{Ho avuto altri nomi} | Ariete | Sicilia | "Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza."
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"Cosa fai nella vita?"
Una domanda semplice, in apparenza. Ma ogni volta che la sento, resto qualche secondo in apnea.
Come si fa a rispondere con una frase sola, quando la propria vita sembra una matassa di fili ingarbugliati, pieni di deviazioni, stalli, dubbi, tentativi? Non si può, e infatti... Tempo di lettura: 4 min e 84 sec (circa, dai, cos�� dice un calcolatore gentilmente offerto dall’internet). Vado a tentoni e cerco di mantenere l’equilibrio su questa altalena di alti e i bassi. Non ho un buon senso dell’orientamento, mi manca qualche grado e se guardo lontano vedo tutto sfocato. Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose. Scrivo. Disegno. Condivido.
Il lavoro: perché rispondiamo sempre con quello?
Per anni non ho capito perché la prima risposta che ci viene in mente a “cosa fai nella vita?” riguarda quasi sempre il lavoro. Poi ho iniziato a lavorare anche io. E ho capito. 🥲 Domani è il 1° maggio, la festa dei lavoratori. E allora oggi porto un pezzo scomodo della mia storia. Era il 2017 e a scriverlo sembra passato un secolo, ma se mi concentro mi sento ancora lì. Sento ancora la consistenza ruvida e alienante di tutte quelle ore. Ore scandite dal ritmo incessante delle macchine che stampavano in modo frenetico un foglio dietro l’altro. Macchine che incollavano, bucavano, tagliavano, fustellavano, si inceppavano e si prendevano una raffica di martellate e insulti. Ore che erano 8, per 5 giorni a settimana. A volte pure 6. Troppo, per troppo poco. Vabbè. Un giorno mi presi di coraggio e chiesi un aumento. Non sto qui a spiegarvi le dinamiche ma mi ritrovai con mezz’ora di lavoro in più al giorno. Cornuta e bastonata. A queste 8 ore e mezza dovevo aggiungere: mezz’ora di macchina all'andata, un'altra al ritorno e un’ora di pausa pranzo che spesso mi andava di traverso per i discorsi tossici e le occhiate pesanti che volavano e mettevano un disagio che ancora oggi mi fa senso. Mettiamoci poi il caldo asfissiante in estate e il freddo che entrava nelle ossa in inverno. Vestiti sempre sporchi, fili di colla dappertutto e mani perennemente secche e afflitte da mille piccoli tagli che hanno scalfito perfino la mia serenità eeee... l’opera è completa! Alla fine di quelle giornate, l'unica cosa che facevo era trascinarmi a casa, con il mal di testa, il malumore, stanca, senza energia per fare altro. Doccia, cena e a letto. E via, di nuovo, il giorno dopo. Una ripetizione ossessiva, un loop che non mi dava tregua. Una trappola. Mi sentivo come un'appendice di quelle macchine, un ingranaggio anonimo in un meccanismo grigio e incattivito. Non ero più una persona con le sue peculiarità, le sue curiosità, le piccole gioie, i legami affettivi. Non c'era tempo, non c'era spazio. Ero un pezzo di una catena di montaggio, un elemento che doveva semplicemente "funzionare" lì e in quel preciso istante, per quel compito specifico. Un pezzo che, altrimenti, poteva essere facilmente sostituito. In qualsiasi momento. In quel momento - che si è protratto per tipo… 6 anni?! - facevo solo quello. E la risposta a "cosa fai nella vita?" era inevitabilmente e tristemente quella: lavoro in una tipografia.
Quel lavoro mi ha insegnato cosa non voglio
❌ Non voglio sentirmi uno strumento, un pezzo intercambiabile in una macchina più grande. ❌ Non voglio il peso di una routine alienante che non lascia spazio alla creatività, alla crescita personale, alla semplice umanità. ❌ Non voglio sentire l'amaro retrogusto di giornate che si susseguono identiche, senza un guizzo di novità o di stimolo. ❌ Non voglio sentirmi limitata perché donna, perché certe macchine potevano usarle solo i maschi. Senza un reale motivo se non un inutile pregiudizio. ❌ Non voglio sentire di non valere niente e di dovermi accontentare.
Solo che queste cose, non le vedevo. O mi riusciva difficile accettarle. Fortuna che avevo un collega che mi ripeteva in continuazione di cercare altro, di non fossilizzarmi, che ero sprecata lì dentro, che non mi avrebbero fatta crescere.
E sono grata di averlo incontrato in mezzo a tutto quel frastuono.
Perché è anche grazie a lui se ho trovato la forza di non starci più.
Perché in mezzo a quella fatica, qualcosa l’ho capita: ✨ Il tempo libero non è un lusso. È ossigeno. ✨ Un ambiente di lavoro sano non è un bonus. È un diritto. ✨ Sentirsi parte di qualcosa non è utopia. È possibile. ✨ Non sei tu il problema se non ti riconosci nel lavoro che fai.
Guardo indietro con ancora un sacco di rabbia. Ma anche tenerezza. Per quella me che ha resistito. Che non si è spenta. Che si è portata a casa ogni sera, anche quando tutto sembrava inutile. Che alla fine si è data una svegliata. Il lavoro non dovrebbe mai consumarci.
Non dovrebbe annullarci, né farci sentire meno di quello che siamo. Dovrebbe invece lasciarci spazio per vivere. Per sbagliare, per crescere, per respirare. Fare cose oltre al lavoro, fare cose che ci definiscono oltre il lavoro.
Tra l'altro, non è detto che il lavoro debba per forza coincidere con la nostra passione o il nostro scopo. Non ho mai creduto alla storia della vocazione: lavoriamo tutti per avere in cambio dei soldi.
Il lavoro deve rispettare la nostra dignità, il nostro tempo, la nostra umanità.
E tu, cosa hai imparato a non volere più dal lavoro? E cosa sogni per il tuo futuro? Cosa rispondi al "cosa fai"? Se ti va di raccontarmi un pezzetto della tua storia, delle tue esperienze anche se scomode, di quello che non vuoi o quello che desideri... scrivimi pure, se ti va. O butta giù i tuoi pensieri su un foglio, potrebbe aiutarti se sei in un momento di confusione, a fare chiarezza, ad ammettere quelle cose che forse sai già ma non riesci ad accettare...
Ma, alla fine, cosa faccio?
Se te lo stai chiedendo, dopo tutta sta tiritera che ho messo su, provo a risponderti qui.
Chiarisco subito: non lavoro più in tipografia. Dopo quella esperienza ho fatto un anno di servizio civile e poi mi sono sbilanciata in una cosa che non avevo mai considerato seriamente. E che è arrivata per caso.
Da qui ho scoperto che esiste la sindrome dell'impostore.
Vado a tentoni. Mi sbilancio. Oscillo. Per lavoro scrivo, penso, sintetizzo pensieri e do un ordine alle cose. Ogni tanto sbaglio e lascio refusi qua e là. Disegno, scrivo, penso. Cerco un senso. Aiuto i miei, mi alleno per essere più forte e agile. Sogno tazze stampate a mano, da me. E se vuoi sostenermi, puoi farlo offrendomi un caffè. 🫶
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Ogni giorno devo scrivere cose che non conosco e quindi mi tocca prima capirci qualcosa. Oggi ad esempio ho ascoltato un'ora di webinar sulla gestione dei progetti con un framework. Ma a me pare tutta una cosa così astratta che boh.
Il buon senso non funziona più? Quand'è che abbiamo smesso di usare la testa, il cuore, la comunicazione reale e abbiamo iniziato a strutturare ogni cosa?
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è lunedì e il padrone di casa mi ha mandato un messaggio per ricordarmi dell’affitto e della bolletta
Buongiornissimo
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A voi la parola!
Cose di Tumblr
Grazie a tutti quelli che parteciperanno!
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mia mamma che mi chiama per aggiornarmi delle donne incinte del paese e mi fa bestemmiare, piangere dentro, maledirmi per essere femmina e aver superato i trent’anni senza una culla in mezzo alla casa
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Affusolato nel mio cuore
il ricordo del tuo odore
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Capa mi chiede durante il briefing della mattina "tu come stai?" di punto in bianco e io "bene grazie" ma occhi pieni di lacrime. Top ragaaa
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I muratori martellano a qualche piano sulle nostre teste, ma sento tutto intorno un silenzio strano ovattato tra malinconia e rancore.
Dove niente è sicuro.
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Spero che il prossimo Papa sia nero
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Ieri sera avevo preparato una tortina da portare al lavoro oggi che è il mio compleanno. Siccome una delle mie colleghe a dieta ferrea avevo fatto questo con cacao ricotta e uova: è venuta una schifezza quindi ora non so che cazzo fare.

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ieri ho comprato una cassettina di fragole al supermercato. Il ragazzo dell’ortofrutta mi ha chiesto se avevo finito con la spesa o meno, perché se avevo ancora tempo poteva andare di là e controllare le vaschette e mettere qualcuna di quelle più fresche.
va che gentile, penso io.
ho finito ma non ho fretta, grazie
arriva dopo un paio di minuti, lo ringrazio, prendo sta cassettina e vado a pagare.
torno a casa e sistemo la spesa.
stamattina prendo due vaschette e le tagliuzzo così sono pronte per lo spuntino.
dopo pranzo, oggi, mi rendo conto che qualcuna è già andata a male così decido di svuotare le vaschette una ad una e controllare.
Sotto una di queste vaschette c’era un tovagliolo con il numero di sto ragazzo. E io, cieca per come sono, manco l’avevo visto mentre continuavo a controllare le fragole e metterle in un contenitore diverso. Mi pareva uno scontrino, che so io…
l’ha visto il mio ragazzo.
tutto ok…
#Però carino quello dell’ortofrutta a lasciare il biglietto che fa molto da film#Probabilmente non andrò più in quel supermercato
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Mi han detto che vivo in un'ambiguità. E forse è proprio così.
Anche la mia normalità è ambigua.
C'è quella in casa, fatta di forse troppi silenzi e routine. E c'è quella in cui porto al guinzaglio un cane che non è mio, e guardo tramonti e ricevo libri in regalo.
C'è quella che potrebbe essere la mia quotidianità. E quella che lo è.
E io in mezzo che non so da quale parte andare, come fossi incastrata tra due realtà parallele.
Realtà che mi piace pensare non si incontreranno mai ma che, in realtà, sono sempre più prossime alla collisione. Forse.
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Sono schiava delle possibilità. Di quei momenti in cui tutto è ancora aperto, quando ogni incontro può trasformarsi in qualcosa di immenso. O catastrofico. Potrebbe essere la persona più importante della tua vita, quella che ti cambierà per sempre, quella che ti farà più male. O forse sarà solo una stretta di mano, un nome che dimenticherai appena le mani torneranno in tasca.
Sono schiava delle possibilità come quando ero bambina, quando davvero potevo diventare qualsiasi cosa. Una ballerina, una chef, un’insegnante. Un’ingegnera, una sportiva professionista, una ricercatrice. Un’archeologa, magari persino una circense o una che va in giro per le stradine lastricate di pietra lavica a vendere granite la domenica mattina. Il mondo era un campo aperto, e io al centro.
Ma poi, non so come né quando, queste possibilità hanno cominciato a pesarmi. Mi attraggono ma solo per farmi fare un giro di centrifuga e farmi schiantare al suolo.
Ogni strada non scelta diventa un rimpianto, ogni sogno non vissuto un’ombra, ogni possibilità diventa impossibile.
Tutte quelle possibilità diventano un luogo lontano, quasi spaventoso. Meglio non pensarci.
A volte mi sento solo spettatrice della vita che avrebbe potuto essere.
E mi perdo.
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Non voglio essere scorbutica o superficiale. Lo dico mentre sono con la testa da un'altra parte e il cuore in tumulto, che sbatte le pareti tra un tu-tum e l'altro.
Gli occhi stentano a star fissi sullo schermo, le dita battono tasti morti che non danno vita a nulla che mi piace.
Mi sento come se fossi in una stanza piena di veli che ricoprono le pareti e non so se quello che vedo è vero o se è solo luce che trapassa dai veli, non so cosa sento perché è tutto ovattato, non so cosa voglio a parte mettermi in un angolino e dormire.
Anche se poi domo male. Dormo, ma dormo in uno stato di agitazione che mi fa fare brutti sogno, sogni in cui scappo, vengo morsa da cani, grido aiuto o urlo contro qualcuno a cui in realtà voglio bene.
Tra una settimana faccio 31 anni, un'età che se ci penso è da grandi, adulti. Mentre a me sembra di stare qui ancora a farmi problemi su cosa indossare per andare a quella festa e a sentirmi a disagio a quella stessa festa come quando avevo 16 anni.
Cristo.
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Come stai?
È una domanda particolare, e la risposta varia in base al contesto e alla persona che la pone.
Sei per strada e incontri un conoscente? Come stai? Tutto bene grazie, tu? Non c'è male... e via.
Stai passeggiando sul mare con un amico? Come stai? Potrei piangere...
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Fatto of?? 😚
Ho tipo una decina di domande così.
Che dire: potrei come non potrei averlo fatto...
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Dico al mio ragazzo che sto scrivendo un articolo. Per tutta risposta mi dice con tono ironico cose utili.
Io già sento di mio che faccio un lavoro inutile, che non mi da nulla, che è così fluido che passa e non lascia il segno. Sto dando in pasto le mie parole a una macchina che fagocita con ingordigia contenuti su contenuti che io stessa contribuisco a tenere in vita, parole che forse leggeranno in 3 persone, cliente compreso.
Però cazzo.
Se ti metti pure tu. Se pure tu svaluti così tanto il mio lavoro. Se pure tu svaluti me stessa... insomma.......
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