Perchè vale sempre la pena leggere una scemenza se è ben scritta.
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A più di 30 anni dall’avvio dell’ambizioso “Progetto Genoma Umano”, creato con l’obiettivo di sequenziare nella sua interezza il ‘codice’ che ci rende quello che siamo e ci differenzia dalle altre specie, gli oltre 100 scienziati coinvolti sono finalmente riusciti a ottenere la sequenza di riferimento più completa e senza interruzioni, ‘leggendo’ anche quei frammenti di DNA che mancavano, ovvero l’8% circa.
Una percentuale che può sembrare minima, ma per raggiungere questo risultato ci sono voluti quasi vent’anni: nel 2003 infatti si era arrivati a sequenziare il 92% del nostro genoma, una seconda ‘bozza’ dopo la prima pubblicata nel 2000. E lì ci si era fermati.
Il genoma umano è costituito dai cromosomi presenti in singola copia all’interno di una cellula; i cromosomi, a loro volta, sono composti dai geni, segmenti più o meno lunghi di DNA (acido desossiribonucleico) che hanno il compito di sintetizzare le proteine.
Ora, uno speciale sulla rivista Science e altre pubblicazioni certificano il traguardo della prima sequenza completa del genoma umano. Un passo avanti reso possibile dal progresso delle tecnologie di sequenziamento e in particolare dalla combinazione di due diversi metodi.
Le prospettive
Quello raggiunto è un inestimabile punto di riferimento per la ricerca scientifica, che gli studiosi hanno chiamato “T2T-CHM13”, e che aiuterà loro e tutti gli scienziati del mondo a comprendere meglio, e in maniera più approfondita, la complicata quanto affascinante genetica umana, migliorando la comprensione dei cromosomi e la nostra evoluzione e, soprattutto, fornendo nuove armi per combattere molteplici malattie: grazie alla ricerca di mutazioni genetiche correlate a patologie, e in prospettiva grazie a un approccio di Medicina Personalizzata, ovvero mirato e costruito sulle caratteristiche genetiche del singolo individuo.
T2T-CHM13, il genoma appena completato, presenta una sequenza completa di oltre 3 miliardi di coppie di basi (o nucleotidi, le ‘lettere’ che compongono il nostro codice genetico), nelle quali i cromosomi sono assemblati senza interruzioni.
Il nuovo genoma di riferimento aggiunge insomma alle ‘bozze’ precedenti “quasi 200 milioni di coppie di basi di sequenze contenenti 1.956 predizioni geniche, 99 delle quali si prevede che codifichino proteine”, come indicato nell’abstract dello studio.
Conoscere il 100% del genoma umano permetterà in sostanza di comprendere meglio le variazioni di DNA da persona a persona, e dunque anche se le variazioni genetiche hanno un ruolo determinante nello sviluppo di alcune patologie.
A ottenere la sequenza di riferimento più completa mai avuta del genoma umano (una sequenza comunque semplificata, e a cui manca il cromosoma Y), è stato il consorzio internazionale di oltre cento ricercatori, sotto l’egida del cosiddetto team Telomere-to-Telomere.
Tra i principali centri di ricerca coinvolti il National Human Genome Research Institute (NHGRI) dei National Institutes of Health (NIH) statunitensi, l'Università di Washington e l'Università della California di Santa Cruz. Un lavoro davvero straordinario e unico nel suo genere, che non ha riguardato “solo” la scoperta ma anche la correzione degli errori strutturali presenti nelle precedenti sequenze rilasciate.
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Ore 11:00 - Tamara Streefland, Lead Urban Systems @Metabolic: "The Interconnected City: Towards Sustainable Cities in 2050"
Ore 12:00 - Luca Meini, Head of Circular Economy @ ENEL: "People role for circular transition"
Ore 14:00 - David Greenfield, Vice President @ Circular Economy Institute (CEI): "Circular Cities across Europe"
Ore 15:00 - Tanguy Frécon, Co-Founder @ LIZEE: "The rise of new circular business models in retail"
Ore 17:00 - Silvia Gasperetti, Head of Circular Economy Unit @Enel Global Power: "How tackle the energy transition challenges trough circular economy"
Ore 18:00 - Campus Party Team, Call4Ideas Pitch Session
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Ore 11:00 - Giovanni Fosti, Presidente @ Fondazione Cariplo: "Connettere e ricomporre: comunità e disuguaglianze nelle città in trasformazione"
Ore 15:00 - Gabriele Ferrieri, Presidente @ ANGI: "Transizione ecologica e digitale: scenari e opportunità per le città intelligenti del futuro"
Ore 17:00 - Dario Mancini, Regional Manager Italy & EMEA Emerging Markets @ Waze con Sonia Sandei, Head of Electrification @ ENEL, Modera Enrico Pagliarini, Giornalista su Radio24: "La mobilità del futuro è elettrica e circolare"
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PLAYENERGY MAIN STAGE
Ore 10:30 - Slavko Bevanda CPO and CTO @ Share Now con FIlippo Lubrano, Innovation & Internationalization Manager: "How tech drives sustainable mobility"
Ore 12:00 - Javier Goyenech, CEO @ Ecoalf: "From Ocean waste To Fashion, Because There Is No Planet B®"
Ore 15:00 - Bettina Mirabile, Head of CSV and Circular Economy CC Innovation & Sustainability @Enel con Marco Micozzi, Start-Up Manager @ Le Village by CA Milano e Martino Cortese Citybiliter, CEO @ Citybility insieme a Valentina Cerolini, Co-founder & CEO @ DEESUP: "Building a circular city means impacting society together"
Ore 17:00 - Carlo Ratti Architect and engineer, Founder of SENSEable City Lab, MIT: "Senseable cities"
Ore 18:00 - Ali Russell, Chief Marketing Officer @ Extreme E con Nicola Tagliaferro, Head of Sustainability @ Enel X e Monica Merlo, Partner @EY. Modera Mariangela Pira, Giornalista e conduttrice di Sky Tg24: "Sustainability is a chain of participation"
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Ore 11:00 - Daniela Di Rosa, Head of E&C and O&M projects - GI&N Sustainability Adoption @ Enel Global con Ivan Ortenzi, Chief Innovation Evangelist @ Bip: "La città e la sostenibilità: una storia di successo"
Ore 12:00 - Fernanda Panvini, Head of Circular Economy Italia @Enel: "Modelli di produzione e consumo circolari"
Ore 15:00 - Camilla Serra, Area Manager Nord-Ovest @ Too Good To Go: "Contrastare gli sprechi alimentari per salvaguardare l’ambiente: il caso dell’app Too Good To Go"
Ore 18:00 - Marco Orlandi, CEO @Pladway: "Brand e Smart City - Amore Ricambiato"
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Tutti gli speech saranno in diretta sui nostri palchi virtuali. Hai trovato tutti gli speaker che ti interessano? Da giovedì 27 alle ore 11, collegati sui nostri palchi virtuali per non perderne nemmeno uno!
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Come nasce il linguaggio: una teoria evolutiva, e il rapporto con la A.I.
Come contaminazione di due aspetti
1) il linguaggio comportamentale, la capacità di comprendere atti concreti e anche prevederli, cmq interpretarli. L’interpetazione è la base del paradosso della lingua.
Io posso capire “luca apre la porta” , “entra in casa”, “beve dal bicchiere” come lo può capire un mammifero, un pet. Anche “il gatto protegge l’ingresso della tana”, “il predatore è minaccioso e sta per attaccarmi”, “questo gatto mi è nemico/amico”
Esiste una rappresentazione ad albero? Esiste una rappresentazione funzionale.
Che parte dal riconoscere i semi, le parole, soggetto e oggetto dell ‘azione, e le azioni come elementi separati [a posteriori]
· Perchè? Perché da questo dipende la nostra stretta sopravvivenza
E dalla combinazione di questi elementi in agente e agito
· Perchè? Perché da questo dipende la nostra stretta sopravvivenza
E la capacità di distinguere agente agito e azione.
L’interpretazione avviene a questo livello. E consiste nella capacità di distinguere agente agito e azione. Di scindere quindi un tutto unico che è l’azione a priori [pre-analitica] che si presenta come un continuo. Il cervello ha la capacità di distinguere. Anche il più elementare?
Questo tipo di linguaggio lo potremmo chiamare linguaggio concreto, inteso come linguaggio dedito dedicato e devoto solo alla descrizione [interiore] dei fatti visivi e degli eventi del vissuto, privo di elementi di metafora. Questo linguaggio potrebbe essere rappresentato da un Tree? Eventualmente, non lo sappiamo, ma certo sussiste la capacità di distinguere tra agente e agito e per distinzione e emersione l’azione priva dei due elementi. Quindi anche se concretamente non è un tree, una qualche forma equipotente di rappresentazione deve essere presente per consentire di astrarre, di generalizzare. Altrimenti ogni nuovo evento sarebbwe una tripla, senza la capacità di distinguere ad un livello superiore che esiste sempre un agente e un agito, non importa la circostanza, l’azione e l’evento e il tempo e gli stati accessori, come sta piovendo c’è il sole. Sempre una tripla deve esistere e la sua astrazione.
2) il linguaggio come espressione di ragionamento
Che si divide sempre in due parti. Che un animale sia in grado di soffrire lo sappiamo perché esprime sentimenti e sensazioni. Con un linguaggio? Senza una definizione univoca dello stesso non è possibile dirlo. Un linguaggio fatto di posizioni del corpo, espressioni del volto, lamentele, guaiti, e persino atti. Se un gatto porta una preda sullo zerbino lo fa per una ragione sociale, e comunicativa. Se si offende mostra le terga, o meglio evita lo sguardo.
Diciamo che un animale si fa capire. Ma è questo un linguaggio? e corrisponde almeno in parte a un linguaggio interiore? Anche se l’apparato fonatorio impedisce l’espressione di concetti articolati e preposizioni e tempi esiste interiormente una visione del linguaggio, una rappresentazione interna dello stesso, in un mammifero superiore?
Qui entra il livello di cui si interessa la logica, vale a dire è possibile dedurre giusto e sbagliato, internamente. Dedurre cosa è corretto fare o non fare per risolvere una situazione o reagire a un evento?
I mammiferi superiori sembrano avere questa capacità, quando ad esempio aiutano un animale ferito, un cucciolo, quando reagiscono appropriatamente a un evento di stress o di attacco, dosando correttamente quantità forza velocità, quando intendono come risolvere una situazione nuova, come il riconoscersi allo specchio o uscire da un edificio, aprendo una porta, in modo simile a un essere umano afferrando una maniglia.
Purtuttavia non esiste la capacità di descrivere e riferire. Capacità propriamente umana. Un essere umano ha chiaramente la capacità non solo di capire come risolvere una situazione in maniera appropriata ma anche di comunicarlo ad altri esseri umani. Ed è indubbio che questa capacità è –ancora una volta – determinante per la sopravvivenza.
Ma non solo è anche alla base della cultura. Cultura è infatti – nella sua interpretazione più basilare – l’atto di trasmettere ad altri quanto appreso. E forse in una certa misura quindi trasmetterlo alle generazioni future. Cultura è un atto cognitivo linguistico che permane nel tempo. Certo se linguaggio lo si intende in non meramente un composto di frasi parole e sintassi, ma un elemento di comunicazione. Ma il punto è che , se il linguaggio è un sema, una musica, un graffito o un disegno in una caverna, o un racconto orale, come l’origine del mondo, allora in questo caso il segno permane oltre chi l’ha generato e si trasmette , almeno potenzialmente, nel tempo e potenzialmente può perdurare per sempre. Pensate al voyager, perso nello spazio e carico di sema, di immagini suoni e parole umane. A chi parla?
3) il linguaggio come forma di ragionamento sugli elementi interiormente rappresentati
Il terzo punto è che una volta appreso come parlare e come comunicare, il linguaggio si arricchisce di espressioni modali e temporali. Che consentono Di poter comunicare se quanto si dice è avvenuto nel passato o nel presente o avverrà nel futuro. Condizionali, periodi che indicano probabilità e possibilità, indicazione di numerosità dei soggetti (plurale e singolare) del sesso di persone e persino di cose.
Questo ancora sembra radicato nel contesto della sopravvivenza. E’ diverso esprimere se oggi il nemico attaccherà o se non lo farà se non in un futuro. E’ diverso dire che si pensa che avverrà ma non si è sicuri anzi è una idea astratta, rispetto al fatto che sicuramente avverrà, o probabilmente.
Ma questo modo di comunicare che è propriamente un modo del linguaggio, inteso in senso antropologico, è chiaramente l’espressione esteriore di quanto già interiormente ci rappresentiamo. Non può esserci intendimento di esprimere che una cosa avverrà nel futuro certo di domani, se prima di tutto noi stessi non ce ne siamo avveduti interiormente in quanto tale. Effetto di un ragionamento o di una sensazione il linguaggio esprime quanto interiormente ci rappresentiamo.
Può quindi essere il linguaggio una forma di ragionamento sugli elementi visti e distinti nel punto 1. Una volta distinti i fenomeni della realtà e averli rappresentati interiormente come eventi concreti, il cervello comincia a ragionare se questi fenomeni sono individuali o collettivi, o se ci sono più soggetti agenti o oggetti agiti, o se riguardano il tempo presente o futuro, quindi se sono avvenuti o stanno avvenendo e sono concreti stabili e finiti con le loro conseguenze, o in divenire e quindi “pericolosamente” o “fortunatamente” in atto, o se sono possibili e quindi ancora futuri. Ma non ancora immaginati, quindi metaforici. Una volta inteso quello che interiormente percepiamo della realtà ragionando sugli elementi concreti, otteniamo una meta rappresentazione ovvero ancora una rappresentazione concreta ma di secondo livello della realtà, che contiene appunto le dimensioni sempre apprese di passato e presente, della numerosità, della pericolosità o della possibilità e quindi del futuro della condizionalità
Ovviamente a questo si aggiunge il fatto che inteso cosa “pensiamo” della realtà nelle dimensioni date di tempo, modo e numero, si pone il problema di comunicarlo.
Ovvero di trovare un terreno comune di intesa.
I Semata che io uso comunicano correttamente a te il mio mondo interiore? Danno una rappresentazione corretta di quello che penso? Per saperlo devo a mia volta apprendere il tuo linguaggio, in un processo di reciproco rinforzo. E’ un processo a coppia, intersoggettivo
Questo darebbe anche spiegazione del fatto per cui il linguaggio non è universale ma diverso da località a località, ma appunto nel loco, comprensibile ai pari.
Le regole generali che intendiamo in ogni linguaggio non esistono, se non per quegli elementi di oggettività anzi detti. Ogni linguaggio deve saper esprimere almeno gli elementi del presente passato e futuro e a quanto pare della numerosità. E deve anche saper esprimere elementi di incertezza, dato che la realtà effettivamente non è mai certa, l’incertezza è quindi parte della nostra capacità razionale di intendere la realtà e il linguaggio la esprime. Sempre nell'ottica che il linguaggio serve a uno scopo sociale e il principale è la sopravvivenza elementare.
4) il linguaggio come espressione di sentimenti, valori interiori e sensazioni, e quindi il linguaggio metaforico.
Appreso il linguaggio in senso sociale, questo diventa strumento per far accedere a terzi il mio contenuto interiore. Non solo quello concreto evidentemente, ma anche quello emotivo. Inutile rammentare quanto importante sia soggettivamente, per noi come individui toccare le emozioni delle persone. Sia per motivi di amore, che per motivi sociali, il successo emotivo aumenta la accettazione e il valore sociale, e quindi aumenta la nostra possibilità di vivere meglio, per noi e la nostra prole, la nostra famiglia i nostri cari.
Nasce l’emozione nel linguaggio, il racconto, il mito, la poesia. Sia per scopi meramente personali, magari di sedurre o corteggiare l’amato/a, sia per maggiore apprezzamento sociale. Cantastorie, ma anche druidi, preti, narratori, hanno fatto dell’emozione e della spiritualità il loro canone sociale di vita. Invece che vendere beni, “vendono” emozioni, assolvono a un servizio sentito importante. Così importante che la storia è ricca di avvenimenti dove la vittoria di una squadra cambia il destino di una persona pensiamo a Costantino nelle gare del circo massimo, quadrighe che teneva per gli azzurri. Pensate al famoso detto panem et circenses (dare). Le emozioni sono quasi se non più importanti a volte, anzi spesso, persino dei beni materiali. Pensate quanto tempo dedichiamo al cosiddetto intrattenimento: a leggere libri, vedere serial TV, film, teatro, opera, etc etc-
Ma di cosa è composto questo linguaggio.
In senso proprio questo linguaggio ha la capacità di esprimere non fatti concreti ma immaginati attraverso elementi della metafora e della “retorica”. Dire hai occhi azzurri come un lago permette di associate un elemento concreto, considerato esteticamente bello alle qualità umane. Ovviamente non abbiamo osservato nessun lago negli occhi di una persona. Dire che sento battere il cuore è espressione di una emozione concretamente percepita, ma dire che mi hai ferito il cuore come se mille lame lo avessero penetrato, è una espressione metaforica, che associa un atto violento, l’uccisione rituale di una animale vera o immaginata, all'uccisione metaforica di un amore. Sappiamo quanto siamo sensibili a questa forma di comunicazione.
Si tratta comunque di una forma di ragionamento sul secondo livello di astrazione.
Se sono in grado di ragionare sul primo livello che nasce dalla realtà e connettere quindi passato e futuro, creando un secondo livello di astrazione dove gli eventi interiormente concreti possono farsi immaginari possibili, a un terzo livello elementi reali e irreali possono essere mescolati con la stessa capacita astrattiva.
Nasce qui il congiuntivo, il periodo dell’impossibilità, l’enfasi retorica, la negazione retorica che negando invece afferma (non vorrei dire che sei un ladro, perché non mi permetterei mai di dirlo. E intanto lo si è detto) e tutti quegli strumenti espressivi che ci sono noti. Tra cui la menzogna.
La menzogna è l’atto espressivo finale della metaforizzazione, dell’operazione di astrazione.
E’ la prova stessa che il cervello, livello dopo livello passa da una osservazione concreta, a una modalmente e temporalmente e numericamente concreta, ma malleabile, a una in cui gli elementi della realtà possono essere sostituiti con elementi immaginari.
A questo punto vero e falso possono essere invertiti.
E la menzogna, si sa, se ben inculata, se intelligentemente prodotta, come in certe pubblicità, o in certa politica o in certi rapporti della vita, sappiamo che elemento potente di sopravvivenza possa essere. Esiste un ulteriore livello di astrazione?
Forse la metafisica, la percezione mistica della realtà, come nei santoni, nei guru, in Budda, in Cristo.
Ma a voi la risposta.
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Measuring Intercultural Competence: Organizations are not People Oliver Wendell Holmes famously wrote that every dialogue includes six players: 1. Myself 2. My ideal self (the self I am trying to project) 3. Yourself 4. Your ideal self 5. My perception of you (some combination of you, your ideal, and my projections) 6. Your perception of me This means that groups of people are constantly engaged in complex coordination of perception just to establish who they are. That coordination becomes even more complex in organizations as groups of individuals try to focus on tasks and meet goals. In many ways, organizations are coordinating systems set up specifically to enable individual/group relations. The self-coordinating activity of organizations is usually ignored by measurements of organizational behavior. For instance, intercultural trainers commonly take the average of individual measurements of intercultural competence as representative of a group’s competence. This ignores all the synergistic effects of how individuals relate to groups, and it implies that individual qualities are directly causing the group behavior – a simplistic and incorrect assumption that is built into outmoded measurement methodology. A new instrument – the Intercultural Viability Indicator (tm) – updates the methodology by measuring the relationship between individual self-perception and group perception. The method, called quantum measurement, assumes that group-level intercultural competence is a function of how individual competence interacts with group coordination. With this method, the IVI is capable of accounting for both positive and negative group synergistic effects, as well as providing guidance about where development efforts could be best directed. Perhaps most importantly, the IVI can predict how well an organization might be in adapting to future changes in social conditions – its intercultural viability. This has important implications for how organizations deal with issues of both personal and structural prejudice. If you are interested in hearing more about this, join us on November 11th for a conversation on the “Re-imagining the Future of the Workplace: Constructing Interculturally Viable Organizations”
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Fenomenologia del Social, della Ferragni e della generazione boh
Chi ha grande (o piccola) popolarità nei social non si presenta per differenza, convince chi lo segue ponendosi come esempio vivente e trionfante del valore della media, della raggiungibilità, del “ti vedo, sei in casa mia, quasi ti tocco!”, tu sei io, io sono te. “Lo sapevo!”
Non provoca complessi di inferiorità, pur offrendosi come idolo, è popolare ma si offre nella sua mediocrità, nella sua quotidianità ancora meglio, nei suo difetti, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello, sul piano del riconoscimento visuale e verbale, ma anche sul piano etico, morale, intellettuale. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui/lei si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli / Ella dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti.
- E.E.
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coordinatore del Corso di Nuove Tecnologie dell’Arte Franz Iandolo
Ecco il suo indirizzo email [email protected], ma anche
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coordinatrice di Design della Comunicazione Enrica D’Aguanno [email protected]
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