi per ricomparire nella stanza attigua. Una consapevolezza macchiata di orrore si fece largo nel suo subconscio, infatti John era quasi certo che l’altro abitante di quell’appartamento volesse ucciderlo. Ecco che i tratti degli altri due abitanti si fecero più chiari e la consapevolezza lo colpì in pieno viso. Erano i suoi genitori quelle persone dalla fisionomia fino allora ignota e colui che voleva ucciderlo era suo padre. Quando però il genitore entrò dalla porta principale aveva un aspetto orrendo: una testa più grossa del normale, pallida, con grandi occhi a palla e labbra sottili attorno a una bocca minuscola. Il corpo era magro e sproporzionato rispetto alla testa. L’orrore crebbe nel petto di John che cercò di mantenere la calma, si sentiva assurdamente spaventato, si scoprì incapace di ragionare come avrebbe sempre fatto, quindi come un adulto e non come un bambino inerme. «Scendo a fumarmi una sigaretta.», aveva affermato prima di buttarsi nel pianerottolo per cercare di scendere le scale in fretta e scappare da quella amara congiura. Dopo le prime rampe di scale però, esse cominciarono a prendere direzioni diverse, salivano invece di scendere, si stringevano fino a non permettergli di passare, più in basso la scala terminava nell’oscurità che suggeriva a John che qualcosa vi si nascondesse, qualcosa pronto a ucciderlo. Si sentì in trappola, stretto tra due minacce invalicabili. Suo padre era andato a riprenderlo, comprendendo così il motivo della sua fuga ormai fallita e lo costrinse a tornare in casa, sulle proprie gambe, trascinandosi fino al patibolo. Una volta lì, John dovette fare i conti con il senso di impotenza trasmessogli dall’intera situazione. Ora in casa c’erano ospiti e sua madre fingeva che la loro fosse una famiglia felice come tante altre, eppure suo padre lo osservava in silenzio, attendendo il momento propizio per ucciderlo. John credette che lo avrebbe fatto proprio con del veleno nel cibo, così iniziò a tergiversare, vagando per la casa alla ricerca di una soluzione prima che gli ospiti se ne andassero. Aveva notato i giochi di Senza Nome sparsi per il salotto e si chinò in attesa di veder comparire il cane, ma senza successo. Fu allora che sua madre si avvicinò a lui, consegnandogli un foglio con discrezione, prima di andarsene nella sala da pranzo per continuare con il pasto. John aprì il foglio prima di infilarselo all’interno dei pantaloni e notò che fosse un testamento falsificato, proprio dal padre. John, ormai certo della congiura, riuscì a trovare una corda con la quale si calò dal balcone, finendo con il perdere la presa sulla corda e precipitare nel vuoto, vanificando tutti i suoi tentativi di salvarsi da morte certa.
Il sicario si svegliò di colpo mettendosi a sedere.  Aveva le mani strette attorno alle lenzuola e un velo di sudore gli copriva la pelle nuda e scoperta. Riprese fiato, come dopo un immenso sforzo e poi guardò l’ora. Erano solo le tre, ma il sonno molto probabilmente non sarebbe tornato. Cercò di rilassarsi per respirare di nuovo normalmente e spostò lo sguardo sulla donna addormentata al suo fianco. Tese la mano delicatamente verso la sua testa e la accarezzò. Fu allora che si sdraiò di nuovo, avvicinandosi a lei lentamente per non svegliarla e la cinse con le proprie braccia, cercando un po’ di calore. E fu proprio quel calore umano a farlo desistere dal vagare come un fantasma nella propria casa buia, per concedersi ancora un po’ di sonno, forse meno tormentato dal dolore e dai sensi di colpa.
0 notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media
«Che cosa stai facendo?» La pesante borsa che nascondeva al suo interno l’artiglieria, pendeva dalla spalla del sicario vestito alla perfezione del tuo completo scuro, mentre egli osservava scettico l’ex collega che si era presentato davanti al Continental con la sua auto più appariscente. «Io ho accettato la collaborazione, io ho deciso di guidare, tu fai il braccio e spari. Sappiamo entrambi che hai una mira migliore della mia per quanto mi dolga ammetterlo.» «Una decapottabile rossa? Sei serio?» «Carica e monta su, facciamo in fretta. Lo sai, abbiamo già rodato.» Il sicario lanciò il borsone sui sedili posteriori e salì in auto aprendo la portiera mentre si guardava intorno in parte teso per l’azzardo di Specter. Non appena John si fu accomodato, Specter partì senza mezze misure verso il luogo della missione. «Come ai vecchi tempi. È un peccato che ora tu mi abbia sostituito bellamente con una sconosciuta che potrebbe strangolarti nel sonno da un momento all’altro.» John voltò la testa di qualche grado nella direzione dell’autista e lo ferì con il suo sguardo più infastidito, seppur immerso in una cornice neutrale. «Che c’è? La conosci da quanto? Qualche mese? Invece io sono stato tuo collega -e amico- per anni. Dovresti andarci più cauto, abbiamo già visto come le cose possono prendere pieghe div- Hey guarda. Non è quello il nostro obiettivo?» «Sì, ma c’è una ragazzina con lui. Non posso sparare.» «No che non puoi.», Specter affinò lo sguardo e sterzò dolcemente per imboccare una strada secondaria, attendendo che il contatto si allontanasse di qualche metro prima di tornare a seguirlo. I due sicari videro l’uomo e la ragazzina salire su una limousine nera dai vetri oscurati. John aveva estratto la propria pistola dalla fondina e vi aveva applicato il silenziatore, che si bloccò nella canna con un inquietante “click”. Specter si mise al discreto inseguimento della limo, di tanto in tanto abbassava lo sguardo sulla mano sinistra di John che stringeva la pistola appoggiata sulla propria gamba. «Hai tolto la fede.», affermò Specter dopo interminabili minuti di silenzio. Anche John rimase in silenzio, distolse le iridi scure da davanti a sé per osservare il mondo scorrere veloce al lato destro dell’auto. «Hai fatto bene.», aggiunse infine Specter, senza la sua solita vena ironica nella voce. Al commento John voltò il viso verso di lui, mettendo in mostra una vaga espressione sorpresa, ma in parte anche sollevata dall’assenza di giudizi. Specter stava per aggiungere altro, quando vide la Limo fermarsi davanti a un palazzo di lusso. L’obiettivo scese dal mezzo trascinando la ragazzina per il braccio. «Non mi sembra proprio che lei non stia più nella pelle all’idea di seguirlo.» John attese che la limo ripartisse e che nessuno fosse nei paraggi prima di scendere. «Specter credo proprio che ci sia un cambio di programma. Niente hit and run, è meglio se tu ti occupi della ragazzina mentre io mi libero dell’obiettivo.» Specter sembrava non aspettare altro. Con un movimento rapido e leggero uscì dall’auto senza nemmeno aprire la portiera e si avviò verso il palazzo. John studiò il vestiario del collega: non era mai stato troppo propenso all’abbigliamento formale tipico dei sicari uomini. E anche quel giorno era così casual da dare l’idea di voler puntare a un pub dopo il lavoro. John da parte sua invece era impeccabile come al solito. Entrarono entrambi nel palazzo, Specter per primo, si guardarono brevemente intorno prima di iniziare a seguire l’obiettivo. John si preparò a dover faticare parecchio per non analizzare stanza per stanza, quando sentì dei singhiozzi provenienti dalla tromba delle scale. Specter si voltò di scatto verso di lui ed entrambi accelerarono il passo per raggiungere la fonte dei lamenti. I sicari scivolarono silenziosamente verso le scale e percepirono la porta tagliafuoco richiudersi al terzo piano. «Ci ha risparmiato un po’ di tempo evitando l’ascensore.» «Vuole evitare le telecamere.» I due sicari entrarono al terzo piano e Specter richiuse la porta lentamente, per evitare che si sentisse anche solo il minimo rumore. Ora era John a precederlo, il suo passo era divenuto sicuro e disinvolto, la pistola pendeva al suo fianco luccicante e letale. Specter lo seguiva apparentemente disarmato, preferiva dare l’idea di esserlo, sebbene nascondesse armi di diverso tipo in luoghi diversi degli abiti. I due sicari sentirono la ragazzina chiedere più volte dove fossero i suoi genitori, ma le lamentele venivano ignorate in continuazione. John e Specter si appiattirono contro il muro che separava un corridoio dall’altro. Dietro l’angolo l’obiettivo stava aprendo la porta dell’appartamento, accompagnato da un continuo piagnucolio sommesso. L’obiettivo entrò con la ragazzina e i due sicari avanzarono, bloccando la porta silenziosamente per poter entrare. John aveva già sollevato la pistola, mentre Specter era pronto a separare la ragazzina dall’obiettivo.�� Per qualche attimo entrambi si soffermarono sull’arredamento inesistente dell’appartamento in sé: non c’erano lampadari, ma solo lampadine; i mobili erano totalmente assenti se non per un paio di sedie in corridoio che probabilmente venivano usate da qualcuno in attesa; la carta da parati era ormai rovinata dall’umidità e le finestre erano sbarrate. I due avanzarono sentendo delle voci femminili uniti al piagnucolio della ragazzina. Specter camminava davanti a John, la cui pistola tesa e carica era pronta a far fuoco appena sopra la spalla del collega. Dopo anni di servizio prestato insieme, formavano ancora una squadra pressoché perfetta, che comunque aveva una prontezza di riflessi formidabile anche in caso qualcosa fosse andato storto. L’obiettivo uscì da una stanza trascinando qualcosa, si trovò faccia a faccia con i due sicari. I primi secondi seminarono confusione e incredulità nell’obiettivo che però reagì lasciando cadere un pesante sacco nero per cercare di fuggire e infilarsi in un’altra stanza. John sparò un solo colpo. Il proiettile attraversò l’aria fino a incontrare la nuca del fuggitivo, per poi colorare una parete con schizzi di sangue. Specter si era abbassato e, come se fosse il gesto più naturale del mondo, aveva aperto il sacco. Con la mano tastò al suo interno e deglutì. Lo sguardo di John incontrò quello del collega che, voltandosi lentamente, estrasse la mano che mostrava lunghi capelli scuri, intrisi di sangue per mostrarli al collega. Tutte le luci si spensero all’improvviso, lasciando i due nella completa oscurità. «John?», la mano di Specter cercò il braccio del collega e poi lo stipite della porta. John era avanzato e aveva abbassato la maniglia dando una piccola spinta all’uscio che si era dischiuso.  Un rumore viscido e gorgogliante cominciò a farsi strada e Specter fu colto da una sensazione di panico che non si sapeva spiegare, era indotta e totalmente irrazionale. Quasi subito però cercò di ragionare e si accorse che la causa di quel blackout e di quel suono non fosse altro che il subconscio di John. «John ragiona, non è stata colpa tua.», suggerì Specter riferendosi al cadavere che giaceva nel sacco. Le luci si riaccesero, assumendo però una tinta rossastra, il mondo attorno a loro si era fatto cupo, surreale. «John per favore, mantieni la calma.», ma l’Uomo Nero aveva già incontrato con lo sguardo tutti gli elementi tipici di una vera e propria stanza degli orrori. Specter cercò di ignorare il contenuto di quell’ambiente per concentrarsi sul collega.  «Jonathan? Ascoltami: non farà più nulla. Lo hai fermato e hai vendicato tutti coloro a cui ha fatto del male», Specter spostò al fianco del collega, questa volta come amico. Cercò di entrare nel suo campo visivo senza successo, poiché le luci si spensero di nuovo. Le pareti presero a vibrare, pezzi di intonaco si erano sbriciolati e cadevano a terra infrangendosi sul pavimento, un rumore cupo si era unito alla vibrazione e dalle finestre penetrava una luce rossa intermittente. Specter prese John per un braccio e percorse l’appartamento a ritroso, per portare fuori il collega e sperare così che lasciasse scorrere ogni brutto ricordo appartenente al proprio passato, riportando le cose a come erano poco prima. Quando però Specter spalancò la porta che dava sul corridoio del palazzo, notò subito che il pavimento ricordava l’aspetto della carta lentamente consumata dal fuoco. John avanzò per primo, non sembrava essere particolarmente stupito da ciò che stava succedendo, come se si aspettasse da un momento all’altro che le cose tornassero normali. L’Uomo Nero avanzò nel corridoio, il pavimento sotto di lui era sottile e instabile, ma non sembrava essere un problema sotto il suo peso. Dal canto suo Specter però non sapeva se egli fosse un ospite gradito e non aveva di certo l’intenzione di finire di sotto. «Nikolaij!», la voce severa e perentoria di Specter richiamò l’attenzione di John, utilizzando il nome reale. Era più che certo che lo avrebbe scosso da quel guscio di risentimento in cui si era chiuso da qualche minuto. John si voltò nell’udire il proprio nome, ma la sua espressione cambiò totalmente quando il suo sguardo scuro incontrò i tratti insoliti di Specter. Il collega appariva molto più vecchio, i suoi capelli e la sua barba si erano schiariti in ogni punto e non solo a tratti. Specter aveva sempre giustificato un tratto di albinismo e John non si era fatto ulteriori domande.  Specter aveva corrugato la fronte, sorpreso dallo sguardo lanciatogli dal collega, ma decise comunque di parlare ancora prima di sapere quale fosse il problema. «Senti, non è che se ti seguo qui crolla tutto e io finisco a prendere un tè con Lucifero, no?» John tornò verso di lui a passi lenti e incerti. «Ti sto vedendo. Tu sei qui?», mormorò l’Uomo Nero. «Sì e per questa gita ti ringrazio molto. Potremmo andare, che ne so, nel mondo reale, ora?» «I tuoi capelli.», la frase di John rimase sospesa nel nulla, ma non sembrò poi così sorpreso dal cambio d’aspetto dell’amico, non quando poco tempo prima anche Margot aveva assunto una forma diversa nell’Alter. Specter cercò una superficie lucida in cui specchiarsi e trovò la risposta allo sguardo dubbioso di John nelle porte lucide dell’ascensore. Rimase a guardarsi a lungo, si riprese solo quando vide John raggiungerlo alle spalle e fissare con lui l’immagine distorta ma piuttosto chiara dell’amico. «Beh avrei preferito tu lo sapessi in un altro modo, ma-» La confessione di Specter fu interrotta da da uno scricchiolio che  proveniva dal muro poco lontano da loro. La carta da parati sembrava essere attraversata da venature che poi erano divenute vere e proprie crepe. Il bordo delle crepe era marcito in pochi secondi e da esso aveva iniziato a riemergere una figura umanoide, con gli occhi ricuciti e la bocca deforme. «Hai un subconscio stupendo, John, lasciatelo dire.» Specter aveva fatto un passo indietro vedendo cadere a terra la figura, legata mani e piedi da qualcosa che sembrava essere un cordone ombelicale. «D’accordo John, credo che se tu non mi voglia vedere vomitare tu mi debba portare fuori da qui.» L’Uomo Nero osservò solo per qualche secondo la creatura agitarsi con movimenti spastici prima di girare sui tacchi e ridiscendere le scale. «Stavi dicendo? Cosa dovevo sapere in un altro modo?», chiese John mentre entrambi raggiungevano il piano terra. John si fermò davanti alla porta d’uscita e bloccò il collega. «Non hai idea di come si esca da qui vero? Bene.» «Potresti non cambiare discorso e rispondermi?», lo incalzò John appoggiandosi alla porta con una spalla. Specter sbuffò e sollevò gli occhi al cielo e si sistemò le mani sui fianchi, con fare nervoso, a disagio. «D’accordo. Mi sento quasi in colpa per non avertelo mai detto, ma come avrei potuto? Ti giuro che sono arrivato a un soffio dal vuotare il sacco molte volte, ma quando aprivo la bocca pensavo alla tua eventuale reazione e mi rimangiavo tutto. Sappi che non l’ho fatto per egoismo, ma per rispetto.» «Vuoi temporeggiare ancora un po’? Sappi che abbiamo tempo. Questo posto non ci lascerà andare, non prima che abbia fatto qualcosa.» «Qualcosa-cosa?» John sollevò leggermente il mento e incrociò le braccia, senza spostarsi da davanti alla porta. Specter distolse lo sguardo, apparendo messo alle strette, questa volta senza possibilità d’uscita. «Sono una specie di-», il collega stava facendo realmente fatica a pronunciare quelle parole, tanto da iniziare a fissare John con così tanta intensità da sperare che glielo leggesse in faccia, «In Russia ero quello che tutti chiamavano  Дед Мороз.» «Died Moroz? Colui che porta l’inverno?» John sembrava incredulo, ma non come Specter si sarebbe aspettato. Pensò che probabilmente qualche esperienza lì in quel posto o forse con Margot gli aveva spianato la strada. «Sì. Mi chiamo Morozko e sono uno spirito piuttosto antico. Ho vagato per secoli in Europa, portando il gelo e il rigore. Inizialmente ero un vero e proprio stronzo-» John aveva sollevato un sopracciglio assumendo un’espressione scettica, «Sì, John, ancora più stronzo di così. Mi divertivo parecchio nel vedere soffrire le persone, portar via il loro cibo, i loro raccolti, i loro animali e a volte anche i loro figli. Poi, non so per quale assurda coincidenza, conobbi Vesna e la mia vita cambiò, proprio come è cambiata la tua con Helen.» «Hai incontrato primavera?», domandò John apparentemente non così sorpreso. «Ci innamorammo l’uno dell’altra e generammo una figlia, Sneguročka. Ma la sua nascita aveva portato gelosia nei confronti di altri spiriti che si annidavano in Russia perché Sneg -così la chiamavamo- era bellissima, buona e innocente. Qualcuno un giorno la rapì e la maledì con un incantesimo, ovvero quello di non poter amare. Così si slegò dal nostro affetto e prese a vagare solitaria per i boschi. Persino adesso non ho notizie di lei, non l’ho più rivista dal rapimento. Vesna non me lo perdonò mai, mi cacciò e non mi volle più vedere. Diceva che tutto il male che si annidava nella nostra famiglia era stato causato dalle mie efferatezze e non le ho mai dato torto.» John aveva annuito mentre osservava i tratti forse ora più veritieri che mai. «Mi spiace per la tua famiglia, non credo che tu ne abbia colpa. Comunque capisco il tuo indugiare, probabilmente fino a qualche mese fa ti avrei riso in faccia. Quindi Winston ha cercato anche te per le tue particolarità?» Specter indugiò qualche istante prima di annuire. Sembrava tormentato da altro, come se quello che gli avesse detto non bastasse. «C’è forse altro?», chiese John con una punta di freddezza nella voce. «Io in realtà cercavo proprio te, è stato Winston a farmi capire come stavano realmente le cose.» John corrugò la fronte sempre di più, alla ricerca di una risposta che non stava sopraggiungendo. «Cosa vuol dire che mi stavi cercando?» Specter si avvicinò alla porta e si appoggiò a sua volta a essa con la spalla opposta, osservando il collega da vicino.» «È stato uno dei tuoi antenati a maledire mia figlia. Precisamente tuo nonno. E solo la sua stirpe sarebbe in grado di sciogliere la maledizione. Per questo ti cercavo,  Бабайка. All’inizio credevo di volerti strangolare a vista, ma poi ho capito che eri davvero all’oscuro di tutto e che non potevi fare nulla per Sneg, nemmeno tu. Winston mi ha offerto di starti vicino, sperando che un giorno avresti potuto riacquistare i poteri e ragionevolmente sotterrare l’ascia di guerra che apparentemente da secoli ci ha resi rivali.» Solo allora John assunse un’espressione confusa e incredula, immergendosi nel silenzio. Il sicario con una spinta di allontanò dalla porta e uscì, seguito da un altrettanto silenzioso Specter, ora rispettoso del ragionamento che probabilmente John si accingeva a fare. La strada all’esterno era popolata da creature orrende, che però sembravano ignorarli. Il sicario si guardò intorno più volte cercando qualche indizio. «Senti, John, lo so che tu non c’entri e la nostra amicizia è diventata reale. Mi ha aiutato a capire che l’odio era fomentato da una tradizione assurda di cui nessuno conosceva l’origine. Ero più che certo che un giorno avrei potuto farti ragionare e tu avresti potuto finalmente liberare Sneg e magari forse farmi tornare da Vesna.» L’Uomo Nero tornò a guardare il collega con i suoi profondi occhi neri, alle sue spalle lampi di luce mettevano in risalto una grossa creatura molto simile nella forma a un ragno, ma gigantesca. «Quindi tu in realtà sei Morozko e questo è il tuo aspetto?», la domanda di John parve scollegata dal discorso appena fatto, il che coprì Specter di un velo di incertezza. «Sì, ovvio. Questo sono io. Però sarei troppo riconoscibile se mantenessi sempre questo aspetto, quindi di tanto in tanto devo camuffarmi, anche se mi costa una certa fatica.» Lo sguardo penetrante di John si fissò su di lui a lungo. «Anche Margot era differente in questo posto, non mi stupisce.» Specter cercò di mantenere un’espressione neutra, ma avrebbe voluto chiedere qualcosa in più a proposito della giovane nuova collega di John. Si limitò a rispettare il suo silenzio e il suo bisogno di riflessione, seguendolo però per tutto il percorso che li avrebbe portati fuori di lì.
0 notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
John Wick: Chapter Two.
246 notes · View notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
364 notes · View notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media Tumblr media
1 note · View note
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media
Margot & John
0 notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
195 notes · View notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media
John entrò nell'ufficio di Winston, a passi lenti e misurati. Il proprietario del Continental lo osservò al di sopra degli occhiali da vista e lo seguì fino a quando il sicario non ebbe versato due bicchieri di Whisky e si fu seduto di fronte a lui, porgendo il secondo drink al proprio capo. «A cosa devo la visita, Jonathan?» Il sicario si abbandonò contro lo schienale ed espirò. Gli occhi neri dapprima toccarono ogni oggetto della stanza, poi si fermarono sul suo capo. John amava che ogni cosa restasse al suo posto, gli dava senso di ordine e pulizia, ma soprattutto gli donava un senso di chiarezza nelle idee dei proprietari di tali ambienti. «Sto facendo progressi per quanto riguarda quella cosa. Comincio a trovare un nesso, un filo conduttore in tutto, ma soprattutto mi sembra che ci sia un filo conduttore che lega proprio te a tutta l'intera situazione degli ultimi mesi. Non credi che dovremmo parlarne?» Winston sollevò le sopracciglia mentre deglutiva l'alcolico e appoggiava il bicchiere davanti a sé. «Non ti sento spesso parlare così tanto, ma quando lo fai è perché ti sta davvero frullando qualcosa di importante nella testa. Che cosa ti preoccupa?» John fissò il proprio sguardo nel bicchiere che teneva tra le dita e che aveva inclinato un po', per far muovere il liquido ambrato. Il taglio dei suoi occhi divenne molto esotico e allungato, confermando le sue origini dell'est. «Il fatto che tu mi stia nascondendo qualcosa. Sono sempre stato sicuro del fatto che tu mi abbia prelevato dal carcere in Russia proprio per questa mia particolarità, ma credevo che anche tu non ne sapessi molto e che volessi indagare. Eppure perché farmi prendere contatto con questa cosa solo ora dopo praticamente vent'anni? E perché affiancarmi proprio Margot? Sappiamo entrambi che anche Specter non sia proprio un comune sicario dal black humor spiccato. Ha per caso fallito con me? Forse qualcuno o qualcosa ti sta mettendo alle strette? O finalmente credi che serva che io sappia come controllare quello che so fare?» Il proprietario del Continental esibì un sorriso senza dischiudere la bocca, osservò il proprio sottoposto come aveva sempre fatto, con un occhio di riguardo e un certo moto paterno. «Semplicemente credo che tu sia pronto adesso. Specter non c'entra, le sue capacità sono lontane dalle tue. Per un attimo, quando mi hai chiesto di ritirarti credevo di aver perso per sempre un valido alleato, ma con tutto quello che hai passato ho deciso che fosse giusto lasciarti libero di scegliere. E ho patito anche io, credimi, dopo aver saputo della malattia di Helen. È stato allora che ho creduto di perderti una seconda volta, ma non potevo fare molto per aiutarti, certe situazioni sono oltre ogni legame affettivo, al di là di qualsiasi tentativo di consolazione. Quando ti ho rivisto nel bar del Continental, vestito dei panni di John Wick, con quella tua aria severa e tormentata ho capito che eri pronto. E ascoltami bene: nessuno mi dà ordini, nessuno mi controlla. Vedimi come un Re, il Continental è un regno. Questo regno è mio e mio soltanto. Nessuno mi dà ordini e finché sarò qui, nessuno darà ordini nemmeno a te. Anche se-» Winston si lasciò scappare un sorriso sornione e accentuò quel suo modo di fare che a qualcuno poteva risultare fastidioso, ma non a John, che ormai ci era abituato. «Quella Margot non si sta impegnando affatto e ti ha ben stretto in pugno. Ma, ragazzo mio, questa è una storia vecchia come il mondo, hanno mascherato le donne con forme deliziose e armoniose per nascondere la loro vera natura di conquistatrici dell'universo. Di lei ti puoi fidare però, è un'alleata fedele se la sai trattare con lealtà. Quindi fatti pure comandare a bacchetta se serve a farti "riposare" un po'. A proposito, Specter mi ha detto che vi ha beccati insieme a riposare, ormai non si riesce più a tenervi separati eh? Devo fornirmi di secchi di acqua gelida ogni volta che vi cerco.» Il sicario ascoltò le parole di Winston attentamente, gli occhi scuri del killer russo erano incollati a quelli del proprietario del Continental senza possibilità che egli vi sfuggisse. Winston tuttavia non scappò dallo sguardo del killer, sebbene ammise a se stesso che ci voleva un bel fegato nel tenere gli occhi premuti contro quell'impulso di oscurità che non aspettava altro che dimenarsi e uscire. Il killer non si lasciò scalfire dalle parole di Winston, non era lì per scherzare, ma per avere risposte. «Ho visto parecchie cose in quel luogo, Winston. Non credo che sia saggio lasciarle uscire.» Il proprietario del Continental sollevò il bicchiere in un brindisi metaforico, comprendendo che il semplice punzecchiarlo non sarebbe bastato a farlo distogliere dalla ricerca di risposte. «Io invece credo che dovresti avere più fiducia in te stesso. Ricordati com'eri quando ti ho portato per la prima volta qui. E guarda come sei ora. Affidati a Miss Forrester, segui il percorso senza fretta e farai più progressi di quanti tu possa immaginare. Ma sii paziente. Io non posso darti certe risposte perché dovrai arrivarci da solo e credimi che ti sto facendo un grande favore. O forse più di uno. Parlando di favori, salutami Miss Forrester. Da svidanjya babaìka, ho del lavoro da sbrigare ora.»
0 notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
171 notes · View notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media
65 notes · View notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
808 notes · View notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media
47 notes · View notes
johnthanatoswick · 7 years
Photo
Tumblr media
993 notes · View notes