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Dear David - recensione

Da agosto 2017 ad inizio 2018, su twitter c’era chi sosteneva che il suo appartamento fosse infestato dal fantasma di un bambino che tentava di ucciderlo. Questo qualcuno è Adam Ellis, ex disegnatore di Buzzfeed.
La casa di Adam, stando alla sua storia, è infestata dal fantasma di David, un bambino morto schiacciato da uno scaffale da un assassino mai identificato. La storia prosegue tramite i tweet periodici dell’autore. La cosa particolare che mi ha colpito è che non usa mai testi chilometrici per raccontare la sua storia, ma utilizza sempre tweet molto brevi, che lasciano molta libera interpretazione al lettore, così che egli possa fare supposizioni e film mentali sull’evolversi della storia.
Inoltre, trovo interessante il fatto che Ellis abbia deciso di fare questo esperimento su una piattaforma come Twitter e non, ad esempio, su un blog.
Tra i lati negativi, secondo me ci sono la tematica scelta per la storia, in quanto per quanto una persona possa credere al sovrannaturale e ai fantasmi, non è credibile. Sarebbe stato più interessante secondo me, se lui avesse scelto una vicenda più verosimile, così che la gente potesse crederci veramente. Un’ altro aspetto “negativo” è che la storia non ha una vera e propria fine, lasciando il tutto un pò in sospeso e senza una conclusione, il che non è il massimo per un lettore, è un pò come vedere un film o leggere un libro senza vedere gli ultimi 10 minuti o ultime 10 pagine.
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Chat game - recensione
Ho scelto di provare il chat game che si chiama Hey love! Adam, principalmente perché non sapevo quale scaricare ed era in cima alla lista sul Play Store. Dall’icona e dal bot con gli occhi a cuore presente nel gioco si capisce che è un gioco per ragazze, tuttavia ho deciso di giocarlo lo stesso, non so bene per quale motivo, mi sembrava divertente.
Il gioco di per sé è un gioco molto semplice, con un design che presenta una schermata che richiama molto quella di whatsapp, dove si può passare da una chat all’altra, proprio come nella realtà. Il menù è molto semplice e classico, con le solite voci di impostazioni, pubblicità e shop. Il gioco consiste nel chattare con diversi personaggi presenti nella nostra rubrica per proseguire nella storia.
Nella chat, oltre ai messaggi, appaiono anche dei riquadri blu dove sono scritti i pensieri e le reazioni del nostro personaggio ai messaggi che legge. Devo dire che le conversazioni e i pensieri sono abbastanza realistici e possibili anche nella realtà.
Ogni volta che dobbiamo rispondere a un messaggio dobbiamo decidere cosa scrivere scegliendo tra due tipo di messaggo. Nel gioco a volte alcuni messaggi non sono disponibili per via di quello che abbiamo scelto precedentemente. Durante il gioco, può capitare che gli amici ti mandino delle foto (fatte malissimo su ps), che puoi rivedere in ogni momento nella galleria virtuale dell’applicazione.
Una cosa che non mi è piaciuta del gioco è che alla fine di ogni capitolo della storia bisogna aspettare il giorno successivo per giocare, oppure guardare una quantità enorme di pubblicità per guadagnare le monete necessarie per avanzare. Trovo che questo sia poco funzionale alla giocabilità e inoltre non sia in linea con la tempistica del gioco. Personalmente penso che sarebbe stato meglio far aspettare il giocatore quando anche la giornata del personaggio finiva, in modo da rendere il tutto più credibile. Invece quasi sempre si aspetta un giorno o si guardano decine di video per poi giocare cinque minuti dove non succede niente e la storia non avanza, per questi motivi non mi è piaciuto molto come esperienza, anche perché non voleva trasmettere nessuna morale ed era un pò una perdita di tempo.
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THREE THINGS STORY
INIZIO:
- Il protagonista si trova da solo sul pianeta Terra.
- Il protagonista inizia ad esplorare l’ambiente intorno a sé.
- Il giocatore scopre l’obiettivo del gioco e la sua missione, inizia la raccolta di indizi.
SVILUPPO
- Il giocatore compie il primo salto spazio temporale.
- Si interagisce per la prima volta con degli altri personaggi.
- Il giocatore continua ad esplorare, raccogliere indizi e scoprire la storia del personaggio.
FINE
- Il giocatore continua ad esplorare e conosce nuovi personaggi, compie delle scelte.
- Dopo l’ultimo cambio di scenario, si avvia verso la fine del gioco con gli indizi raccolti durante la partita.
- Il giocatore raggiunge oppure no il resto degli esseri umani, in base all’andamento della partita.
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ESCAPE GAME - RECENSIONE
In classe con il mio gruppo abbiamo giocato all’escape game sugli egizi. Personalmente era la mia prima esperienza “escape”, non avendo mai provato giochi simili o escape room.
Inizialmente abbiamo speso almeno 15 minuti nella lettura delle istruzioni del gioco, ma credo che una lettura attenta delle istruzioni in questo genere di giochi sia fondamentale per capire come muoversi tra i diversi enigmi. Nonostante la lettura attenta, siamo dovuti tornare più volte su alcuni punti per confermare alcune regole. All’inizio della partita abbiamo avuto un po’ di difficoltà nel risolvere il primo enigma e personalmente pensavo che i puzzle fossero più intuitivi, ma poi abbiamo visto come bastasse entrare nella logica del gioco per capire come recuperare indizi importanti ed utilizzarli in modo efficace per la ricerca del geroglifico corretto. Dopo un bel po’ di tempo speso nel cercare di risolvere il primo enigma, quelli successivi li abbiamo risolti con minore difficoltà. La sensazione che ho provato quando siamo riusciti a risolvere un enigma è stata soddisfazione. Purtroppo a causa della mancanza di tempo sufficiente non siamo riusciti ad arrivare in fondo al gioco.
Un escape game ben fatto secondo me dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:
- un manuale di istruzioni che spieghi le regole in modo chiaro e sintetico, per invogliare il giocatore a leggerlo tutto e capire bene come si gioca. La mancanza di questo punto potrebbe creare difficoltà ai giocatori durante la partita e non vorranno cercare la regola che gli serve tra pagine e pagine scritte minuscole.
- un contesto narrativo adeguato, con oggetti e testi da leggere che aiutino i giocatori a calarsi nell’ambiente narrativo del gioco, rendendolo più credibile, affascinante ed efficace.
- enigmi non troppo complicati, per evitare che i giocatori si sentano frustrati nel momento in cui non riescano a risolverli in tempi ragionevoli.
- delle carte “indizio” che aiutino i giocatori a proseguire nel gioco nel caso in cui si trovino bloccati nella risoluzione di un puzzle.
- un’interfaccia di gioco semplice, che contestualizzi il gioco senza confondere e distrarre i giocatori, così che possano concentrarsi principalmente sugli enigmi. Fare in modo che il gioco non si chieda “questo simbolo/oggetto a che cosa serve?”
- varietà di enigmi, per far si che le diverse competenze di tutti i giocatori risultino importanti e nessuno si senta inutile.
Credo che se, come me, una persona non è abituata a giocare a questo tipo di giochi dove la logica e la componente intellettuale sono importanti, all’inizio questi risultino difficili e poco intuitivi, ma allo stesso tempo una sfida con il gioco stesso.
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TRIHAYWBFRFYH by Connor Sherlock - recensione
La schermata iniziale di TRIHAYWBFRFYH si presenta con una distesa di erba color rosso fuoco mossa dal vento. La combinazione di colore e movimento fa si che essa sembri più lava che erba. Mentre osservo la schermata iniziale provo a passare il mouse sulle varie voci del menù: about, exit e il titolo.
Al passaggio su ognuna di esse parte una musica diversa. Quella della voce “about” è la più rilassante, anche se particolare. Quella del tasto “exit” è senza dubbio la più inquietante. Se si ha il volume alto il gesto istintivo è quello di muovere subito il mouse per far smettere questo suono spaventoso. Secondo me Connor Sherlock lo ha fatto per non far uscire il giocatore dal gioco. La musica associata al titolo,invece, è più ansiosa e inquietante. Ho iniziato il gioco con una sensazione di ansia (amplificata dal titolo misterioso ed intrigante).
Una volta cliccato il titolo vengo catapultato in questo mondo desolato di immense distese erbose circondate da boschi. Mi guardo intorno. In cielo c’è un’enorme navicella spaziale che, quando inquadrata, fa partire una musica terribile e molto angosciante, che mi fa passare la voglia di inquadrarla di nuovo, neanche per sbaglio. Mentre mi muovo per queste immense praterie vedo delle sagome particolari, come di colonne, di sassi, di case semidistrutte ed abbandonate che attirano subito la mia attenzione. Per prima cosa però mi dirigo verso una delle correnti ascensionali colorate che dal terreno arrivano fino in cielo. Passandoci attraverso scopro che fanno parlare delle voci narranti che mi spiegano quello che è successo e come si è arrivati in questo scenario post apocalittico dove siamo sicuramente gli unici sopravvissuti. Il punto di vista in prima persona e il rumore dei passi sull’erba fa si che io mi senta molto coinvolto nel gioco e nella corsa; la musica incessante di sottofondo mi mette ansia, fretta di scappare. Ma scappare da cosa?

A un certo punto della fuga, ho premuto il Esc per mettere in pausa. Con mio grande piacere la musica si è fermata. Non può essere. Provo a passare l’indicatore del mouse sulle varie voci del menù. Niente. Silenzio. Mi sembra strano. Quasi voglio tornare al gioco, dove la musica e la corsa sono diventati la normalità. Prima di uscire noto come ci sia scritto “press Escape to return to the game”. ESCAPE. Scappare. Fuggire. Correre.
Riprendo a correre e il prato, come prima del resto, cambia colore sotto i miei piedi, mantenendo tonalità sul giallo, verde e rosso sangue. Non posso interagire con gli oggetti in scena, posso solo correre, passare attraverso i fasci luminosi ed ascoltare. La mappa sembra infinita, sono stanco di correre in lungo e in largo, poi scopro che in realtà è delimitata da delle grandi rocce che mi impediscono di continuare. Come faccio a scappare se sono intrappolato?
The Rapture Is Here And You Will Be Forcibly Removed From Your Home lo definirei sicuramente un gioco particolare, ansioso, ed esplicativo. Credo che la musica trasmetta in modo perfetto le sensazioni e gli stati d’animo che il creatore del gioco voleva far provare ai suoi giocatori. Dopo un po’ che giocavo purtroppo il gioco mi è crashato, ma ho letto che comunque, qualsiasi cosa sia successa, dopo 20 minuti il gioco finisce e non penso mi mancasse molto. Questa modalità di finale credo voglia trasmettere un messaggio del tipo “qualsiasi cosa fai il mondo finirà, verrai preso e portato via”. Secondo me i fasci di luce attraverso cui passare erano un po’ troppo lontani tra loro e dopo un pò mi annoiavo a correre da una parte all’altra, senza poter fare altro. Molto particolari e suggestive anche le scelte cromatiche su cui è improntato il gioco.
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Carta di identità - protagonista
NOME: Otto
GENERE: Maschio
ETA’: All’inizio della storia Otto a circa 35 anni
LUOGO DI NASCITA: Ravensburg, Germania
DOVE VIVE: Italia
TEMA RAPPRESENTATO: Umanità, istinto più forte della razionalità, libertà.
GLASS OF WATER: Scoprire dove sia finita la popolazione della terra.
REFERENCE VISIVA: Max Riemelt

QUESTIONARIO DI PROUST:
1- L’aspetto principale del mio carattere è l’umanità verso gli altri.
2- La qualità che voglio in un uomo è il coraggio.
3- La qualità che voglio in una donna è la spontaneità.
4- Dei miei amici amavo la sincerità, ma adesso non so dove sono.
5- Il mio sbaglio più grande: le pillole
6- La mia occupazione preferita: le partite allo stadio
7- Il mio sogno di felicità: andare a vivere su Marte
8- La mia più grande sventura: finire le pillole, o averne troppe.
9- Come mi piacerebbe essere: sposato, con una famiglia.
10- Mi piace il paese in cui vivo.
11- Il mio colore preferito è il verde scuro.
12- Mi piacciono i tulipani.
13- Mi piace il pappagallo.
14- Il mio autore preferito è Dante.
15- Non leggo quasi mai poesie.
16- Il mio eroe è Peter Pan.
17- Se mi dici eroina penso solo a una cosa.
18- I miei compositori preferiti sono Beethoven e Chopin.
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Concept
Ho pensato ad un concept per un videogioco. All’inizio del gioco il protagonista si ritrova da solo sulla Terra, in un periodo storico futuro al nostro. Non sembra esserci stata una apocalisse, semplicemente tutti se ne sono andati (tutta la popolazione è andata su Marte, ma il personaggio e il giocatore non lo sanno). Il personaggio ha la possibilità di interagire con gli oggetti ed esplorare l’ambiente che lo circonda. Lo scopo del gioco è scoprire dove sia finita la popolazione della Terra e come fare per raggiungerla, se esiste un modo. Il giocatore deve raggiungere questo obiettivo compiendo dei viaggi spazio-temporali (causati dalle scelte nel gioco) nella vita del protagonista, cercando di raccogliere quanti più indizi e informazioni possibili per svelare il mistero.
CONCEPT IN 6 PAROLE: Last call for Mars.
KEYWORD: Matrioska
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Photo


Titolo: Mirror
Quando: ottobre/dicembre 1929
Dove: Stati Uniti d’America
Chi: John, operaio
Chi/2: Il dialogo si sviluppa tra John e il suo riflesso allo specchio.
Cosa: La storia parla di un operaio americano, John, che durante la crisi del 1929 dovuta al crollo della borsa di Wall St, perde il lavoro. Il protagonista, durante la storia, cerca un modo per risolvere la situazione, per poter mantenere la sua famiglia. Dopo averle provate tutte, quando ormai è sull’orlo della disperazione, gli arriva una proposta da un suo vecchio amico, rischiosa ma redditizia, che gli permetterebbe di risolvere molti suoi problemi. Di fronte a questo bivio John deve fare una scelta molto difficile…
Come/ perché: l’interazione del giocatore consiste nello scegliere le azioni di John durante la storia e la ricerca di un nuovo lavoro, fino alla scelta finale, che determina in quale dei due possibili finali terminerà la nostra storia. Mirror è una storia interattiva non lineare perché vogliamo che l’utente possa fare le scelte in base al suo senso etico e morale, in base a quello che farebbe lui nel caso si trovasse in una situazione analoga, immedesimandosi nel personaggio.
La struttura della storia è abbastanza semplice, senza particolari diramazioni, perché si basa per lo più sull’aspetto visivo della storia e sul valore delle scelte che sull’intreccio.
Dopo la schermata iniziale, che serve a contestualizzare storicamente la storia, ci troviamo subito di fronte al primo momento di scelta. L’utente ha soltanto la possibilità di premere l’unico pulsante presente sullo schermo, che contiene la scritta Sei licenziato! per poter avanzare nella storia. Abbiamo deciso di porre questa come unica scelta, per cercare di riprodurre la situazione in cui si sono trovati molti lavoratori in quel periodo: perdere il lavoro senza avere possibilità di scegliere o controbattere.
Il secondo momento di scelta, apparentemente insignificante per lo svolgersi della storia, consiste nel decidere se John debba oppure no riferire alla moglie il fatto di essere stato licenziato, dovendo affrontare la sua reazione. In base alla scelta fatta dal giocatore, allo specchio appaiono diversi intermezzi visivi, che mostrano le conseguenze della scelta fatta da John/utente.
Successivamente, qualunque sia stato l’esito della scelta precedente, la narrazione converge al momento di scelta successivo: John cerca un altro lavoro, per continuare a mantenere la sua famiglia. Sullo schermo appare una semplice mappa della città dove, oltre alla casa di John, sono evidenziati luoghi di lavoro come ad esempio la posta, il mercato, il calzolaio ecc. con a fianco la casella contenente il lavoro corrispondente. Mano a mano che l’utente clicca sulle casella, la casella stessa e la parte di mappa con il luogo collegato, scompaiono dallo schermo, fino a che non rimane da cliccare solo la casa del protagonista, così che la storia possa continuare. Abbiamo deciso di porre così questo momento di scelta, per evidenziare quanto fosse difficile trovare un nuovo lavoro in quel periodo e come doveva essere vedere svanire tutte le possibilità di lavoro/speranze.
Il momento di scelta successivo è di nuovo una scelta obbligata: sullo schermo vi è un’unica casella con la scritta criminale. Abbiamo deciso di lasciare questa casella da sola, per far notare il fatto che è la nostra unica possibilità rimasta. Dopo aver cliccato, allo specchio appaiono le conseguenze della scelta del giocatore: se si sceglie di entrare nella banda criminale la figura di John allo specchio apparirà vestita da boss mafioso che fuma il sigaro, circondata da soldi, con gli abiti sporchi di sangue; se al contrario si rifiuta l’offerta, John apparirà in abiti da lavoro, non circondato da soldi, ma senza sangue addosso. Questa scelta determina in quale dei due possibili finali termina la storia: nel caso si scelga Sì, sullo schermo apparirà una pagina di giornale in cui John è stato arrestato e condannato; in caso contrario, il protagonista e la sua famiglia riusciranno a lasciare l’America per costruirsi una nuova vita in un altro paese.
La variabile presente nella storia è presente nella scelta in cui si deve decidere se dire oppure no alla moglie che si è appena stati licenziati e quindi non si ha più un lavoro per mantenere la famiglia. Questa variabile true or false viene verificata quando, dopo aver provato a cliccare su tutti i lavori presenti sulla mappa, si torna a casa: se in precedenza si era scelto Sì (quindi avevamo deciso di dire tutto alla moglie), allo specchio lei ci consolerà e ci aiuterà a trovare un nuovo impiego, in caso contrario apparirà molto arrabbiata e deciderà di andarsene di casa con i figli. La variabile non influisce sul tipo o quantità di scelte che ci vengono proposte, ma su ciò che viene visualizzato sullo schermo.
Con questa esperienza narrativa non lineare vogliamo mettere il giocatore di fronte ad una scelta etico-morale. Si deve scegliere se per mantenere la propria famiglia si è disposti a correre i pericoli di una vita da criminale, con tutti i pro e contro, per poi venire arrestati e passare il resto dei nostri giorni in prigione lontani dalla famiglia, oppure se si decide di rimanere persone oneste, con un lavoro meno redditizio ma regolare, che ci apre alla speranza di un futuro migliore.
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Eko platform
https://helloeko.com/
Aprendo il sito e scorrendone velocemente l’interfaccia, a prima vista mi sembra un sito di una televisione, oppure dove si possono vedere film o serie tv, come Netflix o simili. L’homepage del sito è facile da capire e intuitiva, il che facilita e invoglia a cercare qualcosa da guardare.
In effetti i riquadri che si vedono nella homepage si riferiscono ai diversi episodi di piccole serie tv. Nonostante dall’aspetto del sito pare che si sia entrati in un sito di film, quando si apre ad esempio un episodio di That moment when, ho avuto l’impressione di stare giocando a un videogioco piuttosto che stare guardando un film. Ci sono molti giochi che hanno meccaniche simili, dove sono le scelte dell’utente a condizionare l’andamento della storia, intervallate dai filmati che mostrano le conseguenze delle nostre scelte.
Trovo che gli episodi siano divertenti e piacevoli da guardare/giocare. La sensazione di stare giocando a un videogioco è aumentata secondo me anche dal fatto che in alcuni episodi ci venga dato un obiettivo da portare a termine nel singolo episodio, come se esso fosse il livello di un gioco e la protagonista, il nostro personaggio.
Diversa ma altrettanto interattiva è la raccolta di video musicali Eko Music, in cui non si può modificare l’andamento della canzone, ma solo il video che si vede sotto. Ho trovato divertente come nei video, tutti i personaggi presenti nei video, cantino la canzone. In questo caso, ho avuto più l’esperienza di guardare un video che di giocare a un videogioco, perché si può solo scorrere il background e non modificare la storia o, in questo caso, il testo della canzone.
Anche la serie Indie creators, nell’episodio Escape the Asylum, la meccanica di gioco è molto simile a quella di un videogioco e analoga a quella di That moment when, dove l’utente si immedesima in un detenuto di un manicomio, che nel tentativo di fuggire dall’edificio si trova a ripetere la storia molteplici volte, nel tentativo di raggiungere il suo obiettivo.
Penso che nonostante i diversi episodi siano definiti come film interattivi, questi siano più videogiochi che film, proprio per il fatto che si può influenzare l’andamento della storia e le azioni del protagonista, cose che di solito non accadono in un film, dove di solito la transmedialità con i videogiochi si nota nelle riprese, nelle grafiche, nella regia, ma raramente nell’accesso diretto da parte dello spettatore/giocatore alla trama.
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STORY DECONSTRUCTION
Panoramica sull’esperienza di gioco “Venti Mesi:
Ho trovato interessante come alcune delle storie all’interno dell’esperienza di gioco fossero collegate tra loro, creando una sorta di storia nella storia. Non tutte le storie mi sono piaciute, alcune le ho trovate lente da giocare, con troppe frasi scritte da leggere e poche scelte da fare. In queste storie in particolare, credo che anche la componente sonora abbia contribuito a questa sorta di “lentezza”, con il motivo monotono che ti fa entrare in una sorta di trance. Altre storie invece mi sono piaciute molto, dove l’evento raccontato era piùinteressante e più toccante. In particolare sono rimasto colpito dalla storia nella quale si devono salvare i due bambini, riuscendo a salvarne solo uno, in cui ho percepito davvero la necessità di prendere scelte difficili in poco tempo, per sopravvivere. Credo che dal gioco in generale si capiscano bene i punti di vista, le situazioni e le emozioni in cui si trovavano i diversi protagonisti: le loro difficoltà, il fatto di trovarsi di fronte a scelte con conseguenze catastrofiche, oppure di non avere affatto una scelta. Infine, mi è piaciuta la fine del gioco, dove si rivedono tutti i profili che si sono delineati con le nostre scelte durante l’esperienza, quando si è avuta la possibilità di scegliere, e quando invece la scelta era obbligata. Ho avuto come la sensazione di essere anche io sopravvissuto a tutte le venti storie, e di essere arrivato alla fine della guerra.
Storia XIX:
Ho scelto di anazlizzare nello specifico la storia numero 19. La storia parla di un giovane soldato tedesco che ferma un ragazzo italiano per un controllo documenti. Nella storia sono presenti due scelte. La prima è particolare perché sullo schermo ci appaiono i pulsanti come se fossero i pensieri del personaggio. Questa scelta ha la funzione di rivelare il nostro personaggio, di evidenziarne i suoi dubbi e le sue indecisioni sul da farsi. Entrambe le opzioni, in questo caso, portano la storia a convergere nella stessa situazione, in cui il ragazzo e il soldato parlano di calcio e della finale dei mondiali. La scelta successiva è quella decisiva per il finale: si è tenuti a scegliere se rischiare di mostrare al soldato dei documenti che non abbiamo oppure fare finta di niente e andarcene. Questa scelta ha la funzione di fare avanzare la storia, facendo compiere un ‘azione al nostro personaggio. Nella storia trovo molto efficace il fatto che all’inizio i due personaggi non si capiscano e che le parole del soldato non siano tradotte, così noi, come Giuseppe, ci troviamo spaesati e non capiamo quello che ci viene detto.
10 punti:
1_La frase sullo schermo prima dell’inizio della storia lascia intendere che sarà una storia che parlerà dell’aspetto umano dei tedeschi, ora nemici.
2_Il primo aspetto familiare della storia che mi salta subito all’occhio è che il protagonista sia un ragazzo della nostra età. Il secondo è che i due ragazzi trovano un punto di incontro e di dialogo nel sport, in particolare nel calcio, cosa molto comune al giorno d’oggi.
3_Il protagonista vuole superare il controllo documenti con il soldato tedesco, perché sa di non averli, oppure che non sono in regola. Durante l’incontro è indeciso se rischiare facendo finta di niente, oppure rischiare bluffando di avere i documenti in regola e sperare che il soldato si fidi e lo lasci andare.
4_L’obiettivo del protagonista è superare il controllo documenti, la sua necessità è quella di instaurare un dialogo normale con il ragazzo tedesco in una situazione disumana e trovare un lato umano nel ragazzo soldato.
5_Il dilemma della storia è che il ragazzo non può essere sicuro delle consegienze della sua scelta. Se fa finta di niente, il soldato probabilmente lo arresterà, ma non può nemmeno rischiare di fargli vedere dei documenti che non ha o che sono irregolari.
6_Il codice morale nel protagonista secondo me sta nel dialogo e nell’umanità della persona che si trova di fronte, soprattutto perché è un ragazzo circa della sua età e non può credere veramente nella violenza della guerra, ma è costretto come molti altri.
7_L’obiettivo dell’antagonista è quello di controllare i documenti del cittadino italiano. perché è il suo dovere di soldato tedesco. L’obiettivo del soldato è quello di eseguire gli ordini dei suoi superiori, il suo bisogno è quello di parlare di calcio con un ragazzo della sua età. Il codice morale dell’antagonista secondo me cambia radicalmente in base al finale in cui si capita. In un caso la cosa più importante sono la legge e la supremazia tedesca, nell’altro è il dialogo e l’umanità del ragazzo italiano.
8_Il punto di svolta della storia è la seconda scelta, che determina il finale e il destino del protagonista.
9_Secondo me il protagonista non subisce un grande cambiamento durante la storia, né dal punto di vista delle scelte, né fisicamente. Credo che l’unico aspetto in cui subisce un cambiamento sia solo l’interazione con l’altro personaggio. All’inizio non si riescono a capire ed è confuso su cosa dire e cosa fare. Mano a mano che parlano, invece, riescono a capirsi meglio e ad instaurare un minimo di dialogo, che fanno fare al protagoniste scelte più lucide, ma non meno rischiose.
10_La storia ha due possibili finali: uno positivo e uno negativo. Nel primo Giuseppe viene lasciato andare senza aver controllati i documenti, nel secondo, invece, viene portato via dal soldato tedesco.
11_ Nel primo finale il protagonista impara che provare ad essere onesti può ripagare, mentre cercare di non esserlo e sfuggire, può avere conseguenze ancora peggiori.
12_Alla fine della storia, in base al finale in cui si finisce, credo che ci si possa sentire solo sollevati e avviliti per il destino del protagonista, soprattutto perché Giuseppe saremmo potuti essere noi.
Flow chart:
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The shape of story
1 - The Plague
2 - Life smartphone
3 - Happiness
4 - He who dances on wood
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TAROT STORYTELLING - 2
Stelle - Morte - Temperanza - Torre - Giustizia
Leonardo Amico
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LA MINIERA IN MONGOLIA AUTOGESTITA E SOSTENIBILE
Quando nell’estate del 2010 avevo visitato la miniera a cielo aperto di Uyanga, nella provincia mongola di Ovorkhangaj, mi ero trovato di fronte una comunità umana complessa, stratificata, diversa da quanto avevo letto fino a quel momento. I “ninja”, i cercatori d’oro abusivi, non erano riconducibili allo stereotipo dei poveri e dei disagiati.
Davanti ai me vedevo soprattutto padroncini, liberi battitori e sottoproletari, gente che possedeva mezzi di produzione – capitali e macchine – e gente che aveva solo la forza delle proprie braccia; individui che si organizzavano in squadre di lavoro basate su legami familiari e altri invece isolati, con il loro catino in spalla che li faceva sembrare le tartarughe da cui prendevano il nome. Vedevo esseri umani. La loro irriducibile volontà di migliorare la propria condizione, la capacità di adattamento.
Uyanga era la rappresentazione perfetta del mercato come “migliore allocatore di risorse”. I ninja calavano dall’intera Mongolia perché si era diffusa la voce che lì c’era l’oro. Facevano i buchi, rivoltavano la terra, la penetravano con il mercurio per separare l’oro dalle rocce, risucchiavano le risorse d’acqua; erano in concorrenza per 24 ore al giorno, qualcuno ce la faceva, qualcun altro no; poi andavano a scavare un po’ più in là, lasciandosi dietro fango avvelenato.
Proprio mentre visitavo Uyanga, nel luglio del 2010, il parlamento mongolo approvava alcuni emendamenti alle leggi che regolano l’utilizzo delle risorse minerarie e del suolo, riconoscendo le attività minerarie “artigianali” e “di piccola scala”. Di fatto si dava visibilità e status legale ai cercatori d’oro ninja purché si unissero in “partnership” e s’impegnassero nella ricostituzione del suolo dopo aver svolto l’attività mineraria.
Oggi sono tornato a vedere i ninja. Non a Uyanga, ma più a nordest, nella contea di Mandal, che fa parte della provincia di Selenge. Qui, grazie a un progetto promosso dalla direzione svizzera per lo sviluppo e la cooperazione, li ho visti trasformati: non sono più tartarughe con il catino in spalla, bensì “minatori artigianali” oppure “minatori di piccola scala”, così come li chiamano oggi.
Sembrano i dipendenti di una grande azienda e invece sono lavoratori autonomi autorganizzati
Si sono organizzati. Forse bastava l’input giusto. La cooperazione svizzera ha fornito risorse economiche e un modello di organizzazione: un gruppo di ex ninja crea una partnership; diverse partnership confluiscono in una ong, che li rappresenta presso le autorità e anche nei conflitti con le grandi compagnie minerarie.
Loro, i diretti interessati, ci mettono i contenuti in base alle esigenze. Sono circa 60mila quelli che oggi partecipano al progetto di “estrazione mineraria artigianale sostenibile” (sustainable artisanal mining).
La miniera di Mandal è diversa da quelle che ricordavo. Non è a cielo aperto, ci si arriva percorrendo un cunicolo nella montagna e sono state adottate tutte le misure di sicurezza. Il tunnel è stato rinforzato, i cercatori d’oro indossano tute mimetiche e il casco. Sembrano i dipendenti di una grande azienda e invece sono lavoratori autonomi autorganizzati. La leader è una donna, Tuya, una solida ex ninja.
I minatori artigianali di Shijir Khishig, nella contea di Mandal, Mongolia, il 22 giugno 2018.(Gabriele Battaglia)
La sua partnership si compone di tre squadre da cinque uomini che si alternano in tre turni da tre giorni ciascuno. L’oro che trovano lo dividono all’interno della squadra. Partecipano alle spese comuni per l’attrezzatura e hanno perfino creato un fondo con cui hanno cominciato a diversificare le attività. Ora producono anche mattoni per le costruzioni. Ma il denaro serve anche per sostenere le famiglie povere della contea: “Così ci facciamo accettare più facilmente”, mi dice Tuya.
Risoluzione dei conflitti Otto anni fa, nel capoluogo di contea, un poliziotto mi sconsigliò di mettere piede nella miniera di Uyanga: “Quella è brutta gente”. In realtà ninja e pastori nomadi si sono sempre guardati in cagnesco. I cercatori d’oro abusivi distruggono l’ambiente che è vitale per gli allevatori. E poi, fanno quei buchi in cui cadono le pecore, oppure qualche cavallo si spezza le gambe.
Adesso mi mostrano come rimuovono il terreno per scavare. Mettono le zolle da parte, senza distruggere la vegetazione e la componente organica, continuano a coltivarle durante le attività minerarie. E poi rimettono tutto al suo posto, come un tappo biologico.
Mi danno anche un opuscolo della cooperazione svizzera sulla risoluzione dei conflitti: insegna come gestire un incontro senza azzannarsi, punto per punto, e nei disegni illustrativi è chiaro che da una parte c’è il minatore e dall’altra il pastore nomade.
Narmandakh ha 29 anni e fa il cercatore d’oro da cinque. È il responsabile della sicurezza nel suo turno. Non è né un allevatore impoverito perché il gelo ha sterminato i suoi animali, né figlio di ninja. È di Ulan Bator, la capitale, e ha studiato all’università arte e cultura: “Quando ho finito non c’era lavoro, così ho cominciato a fare il cercatore d’oro andando dove si scopriva un nuovo filone. Poi ho incontrato una ragazza di questa zona, della soum (distretto) di Mandal, è per lei che sono finito qui. Mi sono unito alla partnership e devo dire che mi piace fare il cercatore d’oro. Qui lavoriamo in sicurezza e ho una vita tranquilla, mentre a Ulan Bator subisco lo stress della città e della disoccupazione. Ho il mio reddito sicuro, qui”.
Un minatore usa la carrucola per recuperare il carrello dal fondo della miniera di Mandal, Mongolia, il 22 giugno 2018. (Gabriele Battaglia)
Mi fa vedere sullo smartphone una foto della casa che ha costruito con le sue mani e con i soldi guadagnati come minatore artigianale. “Tiro su in media un milione e mezzo di tugrik al mese (circa 500 euro), non divento ricco ma è più o meno quanto prende un impiegato in città”. Dice che grazie alla partnership, al fatto che lui e i suoi compagni sono diventati visibili e regolari, non deve più nascondersi dalla polizia.
Il cunicolo è illuminato e aerato, una carrucola a motore porta su un carrello pieno di rocce. “Quelle con la venatura bianca potrebbero contenere oro”, mi dicono.
Un’organizzazione dal basso Tra le responsabilità di Tuya c’è la sicurezza in miniera. Inoltre, bisogna assicurarsi che non circoli alcol, norma riportata anche in un altro opuscolo sulle buone pratiche del progetto di attività minerarie artigianali. Apprendo che la ong che riunisce le sei partnership della contea di Bayan-Ovoo, nella provincia di Bayankhongor, è riuscita – non si capisce bene come – a vietare la vendita di alcolici negli spacci della sua zona. Ma al divieto si è accompagnata “la costruzione di un campo da basket per assicurarsi che il tempo libero dei membri sia ben speso”: mens sana in corpore sano.
Torno di nuovo a un ricordo di otto anni fa: un ninja ubriaco che insiste perché mi cali in un buco profondo quaranta metri e largo poco più delle mie spalle assicurandomi che tanto c’è lui alla carrucola.
Ho davanti una forma di organizzazione dal basso nata davvero dal bisogno immediato. Sembra di leggere la storia dei nostri trisavoli, è come prendere la macchina del tempo e catapultarsi nelle società operaie dell’ottocento, da cui poi nacquero i sindacati. Ma la storia non si ripete mai uguale a se stessa e questa non è l’Europa di due secoli fa, bensì la Mongolia degli anni duemila, già totalmente immersa nei processi di globalizzazione e al tempo stesso con un piede nella civiltà nomade. Quindi, queste “società operaie” a cavallo tra storia e futuro, che cosa creeranno? Cosa ne nascerà? Possono dire qualcosa anche a noi? La Mongolia è un laboratorio che ogni tanto è utile osservare.

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