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lostcauseandstuff · 6 days ago
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Sometimes you are just right.
Sometimes you are just wrong.
You are not the author The story, just write your own.
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lostcauseandstuff · 30 days ago
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Ottessa Moshfegh – Il mio anno di riposo e oblio
[spoiler]
Posso fare finta di non sapere perché questo libro mi ha incuriosito. Posso dire che è stata la donna in copertina, con la sua aria malinconica ed il suo seno scoperto. O il retro, di un giallo brillante. Un commento di Entertainment lo descrive come divertente, sorprendente e indimenticabile. Concordo con quello di mezzo, l’ultimo si vedrà, il primo mi fa pensare che chi ha scritto il commento non abbia letto il libro. O forse ne ha letti troppi e non riesce a riconoscere la disperazione.
Comunque, la verità è che volevo una risposta. Volevo sapere se un anno di riposo e oblio davvero ti salva. Se esiste la fine del tunnel con quella luce accecante che è la tua voglia di vivere, che non devi più cercare nelle piccole cose perché è lì, è lei a spingerti. L’ho trovata, questa risposta? Non lo so.
Non ci sono tanti personaggi in questo libro. Più leggevo, più mi rivedevo in Reva. Anche ora, seduta sul divano con il computer caldo sulle cosce sudate, con il viso gonfio e il grasso che sborda, mi sento Reva. Reva che non trova l’amore, perché rimane attaccata ad un amore che non c’è. Reva che ci prova e non ci riesce. Reva che invidia quelle stronze magre che non devono cambiare pantaloni a seconda della fase del ciclo. Reva che va a lavoro con gli orecchini di perle mentre casa sua è un porcile. Mi sento proprio come lei. Senza il lutto, ovviamente. L’unico mio lutto è la pigrizia. Ah no, la pigrizia non esiste in questo meraviglioso mondo di comprensione e compassione. Forse dovrei vomitare o prendere delle pillole. Il che ci porta alla nostra cara protagonista. Che ha tutto, cazzo, fortuna e tragedia giustificata. Non ha voglia di vivere, che invece è l’unica cosa che sembra avere Reva. Forse è per questo che sono amiche, perché si completano. Pillole pillole pillole. Staccare, riposare, dimenticare. Ma le persone normali hanno persone accanto, hanno aspettative, hanno un mutuo da pagare. Non si possono permettere di rinascere come un’opera d’arte. Devono andare avanti, come la superficiale e dolce e sciocca e sfortunata Reva, che stringe i denti e poi muore. Perché si, a quanto pare questo è un libro sull’11 Settembre. Questo non te lo scrivono nella quarta di copertina, anche se la mia edizione non ne ha nemmeno una. Me ne sono resa conto per caso, una lampadina che si è accessa alla scritta 2001. Ma era ancora Gennaio e il libro era oltre la metà. Poi Reva è stata trasferita alle Towers. Allora ho aspettato l’ultimo capitolo. Non l’ho aspettato più per avere la risposta che cercavo, ma per avere la conferma che sarebbe morta. Che tutti i suoi sforzi sarebbero stati vani perché da morta non puoi fare più niente.
I film sull’11 settembre sono un pugno nello stomaco. Non te lo aspetti, poi arriva. Lo dico come se ne avessi visti chissà quanti. In realtà l’unico degno di nota è Remember Me, con un irascibile Robert Pattinson, e una ragazza, forse Kirsten Dunst, che mangia il dolce al posto dell’antipasto. Di tragedie che rovinano vite ce ne sono a bizzeffe, e allora perché il nostro stupido cervello ne crea altre tutte per noi? È così snervante. Ma questo libro non è stato snervante. L’ho trovato bello, ma non saprei a chi consigliarlo. Un’altra persona lo troverebbe divertente, non posso permetterlo. Basta fare ironia su tutto. Lo rileggerei? Probabilmente no. Lo dimenticherò? Probabilmente no. Ma è stato bello leggerlo. Mi ha spinto a scrivere dopotutto.
Prima ho detto che la protagonista non ha voglia di vivere. Non è vero, era solo una frase ad effetto. Ne dico troppe di questi tempi. La verità è che lei è forse la più sana, più sana di Reva che si nasconde. Perché vuole migliorare, si è data un certo tempo per farlo, e in modo poco ortodosso porta avanti la sua cura. E ci riesce. La risposta che cercavo è positiva. Ella ritorna alla vita. Che invidia, potersi prendere una pausa.
C’è una cosa che mi infastidisce però. The curtains are fucking blue e questo non è un racconto autobiografico, o almeno credo. Mettiamo il caso che non lo sia. Qualcuno, nel comfort della propria sedia, con un computer, con un tetto sopra la testa e accesso all’elettricità. Qualcuno che forse, come me, ha dei genitori amorevoli e soprattutto ancora vivi. Qualcuno che torna a casa e si rifugia nelle braccia di qualcun altro, che ha i suoi problemi che mette da parte quando vede lei. Qualcuno così ha scritto un finale ottimista e tragico. Positivo per la protagonista bella e magra, negativo per quella grassa e alcolizzata. È ingiusto? Dovrei avere più simpatie per la nostra protagonista? Da un lato, mi piace perché sa quello che vuole. Allo stesso tempo è troppo cosciente di sé e troppo coerente, troppo sveglia o troppo agiata perché provi pietà per lei. Tanti soffrono il lutto ed è tremendo. Ma uscire di casa odiandoti ogni giorno, questo è peggio. Alla fine, la morte della sua amica, se così si può chiamare, è un gentle reminder, un post-it giallo con su scritto “Continua a vivere perché io non ce l’ho fatta”. Una parte di me voleva che si suicidasse. Voleva che facesse qualcosa di terribile per punirla per il suo egoismo. Non che Reva fosse una santa, si aggrappava alla protagonista come ad un ideale da raggiungere, covando invidia che nascondeva dietro ad amorevoli consiglio. Dio, sono proprio io.
Forse ho saltato qualche parola, qualche riga, forse non ho colto il messaggio. Ma il presente ci insegna che il messaggio più importante è quello che arriva, non quello che è stato spedito. Spero che l’autrice non legga mai questa recensione. O forse si, ma non vorrei ferire i suoi sentimenti. Ne ha messi tanti in questo libro, spero gliene siano rimasti un po’. Però, nel mio anonimato ipocrita, vorrei che qualcun altro la leggesse e capisse il mio punto di vista, mi giustificasse. Perché per quanto siamo forti, siamo sempre soggetti al giudizio altrui e da buona figlia dell’internet, ho a disposizione l’intero universo come mio palcoscenico.
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lostcauseandstuff · 1 month ago
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Il tuo problema è che vivi la vita una frase fatta alla volta.
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lostcauseandstuff · 1 month ago
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"Dev'essere un modo di vivere molto doloroso"
Sincerità o alcol?
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