laprospettivachenonvedi
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Come se una parte di me fosse morta.
È la parte migliore, quella spensierata, divertente, ironica, vera.
Come se fosse volata via, uscita dal mio corpo lasciando solo macerie e tanto buio.
Quando mi ritroverò, quando ritroverò quella parte bambina e sbarazzina, quando sarò felice di nuovo, con i piedi in terra e la testa tra le nuvole, solo allora potrò dire di essere me.
Questa che sono, io non so chi sia.
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Convinciti della necessità degli altri nella tua vita e poi spogliati da tutte le convinzioni che ti sei cucita addosso. Pensarlo è un dolce trastullo che ti permea la pelle di tutto ciò che di negativo piove dal cielo. L’essere umano ha bisogno di una sua stabilità emotiva che sia permanente ed è per questo che, oltre a contare su se stesso, si affida agli altri: per crescere e fiorire in vista del nulla cosmico. In vista di quando, su una strada buia e rocciosa, si troverà a camminare da solo. Vi sono poi legami che sfidano le leggi della sooravvivenza e sono i legami genuini di cui spesso non ci accorgiamo. Sono le persone che ci chiedono come stiamo, che si preouccpano per noi, che deludiamo costantemente ma senza che loro ce lo dicano. Sono le persone che non ci fanno male, esattamente quelle che non lo farebbero mai. Ma eccetti queste, per tutti gli altri non siamo che meri strumenti di costruzione.
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La tracciabilità dei legami affonda nella quotidianità dell’esser vivi. Mi domando: come posso essere sintonizzata sul canale della tua vita se, in realtà, trasmetti solo ad orari alterni? Non mi permetti di vedere chi realmente sei, svestita dei tuoi momenti migliori. E allora mi domando, di nuovo: per quale folle motivo dovrei io, mostrarmi come sono solo perché voglio bene? L’amicizia si sviluppa nelle sue più strane forme, variopinte o tinta unita, però non sa entrare nella mia vita senza far rumore ed è per questo, credo, che adesso so che senza il chiasso di un portone che si apre per me la vera amicizia non c’è. Dirsi tutto, raccontarsi, piangere e non avere paura di mostrarsi come si è: bizzarri, noiosi, entusiasti, poveri, logorroici, frustrati. È la sintonia dei nostri pensieri che si abbracciano e così facendo, si capiscono. Ma se tu vuoi mostrarmi la tua vita a momenti alterni, allora permettimi di staccare la spina attraverso la quale tu potresti vedere la mia, 24h su 24.
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Quando ti penso e tu chissà dove sei. Quando apro un libro e ti immagino sdraiato al sole, con i raggi perpendicolari agli occhi e il calore nelle vene. Quando ripenso ai passi fatti insieme, pochi, incerti, diffidenti. Quando credo di poterti rivedere, abbracciare, parlare con te. Quando penso ai tuoi capelli, al tuo sorriso, alla voglia che mi trasmettevi di esplodere di buonumore. Quando penso al tuo paese, alle tue persone, alla tua musica scoordinata. Quando penso ai nostri caffè, alle passeggiate, all’innocenza della notte che ci racchiude nelle sue braccia. Quando penso a quanto siamo lontani, a quanto lo saremo, alla tua vita che più nulla ha a che fare con la mia. Quando ripenso a quanto sei immenso e a quanto io abbia navigato nel mare che hai dentro. Quando penso ai tuoi occhi, quando li disegno dentro me come segno indelebile di emozioni che pensavo di non riuscire a provare più.
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Ecco il solito blocco nello scrivere, più lieve, ma è tornato, tuttavia sento il bisogno di buttar giù pensieri, alcuni, che come un flusso di coscienza si schiantano dentro me e fanno un baccano terribile. Stavo camminando per la strada quando ho incontrato M. ieri sera. M è un ragazzo che conosco a malapena, incontrato una sera in cui il tasso alcolemico nel mio sangue superava di gran lunga il livello entro il quale si può definire una persona semplicemente brilla. Mi è sembrato simpatico, empatico, interessante. Come persona intendo e come amico. Parlando un po’ con M. mi sono resa conto di quanto sottili ma provocanti fossero le sue battute, di quanto acuto fossero le sue osservazioni e, soprattutto, di quanto mettesse un pizzico di cattiveria in tutto ciò che diceva. Mi sono sentita uno schifo quando, l’altra sera, si è approfittato della mia gentilezza per convincermi del fatto che fossi una disgraziata, una ragazza facile e per niente seria. Mi sono sentita inutile quando, ribadendo l’importanza della sua facoltà, incalzava domande stupide riguardanti la mia, che di efficace e produttivo sembra aver poco. Mi sono sentita brutta ieri sera quando, camminando in tranquillità per le strade della mia città l’ho incontrato. Indossavo gli occhiali, come sempre. Sono rare le occasioni in cui metto le lenti, d’estate accade più spesso per una serie di motivazioni interne che mi spingono forse all’auto convinzione di voler abbandonare l’aspetto da brava e studiosa ragazza. Gli occhiali comunque li porto sempre e non mi vergogno di indossarli: mi piacciono molto. Quando M, guardandomi, mi ha offesa stupidamente, dicendomi di non avermi mai vista con quegli occhiali e sghignazzando come per dire “fai cagare”, mi sono sentita debole. Debole perché conscia del fatto che avrei risposto in qualunque modo pur di smascherarlo e dargli dire “sto scherzando, stai da Dio”, e questo non perché lui possa in qualche modo interessarmi, ma perché è un MASCHIO. Mi rattristisco se penso a ciò in cui credo, ciò che studio, ciò che leggo con molta passione e impegno perché è come se in momenti come quello di ieri sera io lasciassi da parte tutto, chiudessi libri, ignorassi la storia e la attualità solamente per ricevere un segno di apprezzamento da un dannato uomo. Mi sento debole quando non riesco a difendermi, quando provare a metter su tavolo le mie spiegazioni è del tutto inutile, quando cerco di far capire che voglio sentirmi libera e che non mi interessa il parere degli altri. Forse non è del tutto così, sono ancora in balia delle opinioni. Fa dannatamente male. Come un vetro che in volo sa di esser prossimo alla rottura. Chiedo a me stessa di non avere più a che fare con maschi così. Amici, fidanzati, conoscenti... non importa. Non voglio più avere a che fare con persone così. Dev’essere una promessa questa, che faccio a me stessa. La bellezza, la simpatia, l’intelligenza... tutto questo non basta se sei capace di denigrare una ragazza solo perché non ricambia ciò che provi tu, perché non ti considera come vorresti, perché ti ignora. Tu non sei nessuno per trattarla così. Tu non sei nessuno per trattarmi così.
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è che inizio adesso a sentire l’estate. e non voglio andarmene
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Vorrei sentire ancora la tua voce, calda e lieve. Vorrei saperti guardare ancora come quel primo giorno, vorrei che il muro costruito in questi mesi cadesse giù all’improvviso e si trasformasse in un abbraccio caloroso. Vorrei che la sincronia che muove il nostro stomaco si allineasse con le stelle e ti vorrei veder splendere più del sole e poi guardare me. Vorrei essere la tua cometa guida, il tuo punto fisso, la spalla su cui appoggiarti. Vorrei avere la fortuna di far combaciare di nuovo i pezzi, anche quelli rotti e scoprire che l’armonia del loro stare insieme sarebbe stata improbabile tempo fa.
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Ancora una volta devo essere forte e credere in me stessa. Non contare su nessuno, non piangere su nessuna spalla che non sia la mia. Respiro. Dolcemente, con calma, chiudo gli occhi. In pochi credono in me, lo sento. Ne sono certa. Eppure mi arrabbio ancora con me stessa per non mostrare agli altri la parte migliore di me, per farli dubitare, per non sembrare trasparente ai loro occhi. E mi sento persa e mi sento un fallimento. Mi viene da pensare che forse tutto questo, tutto questo dolore remoto in realtà non è servito a cambiarmi.
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Eccoci di nuovo dopo anni nello stesso momento congelato nel tempo. Luoghi diversi, abbigliamento più o meno bizzarro, un po’ di alcol nelle vene e noi. E chi se lo sarebbe mai immaginato cinque anni fa tutto questo, al nostro prima incontro, su quei muretti che ancora adesso parlano di noi.
Ci vedo e sorrido perché mi accorgo che tu per me sei casa. Non sei un luogo in cui resto ma un luogo in cui ricordo, un luogo che mi da sicurezza e che mi riempie il cuore. Con te posso sperare che non tutto cambi, che qualcosa resti esattamente com’era, che la vecchia me possa restare sveglia nella me di adesso e delle volte ne prende il comando.
Tu sei due occhi che mi guardano con una luce divina che da te arriva dritta a me. Tu sei la persona che per prima ha scoperto il mio corpo, i miei sogni, il mio carattere complicato. Tu sei stato i miei desideri, sei stato un dono e una condanna allo stesso tempo.
Che cos’è la nostra? Una tradizione che abbiamo costruito, che ci prende l’anima, che ci scava dentro. Che si alimenta di noi.
Tu mi ricatapulti indietro nel tempo e nel tuo profumo sento la fragranza dei giorni passati, delle notti brave, delle amiche che adesso non sono più con me.
Questo ferragosto è stato un disastro ma poi qualcosa ha fatto sì che io arrivassi da te. Mi hai salvata. Grazie. Grazie per le poche domande, per l’attimo che solo con te riesco a cogliere. Per le figuracce, per farmi sentire giovane e sciocca, per farmi sentire preziosa. Per accarezzarmi, per sorridermi, per amarmi seppur un istante.
Io non lo so qual è il nostro tempo, se esiste un tempo nostro ma sono certa del fatto che questa tradizione ormai secolare a qualcosa porterà. Affetto? Riconoscenza? Amore?
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Se io un giorno
Se io un giorno dovessi non esserci più, vorrei che almeno restasse il ricordo di me nel cuore di alcune persone, o nella testa, o nei reni o nei polmoni. Non mi interessa esser ricordata da tutti. Voglio esser ricordata da pochi ma per come sono realmente. Senza compassione, senza angoscia ma con sorriso. Senza rancore, senza tristezza. Vorrei essere un pensiero che solletica le ascelle, che fa ridere a crepapelle e venire il mal di stomaco al tempo stesso. Vorrei non recare più preoccupazione, a nessuno.
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Ci penso spesso. Anzi, ci penso sempre. Ho provato a non pensarci, a fare come gli altri, ad essere indifferente. Peccato che io non sia così. Un giorno una persona adulta a cui tengo molto mi ha detto “prova ad aprirti, mostra ciò che sei, è giusto che gli altri vedano anche il meglio di te e ciò che puoi offrire.” Ci ho molto riflettuto. Ho preso coscienza del fatto che forse il meglio di me non l’ho mai mostrato, che forse le coordinate della vita non le ho mai avute e che ciò che per me era giusto in realtà non lo era per gli altri. Tuttavia, dentro di me, ho sempre pensato di fare del bene, di essere buona, di essere altruista. Avrei scalato montagne enormi e altissime per le persone a cui volevo bene, avrei dipinto quadri, frequentato posti orribili, cantato canzoni oscene, guidato a lungo, ascoltato a lungo, riso a lungo, festeggiato a lungo e voluto bene a più non posso. E credo di averlo fatto. Fa molto male, ancora oggi, perché quando le persone se ne vanno dalla tua vita, qualcosa di loro resta dentro te. E così i giorni nostalgici sono di più rispetto a quelli spensierati. E così vorrei costruire una lunga catena di percorsi che aggrovigliano il nastro e riportano al passato. Vorrei, con la forza del pensiero, far capire alle persone ciò che provo, far capire come mi sento, far vedere la persona che vorrei essere.
Quante domande. Quante poche risposte e quanti venti di ponente che si infrangono nel vaso delle casualità che accudisco con tanta premura. Quanti sogni, quanto affetto volati via. Come posso io credere nella magia degli incontri, delle persone, della fiducia? Come posso continuare a pensare di dare qualcosa agli altri? Se ne vanno tutti, tutto coloro a cui ho tenuto di più. Tutti coloro a cui credevo di dare il meglio di me. “Questo meglio dev’essere proprio un peggio per gli altri!” ironizzo. Ma così è. Credevo di aver fatto tanto, di aver voluto un bene grande quanto il cosmo, di aver aiutato, ascoltato, consigliato, supportato, di esserci stata. Forse, la mia presenza non valeva quanto quella degli altri. E fa male realizzarlo. Ma... quando una persona decide di non volerti più nella sua vita, che spiegazioni ti dai? A cosa ti appigli? Come dimentichi? Con cosa ti distrai? Cosa sogni?
Piangi? Forse è normale farlo o forse non lo è? Urli? Io non ho mai urlato. Tengo tutto dentro, mille parole dolcissime e mille parole rabbiose, mille splendenti, mille tristi. Le tengo tutte dentro, si accartocciano, fanno a pugni tra di loro. Le avverto quando devo fidarmi, quando qualcuno mi dice che valgo molto, quando qualcuno mi dice di volermi bene. Ah sì? Davvero eh... peccato però che quando le ferite bruciano, quando le senti ancora prender fuoco, tu agli altri non ci credi. E anche quando potresti sentirti amata in realtà non ti senti affatto così. Anche quando potresti sentire che qualcuno tiene a te o che qualcuno è interessato alla tua vita... non lo senti affatto. Bruci occasioni, ti precludi possibilità, smetti di vivere. Respiri un po’ più profondamente ma è dura. Dicono che quando vuoi davvero bene a qualcuno non importa nulla del resto. Però io le istruzioni per riordinare le cose non le ho. Sbaglio sempre. Quindi, tu che leggi, se le hai... ti prego passamele.
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Ma che ne sai tu di quanto ho sofferto, degli anni trascorsi a rincorrere persone, momenti, gesti. Che ne sai di che cosa vuol dire avere una persona nel cuore e volerla nella propria vita, senza se e senza ma, nonostante le circostanze. Che ne sai di quante volte mi sono sentita usata e di quante volte mi sono sentita confusa. Quante volte ho avuto l’impressione di impazzire, di far andare la mia stessa testa in fumo, di perdere completamente il senno. Quando il mio primo ragazzo al liceo mi ha lasciata per la sua ex, quando la mia cotta della vita non mi ha più risposto ai messaggi ed ha cancellato il mio numero, quando sono stata usata e poi gettata come se fossi una carta sporca buttata dal finestrino. Che ne sai? Che ne sai dei pianti silenziosi, dell’ansia che fa tremare le vene, il cuore, che smuove la pancia, che immobilizza. Di quelle sere in cui il mio pensiero fisso non mi guardava neppure, di quando era in compagnia di altra gente, di quando lasciava a me delle semplici briciole. Cosa puoi saperne tu dell’essere emotivi, adolescenti in preda alle emozioni, agli sbagli, ai momenti? Che ne sai come ho vissuto i miei anni, dai 15 ai 20? È facile adesso dire che sono stronza, che faccio la dura, che se continuo così mica lo troverò un ragazzo. È facile prendere il tutto con leggerezza. Ed io in primis vorrei essere così leggera come sai essere tu. Ma, vedi, non sempre è facile. Tu non puoi sapere come mi sono sentita per anni e anni e anni, come ho reagito, come mi sono rapportata con le persone. Non ti chiedo di capirmi, non potresti farlo. Chiedo solo di non giudicarmi. Questo lo puoi fare.
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La potenza delle parole come maremoti nelle vene. La potenza delle vocali e consonanti che insieme formano una coreografia grammaticale e una melodia stupefacente. Lo insegnano fin dalle elementari ‘le parole sono pietre’. Le parole sono pietre e fanno male. Scavano all’interno dello stomaco, distruggono cuori seppur già infranti, uccidono le sinapsi che ci permettono di ragionare. Si sa. Le parole sono pietre. Le parole sono pietre, tuttavia, quando restano le nostre uniche arme difensive, si scagliano contro l’Altro senza pene e tenerezze. Io l’ho fatto. Chi non lo ha fatto?
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Tu cammini con le tue gambe, da solo vai lontano. Io vedo il tuo cammino, a volte di passeggio accanto, altre preferisco scostarmi, allontanarmi, evitarti. Tu sei sicuro e guardi avanti. Io sono insicura e mi guardo spesso indietro. I tuoi pensieri sono lineari e coerenti, i miei un groviglio annodato di fili senza capo nè coda, senza coerenza. Tu accarezzi il futuro è proietti il vero te sul mondo. Io sto a stento nel presente e di ciò che sarò non ne voglio proprio sapere. Tu ridi forte, io mi nascondo dalla prima elementare.
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Succede così, credo sia un’inclinazione del mio carattere per cui mi faccio condizionare in maniera spropositata da tutto ciò che mi circonda senza badare più a me. Sento un gran dolore dentro ma non riesco a fargli fronte, non riesco a cacciarlo. So solo che esiste, che vive dentro me e invece di buttarlo fuori io lo accarezzo e me ne prendo cura. So che nessuno potrà mai capire ciò che provo. Le energie che assorbo attorno a me mi trasformano nella peggiore versione di me. Non riesco ad uscire da questo malvagio ed aggressivo stato e preferisco continuare a soffrire... piuttosto che stare meglio. Pensavo, dopo tutti questi ultimi mesi, di... essere migliore
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Sì lo so, fare gli stessi errori delle volte è inevitabile. Come quando ieri sera tu con i tuoi occhi verdi mi hai guardata e loro hanno sorriso ed io mi sono girata dall’altra pare. C’era il mare. Era bellissimo. Non lo vedevo di notte, in quel modo, da più di un anno. Quel posto racchiude, impregnati nella sabbia, un centinaio di dolci ricordi. E tu eri lì e mi guardavi e ballavi e sorridevi ed io ti guardavo, ridevo e ballavo. Avrei potuto essere qualcosa in più. Tipo più bella, poi sicura, più simpatica, più sciolta. Ma io ho paura. Ho una paura tremenda e anche se so che non lo puoi percepire, che non lo puoi capire, io ti chiedo di insistere. Mi lascio andare poi. Devo solo allentare le catene che ho attorno a me stessa.
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