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Due birre, due americano, due negroni: il bilancio della serata è disastroso.

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ci consiglieresti anche tu dei libri?

Certamente! Prima però sfrutto l'occasione per ringraziare chiunque abbia risposto al post precedente: mi avete dato un sacco di spunti magnifici.

Quest'anno ho recuperato libri estremamente popolari. Tra tutti, quelli che a mio parere davvero meritano ogni stilla della loro ciclopica fama sono Pastorale Americana di Roth e Il maestro e Margherita di Bulgakov. Opere monumentali.

Dopodiché, rimanendo all'interno delle letture recenti, menziono volentieri I baffi di Carrère (una folle discesa negli anfratti della psicosi), L'Aleph di Borges (con i suoi simboli e i suoi miti e i suoi oracoli) e I miei stupidi intenti di Zannoni (empatia a secchiate per la vita di una faina).

Aggiungo in ultimo una raccolta di poesie: Molto tardi nella notte di Ritsos. L'atmosfera dipinta nei componimenti è quella di un'infinita estate malinconica. La descrizione pura e semplice del lento tramonto dell'esistenza.

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Ho una quarantina di euro da spendere da libraccio; mi dareste qualche consiglio volante?

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La scuola elementare, le gare di nuoto, i compleanni, la playstation 2, il campetto da calcio, i primi amori.

Cos'è rimasto di quel mondo?

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A volte la banalità di quest'esistenza, della mia esistenza, è così evidente da risultare insopportabile.

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C’è quel qualcuno con te? Sarà banale ma a me, ad esempio, è questo che non mi fa bastare nulla.

No, in effetti non c'è.

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Mi preparo un'insalata di pomodori. Sale, olio, un filo d'aceto balsamico. Riempio il bicchiere di cubetti di ghiaccio e ci verso dell'acqua fresca. Da fuori viene un brusio colmo di vita; qualcuno sta ascoltando Dalla. Cosa c'è che non va in questo momento? Perché non mi basta?

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Ho pochissima voce. Le canzoni dei giorni scorsi. I tramonti. Il tempo condiviso e quello non. Bevo un goccio d'acqua. Il cuore ancora striminzito. Le notti insonni. Pensare troppo a pensieri fuori luogo. Prendo fiato. Correre. Torre di libri sulla scrivania. Solstizio d'estate in arrivo. Alla fine tutto okay.

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Respiravo al ritmo delle onde. Respiravo piano.

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Comunque secondo me la sensibilità (intendo quell'inclinazione a percepire le emozioni in maniera particolarmente profonda, affilata, persino lacerante) è qualcosa di meravigliosamente distruttivo.

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La visione del mare mi distende immensamente. E poi c'è questo venticello, un venticello di quelli leggeri leggeri, che sembra proprio fatto apposta per portare i pensieri appena al di là dell'orizzonte.

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Il prospetto della serata è terribilmente semplice: ascolterò tutti i dischi di musica grunge in mio possesso - uno di seguito all'altro - mentre terminerò di leggere Pastorale Americana. Il tutto godendo della più placida atmosfera di penombra e solitudine.

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I significati di casa sono molteplici. Propongo tutti quelli che ho scoperto di recente:

Mamma che mi chiede di prendere qualche foglia di salvia in giardino

I gelsomini

Papà che gioca coi cani

Mio fratello che gioca coi cani

I cani

Dare l'insalata alle tartarughe

I ciliegi

La vecchia agenda del nonno

Sentire i vinili nel seminterrato

Dormire fino a tardi il lunedì mattina

Mangiare gli avanzi della cheesecake

Perdere tempo

Leggere tantissimo

Parlare di cose importanti

Parlare di cose per nulla importanti

Il pergolato coi glicini che sta vicino al cancello

Il silenzio placido della notte

Il telefono fisso

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La scorsa notte ho sognato Elisabetta.

Era sopra il tavolo operatorio. Io le incidevo la cute sul ventre e infilavo le mani nelle sue viscere. Rimestavo le interiore alla ricerca di qualcosa; divaricavo e scandagliavo. Poi raggiungevo l'aorta e restavo come rapito dal suo energico pulsare. Infine estraevo un piccolo prisma trasparente, sito medialmente allo stomaco, e mi mettevo meccanicamente a suturare. Tanti, tantissimi punti dati con fili minuscoli. A ferita chiusa, la sveglia.

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Non è la solitudine a fregarmi, ma la pressione psicologica dello stigma sociale che lei stessa si porta appresso.

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Non c'è niente di nuovo nello sconcerto che precede la chiusura dell'ennesimo periodo della vita. Anzi, la sua presenza mi restituisce una certa calma: è come la conferma di un'emotività ancora sottile. Sento il cuore che si svuota e guardo i fiori di magnolia; non esiste errore o sorpresa in questo dolore.

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Diciamo che ho tagliato i capelli. Diciamo che dormo pochissimo ultimamente e ho il lavandino pieno di piatti da lavare. Diciamo pure che mi sto disinteressando alla mondanità e alle relazioni. E il lavoro mi consuma ma ho paura dei momenti senza lavoro. Diciamo che in me persiste questo sottile sentimento d'isolamento. Diciamo che ho rinnovato la patente e devo assolutamente cominciare a cercare casa a Torino. E poi leggo meno, anche questo va detto, e qualche pensiero mi spaventa. Diciamo che è un periodo di sensazioni aguzze e al tempo stesso d'insofferenza. In cui non sono felice né triste: il mio contenitore è semplicemente vuoto. Diciamo che va tutto bene, eppure nulla va veramente bene.