nanulster
nanulster
somewhere someone's dreaming
112 posts
Don't wanna be here? Send us removal request.
nanulster · 3 years ago
Text
Io mi vergogno
Molto rumore per nulla: alla fine anche l'Italia spenderà più soldi per le armi. Non per la sanità o per la scuola, martoriate da due anni di pandemia, non per la formazione, per il lavoro, per le imprese. Per abbassare le bollette, per la transizione energetica, no, niente di tutto questo. Spenderemo più soldi per acquistare armi. Non subito, non adesso ma fra un po'. Sembriamo deficienti ma è così...
Il Papa ha detto di vergognarsi per i paesi che hanno scelto di spendere soldi in armi. Anch'io mi vergogno, per quello che vale. Invece, a tutti i benpensanti, i realisti, quelli per i quali la pace va bene ma intanto dobbiamo difenderci e gli ucraini debbono essere messi in condizione di sparare, abbattere, distruggere, mutilare, uccidere va spiegato che la pace ha un difetto letale: non accetta compromessi.
Ce lo spiegano in anni di catechismo: la scelta del cristianesimo, quando c'è di mezzo la vita, è sempre integralista, non accetta mediazioni. La spada che Cristo ha portato in mezzo a noi serve per dividere: i discepoli da un lato gli ipocriti dall'altra.
In realtà anche le armi sono abbastanza oneste: le armi servono per uccidere. Non mi pare servano ad altro salvo eventualmente per minacciare di uccidere ma mi pare che poco cambi.
Per cui chi vota per acquistare più armi ha deciso che l'Italia deve essere messa in grado di ammazzare più persone: oggi ne possiamo ammazzare alcune, nel 2028 ne potremmo ammazzare di più. Proviamo a spostarci oltre: chi ammazza è un assassino.
Molti di noi, certamente io, siamo terrorizzati dalle armi e dalla possibilità di usarle perché siamo terrorizzati dall'avere la possibilità di uccidere qualcun altro.
Ma se fossimo in Ucraina e il nostro paese fosse invaso? Non è lecito difendersi e difendere i propri cari? Che domanda ipocrita e maligna, sottintende che l'unico modo per difendersi sia uccidere prima e meglio, con più precisione e ferocia, rapidamente ribaltare la situazione ed essere, per un attimo, aggressore e non aggredito.
La guerra in effetti è un po' come l'amore: per farla bisogna essere in due.
Rinunciare all'uso delle armi significa rinunciare alla guerra ma non significa rinunciare alla difesa dei diritti e della libertà. Se dobbiamo difendere la bandiera, la terra e non so cos'altro, trattandosi di finzioni è naturale che per essere difesi si debba disumanizzarsi. La difesa del diritto non tollera alcuno strumento che lo possa mortificare: non posso difendere l'uguaglianza discriminando, non posso lottare per il giusto salario sfruttando i più marginali di me, non posso difendere l'ambiente a bordo di un SUV a gasolio e così via.
Il diritto è anch'esso un po' radicale: non accetta bandiere, sfugge ai simboli, non resiste a lungo dietro i confini.
Mi vergogno perché dopo trent'anni dalla guerra di Jugoslavia, dopo l'indipendenza dell'India e la fine dell'Apartheid in Sud Africa, oggi a vergognarsi del riarmo siamo ancora troppo pochi. In quasi mezzo secolo di teoria e pratica di rivoluzioni senza violenza, di lotte sindacali, di rivendicazioni per i diritti degli esclusi, ancora oggi non riusciamo a vergognarci del nostro anelito all'annientamento di altre vite umane, a mandare in malora mezzo secolo di conquiste civili, a inondare di sangue uguaglianza, libertà e fraternità trasformando le nostre conquiste in un privilegio criminale.
Scioperi, sit-in, cortei, boicottaggi, disubbidienza civile, flashbob, petizioni, comizi, pressioni, occupazioni, proteste. Siamo nel mondo di internet, usiamo la fantasia: mailbombing, hackeraggio, messaggi virali, video, condivisioni, forum, community, attivismo, mobilitazione, fake news, trolling, fishing, criptocoin, intromissioni, comunicati, ricerce, indagini, boicottaggi, deep web e ancora: disubbidienza.
H. D. Thoreau scriveva: "quando un Governo incarcera ingiustamente, l'unico posto per l'uomo giusto è la prigione". La lotta per i diritti è la lotta degli umani contro i disumani, è la tensione alla conversione mia e dell'invasore, come scriveva Ghandi. È l'incessante e testarda ricerca della verità, sfuggente e mutevole, che a volte intravedi dietro il calcio del fucile dell'invasore.
Per questo preferiamo ammazzarlo l'invasore: non sia mai di correre il rischio di scorgere all'improvviso una traccia di verità negli occhi del nemico.
Tumblr media
3 notes · View notes
nanulster · 7 years ago
Text
Telecamere e cani antidroga a scuola: la sconfitta sociale
Negli stessi giorni ho letto prima uno stimolante articolo di Alessandro Moscè sul sito de L’Azione sulla scuola e poi un messaggio del Sindaco su Facebook a commento di un atto vandalico commesso ai danni di alcuni vasi e arredi sulla piazza davanti il Municipio.
Entrambi gli interventi hanno due tratti in comune: riguardano i giovani e propongono o approvano la stessa soluzione.
L’articolo di Moscè inizia proponendo una immagine molto suggestiva quando parla della scuola quale avamposto educativo dove non si devono incamerare solo nozioni. Ma oggi la scuola è quasi abbandonata nella sua missione educativa, assediata e minacciata fra le altre cose anche da comportamenti illegali e pericolosi come il consumo e lo spaccio di stupefacenti. Moscè aggiunge di essere contento dell’iniziativa del Ministero dell’Interno di investire sulla sicurezza nelle scuole apprezzando la presenza della Polizia e dei cani antidroga a scuola.
Il Sindaco invece, pubblicando una foto dei danneggiamenti compiuti durante la notte, informa che la soluzione sarà l’installazione di telecamere.
Tumblr media
Sorvegliare e punire sono ancora di moda
Chi sia anche appena abituato al tenore dei commenti dei girovaghi di internet, può facilmente immaginare il contenuto dei messaggi che sono seguiti all’intervento del Sindaco: tutti entusiasti e speranzosi di beccare gli incivili e punirli in modo esemplare.
Le telecamere sono una risposta inutile e sbagliata: questo è stato il mio commento al messaggio del Sindaco. Lo affermo perché la mia prospettiva è quella del legame comunitario e della evoluzione sociale: il mio è un approccio pedagogico perché non solo è stato il mio campo professionale per quasi dieci anni anche nella difesa penale minorile, ma perché sono convinto che sia l’unica sfida di cui una collettività civile dovrebbe farsi carico.
Il tratto comune fra i cani antidroga a scuola e le telecamere è la rinuncia della Comunità a qualsiasi forma di responsabilità, nonostante voglia farsi interrogare da questi fenomeni.
Si pensa che l’efficacia primaria di interventi di questo tipo sia la deterrenza ma la storia ci racconta che non è mai così. Quasi trent’anni di proibizionismo contro gli stupefacenti sono lì a dimostrarcelo: non sono leggi inutili ma forse addirittura dannose perché almeno trent’anni fa non c’erano droghe a scuola.
Le telecamere sono uno strumento formidabile per l’attività investigativa ma se non c’è un essere umano a guardarsi i video in diretta non c’è possibilità di intervenire tempestivamente e ridurre il danno. Le telecamere invece, sono il segno della rinuncia della comunità a raccogliere la sfida evolutiva, evitano il conflitto perché rinunciano a viverlo e perseguono un solo scopo: la vendetta penale. Il termine non è esagerato: la pena è la vendetta di una comunità nei confronti di chi l’ha offesa o danneggiata. La Costituzione auspica che la vendetta sia anche educativa e quindi evolutiva: la cronaca di questi giorni, il Governo che abbandona la riforma carceraria e anche il tenore della pubblica opinione rispetto a episodi di teppismo o di microcriminalità sono prove abbastanza evidenti di quanto resti della funzione della pena.
Il gesto educativo è gesto politico
Sorvegliare e punire sono utili solo al Potere e all’Autorità non ai cittadini né ai ragazzi.
Qui vengo al cuore del problema: la sfida educativa è responsabilità di un’intera comunità. Anzi, affermo che il grado di civiltà di una comunità si misuri nella qualità e efficacia della sua capacità educativa. Siamo continuamente immersi in una molteplicità di rapporti e di relazioni e le nostre azioni ci pongono continuamente in una circolarità educativa non solo nei confronti dei più piccoli ma anche dei nostri pari e di noi stessi.
Un fatto o un gesto diventa evolutivo se su di esso, anche da soli ma più spesso in relazione con qualcun altro, valutiamo e confrontiamo il nostro sistema di conoscenze e di valori per validarli o confutarli.
Validare o confutare il proprio sistema di valori e di conoscenze è un atto evolutivo: ci muove verso un grado superiore di benessere nel rapporto con sé stessi, con gli altri e con l’ambiente. Ma se tra me e gli altri o tra me e l’ambiente c’è un ostacolo sociale, economico, morale o fisico non avrò opportunità di evolvere.
Da più di dieci anni anche in Italia, sulla scorta di altre esperienze in Europa, gli interventi educativi sono diventati interventi di rimozione di ostacoli,  fisici e psichici. Oggi sappiamo che facciamo educazione quando aiutiamo noi stessi e gli altri a rimuovere un impedimento (in inglese, che qualche volta è più suggestivo dell’italiano, si usa il termine impairment, qualcosa che non rende le cose pari) che ci  impedisce di avere una relazione soddisfacente con il nostro ambiente. Per questo l’azione educativa, in quanto azione evolutiva è essenzialmente azione politica in quanto necessariamente azione di evoluzione sociale.
Per gli stessi motivi ridurre i rapporti sociali alla sola dimensione della repressione significa rinunciare a qualsiasi sfida evolutiva.
Ma meglio di me, sa dire Daniele Novara:
«Nella rincorsa esasperata alla sicurezza la telecamera rappresenta un modello di prevenzione basato sull’impedire l’atto, “visualizzando” e così individuando con precisione il colpevole. Ritengo che questa logica sia inefficace, dispersiva e anche antieconomica, in quanto il presupposto dell’impedire di fare del male si scontra con la realtà in cui, una volta che il male è fatto, restano solo i danni. È un’ottica poco evolutiva: invece di sviluppare apprendimento intorno alle regole [...] si parte unicamente dal presupposto che le regole saranno infrante e che sia fondamentale sviluppare deterrenti per impedirlo. Queste due dimensioni ci devono essere entrambe e forse la prima è la più importante. Occorre allora progettare una prevenzione che costituisca le condizioni perché le persone imparino a esprimersi con gli altri, vivendo le proprie relazioni conflittuali senza il bisogno di fare violenza. [...] In questa prospettiva il modello della lettura delle situazioni basato sulla ricerca del colpevole e su una lettura solo causalistica di quello che sta avvenendo non risulta efficace»
(D. Novara, La grammatica dei conflitti, 2011).
Idee per una politica evolutiva
Allora un paio di idee.
Sugli stupefacenti a scuola, non c’è nulla da inventarsi ma guardare a chi ha già fatto e che raccolgo nella parola “istruzione”, con un pelo di polemica con il Galimberti citato da Moscè. A scuola si spieghi cosa sono le sostanze psicoattive anche da una prospettiva antropologica: mettiamo l’elefante in salotto (direbbero gli inglesi) non nascondiamo il problema ma studiamolo, approfondiamolo. Parliamo anche di alcool, di sigarette, di ludopatia e (finalmente!) di sesso! Forniamo informazioni e sollecitiamo domande, rimuoviamo ostacoli e barriere e i nostri ragazzi prenderanno da soli la strada che darà loro una vita piena e soddisfacente.
Contro gli atti di teppismo invece c’è da inventare qualcosa di più: partendo dalla piazza dovremmo pensare ad abitarla di più e perciò renderla meno brutta (impresa ardua). Innanzitutto smantellare il ponteggio che dà alla zona già lugubre un senso di minacciosa precarietà. Affidare ai cittadini la cura dei vasi, portare le piattaforme dello skate park che sono oggi al CAG ma poco usate, organizzare eventi, portarci i mercatini di Natale e così via: propongo di sostituire la “sorveglianza” elettronica con la “presenza umana”, moltiplicare le opportunità di relazioni e di incontri.
Non termineranno gli atti di teppismo (ma credere che lo facciano le videocamere è ovviamente ingenuo) né avremmo sconfitto il traffico illegale di stupefacenti. Ma almeno non avremmo abbandonato la sfida e avremmo fatto l’unica scelta che può fare una comunità che non voglia sfaldarsi: evolversi verso il futuro.
1 note · View note
nanulster · 8 years ago
Text
Oggi abbiamo battezzato Federico, il nostro quarto bimbo. Lo abbiamo fatto nella vecchia chiesa dove ci siamo sposati e dove abbiamo battezzato anche gli altri tre. Dove feci la prima comunione e la cresima. Dove mi costruii un rapporto con il Padreterno, doloroso e dubbioso, ma comunque gratificato da un comunità con la quale condividere esperienze profondamente divertenti e significative e dove ho sperimentato l’incredibile e inesauribile affetto che don Nicola è stato capace di riversare su molti e per questo anche su noi e su di me in particolare.
Un prete robusto, don Nicola, deciso e coraggioso, a volte un po’ compiaciuto delle sue scelte audaci, contro i potenti e contro le gerarchie: scelte che ha pagato tutte con tantissima sofferenza. E ha sempre rimproverato i pavidi, gli ipocriti che ha sempre considerato anche peggio delle puttane che invece a volte elogiava. Non ha mai fatto sconti, non ha mai accostato ma ha menato ogni volta che ha potuto. Un amore incrollabile per il Vangelo e per gli ultimi, per la bellezza, di un’opera, una musica, una donna o un bambino, una chiesa.
Ho sempre sofferto di non avere il coraggio e la decisione che invece ammiravo negli altri, come mi sento ogni volta turbato dal Vangelo quando dice “il vostro sì sia sì e il no sia no: tutto il resto appartiene al diavolo”. Poi ci siamo allontanati dalla Sacra Famiglia e io dal Padreterno.
Poi è nato Federico e per molti mesi non ci siamo neanche posti il problema se battezzarlo. Quando lo abbiamo fatto, il dove fu scontato. Nella celebrazione di oggi non c’era il trasporto e la passione della personalità di don Nicola ma c’era la comunità, striminzita, invecchiata e un po’ ripiegata su se stessa. Ma alcuni gesti sono rimasti, i canti poi sono sempre gli stessi. Federico ha partecipato con la sua curiosità e una voglia di fare che sembra sempre insaziabile. Gli occhi scuri spalancati su tutto e su tutte le persone che gli facevano festa.
Quindi è arrivato il momento dell’immersione e don Gianni lo ha abbracciato come un padre, lo ha immerso nel fonte, lo ha schizzato per gioco forse, perché Federico, nudo e bagnato mentre fuori la temperatura era ancora sottozero, sembrava del tutto a proprio agio.
Più di una volta ho dovuto interrompermi mentre cantavo o parlavo per quanto forte è stata l’emozione. Negli occhi scuri di Federico ho rivisto tutti i miei anni trascorsi in quella chiesa, fin dalla sua costruzione: ricordo benissimo quando zio Edgardo mi ci portò, fece vedere a me a mamma il cantiere e ci spiegava dove sarebbero state le sue opere. Poi gli incontri, le grandi celebrazioni di Natale e delle notti di Pasqua, le riunioni, le litigate e le incazzature.
Tutto passava attraverso gli occhi di Federico come se già sapesse e come se tutto avesse già saputo.
Don Nicola ormai sta morendo o forse è già morto: il suo spirito se ne è andato da quest’estate e ci ha lasciato solo un corpo malato e sofferente. A volte nei suoi occhi l’ho intravisto come se ancora indugiasse per un ultimo saluto, di solito nella sua cucina era o un bicchierino di grappa o una sigaretta scroccata all’amico, meglio amica, di turno.
Gli occhi di Federico sembrano quasi un rimprovero: ma tu hai preso tutto quello che hai potuto da questi vent’anni? Hai goduto fino in fondo dell’esperienza con questo prete che un solco così profondo ha lasciato nella vita di moltissima gente e nella tua in particolare?
Non abbiamo detto a nessuno del battesimo di Federico di oggi, tranne che ai parenti. È stata un’altra nostra testimonianza di appartenenza a una comunità, a un luogo con le persone che c’erano già. Semplicemente come il servo di Isaia che non parla in piazza né alzerà il tono.
Siamo qui, poveri uomini, come diceva la Badesa delle Monache di San Luca (la citazione, ovviamente è di don Nicola). E tutta la nostra vita ci è passata davanti negli occhi scuri di un bimbo di sei mesi.
Buon cammino Federico e buon viaggio don Nicola ovunque tu vada forse un giorno potremo incontrarci di nuovo lungo la strada.
2 notes · View notes
nanulster · 9 years ago
Text
Il pensiero appartenente
Da qualche giorno sto poco bene: è un senso di malessere diffuso che finalmente si è sfogato in un chiaro e conclamato raffreddore, senza segni di febbre, ma, vi assicuro, è un raffreddore e starò a casa. Almeno mezza giornata. Forse.
Viene da qualche settimana fa, quando ho iniziato a dibattere su Twitter di riforma Costituzionale con un personaggio per me importante perché  recensiva fumetti e quando ero alle medie mi ha preso per mano e fatto entrare nel mondo dell’Uomo Ragno, di Thor, del Punitore: mondo dal quale non sono più uscito.
Tumblr media
Scoprire che uno dei miei “idoli” dell’infanzia non la pensasse come me mi ha un po’ bruciato ma visto che si parla di diritto costituzionale e che penso di saperne parecchio sulla materia (ho studiato diritto e ho adoro visceralmente il diritto costituzionale, costituzionale comparato, sistemi elettorali eccetera), mi sono detto: che bella occasione per fare una bella chiacchierata.
Poi è arrivato un suo twitter: “la verità è una sola : chi vota NO odia Renzi e vuole silurarlo. Anche lasciando il paese nello stallo in cui è“. La frase “la verità è una sola” mi ha fatto star male.
Poi è venuto il dramma del terremoto e i twitter sono andati verso un’altra parte. Non sono un esperto di terremoti ma la mia parte l’ho fatta nel 1997 e per parecchi anni a seguire perché vivo nelle Marche, sono crollate case accanto alle nostre, nostri amici hanno perso tutto e abbiamo fatto anni di servizi e di volontariato con i nostri concittadini terremotati. Quindi arriva la nomina di Errani a Commissario Straordinario: qui penso di essermi definitivamente ammalato.
Tutti sappiamo che non è stato nominato perché sia la massima autorità nazionale in materia di ricostruzione; tutti sappiamo che in Emilia ci sono cose che sono andate bene e altre che sono andate male. Tutti sappiamo che Errani fece il Commissario straordinario per il terremoto dell’Emilia perché era Presidente della Regione come lo fece D’Ambrosio nel 97 perché era presidente della Regione. Tutti sanno che gli uffici della Regione Marche e Umbria hanno già affrontato un terremoto e tutti sanno anche che la ricostruzione in Umbria e Marche, fra molte luci e qualche ombra, è andata molto bene.
Poi sappiamo anche che Errani ha dato 2 milioni di Euro alla cooperativa del fratello e che ha dato alla Procura un documento falso per giustificarsi e sappiamo anche che questa condotta per la giustizia italiana non è penalmente rilevante. Sappiamo anche che per la ricostruzione Errani è stato criticato per aver ascoltato poco i territori e sappiamo invece, dal terremoto di Marche - Umbria, che ricostruire con i territori è la strada migliore.
Oggi però sappiamo che Ceriscioli, il Presidente della nostra Regione, non può essere capace a gestire questa crisi. Che Errani, oggi disoccupato, è migliore di lui (e del Presidente del Lazio). Che la questione del PD di dove mettere Errani era già uscita sui giornali verso luglio. Anche questo sappiamo. Sappiamo tutto. Ma nessuno, nessuno lo dice. Sembra la storia dei vestiti dell’imperatore.
Viviamo in un paese deve ancora abbiamo bisogno di uomini della Provvidenza e questo non ci spaventa. Ci ammaliano più le etichette, i simboli, le appartenenze che le istituzioni, le regole, le leggi: curioso che Errani abbia sentito il dovere di specificarlo “sono uomo delle istituzioni”.
Ma io credo che tutti sappiano che non sia così ma purtroppo contano di più le appartenenze: se voto PD, il PD fa sempre bene perché i panni sporchi si lavano al Congresso. Conta di più l’appartenenza che il pensiero. L’appartenenza guida il pensiero. Che poi lo Stato di Diritto si fondi sulle procedure, sulle forme, questo è secondario.
Già, la verità è una sola e sta dalla mia parte. Per gli italiani votare il partito è come la squadra di calcio: quando qualcuno ha votato sia a destra che a sinistra sente il dovere di dirlo perché sa di essere raro. Un raro ipocrita trasformista. Uno che vende l’ideologia per l’opportunità: forse anche per questo molti italiani scelgono di non votare, per non sentirsi trasformisti, per non sentirsi dire di aver tradito il Partito o la Chiesa, di non aver rimorsi di coscienza.
Adesso ha davvero mal di testa ma sento un po’ meglio: ho fatto la mia fanatica dissertazione contro il fanatismo e sto a posto con la coscienza. Mi prendo un’altra aspirina e leggo ancora un po’ di Amos Oz: magari guarisco.
Ritengo che l’essenza del fanatismo sia nel desiderio di costringere gli altri a cambiare. Quell’inclinazione a rendere migliore il tuo vicino, educare il tuo coniuge, programmare tuo figlio, raddrizzare tuo fratello piuttosto che lasciarli vivere. Il fanatico è la persona più disinteressata che ci sia. Il fanatico è un grande altruista. Il fanatico è più interessato a te che a se stesso di solito. Vuole salvarti l’anima, vuole redimerti, vuole affrancarti dal peccato, dall’errore, dal fumo, dalla tua fede o dalla tua incredulità, vuole migliorare le tue abitudini alimentari, vuole impedirti di bere o di votare nel modo sbagliato. - Amos Oz, Contro il fanatismo
1 note · View note
nanulster · 9 years ago
Text
Nizza: morti in nome di Io
Ancora sento gente della strada che pontifica sull'intrinseca malvagità dell’Islam, che il Corano contiene parole di odio e di incitamento all’omicidio degli “infedeli”. Sapessero i miei tanto sapienti conterranei, che quasi il 94% delle vittime del terrorismo di tutto il Mondo sono di fede musulmana. Finito il Ramadan, la scorsa settimana, oltre 200 persone e tantissimi bambini sono stati falcidiadi da un attentato a Bagdad: erano tutti abbastanza musulmani. 
Perché non ricordiamo come nei secoli luminosi dell’umanesimo e del rinascimento, dalle nostre parti si usava dare fuoco alle persone “infedeli” alla Santa Romana Chiesa e che, giova ricordarlo di tanto in tanto, le Crociate sono state una “nostra” autorevole e originale invenzione.
Per fare ancora più i sottili, negli USA si può morire se sei un medico abortista e in Italia se sei frocio non puoi metter su famiglia.
Ma tutto questo è normale: forse sarà un po’ datato (ma non sono uno studioso della materia) ma quando Girard ci ha parlato del capro espiatorio ha forse toccato una delle fragilità più comuni dell’uomo contemporaneo: trovare fuori di sé le colpe della propria sofferenza.
Se uno sciagurato si getta con un camion sulla folla ammazzando donne, uomini e bambini non è colpa del Corano, della guerra in Palestina o dello spread: ancora non abbiamo strumenti per capirlo non lo sappiamo e avremo sempre maggiori difficoltà per capirlo.
L’estremismo offre una sponda di certezza a chi è già sciagurato di suo? Forse. Ma se invece fossimo tutti sciaguratamente fragili che se avessimo in mano una pistola spareremmo a quello stronzo che ci ha rubato il parcheggio, o a quella zoccola che mi ha lasciato per un altro, o al giudice che mi manda in galera piuttosto che fermarci e guardarci che siamo noi il capro, che nostra è la responsabilità e nostra è l’unica possibilità di salvezza.
Non è una colpa o un peccato (altra meravigliosa invenzione della fabbrica di morte delle Religioni multinazionali): siamo fragili e deboli e qualcuno di noi più di altri, può essere sciagurato e immolarsi per colpa del suo capro espiatorio con il proprio sacrificio facendosi saltare in aria o offrendosi al martirio (ennesima scellerata ipocrisia di fattura pseudo religiosa).
Allora che facciamo? Mettiamo su centri di assistenza psicologica in tutto il mondo? E che ne so io? L’unica cosa che vorrei chiedere e che lasciassimo in pace Dio, Allah, Bibbia, Corano e compagnia bella: tolta parecchia monnezza, le religioni per fortuna, sono ancora fra le cose più belle che gli uomini abbiano scritto e fatto. 
Siamo messi male, forse viviamo nell’epoca dell’incidente integrale piuttosto che degli integralismi (suggestivo il pensiero di Paul Virilio). Siamo meno sicuri questo è sicuro: si può morire ovunque: al bar, in metropolitana, in strada. Un po’ come nel medioevo.
Saranno di nuovo i traffici, i commerci, i viaggi, le contaminazioni, la cultura, l’arte, il bello, le comunità a portarci fuori verso un nuovo rinascimento?
1 note · View note
nanulster · 10 years ago
Video
Libera nos a malo da Ulderick
0 notes
nanulster · 10 years ago
Photo
Tumblr media
libero pensiero da Ulderick
Free thinking
0 notes
nanulster · 10 years ago
Text
Ma che sta succedendo
Perché mortificare ancor di più i commercianti di piazzale Matteotti aggiungendo file intere di parcheggi a pagamento? Non bastava aver trasferito il capolinea sotto a un cimitero fuori città? E i genitori che vorrebbero andare a prendere i bambini a scuola perché adesso hanno meno parcheggi liberi e più a pagamento? Perché il parcheggione sta diventando sempre meno luogo di parcheggio sicuro e sempre più salvadanaio per il Comune?
Come può essere possibile che per sistemare la pavimentazione di via Miliani non siano bastati quattro mesi? Come può essere possibile che nessuno degli imprevisti accaduti ai lavori del fiume abbia avuto un responsabile ma sia tutto causa della sfortuna? perché in oltre un anno di cantiere non si è mai visto un assessore venire a parlare con la gente di qui, non si è mai visto un impiegato Comunale, un dirigente, niente, nessuno?
Perché il Comune non ha più soldi se il Segretario del partito del Sindaco dice che va tutto bene e che i tagli ai Comuni non ci sono stati? Perché dobbiamo pagare ancora e non avere più il Tribunale o dover andare a partorire a Jesi o fuori regione come se fossimo degli zingari?
Come facciamo a lasciare il destino di una città in mano a una dirigente che tutti vogliono cacciare perché tutti dicono che è un’incapace ma che nessuno caccerà mai perché troppo vigliacchi o perché è troppo utile avere un capro espiatorio per mondarsi l’anima davanti l’altare dell’elettorato? In coppia con uno come Tini che in vita sua ha accumulato cariche con la stessa rapidità con la quale il suo partito cambiava nome fino a diventare assessore e dirigente di un ente pubblico e che stupidi e ignoranti quelli che gridano al conflitto, che invocano parole come “dignità”… Perché? Gli studi di commercialisti, le Università traboccano di giovani più capaci dell’insana coppia che governa i destini di una città martoriata e morente.
Quale colpa dobbiamo espiare, di che crimine ci siamo macchiati per dover patire così tanto? Non ci bastava la crisi, l’insipienza imprenditoriale della famiglia Merloni che ha finalmente mostrato tutti i propri limiti svelando che il proprio successo era solo una forza lavoro laboriosa, economa e solerte alla quale ha restituito solo degrado, disoccupazione, tristezza e poiesis…
Una inesorabile tristezza, qualcosa di peggio del terremoto, ci sta ammorbando: la città sta per scomparire sotto i colpi inferti da un’amministrazione che tutti sperano vada via il prima possibile. Non scompariranno le strade, i cantieri, le piazze: sta scomparendo la gente, il gusto di pensare al futuro, la voglia di scommettersi e magari fare impresa.
Sembra che tutti stiano aspettando che il temporale passi: guardiamo attoniti le strisce blu dei parcheggi a pagamento come l’acqua durante un’alluvione. Ci sentiamo in colpa, noi cittadini, perché non capiamo, pensiamo che non potremo capire e cerchiamo di provare a consolarci pensando che in fondo non può piovere per sempre.
youtube
1 note · View note
nanulster · 10 years ago
Text
Ma che sta succedendo
Perché mortificare ancor di più i commercianti di piazzale Matteotti aggiungendo file intere di parcheggi a pagamento? Non bastava aver trasferito il capolinea sotto a un cimitero fuori città? E i genitori che vorrebbero andare a prendere i bambini a scuola perché adesso hanno meno parcheggi liberi e più a pagamento? Perché il parcheggione sta diventando sempre meno luogo di parcheggio sicuro e sempre più salvadanaio per il Comune?
Tumblr media
Come può essere possibile che per sistemare la pavimentazione di via Miliani non siano bastati quattro mesi? Come può essere possibile che nessuno degli imprevisti accaduti ai lavori del fiume abbia avuto un responsabile ma sia tutto causa della sfortuna? perché in oltre un anno di cantiere non si è mai visto un assessore venire a parlare con la gente di qui, non si è mai visto un impiegato Comunale, un dirigente, niente, nessuno?
Perché il Comune non ha più soldi se il Segretario del partito del Sindaco dice che va tutto bene e che i tagli ai Comuni non ci sono stati? Perché dobbiamo pagare ancora e non avere più il Tribunale o dover andare a partorire a Jesi o fuori regione come se fossimo degli zingari?
Come facciamo a lasciare il destino di una città in mano a una dirigente che tutti vogliono cacciare perché tutti dicono che è un’incapace ma che nessuno caccerà mai perché troppo vigliacchi o perché è troppo utile avere un capro espiatorio per mondarsi l’anima davanti l’altare dell’elettorato? In coppia con uno come Tini che in vita sua ha accumulato cariche con la stessa rapidità con la quale il suo partito cambiava nome fino a diventare assessore e dirigente di un ente pubblico e che stupidi e ignoranti quelli che gridano al conflitto, che invocano parole come “dignità”... Perché? Gli studi di commercialisti, le Università traboccano di giovani più capaci dell’insana coppia che governa i destini di una città martoriata e morente.
Quale colpa dobbiamo espiare, di che crimine ci siamo macchiati per dover patire così tanto? Non ci bastava la crisi, l’insipienza imprenditoriale della famiglia Merloni che ha finalmente mostrato tutti i propri limiti svelando che il proprio successo era solo una forza lavoro laboriosa, economa e solerte alla quale ha restituito solo degrado, disoccupazione, tristezza e poiesis...
Una inesorabile tristezza, qualcosa di peggio del terremoto, ci sta ammorbando: la città sta per scomparire sotto i colpi inferti da un’amministrazione che tutti sperano vada via il prima possibile. Non scompariranno le strade, i cantieri, le piazze: sta scomparendo la gente, il gusto di pensare al futuro, la voglia di scommettersi e magari fare impresa.
Sembra che tutti stiano aspettando che il temporale passi: guardiamo attoniti le strisce blu dei parcheggi a pagamento come l’acqua durante un’alluvione. Ci sentiamo in colpa, noi cittadini, perché non capiamo, pensiamo che non potremo capire e cerchiamo di provare a consolarci pensando che in fondo non può piovere per sempre.
youtube
1 note · View note
nanulster · 10 years ago
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
The warrior and the dragon da Ulderick Tramite Flickr: inking training
...many other studies to come
0 notes
nanulster · 10 years ago
Text
Sono malata alla tiroide
Continua a leggere
2 notes · View notes
nanulster · 10 years ago
Text
Come sto?
Quanti aggettivi per descrivere come stiamo? Di solito sempre troppo pochi: eppure non esistono innumerevoli sfumature dei sentimenti?
Ringrazio Alessia Bellucci che anni fa ci diede un foglietto che ancora tengo ma che ho paura di perdere, essendo molto piccolo, e che per questo ricopio qui.
Keep reading
2 notes · View notes
nanulster · 10 years ago
Text
Come sto?
Quanti aggettivi per descrivere come stiamo? Di solito sempre troppo pochi: eppure non esistono innumerevoli sfumature dei sentimenti?
Ringrazio Alessia Bellucci che anni fa ci diede un foglietto che ancora tengo ma che ho paura di perdere, essendo molto piccolo, e che per questo ricopio qui.
Emozioni che proviamo quando i nostri bisogni sono soddisfatti
allegro
appagato
assorto
Calmo
commosso
contento
curioso
divertito
eccitato
entusiasta
estasiato
felice
fiero
frizzante
grato
interessato
ispirato
rilassato
sereno
stupito
Emozioni che proviamo quando i nostri bisogni NON sono soddisfatti
a disagio
addolorato
amareggiato
annoiato
arrabbiato
confuso
contrariato
demoralizzato
disgustato
esasperato
frustrato
furioso
impaurito
impaziente
nervoso
preoccupato
spaventato
stanco
triste
turbato
Bisogni fondamentali che tutti condividiamo
Atuonomia: libertà di scegliere i propri progetti per realizzare i propri sogni, obiettivi, valori
Celebrazione: della vita e dei sogni realizzati - celebrare le perdite (persone amate, i sogni)
Integrità: autenticità, autorealizzazione, creatività, dare significato
Comunione spirituale: armonia, bellezza, ispirazione, ordine, pace:
Interdipendenza: accettazione, amore, appartenenza, apprezzamento, calore umano, comprensione, considerazione, contribuire alla vita, empatia, fiducia, giustizia, intimità, onestà, rispetto, sicurezza, stima, sostegno
Bisogni fisiologici: aria, acqua, contatto, espressione sessuale, movimento, protezione, riposo
Gioco: divertimento, ridere, scherzare, rilassamento
2 notes · View notes
nanulster · 10 years ago
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Fabricamenti Palio 2015 da Ulderick Tramite Flickr: Manifesto per l'evento INTERNO.Giorno Cronache Medioevali del 15 giugno 2015
0 notes
nanulster · 10 years ago
Video
youtube
Mani troppo grandi per regalare un fiore
0 notes
nanulster · 10 years ago
Text
Il Piave
Oggi, il coro delle Verdi Note, dove canta mia figlia, insieme con gli altri cori che hanno partecipato alla rassegna di voci bianche di oggi a Fabriano, hanno concluso con una strofa del “Piave” e al “non passa lo straniero” mi sono commosso. Perché forse sono un sentimentale oppure sono inaspettatamente patriota più di quanto pensassi. Forse anche perché subito dopo mi sono incazzato tanto, pensando a quanti delinquenti, volgari truffatori, corrotti, ladri e mignotte stanno stuprando questa nostra terra sofferente. E quanto noi, indegni discendenti di questi ragazzi che sul Piave ci lasciarono la vita, combatteremo per una nuova libertà?
0 notes
nanulster · 10 years ago
Link
Capharnaüm è il nome di una città, ma questo titolo serve a designare non tanto l'urbanità caotica di St. Stephenbourg (la città immaginaria delle avventure di Lapinot)...
0 notes