Don't wanna be here? Send us removal request.
Text
Mozzarelline
Era una tiepida giornata di Maggio, il sole giocava a nascondersi tra le nuvole sopra Torino, Laura era distesa sulla sdraio nel giardino del centro benessere. Alla sua sinistra aveva una palma, alla sua destra Roberto, il suo ragazzo, disteso sull’asciugamano bianco con gli occhi socchiusi, anche lui intento a godersi il meritato relax dopo una settimana di lavoro.
“Diamine, quanto avevo bisogno di una giornata così” pensò Laura. Per un giorno stop alle liti con la madre, stop ai pensieri angoscianti sul suo presente da stagista, stop alle incomprensioni con Roberto.
I pianeti sembravano allineati, Laura sbirciava i volti compiaciuti degli altri ospiti del centro e ci leggeva quella stessa sensazione di evasione che provava lei. Com’era difficile la vita fuori da quel complesso situato in una villa settecentesca, quanto era facile lì dentro, tra stanze decorate con drappi rossi e materassi ad acqua. Una musica bossanova risuonava piano nel giardino, il vento leggero sfiorava la pelle bianca di Laura, senza disturbare, solo a suggerire sensazioni di brezza marina, di vacanza, di posti della Sardegna dove il mese successivo sarebbe andata con Roberto. Sì, quella sì che era vita.
Con la coda dell’occhio Laura notò che era arrivato il buffet, la gente si avvicinava al cibo. Anche lei si alzò e con passo lento raggiunse l’angolo del giardino per vedere le proposte: carote in pinzimonio, sedano, grissini con i semi, ceci, cose così. Niente di allettante, ma era nel centro da più di tre ore e iniziava ad avere fame. Fece per prendere il piattino di plastica, ma un signore le ostacolava l’accesso al tavolo.
“Prego” disse il signore scansandosi, con il sorriso in volto.
Ah, che bella la cordialità delle persone quando sono rilassate, che bella l’armonia che la società sa creare se messa nelle condizioni giuste!
Laura, mentre aspettava che un altro signore finisse di servirsi, guardava le facce poco soddisfatte delle persone mentre addentavano il sedano. Che pensare? Il benessere fisico ha un costo, non ci si poteva aspettare una lasagna al buffet di una spa. Certo, una lasagna sarebbe stato proprio quello di cui Laura avrebbe avuto voglia, ma si può paragonare forse la sensazione di salute che una carota cruda sa dare con l’unto del ragù? Era giusto così, le persone dovevano imparare a vivere anche di verdure non cotte, e le persone in effetti sembravano adeguarsi a quel cibo. Che sintonia che sapevano dare i ceci!
Laura era davanti al tavolo e stava per riempire il suo piattino, quando un cameriere appoggiò sulla tovaglia un ampio vassoio pieno di mozzarelline, proprio davanti ai suoi occhi. Non ebbe tempo di riflettere, che il signore che poco prima era stato così gentile nel cederle il posto le diede una spinta verso destra e si rifornì di quelle piccole palline color latte. Sentì un ragazzo, dietro di lei, esclamare a gran voce: “Anna, vieni qui, sono arrivate le mozzarelline!”. Un uomo allungò un braccio sopra la sua spalla, colpendole il collo, e con lo stuzzicadenti andò a bucare il centro perfetto di una pallina. Un altro bevve d’un sorso l’acqua che aveva in mano e riempì il bicchiere di mozzarelline.
Frastornata dal vociare e dalla gran confusione che si era creata, Laura cercò di dileguarsi, ma non c’era modo di fuggire: era circondata. Dovette tirare una piccola spallata a una signora per poter farsi spazio e una volta allontanata dal tavolo si girò a guardare la scena: persone in accappatoio bianco e ciabatte si affannavano ora intorno al buffet.
“Anna, sbrigati, è arrivata anche la focaccia!” esclamò il ragazzo di prima con voce spazientita.
Oh, quanto era pacifico il popolo quando a regnare era la carota cruda! Laura rimpianse quei tempi e con il sorriso sulla bocca tornò alla sdraio. Roberto si era appisolato, lei gli diede una carezza sui capelli e lo svegliò.
“Amore, devo raccontarti cosa è successo al buffet...”
“Il buffet?” esclamò Roberto, sgranando gli occhi con sguardo stralunato. “E non mi hai svegliato?”
Si alzò in piedi e, scuotendo la testa, scattò verso il tavolo, pronto a partecipare alla guerra.
0 notes
Text
Ga-gà!
Mi presento: il mio nome è Massimo, anche se tutti insistono con fastidio a chiamarmi Massimino, e ho esattamente un anno e ventisette giorni. Sono in pannolino e tutina, nel salotto di casa mia, c’è tanta luce e io sono emozionato. È una giornata speciale per me, l’ho immaginata per mesi e spero che tutto vada per il verso giusto. Ho chiesto a mamma di invitare più gente possibile.
“Ga-gà!” le ho detto. Ovvero: “Voglio tutti presenti”.
Purtroppo è venuta solo nonna, ma credo che gli altri avessero impegni molto importanti, quindi li perdono. Mi esibirò lo stesso, qui nel mio appartamento di via Assarotti: ho deciso la data già da tempo, non posso rimandare. Ora sto valutando quale sia il percorso migliore per la mia prima camminata. Sopa il tappeto tra il divano e il televisore, decisamente: è morbido e se inciampo ci sarà la sua calda peluria a consolarmi, invece del freddo marmo. Bene, che l’esibizione abbia inizio! Devo aspettare però che mamma e nonna finiscano di parlare. Stanno di fianco alla finestra, vicine al mio palcoscenico, ma distratte.
“Non so come andare avanti” dice nonna.
Mia madre la abbraccia e le sussurra: “Ci sono io.”
“Ga-gà!” le interrompo. Ovvero: “Sono pronto per la sfilata.”
Nessuna reazione, anzi, mia nonna inizia a singhiozzare. Probabilmente ha fame, in genere quando lo faccio io vuol dire quello, ma cavolo, non è il momento di mangiare, guardatemi!
Approfitto dell’attesa per spiegarvi il mio approccio alla sfida. La mia tattica è stata osservare, ho studiato le movenze di mio padre, è stato da lui che ho capito il trucco: bisogna partire con la gamba destra, la più forte, poi il resto è solo questione di controllo.
“Il mio Piero” ripete mia nonna tra le lacrime.
Piero è mio nonno, mi è stato simpatico fin da subito perché non è uno di quei nonni appiccicosi che ti dice cose come:”Bauu… Cetti!”. Mi sorride sempre, ha una voce rassicurante e ha un aspetto buffo, con i baffi bianchi, gli occhi languidi e il naso grande.
“Ga-gà!” esclamò irritato. Ovvero: “Guardate che inizio senza di voi.”
Ma che diavolo! Ora anche mamma sta piangendo. Hanno tutti fame adesso? Mi sto arrabbiando, c’è la prima sfilata di Massimo e loro vogliono mangiare!
Aspetto qualche minuto, poi la mia pazienza finisce. Mi alzo in piedi, per far capire che lo spettacolo sta per cominciare. Fisso il mobile del televisore. La prima gamba è quella destra, ripasso nella mia testa, poi devo controllare la velocità per non arrivare impreparato sulla sinistra, che è più debole. Quindi ancora la destra e l’impresa sarà terminata: avrò fatto i miei primi tre passi.
Tre, due, uno... Via! Oddio, è una sensazione bellissima, sto camminando, altro che gattonare! Mi sento leggiadro, in equilibrio perfetto. Eppure perché nessuno sta applaudendo? Non importa, devo restare concentrato. Uno, due, tre, ce l’ho fatta!
Mi appoggio a terra ed entusiasta giro la testa veloce verso mamma e nonna. Sono ancora rivolte verso la finestra, mia madre ora fuma con movenze lente: non mi hanno visto. Sono triste e offeso come mai in vita mia, inizio ad agitarmi, a piangere, a urlare! Mamma spegne la sigaretta e si avvicina a me. Mi prende in braccio e mi fa ballare un po’.
“Su, Massimino, non piangere” dice con voce dolce.
Io mi calmo, appoggio la testa di lato sul suo seno e guardo dritto negli occhi mia nonna, con una punta d’irritazione.
“Ga-gà” dico. Ovvero: “Lo rifarò con nonno Piero, lui sa come guardarmi.”
0 notes
Text
Piccole Ribellioni
Il vasetto di passata di pomodoro cadde dal suo ripiano, infrangendosi in mille pezzi. Ma il signore che lo aveva colpito accidentalmente col suo carrello proseguì, facendo finta di niente. Sia Claudia che suo marito assistettero alla scena. Nessuno dei due provò a richiamare il signore, ma rimasero fermi immobili nella corsia del supermercato.
Dopo qualche istante, il marito si mise a spiegare con tono saccente la scena a Claudia: “Il vasetto era sullo scaffale, e quell’uomo nella fretta l’ha fatto cadere. Se ne sarà accorto di certo. Ma mica si è fermato, eh!”.
Ma che diamine di bisogno c’era di dire quella frase? Claudia era convinta che il marito l’avesse detta solo per umiliarla, come se lei da sola non fosse in grado di interpretare la situazione. Non stai esagerando? Magari il suo era un pour-parler.
Mentre continuavano a fare la spesa, Claudia non smise di rimuginare sulla questione. Tra l’altro lui non aveva detto niente al signore, quando aveva fatto cadere il vasetto. Coniglio. In effetti è stato un po’ codardo, ma anche tu sei stata zitta.
Si era sorbita dieci anni di matrimonio passati con spiegazioni non richieste, risposte banali a domande intelligenti. Le venne in mente l’episodio della sera prima. Aveva chiesto al marito perché il capo della CGIL avesse indetto uno sciopero proprio quando l’accordo sembrava raggiunto. Lui le aveva risposto che la CGIL era un sindacato e che i sindacati fanno gli scioperi. Ma che risposta era? Lei voleva sapere i motivi profondi, veniva trattata come un’idiota. Calmati.
Claudia approfittò della distrazione del marito, che stava cercando della pasta in sconto, per allontanarsi da lui. Fece qualche passo e fu fuori dalla corsia, quindi cominciò a camminare velocemente, costeggiando le casse. Non sapeva dove volesse andare. Era stato un gesto istintivo, di fuga. Si infilò nel reparto bagno-schiuma e li si fermò. Tanto il marito ci avrebbe impiegato del tempo per accorgersi che non c’era più. Si curava così poco di Claudia da non essersi neanche reso conto che lei lo tradiva con il vicino molto più giovane. Intrigante.
Ora che la fuga era riuscita, non sapeva cosa fare. Si sentiva ridicola. Aveva paura che la gente intorno notasse il suo disagio, quindi si mise a fingere di scegliere tra i prodotti sugli scaffali. Ma chi ti guarda! Rilassati.
Il telefono di Claudia iniziò a vibrare. Era il marito che la cercava. Ci aveva impiegato solo cinque minuti ad accorgersi che non c’era più. Wow, commovente! Non rispose. Le venne voglia di scappare del tutto, uscire dal supermercato e tanti saluti al marito cornuto. Non avevano neanche figli, chi glielo faceva fare di stare ancora con lui? In effetti.
Fuggire o non fuggire? Avrebbe potuto raggiungere la loro casa, che era dietro l’isolato. Il marito sarebbe tornato trovandola intenta a far le valigie. L’idea la allettava. Come in un film! Aspetta che prendo i pop-corn.
Per temporeggiare Claudia si tirò su il cappuccio della giacca e diede le spalle alle casse. Tanto il marito non l’avrebbe mai riconosciuta nel suo cappotto nuovo. Astuta. Lui si fermò all’imbocco della corsia dove stava lei. Claudia si accorse della sua presenza perché questi sbuffò, e passò alla corsia successiva. Non l’aveva vista. Clap, clap!
Claudia sospirò. La rabbia le era scesa, e almeno l’obiettivo di indisporre il marito l’aveva raggiunto. Decise quindi di rinunciare ai suoi piani. No! Niente fuga?
Prima di andare a cerarlo, guardò tuttavia tra gli shampoo, e scelse l’unico non scontato. Rise da sola. Piccole ribellioni.
0 notes
Text
Le mucche
Nel cuore delle Dolomiti, la mamma e il figlio di otto anni varcano la soglia di ingresso della casa presa in affitto. L’arredamento è in perfetto stile tirolese. Fa fresco, nonostante sia Luglio.
“Ci voleva una vacanza, vero?” dice la mamma.
“Sì, ma domani vedremo le mucche?”.
“Certo”.
Il figlio posa il suo piccolo zaino sul divano, poi va a guardare la sua stanza. Dalla finestra si vede la strada in discesa, che proprio davanti alla casa fa un tornante.
“Ti piace la vista?” chiede la mamma.
“Non tanto, c’è la strada”.
“Ma domani vedrai le mucche, te lo prometto”.
“Ma fanno muu?”
La mamma ride.
“Certo, fanno muu”.
Il figlio si gratta la testa, poi inizia a giocare con i peluche in camera sua. La mamma si siede sul divano in sala e guarda l’orologio. Passa mezz’ora e lei è ancora lì, a guardare l’orologio. Il figlio ritorna in sala e la fissa.
“Ma è vero che tu e papà vi siete conosciuti in questa casa?” chiede il figlio.
“Sì, era tanto tempo fa”.
“Per quello siamo tornati qua?”.
“Già”.
La mamma guarda ancora l’orologio e prende per mano il figlio e lo porta nella sua camera.
“Gioco con te” dice al figlio
“A cosa giochiamo?”.
“Giochiamo con i tuoi peluche”.
“Quanto dobbiamo aspettare per la cena?” chiede il figlio.
Dalla strada si sente un rumore di clacson continuo, sempre più assordante. La mamma sorride al figlio.
“Affacciati alla finestra, è papà che torna dal paese!”.
Il figlio riconosce la macchina, la guarda mentre questa non frena davanti alla casa e vola giù dal tornante. Caccia un urlo. La mamma lo abbraccia.
“Tranquillo, domani vedrai le mucche”.
0 notes
Text
Sara
Sara stava tornando a casa dal lavoro più felice del solito. Il progetto che seguiva si era sbloccato, il capo aveva trovato i fondi necessari. Passando davanti ad una pasticceria, si fermò. Comprò dodici pasticcini, per i suoi e per il suo fratello più piccolo, Luca.
Entrando in casa vide sua madre seduta sulla poltrona del soggiorno. Grattava con le unghie il bracciolo, fissando la libreria. Quando Sara la salutò, sembrò risvegliarsi da un lungo pensiero.
“Cos’hai in mano?” chiese alla figlia con tono piatto.
“Ho portato i pasticcini”.
“Io non li mangio, sono a dieta”.
Sara non replicò e andò in cucina, dalla quale proveniva la voce squillante di Luca. Il padre ascoltava in silenzio, cucinando una pasta. Quando vide la figlia, le fece un mesto cenno di saluto con il capo. Il fratello invece si alzò e la abbracciò. Aveva nove anni, e parlava a macchinetta. Il suo continuo flusso di parole stonava con l’atmosfera cupa che si respirava da anni in quella casa.
“Guarda cosa ti ho portato” gli disse Sara.
Luca scartò la confezione della pasticceria e mangiò subito un bignè. Sara gli scompigliò con la mano i capelli, sorridendogli. Ma l’allegria della ragazza era già passata. Andò nella sua stanza e accese la luce. Sul letto c’era un mucchio di panni lavati, che le bagnavano il copriletto. Sara chiuse gli occhi per un secondo, per farsi passare il nervoso. Si cambiò e si mise a stendere.
Aveva bisogno di andare a vivere da sola. Se lo ripeteva ogni giorno, ogni settimana, ogni mese. Ma c’era un motivo per cui restava. Luca. Aveva bisogno di lei.
Tornò in cucina per cenare. Si sedette al suo posto, con il sorriso in faccia. Sua madre la guardò con astio. Sara non smise di sorridere. Il suo voleva essere un attacco frontale all’aria che si respirava in quella famiglia. Luca ricominciò a parlare, raccontando del nuovo gioco del suo migliore amico, Andrea.
“Me ne comprate uno?” chiese con tono speranzoso.
“Te lo prendo io” rispose Sara, anticipando i suoi.
“Se ce l’ha Andrea, puoi usare il suo” disse la madre.
Luca non capiva. Se sua sorella glielo voleva regalare, perché non poteva averlo?
“Ma Sara ha detto che me lo compra!” disse Luca.
“Sì, ma lei non è la tua mamma”.
“Papà, Sara può regalarmi il gioco?”.
Il padre era distratto e borbottò qualcosa del tipo: “Ascolta tua madre”.
Sara sentì salire la rabbia. Avrebbe voluto alzarsi, prendere per mano il fratello e portarlo via. Avrebbero vissuto insieme. Immaginava già il loro appartamento, luminoso, con una camera abbastanza grande per tutti i giochi che avrebbe comprato per Luca. Ma perché i suoi genitori si comportavano così? Lei era cresciuta in un clima diverso. Cosa diamine era cambiato? Com’era possibile che due adulti fossero diventati così infelici e odiosi? Sembravano provare invidia della felicità dei loro figli.
Sara decise di sfidare la madre.
“Sabato ti prendo, andiamo in centro e ti compro quello che vuoi!” bisbigliò sottovoce al fratellino, fingendo di non farsi sentire dai suoi. Luca le rispose con un sorriso limpido, felice di quella complicità con la sorella.
I genitori non reagirono. Forse questa volta ho vinto io, pensò Sara sollevata. Osservò Luca, che si era perso a fantasticare sul nuovo gioco. Poi provò a dire qualcosa del lavoro, ma il discorso cadde subito nel silenzio.
“Cosa festeggiamo, hai trovato un appartamento in cui stare?” chiese la madre con tono maligno.
Eccola la vendetta di quella carogna, pensò Sara. Possibile che fosse diventata così cattiva? Luca si mise a piangere, credendo alla notizia.
“Non me ne vado da nessuna parte, piccolino” cercò di calmarlo Sara.
Ma il fratello pensò fosse una bugia e continuò a frignare.
“Smettila di fare il bambino piccolo” disse la madre.
Luca si alzò e se ne andò in camera sua. La sorella lo raggiunse.
“Perchè vuoi andare via?” chiese Luca in lacrime.
“Non me ne vado, non me ne vado. Stai tranquillo, non me ne vado” rispose Sara tenendo il fratello tra le braccia.
Ma più ripeteva quella frase e più si rendeva conto che sarebbe successo l’opposto. Non poteva reggere quella situazione. Non un mese in più, non una settimana in più, non un giorno più. Si sentiva male a mentire a Luca, che nel suo abbraccio si stava riprendendo. Aveva voglia di piangere, ma trattenne le lacrime. Pensò a tutte le volte che lo sarebbe andato a trovare, ai giri che avrebbero fatto insieme, ai regali che gli avrebbe fatto. Ma forse tutto questo non sarebbe bastato.
0 notes
Text
La parmigiana
Luca mi aveva lasciata, così di punto in bianco. L’aggravante era che l’aveva fatto due giorni prima del mio quindicesimo compleanno. Grazie, bel regalo di merda. Mia madre cercava di consolarmi e, per carità, a suo modo ci riusciva. Almeno non le uscivano frasi del tipo ‘dai ne troverai uno migliore’ oppure ‘sei ancora piccola, Luca non è l’amore della tua vita’. Capiva la mia sofferenza e se ne stava in silenzio in camera mia a porgermi una spalla su cui piangere. Si vedeva che c’era passata pure lei, dall’adolescenza.
Luca ne aveva trovata un’altra. Tutto liscio per sei mesi, poi, puff! Addio e tante care cose. Più ci pensavo e più provavo la sensazione di essere una nullità, una che si può scartare così, come un divano dell’Ikea che tanto era costato poco.
Mio padre stava preparando la cena e dall’altra stanza sentii arrivare quell’odore inconfondibile. Incredibile, lo aveva fatto di nuovo. Mi alzai, con il trucco colato e la faccia così incazzata che anche Bud Spencer e Terence Hill se la sarebbero data a gambe, e andai in cucina.
“Possibile che a voi uomini non vi si capisca mai?” urlai a mio padre. “Siete prevedibili per il novantanove per cento del tempo. Poi d’un botto cambiate le carte in tavola. Cioé, dai, sta parmigiana non si può vedere. Funerale di nonna, parmigiana. Cellulare non comprato, parmigiana. La sottoscritta lasciata da uno stronzo, parmigiana. Poi un giorno anche tu sparirai, con una brasiliana che potrebbe essere tua figlia”.
“Magari” commentò mia madre ironica.
“Sai qual è il problema, ma’?” dissi rivolto a lei. “E’ credere che gli uomini siano all’altezza di noi donne! E’ una grandissima illusione”.
Mio padre era rimasto con la teglia in mano, preso alla sprovvista dal mio attacco frontale.
“Mi dispiace che non ti piaccia la parmigiana” balbettò.
Rimasi così stupita dalla sua risposta che lo guardai con tenerezza. Non aveva capito nulla del mio discorso.
Allora va bene, pensai. Lasciamo vivere gli uomini nel loro mondo bidimensionale.
Incredibilmente mi ero calmata. Mi sedetti al tavolo e aspettai che mio padre servisse la parmigiana.
“Buonissima” gli dissi in tono ironico.
“Davvero?” mi rispose.
Non c’era speranza.
1 note
·
View note
Text
La tenda
Che ore sono? Le cinque. Ho poco tempo, ma ce la posso fare. Tu, Babo, tornatene sulla mensola insieme agli altri peluche, fai il bravo, niente capricci. Metto le macchinine nella scatola. I Lego nella loro cesta, di fianco al letto. Il copriletto! Non ha le pieghe dritte come le vuole mamma, meglio risistemarlo. Che fatica rimboccarle sotto il materasso, ma per fortuna ho già otto anni e i muscoli forti. I vestiti li metto nell’armadio. Come si piega una maglietta? Babo, dammi un consiglio invece di fissarmi! Ok, così dovrebbe andare bene. Il tappeto è raddrizzato, ora la scrivania. Mi sono dimenticato dei compiti di matematica, ma li posso fare dopo quando la mamma sta cucinando, adesso devo sistemare tutta casa. Babo, seguimi, ti ci rimetto dopo sulla mensola.
La sala ha un sacco di giocattoli sparsi per terra. Che bello il mio camion nuovo, ha pure il gancio per trainare le cose, me l’ha regalato la zia. Lei è sempre molto carina con me negli ultimi tempi, deve essere legato alla storia di papà. Forse si sente in colpa anche lei, la capisco. Comunque i giocattoli non hanno un loro posto, come faccio? Li metto ordinati in un angolo della stanza, di fianco al divano, andrà bene. Le tende forse la mamma le preferisce aperte, provo..ma che cavolo, si è impigliata..TRAC.
Ho strappato la tenda in alto. Sono seduto sul divano e la osservo desolato. Io volevo solo sistemare la casa per rendere felice la mamma, visto che ultimamente è sempre arrabbiata.
“Ho i nervi, non ti ci mettere pure tu” ripete sempre.
Adesso con la tenda strappata cosa succederà? Inizio a piangere. Babo, anche tu hai il papà che se n’è andato quando eri piccolo, come si fa a migliorare? Tu come me non avevi fatto abbastanza il bravo per farlo rimanere. Ma poi sei cambiato e adesso sei un buon cane lupo. No, non voglio piangere, se arriva la mamma e mi vede piagnucolare pensa che io non sia abbastanza forte ed è peggio. Mi asciugo le lacrime.
Sento il rumore della chiave che gira, è arrivato il momento.
“Luca, cosa ci fai sul divano con quella faccia?”
Indico soltanto la tenda.
La mamma la osserva e dopo qualche secondo si mette a piangere.
“Non ne posso più” dice sottovoce tra i singhiozzi, scuotendo la testa.
Io mi spavento, forse ha deciso di andarsene anche lei? Babo, anche tu eri stato abbandonato da entrambi i genitori perché non eri stato abbastanza bravo?
“Volevo solo sistemare la casa” provo a scusarmi.
Ma forse è troppo tardi, ha già deciso di lasciarmi, andrò a vivere dalla zia.
“Vuoi che vada a vivere dalla zia?” chiedo con voce tremante.
Mia madre alza la testa e mi osserva con sguardo stupito. Si avvicina. Forse vuole darmi uno schiaffo, io arretro sul divano. Mi abbraccia forte.
“Cosa diamine vai dicendo?” dice tra le lacrime.
“Non sono un bravo bambino” cerco di spiegarle io.
“Certo che sei un bravo bambino”.
Questa non me l’aspettavo. Papà è andato via per molto meno. Anzi, non ho mai capito il vero motivo per cui ha lasciato me e la mamma da soli, ma sicuramente era meno grave di uno strappo sulla tenda. Ogni tanto ci penso. Forse perchè gli rubavo le pantofole? Ma le sue erano più calde e confortevoli, anche se mi stavano grandi. Non chiedo mai alla mamma quale sia stata la mia colpa, perché magari è qualcosa di cui lei non si è mai accorta. Tipo, non so, una parolaccia che usavo solo con mio papà. Lo vorrei domandare direttamente a lui, ma è scappato in Spagna e non l’ho più visto.
Però i conti non tornano. Mi faccio coraggio e le chiedo spiegazioni.
“Se non sono un cattivo bambino, perché papà se n’è andato?” dico con voce improvvisamente seria.
La mamma si accovaccia alla mia altezza e mi prende la testa tra le mani.
“Perchè è papà ad essere cattivo” mi risponde con dolcezza.
Sono in confusione più completa. Se papà non era bravo: primo, non me ne sono mai accorto, secondo, ce ne saremmo dovuti andare via io e la mamma. Ma io non lo avrei lasciato lo stesso. Neanche se mi avesse buttato via tutte le mie macchinine.
���Perchè quando non si è bravi ci si deve lasciare?” chiedo.
“Oddio, cosa ti frulla in questo cervello. Papà si è comportato poco bene con noi, ma tu puoi anche non fare il bravo e io ti voglio bene lo stesso. Non ti abbandonerei mai”.
Mia madre si alza. Va in direzione della tenda rotta, la prende in mano e la strappa del tutto. Poi apre un cassetto e tira fuori dei pennarelli.
“Facciamo i cattivi, disegniamo sulla tenda” dice ridendo.
“Sì!” esclamo io entusiasta.
Forse se il papà scopre che anche noi siamo cattivi torna a casa.
1 note
·
View note