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Quasi trent’anni
Il 20 luglio del 2001 avevo 8 anni. Il 15 ottobre del 2011 avevo 18 anni. Il 20 luglio del 2021 ho quasi trent’anni. Il 20 luglio del 2001 Genova ospitava, blindata, il G8. Vari movimenti manifestavano uniti contro la globalizzazione, per l’inclusione dei migranti e per l’abbattimento del debito. Il 15 ottobre del 2011 a Roma si manifestava per l’abbattimento del precariato, della disoccupazione, per la parità e per esternare indignati i disagi causati dalla crisi economica. Era solo il 2011 e da Genova erano passati 10 anni.
Il 20 luglio del 2001 avevo 8 anni ed ero in vacanza in montagna con la mia famiglia - mi racconta mia madre al telefono - “eri a farti prendere in giro da tuo fratello. Poi fortunatamente ti sei data una svegliata e hai cominciato tu con lui”. Il 20 luglio del 2001 mia madre e mio padre non mi trovavano, ero a giocare con altri bambini, incosciente di quello che stava succedendo a Genova. L’avrei capito? I miei genitori mi cercavano perché avevano saputo di quello che stava succedendo, volevano tenermi con loro e insieme a mio fratello rimanere aggiornati sulle evoluzioni delle manifestazioni. “Era sera, abbiamo acceso la televisione e abbiamo scoperto quello che era successo”, mi racconta mia mamma “eri piccola”. Avevo 8 anni e avevo ben chiaro che quello che stavo vedendo non era ciò che ci si aspetterebbe da un contesto in cui le persone esprimono il loro disaccordo. Avevo 8 anni e vedevo per la prima volta, fuori da un film, una pistola sparare, un uomo - Carlo Giuliani - a terra e il sangue su persone che non fossero attori. Avevo 8 anni, ero piccola, ma avevo capito. Solo oggi a distanza di 20 anni da quel giorno capisco il terrore nella voce di mio padre dove il 15 ottobre del 2011 al telefono mi pregava di tornare a casa. “C’è la guerra!! Torna immediatamente”. A distanza di 20 anni, confrontandomi con chi il 20 luglio del 2001 aveva 18 anni o poco più, capisco quella paura. Parlavo con una mia collega - lotto ancora contro il precariato nonostante io abbia un lavoro - la quale mi raccontava di suoi amici chiamati dai genitori che li pregavano di rientrare a casa. Il 15 ottobre del 2011 ricevevo da mio padre e da mio fratello la stessa telefonata ma non avevo capito a cosa facevano riferimento, perché fossero così spaventati, perché volevano che nonostante il caos che regnava nel quartiere San Giovanni di Roma, io dovessi superare a mio rischio e pericolo la rappresaglia urbana.
Il 15 ottobre del 2011 a Roma non c’era il G8, non ci sono stati morti ma a distanza di anni rileggo gli articoli, rivedo i servizi e tutti avevano paura che ricapitasse. Io ero troppo piccola per avere un ricordo lucido e collegare immediatamente la telefonata di mio padre a quello che, comprendendolo, aveva visto 10 anni prima in televisione, tenendomi stretta a sé e ringraziando che non fossimo lì. Il 15 ottobre ho conosciuto la violenza di chi non sa esprimere a parole il proprio dissenso, la violenza delle forze dell’ordine e il coraggio che ti prende per mano per salvarti la vita quando vedi una molotov pronta ad esplodere a meno di un metro da te. Il 15 ottobre del 2011 a Roma ho perso fiducia nelle forze dell’ordine. Ho ritrovato dopo una lunga lite il sostegno di un padre terrorizzato, ma ho perso ogni volontà di manifestare. Parlando oggi dicevo alla mia collega “se riuscissi ad eliminare dai ricordi le immagini di violenza alle cose e alle persone, tornerei immediatamente in piazza. Le ragioni ci sono, la coesione meno, ma ne varrebbe la pena”. Ma non riesco a dimenticare. Non riesco ad avere la nausea ogni volta che vedo immagini di guerriglia urbana per comunicare una manifestazione.
Tornerà il senso di rivalsa non violento? Sappiamo ancora cosa sono i diritti? Quali saranno le nostre prossime manifestazioni di dissenso? Mi dispiace papà se ti ho spaventato, ma se ne avessi il coraggio e non ne avessi memoria lo rifarei altre mille volte. Ho quasi trent’anni e oggi, informandomi scopro la paura di un padre e il coraggio di una madre.
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