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Rassegna stampa/web di Fotografia: agosto 2023
Cari Amici,
abbiamo appena completato la nostra Rassegna stampa/web dell’appena concluso mese di agosto, ottavo del nostro sedicesimo anno di vita, ed ora ve la inviamo come è nostra consuetudine: potrete infatti scaricarla usufruendo del seguente link (che sarà attivo sino al 3° novembre p.v.).
Rassegna Stampa/web di Fotografia – anno XVI n.8, agosto 2023
 Il mese di agosto di questo  turbolento 2023 è ormai terminato, l’estate sta per lasciarci, e da qualche giorno, dopo il caldo afoso che ci ha tormentato, si può finalmente godere un po’ di frescura che ci auguriamo continui così anche per un buon periodo prima dell’arrivo dei freddi mesi. Purtroppo quanto avviene in tante parti del globo, anche da noi troppo lontano, desta ancora preoccupazione e pertanto speriamo che almeno parte (tutti sarebbe purtroppo un’utopia!) di tali eventi abbia finalmente conclusione.
 Proseguiamo da parte nostra l’impegno che, sin dal lontano 2008 abbiamo assunto con la speranza che possiate trovare sempre sulle pagine di questo nostro sito e tra i nuovi articoli che abbiamo scritto o selezionato per voi in questa Rassegna, quache argomento che desti il vostro interesse ed offrirvi qualche ora di piacevole distensione: sarà per noi il miglior riconoscimento per il nostro lavoro.
 Con il nostro miglior auspicio per un buon ritorno ai normali quotidiani impegni, dopo una felice conclusione delle ferie estive, non può mancare anche il nostro più amichevole saluto.
                                                           La Redazione di FOTOPADOVA
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redazionefotopadova · 2 years
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La fotografia documentaria come forma d’arte (terza parte)
di Lorenzo Ranzato
 -- Due esperienze significative
del documentarismo fotografico negli Stati Uniti
 Introduzione
Alla fine del 1929, con il crollo della borsa di Wall Street, si apre il periodo della Grande Depressione che coinvolge le economie dell’intero pianeta. Negli Stati Uniti, dopo alcuni anni di profonda crisi, nel 1933 si registra una svolta con l’elezione del nuovo presidente Franklin D. Roosevelt, che per superare la crisi fra il 1933 e il 1937 adotta un programma di riforme economiche e sociali, più noto con il nome di New Deal. In questo clima, maturano due esperienze significative nell’ambito della fotografia americana, esperienze che nascono con finalità diverse, ma che saranno entrambe determinanti per l’affermazione dello stile documentario negli Stati Uniti: la breve avventura del Gruppo f/64, costituitosi nel 1932 e scioltosi nel 1935, e le campagne fotografiche avviate nel 1935 dalla Resettlement Administration e continuate dal Farm Security Administration project, a partire dall’anno 1937 sino al 1943.
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 1-Ansel Adams, Moonrise, Hernandez New Mexico, 1941
 I fotografi del Gruppo f/64
Il Gruppo f/64 è una libera associazione di fotografi californiani che si forma nel 1932, con lo scopo di promuovere lo stile purista della straight photography. Il nome del gruppo deriva dall'impostazione più piccola dell'apertura del diaframma nelle fotocamere di grande formato, con la quale si ottiene una notevole profondità di campo che si estende dal primo piano sino all’infinito. Originariamente il gruppo è composto da 11 membri: Ansel Adams, Imogene Cunningham, Edward Weston[1], Willard Van Dyke, Henry Swift, John Paul Edwards, Brett Weston, Consuelo Kanaga, Alma Lavenson, Sonya Noskowiak e Preston Holder.
La prima uscita collettiva avviene con la Mostra collettiva di 80 fotografie, inaugurata il 15 novembre del 1932 al M. H. de Young Memorial Museum di San Francisco. L’obiettivo del gruppo è quello di rappresentare il mondo “così com’è”: a questo proposito è utile ricordare l’affermazione di Weston secondo il quale "la macchina fotografica dovrebbe essere usata per registrare la vita, per rendere la sostanza stessa e la quintessenza della cosa stessa, sia che si tratti di acciaio lucido o di carne palpitante".
In questa visione si collocano i paesaggi di Ansel Adams realizzati all’interno del Parco Nazionale dello Yosemite.
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2-Adams, Yosemite falls e Yosemite point, 1932
 Le fotografie di Ansel Adams, che rappresentano la natura del West americano sono tra le immagini più conosciute al mondo. Fra le più famose è quella scattata nel 1942 nel nord-ovest del Wyoming: The Tetons and the Snake River.
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3-Adams, The Tetons and the Snake River, 1942
 Altrettanto significative sono le fotografie di botanica di Imogen Cunningham, esposte durante gli anni '30 in numerose mostre personali: con le sue immagini di piante e fiori riesce a trasmetterci la perfezione delle forme della natura e i suoi incredibili dettagli.
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4-Cunningham, a sinistra Agave Design, 1920; a destra: Mano e foglia di Voodoo Lily, 1972
 Edward Weston, fautore della fotografia diretta ha contribuito a consolidare il ruolo della fotografia come mezzo artistico moderno, influenzando un'intera generazione di fotografi americani. Weston inizia a fotografare nudi nei primi anni '20 e continua nei successivi vent'anni.
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5-Galleria con i temi più rappresentativi della fotografia di Weston
 Alla fine degli anni '20, si orienta verso la fotografia still life. Particolarmente conosciuta è la serie fotografica dei peperoni, fra i quali spicca l’immagine Pepper n. 30, che “viene spesso descritta come l’icona per eccellenza della natura morta modernista negli Stati Uniti”: “l’elegante profilo antropomorfo” ricorda le fotografie di nudo e “la superficie levigata, le forme arrotondate e i profondi punti d’ombra dell’oggetto” richiamano le sculture di Brancusi, anche se la critica contemporanea tende a vedere in queste immagini l’influenza di altri artisti europei, da Pablo Picasso ai surrealisti Joan Mirò e Jean Arp[2].
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6-Weston, Pepper No. 30, 1930
 Nel 1935, quando il gruppo si scioglierà e ogni fotografo andrà per la sua strada, la visione di questi fautori della fotografia diretta, che si era ormai affermata nel paese, andrà a influenzare il lavoro di altri fotografi americani, fra i quali Dorothea Lange e Walker Evans, che saranno impegnati all’interno dell’esperienza della Farm Security Administration (FSA).
Il “Farm Security Administration project”
Durante il periodo della Grande Depressione, uno dei settori maggiormente colpiti è stato quello agricolo, dove le condizioni di vita degli agricoltori e delle loro famiglie con il passar degli anni sono diventate sempre più critiche. Nell’ambito dei programmi di intervento statale del New Deal, finalizzati a dare assistenza al mondo agricolo, va ricordata l’istituzione dell’agenzia governativa Resettlement Administration (1935), trasformata nel 1937 in Farm Security Administration (FSA), attraverso la quale il governo americano incarica alcuni dei più importanti fotografi del tempo, per documentare il mondo rurale americano e le condizioni di vita della sua gente.
A capo del progetto - che ha forti connotazioni politiche e rimane attivo fino al 1943 - viene messo Roy Stryker, economista e assistente del più famoso Rexford Tugwell, consulente di Roosevelt. Stryker nel corso di otto anni riuscirà a realizzare “la collezione di foto di documentazione sociale più ricca di tutto il XX secolo”[3], costituita per lo più da fotografie in bianco e nero di grande potenza narrativa e che alla fine verrà trasferita alla Biblioteca del Congresso.
Stryker interpreta il suo mandato in maniera molto ampia, con l’obiettivo di “restituire un’immagine dell’America rurale alle soglie dell’età moderna, da trasmettere alle generazioni seguenti”[4] e a questo scopo ingaggia un nutrito gruppo di fotografi – più di 40 - che nel corso degli anni scatteranno migliaia di fotografie, fino al 1943. Fra questi ricordiamo: Arthur Rothstein, responsabile del laboratorio, Theodor Jung, Ben Shahn, Dorothea Lange e Walker Evans che si affermerà come uno dei fotografi più influenti del Novecento. A questo primo gruppo in seguito si uniranno, fra gli altri, Jack Delano, John Vachon e Gordon Parks.
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7- Fotografie di Arthur Rothstein
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8- Fotografie di Dorothea Lange
 I confini tra il lavoro dei fotografi della FSA, descritti come “sociologi con la macchina fotografica”, e il fotogiornalismo - che in quell’epoca iniziava ad affermarsi grazie alla nascita delle riviste illustrate come Fortune, Life e Look – sono piuttosto “fluidi”, soprattutto perché molte foto ciclicamente vengono pubblicate sulle riviste che erano in grado di raggiungere un pubblico molto vasto [5].
La differenza sostanziale riguarda “l’atteggiamento davanti al soggetto, la cosiddetta osservazione partecipante”[6]. “Malgrado un certo distacco artistico, questa tecnica dava luogo a una fotografia empatica che, invece di trasformare la situazione in un racconto di immagini confezionato, si concentrava sull’immediatezza e la drammaticità dell’immagine”[7].
La mancanza di spazio non ci consente di raccontare in modo esaustivo le vicende della FSA, che comunque va ricordata come “uno dei grandi progetti fondativi in cui la fotografia documentaria sociale sia stata adottata come metodo di ricerca sociologica”[8].
Per questo motivo, come approfondimento, suggeriamo il link alla Library of Congress[9], dove è possibile consultare la collezione fotografica FSA, completamente digitalizzata e resa disponibile al pubblico nella sua interezza.
Inoltre, consigliamo la lettura del libro già citato nelle note: New Deal Photography, USA 1935-1943, edito da Taschen, che raccoglie “una selezione rappresentativa” di stampe in bianco e nero e a colori del vasto archivio FSA.
Infine, rinviamo agli articoli di Paolo Felletti Spadazzi, presenti in questo stesso sito, per chi volesse avvicinarsi allo studio della complessa figura di Walker Evans, che già durante la turbolenta collaborazione con la FSA ha cercato di superare il tipico approccio del “documentario sociale”, riconoscibile nella fotografia di Dorotea Lange, per esplorare nuove forme di “fotografia documentaria poetica”, che cercherà di sviluppare nelle sue opere successive, proponendo lo stile documentario come possibile sintesi tra due tendenze antitetiche che contrappongono la “visione personale” alla “visione della società”[10].
 Appendice: il Sistema Zonale di Ansel Adams
Ansel Adams ha un ruolo importante nella storia della fotografia non solo per i suoi inimitabili paesaggi, ma anche per aver ideato il Sistema Zonale (Zone System), assieme al suo collega Fred Archer, fotografo noto per i suoi ritratti delle star del cinema di Hollywood. Il Sistema Zonale nasce negli anni ‘40, in funzione della fotografia analogica.
La scala tonale dei grigi presente in una scena fotografica (e quindi nella fotografia scattata) viene divisa in 11 parti, dette zone, che vanno dal bianco puro al nero assoluto. Ogni zona rappresenta un determinato tono di grigio. Questa suddivisione della scala continua in più gradini permette di riconoscere nella fotografia b/n 11 specifici livelli di grigio, che hanno una variazione di uno stop di luminosità dall’uno all’altro.
- La zona 0 e la zona 10 corrispondono rispettivamente al nero assoluto e al bianco assoluto (equivalenti al valore zero e al valore 255, oggi presenti nell’istogramma digitale). In entrambe le zone si ha una perdita di dettaglio, dovuta alla sottoesposizione o alla sovraesposizione;
- nelle zone 1 e 9 si registra un piccolo cambio di tonalità rispetto alla zona precedente, ma anche in questo caso la trama del soggetto non è distinguibile. Queste zone sono utili per marcare i punti di massimo contrasto dell'immagine;
- nelle zone 2 e 8 sono presenti le ombre profonde e le alte luci: si tratta di zone  fortemente sottoesposte o fortemente sovraesposte, ma che conservano un minimo dettaglio del soggetto;
- infine le zone 3, 4, 5, 6, 7 sono quelle che codificano i diversi livelli di grigi intermedi, più ricchi di dettagli che danno carattere alla fotografia.
La zona 5, che rappresenta il grigio medio, va considerata sotto il profilo operativo come la zona-base più significativa e centrale in termini esposimetrici della scena osservata, attorno alla quale impostare l’esposizione dell’immagine con una determinata coppia tempi/diaframma, in modo da “restituire, in accordo al concetto di ‘previsualizzazione’ (anch’esso adamsiano) la massima scala tonale dell’immagine, in grado di contenere sia i dettagli in ombra, sia quelli presenti sulle luci”*.
“La previsualizzazione è ciò che consente all’abilità del fotografo di far emergere, dal negativo prima, e dalla stampa poi, tutto il potenziale espressivo, in termini di ricchezza tonale, contenuto nell’immagine che il fotografo si accinge a riprendere”. Adams ritiene che: “visualizzare un’immagine […] consiste nell’immaginarla, ancor prima dell’esposizione, come una proiezione continua, dalla composizione dell’immagine fino alla stampa finale”.
* Luca Chistè, Ansel Adams e il Sistema Zonale analogico/digitale per la fotografia in bianco/nero,
in: http://www.cuneofotografia.it/pdf/RPSistemaZonale.pdf. Cfr. anche il manuale scritto da Ansel Adams: La fotocamera e Il negativo, Zanichelli, 1987.
 [1] Per un approfondimento su questi 3 importanti autori segnaliamo:
- Ansel Adams' 400 Photographs, 2004, (ed. inglese), che presenta una panoramica completa del suo lavoro;
- Imogen Cunningham – A retrospective di Paul Martineau, 2020, (ed. inglese) a cura del J. Paul Getty Museum;
- Edward Weston, 2020, (ed. inglese) che contiene le iconiche e classiche nature morte, i nudi e i paesaggi del fotografo.
 [2] Juliet Hacking (a cura di), Fotografia, la storia completa, Atlante, 2012, p.283.
 [3] Peter Walther (a cura di), New Deal Photography, USA 1935-1943, TASCHEN, 2016, p. 29.
 [4] Peter Walther, ibidem.
 [5] Peter Walther, p. 34.
 [6] Peter Walther, ibidem.
 [7] Peter Walther, ibidem.
 [8] David Bate, La fotografia d’arte, Einaudi, 2018, p. 106.
 [9] https://www.loc.gov/pictures/collection/fsa/.
 [10] David Bate, op. cit., pp. 107-08.
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redazionefotopadova · 2 years
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Dove vanno le fotografie?
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Dove va la fotografia? È la domanda che da tempo noi, sprovveduti amatori e ingenui amanti di questa “arte”, ci siamo fatti e continuiamo a farci, e sulla quale i nostri Soloni amano illuminarci con sapienti, profonde e immaginifiche dissertazioni, ogni volta che qualcosa di nuovo nelle funzionalità tecniche o nelle concezioni artistiche viene a turbare convinzioni assodate, usi affermati o legittimi interessi. Quando? Per esempio: quando l’arte concettuale ha scombussolati i principi estetici anche nella fotografia; quando il computer ha messo nelle mani dei “creativi” un nuovo attrezzo, permettendo loro di invadere il mondo della fotografia; quando il sensore digitale ha sterminati i laboratori di sviluppo e stampa; e nel presente, dacché il medesimo strumento ha reso smart tutto il mondo, oltretutto mettendo in affanni anche i più svelti fotogiornalisti. Ed è arduo immaginare che cosa ancora ci possiamo aspettare. [1]
Noi, nella nostra innocente ingenuità, brancoliamo disorientati fra miraggi ed incubi, e non sappiamo dove e a chi guardare per concretizzare una visione personale distinguendo fra innovatori, profeti e pataccari. Piuttosto che “dove va La Fotografia”, la domanda, forse la sola, alla quale possiamo cercare di darci risposta con un sforzo di ricerca personale non sovrumano è la seguente: dove vanno le fotografie? Cioè: dove possiamo indirizzare il nostro sguardo per informarci sullo stato attuale della fotografia? Dove andremo a cercare la fotografia viva e vitale in una propria autonomia, non come ancella subordinata alle varie altre forme della contemporaneità artistica? In che ambiente la fotografia e i suoi autori si confrontano con un mondo reale al di fuori di quello artificioso e circoscritto delle mostre e del mercato dell’Arte? Dove guadagnano il pane quotidiano i fotografi che nella loro professione tendono a esiti personali non banali e possibilmente nuovi?
Non è neppure da pensare alla televisione, che eroga le notizie a base di filmati (spesso di origine smart sistematicamente orientati in verticale, sovvertendo malamente l’orizzonte del nostro campo visuale). Quanto ai periodici di informazione: Time, Life e i loro omologhi europei e italiani, che commissionavano inchieste fotografiche al fior fiore dei fotografi internazionali, il loro tempo si è chiuso ormai da decenni. Ora l’offerta della stampa periodica del settore si è ridotta ai settimanali di gossip, stipati di falsi scoop realizzati colla complicità di soggetti caratterialmente smutandati (che d’altronde sono generosi di selfie in quello stile).
I libri fotografici? Molti fra quelli proposti ricordano quei volumetti di poesia che in altri tempi editori specializzati nel settore stampavano per aspiranti poeti disposti a pagare tutte le spese e a riempire la soffitta colle copie rimaste dopo la distribuzione a parenti e amici. E comunque sono rimasti un settore di nicchia, come erano già nel secolo scorso e forse ancora di più, visto che sui banchetti reali e virtuali le opere di fotografi “puri” (termine da prendere ormai in senso lato [2]) si mescolano a altre di “creativi” che combinano il pennello fotografico con altri mezzi collo scopo di produrre “arte” più o meno figurativa.
Le riviste fotografiche si sono da tempo assegnate la missione di svuotare i portafogli degli appassionati riempiendo le borse di costoro con nuove miracolose attrezzature. Le presentazioni di nuovi autori capaci di un impatto reale sono rare; le recensioni di nuovi libri, sempre encomiastiche, rischiano di gravare i nostri scaffali di pesi superflui.
Ma allora, dove cercheremo gli autentici fotografi “in marcia”? A chi stanno, questi altri, consegnando le loro fotografie?
Esiste forse un solo settore della stampa nel quale, senza infingimenti, il fine per il quale l’autore viene ingaggiato ed opera è palese e dichiarato: ed è il settore della moda (o fashion, per dirlo con eleganza). Un settore che già dalla prima metà del ‘900 è stato frequentato da autori che hanno innovato nella fotografia di moda e nello stesso tempo portato la fotografia d’arte verso storici progressi.
Già negli anni ’20 Man Ray a Parigi realizzava servizi fotografici per riviste di moda come Vogue e Vanity Fair e, dagli anni ’30 in poi, per l’americana  Harper’s Bazaar. Anche la sua opera più famosa, Noire et Blanche, fu pubblicata la prima volta su Vogue nel 1926. Nella seconda metà del XX secolo delle stesse riviste furono collaboratori fissi Helmut Newton e Richard Avedon.
Quelle riviste esistono ancora. Anzi, nel tempo hanno ampliato la loro diffusione, affiancando all’edizione madre versioni locali nelle lingue di vari paesi. Da noi, l’edizione nazionale del settimanale Vanity Fair arriva ogni giovedì in tutte le edicole. Negli articoli accompagnati da un servizio fotografico – praticamente tutti, salvo quelli delle rubriche fisse – viene indicato il nome del fotografo. I fotografi sono tutti professionisti con siti ben articolati e dettagliati. Se le immagini del servizio colpiscono per qualità e originalità, nulla di più semplice che approfondire la conoscenza dell’autore trasferendo in rete la ricerca. Operazione meno dispendiosa di tempo, danaro e fatica di qualsiasi altra ricerca. Si troveranno “mostri sacri” affermatisi nello scorcio del vecchio millennio e ancora attivi; ma molto più spesso si noteranno giovani innovativi e/o rampanti. [3]
Nella prima categoria, troveremo per esempio l’inventivo fotografo e cineasta britannico Nick Knight (https.//www.nikknight.com), del quale avremo forse già presente l’icona della cantante/modella Bjork acconciata alla giapponese e coll’occhio sinistro completamente opacizzato (nella stampa!) da una vernice celeste. Nel 2021 le sue immagini per “Dom Pèrignon x LADY GAGA” Champagne Rosé Millesimato Limited Edition [4] hanno invaso sia le pagine dei servizi che quelle della pubblicità, invitandoci a rivisitare il suo costante rapporto artistico colla cantante, attrice e modella, e a constatare la perdurante vitalità della sua opera.
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       Nick Knight, Pubblicità per per “Dom Pèrignon x LADY GAGA”, 2021.
A fare da legame fra i mostri sacri e gli autori affermati di recente, servirà il giovane Victor Lemarchelier, figlio dell’autore dei Calendari Pirelli 2005 e 2008 Patrick Lemarchelier (1945 – marzo 2022). Una sua nota personale sembra l’accoppiamento di immagini colla modella en mise e la stessa “senza mise” (ma qualcosa del genere non l’aveva già fatto qualcun altro?).
Si troveranno spesso servizi e copertine di Gianluca Saragò con ritratti di “personalità” mondane, il suo settore di specializzazione. Il suo sito (http://www.gianlucasarago.com, Celebrities) immergerà il lettore nella più vivace attualitè, stuzzicandolo a far scorrere sullo schermo qualcuno dei molti servizi completamente dettagliati: su Belen (nozze con Stefano De Martino, i due nell’intimità, lei in attesa di Santiago, frutto del loro amore), su Michelle Hunziker, su Luciano Ligabue [5] e così via.
L’incontro certamente più inaspettato avverrà con articoli di Vanity Fair Italia o Vogue Sposa recanti l’intestazione “foto Gabriele Basilico”. Si imparerà che dal 2015 collabora con queste riviste un Wedding Photographer,  dallo stile Young, Fresh and Dynamic, [6] che condivide nome e cognome col grande fotografo scomparso recentemente.
Non dovrebbe sorprendere l’ampia presenza di fotografe fra i collaboratori fissi più apprezzabili. A cominciare da quella che viene comunemente definita “la più grande ritrattista del mondo”, Annie Leibovitz. La sua fama, nata sul mensile   Rolling Stone, “la Bibbia della cultura Pop”, si è consolidata proprio sulle riviste nostro oggetto - per essere infine consacrata nei ritratti ufficiali di Elisabetta II e della famiglia reale, nei quali l’autrice ha rafforzato la tendenziale tetraggine dei suoi colori.
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        Annie Leibovitz, foto per Vogue
Fra le autrici della Generazione Y [7], spicca la danese Signe Vilstrup, che lavora in questo settore  dal 2002. I suoi servizi per e con Monica Bellucci (visitabili nel sito dell’agenzia che la rappresenta [8], in quello di Dolce e Gabbana e nell’archivio di Vanity Fair [vedere: Vanity Fair archives Signe Vilstrup]) spiccano fra quelli dei tanti fotografi per i quali l’attrice si è prestata come modella.
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       Monica Bellucci by Signe Vilstrup, 2012.
L’italiana Nima Benati, ora poco più che trentenne, potrà sorprendere col suo servizio ispirato (ma senza piaggieria) a Rubens, commissionato da Dolce e Gabbana [9]. Da un lato, è una significativa dissociazione dalle apoteosi dell’anoressia delle correnti sfilate di moda. Da un altro, è molto più nuovo e convincente dei tentativi pretenziosi, ma ridicoli nei risultati, di rifare fotograficamente gli interni di Veermer. [10]
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       Nima Benati- Sin.: Copertina per Vanity Fair. Ds. Pubblicità per Dolce e Gabbana.
In conclusione, ci permettiamo un facile suggerimento agli amatori curiosi di verificare dove stanno andando le fotografie. Ai Signori. Regalate alle vostre mogli, compagne o amichette un abbonamento a Vanity Fair Italia (settimanale) o a Vogue Italia (mensile) o a Harper's Bazaar Italia (solo in edizione digitale), o a altri periodici del rango “alto” del settore. [11] Non fatevi scappare l’occasione di accedervi, chiedendo di non buttare nei rifiuti i numeri già letti, o prelevandoli direttamente dalla pila nei pressi del WC, tradizionale santuario della lettura: tanto, per il nostro scopo, non invecchiano. Alle Signore appassionate all’immagine fotografica. Fatevi regalare l’abbonamento dal vostro marito, compagno, fidanzato o amichetto: ne trarrete doppia soddisfazione, per gli interessi femminili e per la cultura. Per gli uni e le Altre. Sfogliate le riviste accanto al PC, soffermatevi sugli articoli in cui è indicato il nome del fotografo e, dove le immagini vi intrigano, digitate Nome, Cognome, Fotografo (o Photographer), Almeno uno dei siti di volta in volta scaturiti sarà ricco di notizie e di immagini. Buon divertimento.
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Avvertenza. La fotografia del titolo è stata “prelevata” dal sito http://www.danjacksonphoto.com/,  una delle scoperte più interessanti di questa informale indagine. Si ringrazia l’inconsapevole ma brillante e versatile autore.
[1] Intervista a Frédo Durand, Réponses Photo N° 348, Aprile 2022.
[2] Rinunciando forzatamente all’integralismo della autentica “vera fotografia” che ormai esiste solo presso Gianni Berengo Gardin. In cuor nostro Santo, anzi Santo Subito, poiché per un comune mortale, seppur devotissimo alla fotografia, resistere alla tentazione di un ritocco digitale è un atto di eroica religiosità.
[3] Le nostre fonti sono state Vanity Fair Italia, settimanale, abitualmente disponibile in casa, e qualche numero occasionale di Vogue Italia, mensile. Purtroppo le immagini pubblicitarie, che coprono la gran parte delle pagine di queste riviste e talvolta sono di grande effetto, non portano mai il nome degli autori, raramente quello dell’agenzia. Qualche risultato si è ottenuto ricorrendo al sito della maison.
[4]https://images.squarespace-cdn.com/content/v1/5c7d2067b2cf79edfe1a3a2a/1551714272998-XQ4AM6EOE2X5QEUJYC37/nk-65_v10-1_1100x0.1100x0.jpg
[5]http://www.gianlucasarago.com/PANNELLO/IMAGES/PRESS/COVERS/bd558875efa23a9307d1061d4806c6c7.1_mini.jpg
[6] http://www.gabrielebasilico.com/about/;
[7] La prima “generazione digitale”, di nati prima del 2000, i primi a formarsi  già sul digitale, per i quali è stata istituita la denominazione Millennials (che viene usata erroneamente per i nati dal 2000 in poi).
[8] https://www.studiorepossi.com/photographers/signe-vilstrup/
https://attheloft.typepad.com/.a/6a00e54ecca8b988330168eac81bce970c-650wi
  Click su: Vanity Fair archives Signe Vilstrup  
[9] Si deve riconoscere che, fin dai tempi del servizio con Marpessa commissionato a Scianna, questi imprenditori della moda stanno lasciando una traccia nella spinta al rinnovamento della fotografia italiana non solo in questo settore.
[10] https://www.fotopadova.org/post/632851203594862592
[11] Sfortunatamente, nessuno dei loro editori remunera Fotopadova per
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Rassegna stampa/web di Fotografia, anno XV n.01 (gennaio 2022)
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Cari Amici,
abbiamo completato la nostra Rassegna stampa/web dell’appena concluso mese di gennaio, prima uscita del nostro quindicesimo anno di vita: dalle tre pagine del gennaio 2008 siamo arrivati alle 114 di questo nuovo numero che potrete pertanto scaricare con il seguente link (che sarà attivo sino al prossimo 31 marzo)!
Rassegna Stampa/web di Fotografia – anno XV n.01, gennaio 2022
Abbiamo, all’inizio del nostro lungo percorso, dato spazio a quanto veniva scritto sulla fotografia italiana su periodi e riviste nazionali per poi allargarci a quelli trovati sul web sino a riportare attualmente, in traduzione, anche notizie e recensioni su eventi fotografici di altre parti del mondo.
Con questo riteniamo anche di esservi stati ancor più vicini negli ultimi due anni per darvi la possibilità di, mancando quello fisico a causa della calamità che ci ha colpito, rimanere in maggior contatto tra di noi e con la passione che condividiamo.
Vi siamo sempre grati per il vostro apprezzamento e fedeltà e cogliamo l’occasione per auspicare che possiate nel proseguo dedicarvi con tranquillità alle vostre occupazioni quotidiane sperando nel contempo che la calamità, che ci ha continuato a minacciare per tanti mesi, si allontani sempre più e che cessino le preoccupazioni che la stessa ha con sé portato.
Con i nostri amichevoli e più cordiali saluti!      
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            La Redazione di FOTOPADOVA
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Paul Strand - Cesare Zavattini, UN PAESE, Einaudi 2021 - e sulle riedizioni dei fotolibri.
di Giampaolo Romagnosi - mignon
 Come in certi film ci togliamo subito il peso e riveliamo il finale della storia: la recente riedizione di uno dei libri più importanti della fotografia del secolo scorso, e nello specifico del libro fotografico “UN PAESE”, è stampata male.
Non basta aspettarsi che con un prezzo di copertina di 40 euro sarebbe normale pretendere una qualità migliore - i neri sono grigi, i bianchi sono grigi e il risultato è grigio - e nemmeno che stampando, anche in monocromia, con una carta a dominante calda il risultato sarebbe stato decisamente più vicino all'originale. C'è dell'altro.
Stiamo parlando di PAUL STRAND, non sto nemmeno a spiegarvi chi è, perché, o lo sapete già, o andate subito a studiarvelo perché senza di Lui vi manca una delle parti più importanti della storia della fotografia.
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Ecco; non posso credere che chi ha curato la riedizione di questo capolavoro conosca davvero Paul Strand, perché a questo punto è una questione di rispetto.
Eppure proprio su questo libro sono state fatte diverse mostre e soprattutto due importanti pubblicazioni: nel 2005 in occasione del cinquantesimo della prima edizione:
Paul Strand - Cesare Zavattini: Lettere e immagini, a cura di Elena Gualtieri, Edizioni Bora 2005, e più recentemente:
Paul Strand e Cesare Zavattini, Un paese. La storia e l’eredità, a cura di Laura Gasparini e Alberto Ferraboschi, Silvana Editoriale 2017.
É sufficiente leggere uno dei due per capire come sono andati i fatti e che cosa significasse produrre un libro per il maestro americano.
Paul Strand nel 1952 ha dato alle stampe con La Guilde du Livre di Losanna il suo La France de Profil con i testi di Claude Roy; in Italia un libro fotografico di questo tipo non è ancora stato fatto; un'alternanza di testi e immagini che, nell'insieme ben curato nella grafica e con un'ottima stampa delle fotografie, creano un oggetto di vero pregio.
In confronto con i due libri di Cartier Bresson, quasi dei cataloghi, usciti in Italia nel 1954 (uno su MOSCA e l'altro sulla CINA) e del più rivoluzionario e moderno “New York” di William Klein che uscirà nel 1957 quello di Paul Strand appare da subito come un “Classico”.
Forte del tramite di Cesare Zavattini, intermediario per la casa editrice, Strand avanza da subito pretese e divieti che non sono senz'altro piaciuti alla controparte e su tutte la richiesta tassativa di una stampa eccellente tanto che: “... Strand si impunta con Bollati perché non desidera che il fotolibro entri nella collana di “Italia mia” ed Einaudi chiede a Zavattini di mediare. Zavattini si reca perciò a Parigi per convincerlo, ma lo trova irremovibile perché teme che il resto dei libri della collana siano meno belli rispetto al Suo. Poi affronta gli aspetti pratici per la realizzazione “circa l’impostazione tecnica e il procedimento fotografico, abbiamo assicurato Strand che studieremo i sistemi migliori affidandoci eventualmente a tecnici di sua e nostra fiducia“.
“Nel frattempo Strand lavora con Bollati e soprattutto con Oreste Molina, il direttore tecnico e il grafico della casa editrice Einaudi, con il quale affronta i numerosi aspetti della realizzazione del fotolibro, come la scelta e il reperimento della carta, la tipologia della stessa e la stampa in heliogravure che, come è noto, fu affidata alla Amilcare Pizzi di Cinisello Balsamo. E' probabilmente la prima volta che la casa editrice torinese abbandona la stamperia di Carlo Frassinelli per un altro stampatore di cui Strand pare contento.” (Pagina 18: Paul Strand e Cesare Zavattini, Un paese. La storia e l’eredità, a cura di Laura Gasparini e Alberto Ferraboschi, Silvana Editoriale 2017).
A peggiorare la situazione c'è un altro fattore determinante: fin dal principio e per anni dopo la pubblicazione del libro Strand cerca in tutti i modi di ottenere delle edizioni in altre lingue senza incontrare da parte di Einaudi alcun tipo di appoggio e collaborazione tanto che, dopo l'ennesima richiesta di aiuto, nel salutare l'amico Zavattini con cui è rimasto sempre in rapporti cordiali in una lettera del 1958 scriverà: “...Penso che non si possa contare su Einaudi, proprio per niente. Con calorosi saluti Paul e Hazel Strand”.
A ribadire il suo netto rifiuto ai compromessi sulla qualità di riproduzione delle sue fotografie negherà nei primi anni '70 all'amico Zavattini d'accordo con l'editore Einaudi la ristampa di UN PAESE come edizione economica.
Bisogna aspettare il 1997 con la collaborazione fra ALINARI e APERTURE per avere la prima ristampa italiana e la prima edizione in lingua inglese.
In merito a questa nuova edizione Elizabeth Shannon nel bel saggio “Produrre qualcosa di semplice è un lavoro complesso: il design grafico di Un Paese” del libro già citato “La storia e L'eredità” dice: “...Il carattere riflessivo e l’efficacia del design grafico e del layout della prima edizione di Un Paese si evidenzia chiaramente attraverso il confronto con l’edizione del 1997. Sebbene strettamente basato sull’originale, ci sono piccoli cambiamenti stilistici che indeboliscono gran parte della sottile efficacia dell’edizione del 1955. La decisione di privilegiare la leggibilità rispetto alla novità e alla sperimentazione ha fatto sì che l’età della prima edizione emerga dalla carta scolorita, dalle dentellature dettate dalla ormai obsoleta tecnica di stampa delle immagini, e dalle macchine a inchiostro, a rotocalco, anziché dal design della pubblicazione.”
Anche se queste osservazioni corrispondono al vero va riconosciuto che la qualità della stampa e la raffinata veste editoriale rendono questa edizione un prodotto di tutto rispetto. L'edizione Einaudi del 2021 nelle note dice di rifarsi all'edizione Aperture del 1997 ma anche in questo caso i testi sono stati rifatti e per dimensioni e grafica sono molto più fedeli a quelli della prima edizione. Peccato per la stampa! Eppure in Italia sono presenti i migliori stampatori di libri fotografici al mondo. C'è un editore tedesco, STEIDL, famoso non solo per i suoi curatissimi libri, ma anche per il fatto che se li stampa da sé, cosa niente affatto scontata; quasi tutti gli altri editori di libri fotografici si affidano per prodotti di qualità a stampatori specializzati che si trovano in tantissimi posti ma soprattutto in Italia e che negli ultimi trent'anni hanno sicuramente tolto fette di mercato importanti ai più famosi stampatori svizzeri e americani.
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In alto Einaudi, 2021 - In mezzo Alinari, 1997 - In basso Einaudi, 1955
A proposito di ristampe, e solo per fare alcuni nomi che mi vengono in mente, la Trifolio di Verona che nel 2012 cura per il MoMA di New York la pregevolissima ristampa di “American Photographs” (1938) di Walker Evans e nel 2003 per la St. Ann's Press ripubblica in una versione aggiornata il classico di Bruce Davidson East 100th Streett (1969) oggi molto più quotata e ricercata della versione originale, non solo per le fotografie aggiunte alla edizione precedente ma per la qualità di riproduzione allo stato dell'arte.
L'editore Damiani di Bologna ha recentemente ripubblicato per conto dell'ICP di New York due classici della storia della fotografia: Naked City (1945) di Weegge e Death in the Making (1938) di Robert Capa.
La stessa Amilcare Pizzi che ha dato alle stampe l'edizione originale di UN PAESE si è sempre distinta per la pregevolezza delle proprie produzioni, come anche la Stamperia Valdonega di Verona, la Biblos di Cittadella o le Grafiche Antiga di Treviso, e dalla Sicilia al Piemonte moltissime altre.
Un caso del tutto particolare è senz'altro la EBS dei fratelli Bortolazzi di Verona che annovera fra i suoi clienti i migliori musei del mondo fra i quali: MoMA, Metropolitan, Yale, Getty, Jeu de Paume, Maison Europèenne de la Photographie, ecc... e i migliori editori nel campo della fotografia: Aperture, Taschen, Mack, Thames & Hudson, Xavier Barrall, Contrasto, Postcart, ecc...
Quando a metà degli anni '90 ci si trovava con il gruppo mignon nello studio di Giovanni Umicini, e tramite lui si ordinavano i libri alla “A Photographer's Place” di New York, restavamo piuttosto basiti che quasi tutti fossero stampati in Italia e spesso dalla EBS. Un giorno mentre si parlava di libri stampati bene Umicini ci fece vedere il libro PAUL STRAND: AN AMERICAN VISION di Sarah Greenough (Aperture 1990) dove alla fine più o meno è scritta questa cosa: ”Le stampe per questo libro sono state fatte usando i negativi e le stampe originali di Paul Strand. Dove possibile abbiamo mantenuto le stesse dimensioni delle stampe originali a contatto. Questo lavoro è stato possibile grazie ad un sistema a sei colori in stampa offset. Usando varie combinazioni abbiamo cercato di ottenere delle riproduzioni il più fedele possibile con gli originali.” Questo è il rispetto che merita un grande maestro. STOP.
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redazionefotopadova · 3 years
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Vite e resilienza dell'immagine
di Sophie Bernard da https://www.blind-magazine.com/ (trad. G.Millozzi)
 --- Esplorando il concetto di riproduzione, la mostra “L'immagine e il suo doppio” al Centre Pompidou di Parigi, presenta una sessantina di opere moderne e contemporanee della collezione del Museo: quando l'immagine esce dai sentieri battuti.
La fotografia si distingue da molte altre discipline artistiche per la sua riproducibilità. Questa proprietà è il punto di partenza della mostra “L'immagine e il suo doppio” allestita presso la Galerie de Photographies del Centre Pompidou. Comprende una sessantina di opere della collezione del Musée National d'Art Moderne. Divisa in tre sezioni, "La grammatica del doppio", "La copia imperfetta" e "Possedere il reale", la mostra riunisce una ventina di artisti internazionali, passati e presenti, che affrontano l'argomento da più angolazioni.
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Sara Cwynar, Girl from Contact Sheet II, 2013 © droits réservés/Photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI/Audrey Laurans/Dist. RMN-GP
 La visita inizia con un ritratto  eseguito da Man Ray nel 1937 che rappresenta il mecenate Edward James che nasconde il suo volto con una stampa fotografica dello stesso suo volto. Uno sgarbo per cominciare, dunque, che pone l'idea del doppio al centro dell'immagine. Questo principio di ripetizione è applicato in modi diversi in due opere di Pierre Boucher del 1935 e del 1942. Da un lato, attraverso il collage di un ritratto di un bambino il cui volto è moltiplicato trenta volte, intero o in frammenti. Dall'altro tramite un'immagine che rappresenta una mano e la sua ombra. 
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Man Ray, Edward James , 1937 © Man Ray Trust / Adagp, Paris, 2021 © Centre Pompidou, MNAM-CCI / Service de la docum. photographique du MNAM / Dist. NMR-GP
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Pierre Boucher, Ritratti di bambini , 1935 circa © Collezione Pierre Boucher / Foto © Centre Pompidou, MNAM-CCI / Audrey Laurans / Dist. NMR-GP
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Pierre Boucher, La mano e la sua ombra sulla sabbia , 1942 © Pierre Boucher Fund / Foto © Centre Pompidou, MNAM-CCI / Philippe Migeat / Dist. GP-NMR
 La seconda parte della mostra riunisce artisti che utilizzano strumenti insoliti come la fotocopiatrice. Già nel 1967 Timm Ulrichs giocò infatti la carta dell'umorismo proponendo un'opera così titolata: “ Walter Benjamin . L'opera d'arte nell'era della sua riproducibilità tecnica. Interpretazione di Timm Ulrichs : La fotocopia della fotocopia della fotocopia della fotocopia ”. Si tratta di una raccolta di 100 fotocopie, il cui contenuto è sempre meno identificabile man mano che il processo procede. Timm Ulrichs risponde così a modo suo a Walter Benjamin che, nella sua celebre opera pubblicata nel 1936, mette in discussione lo status dell'opera d'arte che, secondo lui, perde la sua “aura” quando è riproducibile. 
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 Timm Ulrichs, Walter Benjamin. L'opera d'arte nell'era della sua riproducibilità tecnica. Interpretazione di Timm Ulrichs: La fotocopia della fotocopia della fotocopia della fotocopia , 1967 © Adagp, Paris, 2021 / Foto © Centre Pompidou, MNAM-CCI / Philippe Migeat / Dist. NMR-GP
 A sua volta, nel 1974, la francese Nicole Metayer appoggiò il viso sul vetro della fotocopiatrice per una sorprendente serie di autoritratti e nel 1991, l'italiano Bruno Munari giocò con le funzioni di questo strumento di automazione d'ufficio per ottenere quelli che affermava essere originali, e non copie, poiché l'alterazione dell'immagine ottenuta è ogni volta diversa, quindi unica. 
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 Bruno Munari, Xerografia originale , 1991 © diritti riservati / Foto © Centre Pompidou, MNAM-CCI / Audrey Laurans / Dist. NMR-GP
 Un'altra sorprendente "fotocamera" è lo scanner. L'americana Pati Hill l’ha utilizzato dalla fine degli anni '70 per realizzare nature morte, scansionando direttamente gli oggetti. Se questo genere artistico è un classico nella storia dell'arte, lei ha optato invece per oggetti ordinari: derrate alimentari, audiocassette e altri contenitori di plastica.
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Vista della mostra, al centro: Lossless Compressions di Philipp Goldbach © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Hélène Mauri
 Intitolata “Possedere il reale”, l'ultima parte della mostra guarda al modo in cui la fotografia è parte del reale e si diffonde. Illustrazione con la monumentale installazione di Philipp Goldbach intitolata “Lossless Compressions” composta da 200.000 diapositive impilate e disposte l'una contro l'altra. Qui, è l'oggetto della diapositiva che fa il lavoro e non le immagini poiché lo spettatore non può vederle. Risalente al 2013-2017, questo lavoro è una riflessione sulla nozione di riciclo e obsolescenza. Per quanto riguarda il contenuto di queste diapositive, questo è stato digitalizzato ed è quindi accessibile in modo diverso dal supporto originale.
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Éric Rondepierre, Loupe / Dormeur Livre 8, 1999-2003 © Adagp, Paris, 2021/Photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI/Georges Meguerditchian/Dist. RMN-GP
 Infine, dobbiamo citare The Life of an Image (2018), un'installazione di Susan Meiselas  intorno alla sua famosa immagine Molotov Man prodotta in Nicaragua nel 1979. Dall'originale, in provino a contatto, diapositiva e stampa, ai suoi avatar - disegnati sui muri o stampato su una t-shirt - attraverso la pubblicazione su riviste o come poster, misuriamo il suo status iconico. Questa è l'ennesima prova che un'immagine può avere molte vite
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Sophie Bernard è una giornalista specializzata in fotografia, collaboratrice per La Gazette de Drouot e Le Quotidien de l'Art, curatrice e insegnante presso l'EFET di Parigi.
 "L'immagine e il suo doppio" . Galleria fotografica del Centro Pompidou.
Dal 15 settembre al 13 dicembre 2021.
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redazionefotopadova · 3 years
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Rassegna stampa/web di Fotografia, anno XIV n.8 (agosto 2021)
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                        Ritenendo possa esservi gradita vi riportiamo qui di seguito il link tramite il quale potrete scaricate (sino al 31 agosto c.a.) la nostra Rassegna relativa ad articoli da noi selezionati tra quelli apparsi il trascorso mese sulla stampa e sul web:
Rassegna Stampa/web di Fotografia – anno XIV n.8, agosto 2021
 Vi siamo sempre grati per il vostro apprezzamento e fedeltà e cogliamo l’occasione per auspicare che possiate in perfetta salute riprendere, trascorse le ferie estive, con tranquillità e fiducia le vostre occupazioni quotidiane, nella speranza che la calamità che ci ha minacciato per tanti mesi stia veramente per lasciarci e che rimanga per noi e per i nostri cari solo un triste ricordo.
Con i nostri più cordiali amichevoli saluti                                                                                                                                                                                                                                                                 La Redazione di FOTOPADOVA
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redazionefotopadova · 3 years
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Un minuto di New York: street photography, 1920–1950
da https://www.clevelandart.org (trad. G.Millozzi)
  -- La fotografia di strada, immagini spontanee della vita quotidiana catturate in luoghi pubblici, è esplosa a New York durante la prima metà del XX secolo.
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-Family in Front of Synagogue, Pitt St., Lower East Side, NY, 1938 (printed later) - © Walter Rosenblum (American, 1919-2006)
Questo giovane genere di fotografia era l'erede della tradizione leggermente precedente del realismo urbano nella pittura e nella stampa, come si vede nella mostra complementare Ashcan School Prints and the American City, 1900-1940, in mostra nella James and Hanna Bartlett Prints and Drawings Gallery dal 17 luglio al 26 dicembre 2021. Entrambi i movimenti si sono rivolti alle rappresentazioni delle attività quotidiane degli abitanti delle città per esplorare i radicali cambiamenti demografici, sociali ed economici che stavano trasformando la città.
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 - Group in Front of Fence, Pitt Street, Lower East Side, NY,1938 (printed later)  © Walter Rosenblum (American, 1919-2006)
Gli intrattenimenti abbondavano sotto forma di film, teatri, luna-park e le attrazioni di Coney Island. Le vetrine dei negozi e le locandine dei film offrivano allettanti visioni di abbondanza e di eleganza sofisticata. Ma quelli erano sogni piuttosto che realtà per la maggior parte dei residenti, in particolare per gli immigrati dall'Europa, da Porto Rico e dai paesi dell'America Latina e dai neri americani che erano stati attori della Grande Migrazione. Affollate in minuscoli appartamenti, le loro famiglie hanno trasformato verande, marciapiedi, parchi e spiagge nei loro soggiorni.
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 - Subway Portrait 1938-1941 © Walker Evans (American, 1903-1975)
I fotografi di strada erano guardoni, catturando momenti privati ​​che si verificavano negli spazi pubblici. Alcuni avevano motivi nobili. Le immagini dei membri della Photo League, che includevano Walter Rosenblum, Lisette Model e Leon Levinstein, testimoniano i divertimenti e le lotte dell'uomo e della donna comuni. Walker Evans e Helen Levitt hanno realizzato le loro immagini esposte in questa mostra come opere d'arte personali. Louis Faurer e Lloyd Ullberg hanno lavorato per delle riviste. In questa mostra, ci sono diversi esempi di lavoro di fotografi come James Van Der Zee, Roy DeCarava, Arnold Genthe e Ralph Steiner che hanno ritratti dei quali ancor oggi si riconosce la validità.
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- Fashion Show, Hotel Pierre, New York City, 1940  © Lisette Model (American, 1901-1983)
Che siano create per un incarico, come espressione personale o per sostenere il cambiamento della società, le immagini di questa mostra, tratte interamente dalla collezione del museo, forniscono una macchina del tempo che ci permette di vivere uno spaccato di vita a New York  di un secolo fa.
Tutte le mostre al Cleveland Museum of Art sono patrocinate dal CMA Fund for Exhibitions. Il principale sostegno annuale è fornito da Bill e Joyce Litzler, con generosi finanziamenti annuali da Mr. e Mrs. Walter R. Chapman Jr., del Jeffery Wallace Ellis Trust in memoria di Lloyd H. Ellis Jr., Janice Hammond e Edward Hemmelgarn, Ms. Arlene Monroe Holden, Eva e Rudolf Linnebach, William S. e Margaret F. Lipscomb, Tim O'Brien e Breck Platner, dal Womens Council del Cleveland Museum of Art e da Claudia Woods e David Osage.
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- Three Children on Swings, Pitt Street, New York 1950  © Walter Rosenblum  (American, 1919-2006)
Il Cleveland Museum of Art è finanziato in parte dai residenti della contea di Cuyahoga attraverso una sovvenzione pubblica di Cuyahoga Arts & Culture.
Questa mostra è stata sostenuta in parte dall'Ohio Arts Council, che riceve il sostegno dello Stato dell'Ohio e del National Endowment for the Arts.
---per altre immagini: link
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Dal 10 luglio al 7 novembre 2021
Cleveleland Museum of Art
Galleria fotografica di Mark Schwartz e Bettina Katz, Galleria 230
11150 East Boulevard Cleveland, Ohio 44106
216-421-7350888-cma-0033
 Ingresso generale gratuito – le mostre speciali possono essere a pagamento
Orari: martedì, giovedì, sabato e domenica 10.00-17.00; mercoledì e venerdì 10.00-21.00; chiuso il lunedì.
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redazionefotopadova · 3 years
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La fotografia come forma d’arte (quarta parte)
 di Lorenzo Ranzato
I territori del “fotografico”: pittorialismo, documentarismo, concettualismo
Il riconoscimento della fotografia pittorialista come forma d’arte
La rapida carrellata storica che abbiamo compiuto, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento sino alla chiusura della rivista Camera Work nel 1917, ci ha consentito di tracciare una panoramica del pittorialismo europeo e statunitense, ma soprattutto di conoscere metodi e stili di alcuni dei suoi più autorevoli rappresentanti, i cosiddetti artisti-fotografi. In questo modo, abbiamo potuto comprendere come il pittorialismo sia stato non solo “un’insieme piuttosto eterogeneo di idee su ciò che rende buona una fotografia d’arte”[i], ma sia diventato anche il primo vasto movimento fotografico internazionale, che si è guadagnato un proprio spazio di autonomia fra le arti maggiori.
A questo successo hanno contribuito senza dubbio le esperienze dei pittorialisti europei, ma un impulso determinante è stato dato dal movimento Photo-Secession (Edward Steichen, Clearence White, Käsebier, Frank Eugene, F. Holland Day e Alvin Langdon Coburn) e soprattutto dal loro più autorevole rappresentante, Alfred Stieglitz. Lo stanno a confermare le iniziative portate avanti dallo stesso Stieglitz, sia con la pubblicazione di Camera Work, sia con le diverse mostre realizzate, fra le quali spicca l’International Exhibition of Pictorial photography tenuta a Buffalo nel 1910, che segna il punto più alto dell’esperienza pittorialista europea e statunitense.
Negli anni successivi alla mostra di Buffalo il movimento Photo-Secession perde coesione, anche a causa dei modi autoritari di Stieglitz e - complice anche l’avvento della Prima Guerra Mondiale - conclude la sua parabola nel 1917, quando Stieglitz scioglie il movimento e chiude la rivista Camera Work.
 Purismo fotografico vs. pittorialismo
Il riconoscimento artistico della fotografia pittorialista rappresenta indubbiamente il più grande risultato ottenuto da Stieglitz e dal suo gruppo, ma all’interno di questo variegato movimento internazionale restano ancora molte questioni aperte, che ruotano prevalentemente attorno all’irrisolto rapporto fra pittura e fotografia, che ora bisognerà nuovamente affrontare.
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 Paul Strand, Astraction-porch shadows, Connecticut, 1916
 Dobbiamo fare riferimento ancora alla figura di Stieglitz che, attratto dal nuovo linguaggio fotografico di Paul Strand che incarna i nuovi principi della “fotografia pura”, pubblica le sue fotografie negli ultimi due numeri di Camera Work: nelle opere di Strand vede “una versione fotografica dell’astrazione pittorica” tipica dei dipinti di Picasso e che ora ritrova “nella sua prima passione, la fotografia”[ii]. Non dimentichiamo che sarà lo stesso Stieglitz a ospitare e a far conoscere le nuove tendenze dell’avanguardia artistica europea proprio a New York presso la Galleria 291, con mostre dedicate a Matisse, Cézanne, Picasso, Rodin.
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 Alfred Stieglitz, The Steerage, Il ponte di terza classe, 1907-1911
 Già da queste brevi considerazioni, possiamo intuire come nei primi decenni del Novecento si radicalizzi una nuova contrapposizione fra linguaggi fotografici che - come ci racconta Luigi Marra nel suo libro, più volte citato Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre) - sembrano apparentemente diversi: da un lato il purismo della cosiddetta “fotografia diretta” (straight photography), dall’altro il consolidato filone del pittorialismo fotografico, che in diversi modi continua a imitare la pittura impressionista.
Per rappresentare questo cambiamento di linguaggio inaugurato da Strand, si ricorre anche alla fotografia più emblematica di Stieglitz, La terza classe, considerata da molti critici il punto di passaggio “da uno stile pittorico a uno stile documentaristico”[iii]: è un unico scatto realizzato durante la traversata verso l’Europa, con una portatile Auto Graflex nel 1907, ma viene pubblicato su Camera Work solo nel 1911, quando Alfred è del tutto convinto che questa fotografia sia la sua prima opera modernista.
L’equivoco della contrapposizione tra pittorialismo fotografico e straight photography
In realtà, se seguiamo il ragionamento di Marra, il passaggio dal pittorialismo alle fotografia diretta (o purismo fotografico), considerato da molti critici come l’affrancamento della fotografia dalla pittura è una questione mal posta. In effetti, “sotto le apparenze di un rinnovamento linguistico capace di far emergere la tanto invocata specificità fotografica” sembrano emergere ancora forme di “un pittoricismo ben più potente e subdolo”[iv].
Ma dove sta l’equivoco?
Marra sostiene che ci troviamo di fronte a un evidente “errore metodologico”: “si è attribuita una categoria generale (il pittorialismo, cioè l’essere simile alla pittura) a una particolare interpretazione della pittura, l’Impressionismo appunto”, nella convinzione che la fotografia pittorialista sia stata un fenomeno circoscritto soltanto ai due o tre decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Questo “limite temporale ma soprattutto stilistico indurrebbe a credere che “la fotografia possa essere definita pittorica solo quando imita l’Impressionismo e non altre scuole” [v].
Seguendo l’interpretazione critica di David Bate, che abbiamo già brevemente illustrato nella prima puntata, appare del tutto evidente che il pittorialismo, assieme al documentarismo e al concettualismo, siano le tre categorie del fotografico[vi] “entro le quali racchiudere i comportamenti della fotografia nel tempo e fino alla contemporaneità”[vii], comportamenti che assumeranno di volta in volta una propria specificità linguistica e poetica.
Ne consegue che “il pittorialismo fotografico non è un fenomeno limitabile a un determinato periodo storico e a una particolare scuola”, ma si ripresenta ogni volta che “la fotografia segue la logica complessiva della pittura”[viii].
Possiamo dunque riconoscere nel linguaggio della straight photography nuove forme di pittorialismo fotografico, che ovviamente si distinguono dalle più tradizionali soluzioni proposte dal “pittorialismo storico”, ispirato dall’accademismo e basato sui metodi di manipolazione dell’immagine (due nomi per tutti: l’inglese Robinson e il francese Demachy).
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 Paul Strand, Vedute di New York, 1915 e 1916
 Sotto questo profilo, esemplare è l’opera di Paul Strand che, alla ricerca di un’autonomia della fotografia, rifiuta il linguaggio del pittorialismo storico e disprezza i cosiddetti “fotopittori”. Ma in questo modo ricade in una nuova forma di “pittorialismo forse inconsapevole ma potentissimo”[ix] che riprende le modalità stilistiche delle avanguardie e risente delle influenze del cubismo e dell’astrattismo. Quando afferma che lo specifico fotografico va identificato con “le forme degli oggetti, le tonalità di colore relative, le strutture e le linee”, in realtà sta descrivendo quello che costituisce “lo specifico trasversale di tutta la pittura”[x], peraltro ancora rintracciabile in molta fotografia contemporanea.
Tutto ciò vale anche per la fotografia di altri autori come ad esempio Clarence White, Coburn e Stieglitz, quando il loro linguaggio fotografico si allontana dal “gusto” impressionista e si avvicina a quello delle nuove correnti artistiche del primo Novecento.
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 Clarence White, Drop of rain, 1908
 Possiamo dunque concludere con Marra che con l’avvento della straight photography il filone pittorialista non si esaurisce, ma piuttosto si aggiorna, con “un passaggio di tutela dall’area impressionista a quella “neoplastica-costruttivista”[xi].
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 Alvin Langdon Coburn, Vortografia, 1917
 Peraltro, il concetto di neopittorialismo introdotto da Marra e anche da Bate, con sfumature diverse, per definire questi nuovi orientamenti fotografici, può diventare un’utile chiave interpretativa, per affinare il nostro “occhio critico”, ogni volta che andremo a indagare tipi di fotografia che in qualche modo fanno uso di linguaggi riconducibili a qualche tendenza pittorica, sia essa figurativa o astratta. Ciò vale ad esempio, per la fotografia astratta di Làslò Moholy-Nagy o per le composizioni alla maniera di Malevič o Modrian della newyorkese Florence Henri – commentate da Marra -, oppure in epoca più vicina a noi, per i tableaux del canadese Jeff Wall – che David Bate accosta a quelli ottocenteschi di Robinson – o infine per le grandi composizioni di David La Chappelle, dalla quali emerge prorompente lo scontro “tra artificio e natura”.
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              Alfred Stieglitz, Fofografie di Georgia O'Keeffe, 1917-1918
Oltre il pittoricismo: “l’arte del documento” e la fotografia concettuale
Per ricercare l’autonomia della fotografia dalla pittura dovremo esplorare altri territori del “fotografico”, dove si consumerà lo scontro dialettico tra pittoricità ed extrapittoricità[xii]. E le prime avvisaglie di un autentico sforzo antipittorialista potremmo rintracciarle in quel tipo di fotografia che “entra in relazione con le ricerche extrapittoriche sviluppate in area dadaista-surrealista”[xiii].
Ad ogni modo, come afferma Walter Benjamin, a incarnare la nuova forma d’arte dell’epoca moderna è il documento fotografico[xiv], che trova negli album fotografici della Parigi di Eugéne Atget l’esempio storico più significativo. Rilevanti esponenti della fotografia documentaristica saranno i fotografi della Farm Security Administration in America e August Sander ed Henri Cartier-Bresson in Europa, solo per fare alcuni nomi.
L’affrancamento definitivo dalla cultura del pittoricismo avverrà soltanto con l’affermazione della fotografia concettuale[xv], che nascerà sulla scia delle esperienze artistiche del concettualismo: performance, body art, land art, narrative art… Solo allora la fotografia potrà acquisire in modo completo quella specifica identità extrapittorica, che, come sappiamo, trova origine nella poetica del dadaismo e nella teoria del ready-made di Marcel Duchamp[xvi]. A titolo esemplificativo, seguendo le indicazioni di David Bate sul tema dell’assenza della presenza, possiamo ricordare Richard Long e Victor Burgin, o la sequenza Autoseppellimento di Keith Arnatt (1969); oppure, seguendo il racconto di Claudio Marra, l’opera di Francesca Woodman sul tema del corpo, o le opere narrative di Franco Vaccari e Duane Michals “maestro della narrazione pseudotriller di gusto cinematografico”, o ancora i lavori di Cindy Sherman, in bilico tra finzione e realtà, per arrivare alla fotografia italiana del “pensiero debole”, rappresentata da Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice e Guido Guidi.
Da questo punto in avanti, grazie anche ai nuovi scenari aperti dalla moda e dalla pubblicità - con la contaminazione fra ricerca artistica e industria culturale -, per il medium fotografico si schiudono nuovi orizzonti, che lo portano ad acquisire progressivamente una rilevante centralità in tutti i processi di produzione artistica contemporanea, sia nelle arti dello “spazio” (pittura, scultura, installazioni), sia nelle arti del “tempo” (video, media digitali e performance)”[xvii].
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 Fontana di Marcel Duchamp, fotografata da Alfred Stieglitz, 1917[xviii]
 Dunque, non ci resta che concludere condividendo la tesi di David Bate: riconoscere che è tramontato il tempo della fotografia come arte e pensare piuttosto di essere entrati nella nuova epoca dell’arte come fotografia.
[i]               David Bate, La fotografia d’arte, Einaudi, 2018, p.45.
[ii]                   Alfred Stieglitz, Camera Work-The Complete Photographs 1903-1917, Tachen, 2018, p.213.
[iii]              Juliet Hacking (a cura di), Fotografia la storia completa, Atlante, 2013, p.183.
[iv]             Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre), Mondadori, 2012, p.120.
[v]              Ivi, p.121.
[vi]             David Bate, op. cit. p.9.
[vii]            Roberta Valtorta, “Dissimiglianza vs. somiglianza: un concetto in flashback”, in rivista di studi di fotografia rfs, n.8, 2018.
[viii]            Claudio Marra, op. cit. p.121.
[ix]             Ivi, p.125.
[x]              Ibid.
[xi]             Ivi, p.131.
[xii]            Ivi, p.120 e 122.
[xiii]            Ivi, p.131.
[xiv]           David Bate, op. cit. p.102. Per una conoscenza più approfondita del documento come forma d’arte, si consiglia la lettura di parte del cap. 3 “L’arte del documento”: pp. 83-112.
[xv]            Si veda al proposito la parte iniziale del cap. 4 “Il concettualismo e la fotografia d’arte”, in David Bate, op.cit., e in particolare le pagine dedicate al ready-made Fontana, di Duchamp: pp140-143.
[xvi]           Con il ready-made Duchamp attua una rivoluzione epocale, negando l’arte come attività manuale. In altri termini, l’artista non è più tale per l’abilità di manipolare la materia, ma per la capacità di creare nuovi significati.
[xvii]                David Bate, op.cit. p.3.
[xviii]               Anche in questo caso torniamo a incrociare l’onnipresente Alfred Stieglitz, quando nel 1917 Duchamp scandalizza l’ambiente artistico di New York, proponendo il ready-made Fontana, costituito da un orinale bianco firmato con lo pseudonimo “R. Matt”, che viene rifiutato alla mostra della Società degli artisti indipendenti, ma trova spazio in un’altra mostra organizzata dallo stesso Stieglitz che fotografa l’opera e l’importante riproduzione viene pubblicata sempre nel 1917 sul giornale dadaista The Blind Man. Fontana può essere considerata “un prototipo concettualista” (Bate, op. cit. p.141) ed è l’opera d’arte più dissacrante e influente del XX secolo: la geniale operazione dadaista, che postula il rifiuto dell’arte tradizionalmente intesa, consiste nell’estrapolare dal contesto un oggetto comune - in questo caso l’orinatoio -, che grazie a questa selezione eseguita dall’artista, diventa esso stesso opera d’arte.
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redazionefotopadova · 4 years
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Fotomontaggio, guerra mondiale e guerra fredda
di Andrea Scandolara
 --- Si chiamava Helmut Herzfeld ma ben presto per sua scelta si sarebbe chiamato John Heartfield, da non confondersi con John Hartfield, un uomo di colore linciato nel 1919 in Mississippi perché colpevole di avere una fidanzata bianca.
Si può certamente considerarlo il padre del fotomontaggio che inizia a usarlo già nel 1916 insieme all’amico George Grosz. In quegli anni cambia il suo nome, inglesizzandolo per protesta al crescente fervore nazionalista tedesco contro gli inglesi che porterà le folle per le strade a gridare “Dio punisca l’Inghilterra”. Altrettanto fa Grosz che internazionalizza il suo nome originario Georg Groß.
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                                       Pericolosi commensali (1930)
Bertold Brecht, altro suo amico, l’avrebbe poi descritto così: “John Heartfield è uno dei più importanti artisti europei. Lavora in un campo che lui stesso ha creato, quello del fotomontaggio. Attraverso questa nuova forma d'arte esercita una critica sociale. Fermamente dalla parte della classe operaia, smascherò le forze della Repubblica di Weimar che portavano alla guerra; una volta costretto all'esilio combatté contro Hitler. I lavori di questo grande artista, che per la maggior parte compaiono nella stampa dei lavoratori, sono riconosciuti da molti - compreso il sottoscritto - come dei classici.”
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                                   Sinclair - Così si fanno i dollari (1931)
Prima di allora aveva lavorato per qualche anno come grafico e designer occupandosi di poster e di copertine di libri. Ma durante la Prima Guerra Mondiale giunge a considerare l’arte solo nel ruolo che ha nella lotta di classe, abbraccia il dadaismo e insieme allo stesso Grosz e ad altri artisti fonda il Movimento dadaista berlinese. Fonda anche la Malik Verlag, una casa editrice che pubblicherà i lavori di Grosz e di numerosi artisti di sinistra; aderisce al Partito Comunista di Germania e, dopo la Prima guerra collabora intensamente con AIZ, acronimo di Arbeiter Illustrierte Zeitung (Giornale Illustrato dei Lavoratori), un settimanale schierato decisamente contro Hitler e il nazismo.
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                                                       Mai più! (1932)
Nel 1933 con l’ascesa al potere di Hitler, è costretto a fuggire a Praga saltando da una finestra di casa sua e finendo in un container delle immondizie per evitare le SS che erano venute per arrestarlo. Dalla Cecoslovacchia continua a lavorare per AIZ ma le sue peripezie non saranno finite. Nel 1938 la Germania chiede la sua estradizione e John deve scappare a Londra; dopo poco anche l’Inghilterra è in guerra con la Germania e lui viene internato in quanto rifugiato tedesco, meglio non fidarsi, ma l’internamento non dura molto a causa delle sue cagionevoli condizioni di salute.
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           Strumento nelle mani di Dio? Giocattolo nelle mani di Thissen! (1933)
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1950 John si lascia convincere dal fratello a trasferirsi a Berlino Est, zona ormai facente parte del blocco comunista sotto l’influenza di Mosca; qui viene a lungo interrogato dalla Stasi (la polizia politica della DDR) in quanto aveva soggiornato a lungo in una nazione nemica, sospettato e controllato anche perché il suo dentista era nella lista dei sospettati; anche i suoi lavori vengono ritenuti poco in linea con i principi del realismo socialista. Dovranno arrivare gli anni ’60 per avere dei riconoscimenti e per essere nominato professore all’Accademia Tedesca delle Arti.
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                Il vecchio motto nel “nuovo” Reich: SANGUE E FERRO (1934)
Perché questa breve carrellata biografica di un uomo che all’età di otto anni insieme ai suoi fratelli è stato abbandonato dai genitori in un bosco? Perché è commovente questa serie infinita di disavventure che sembrano facenti parte di un piano persecutorio; ma tutto ciò non gli ha impedito di pensare all’arte come a un mezzo per manifestare il suo antinazismo in un’era in cui era quasi impossibile farlo. Da grafico anziché usare matite e colori preferiva usare fotografie ritagliandole e incollandole in modo da comporre con quelle il suo messaggio; dopotutto le fotografie hanno una parvenza di reale che il disegno non ha. Se Grosz usava il disegno lui avrebbe usato la fotografia.
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                               Nessuna paura – lui è vegetariano (1936)
Per lui era indispensabile schierarsi politicamente, senza timori, per denunciare l’assurdità del totalitarismo e delle guerre, soltanto questo connubio tra ideologia e messaggio legalizzava la vera arte. A quest’ultima attribuiva quindi un senso che va oltre ogni parametro estetico, abbracciando un impegno che dovrebbe appartenere a tutti noi.
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                           Loro non passeranno! Noi passeremo! (1936)
Si potrebbe fare un paragone con l’attualità citando quei fotografi che si occupano del problema dei migranti, argomento scomodo ai centri del potere. Costoro non vengono minacciati o perseguitati come Heartfield, semplicemente non trovano spazi per rendere pubblici i loro lavori, costretti quindi a dedicarsi ad altro per poter vivere. Situazione ben diversa da quelle subite da Heartfield nelle quali doveva stare attento a quale dentista scegliere. Ma forse il risultato è lo stesso.
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redazionefotopadova · 4 years
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Fotopadova ha compiuto 8 anni oggi!
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