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“Sono l'ultimo dei romantici, do un peso a tutto quello che sento.”
— Mattia Briga
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“L'evasione da sé stessi è impossibile perché non si può scappare dai propri problemi.”
— Mattia Briga
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“Io ci ho bevuto sopra, sono arrivato al limite, ma lei per me è soltanto un punto inarrivabile.”
— Tony&Briga
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“Mi manchi tu, mi manca l'aria che tiravi fuori dai polmoni, quei sorrisi che mi regalavi.”
— Briga
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“Ormai l'abbiamo capito.”
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FREE HUGS✨
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Tre volte all'alba, Alessandro Baricco
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by Livia Fălcaru
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“Ho pensato a quando trovavamo stupende delle cose che non dovevano esserlo.”
— Vasco Brondi.
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“Mi sveglio con calma, pensando che sarebbe bello parlare al plurale. E dire che andiamo a vedere insieme cosa c'è in frigo. Invece sono sostanzialmente solo e con poca fame. E vorrei traslocare. Che mi spaccherei il setto nasale come i pugili prima di venire a vivere con te, così puoi farmi quello che vuoi che tanto non mi succede niente e posso continuare a girarti intorno, facendo finta di colpirti e poi abbracciarti finché l'arbitro non riesce a staccarci. Misuro coi pensieri i chilometri, i metri quadrati della stanza immaginaria che non ci divideremo. Perchè non ci siamo mai rincorsi come nei brutti film. Farò rifare l'asfalto per quando tornerai. Sabato mi sveglio relativamente presto e prendo tutti i treni che riesco. Cerco di convincermi che le distanze sono una cosa bellissima. E lo sono, di sicuro, ma vaffanculo. Mi manchi che mi mancano praticamente tutti i pavimenti. Chissà se sono solo un bisogno fisiologico gli abbracci. E sarei sempre sugli eurostar e sulle frecce rosse a sfogliare riviste, per venirti incontro. Stammi a duecentotrentasei chilometri di distanza e corrimi addosso. A tre ore di macchina o trenta euro di treno. Adesso se fossimo in un telefilm ti dicevo che ti amavo. Così, coniugando anche male i verbi. E noi siamo meglio di un telefilm, e infatti non ci diciamo niente. Poi in qualche altro modo tecnologico ci abbracciamo appoggiando la fronte sullo schermo del computer. Amare è tutto un tornare che cazzo vuol dire. I compleanni i supplementi sui biglietti dei treni interregionali. I nostri laghi interni, scambiarci la saliva e le illusioni. Vorrei tanto rivederti e portarti con me in posti orrendi. E mi sembra di essermi trasferito in una cazzo di canzone di Battisti che lavora e pensa a lei che non dorme e pensa a lei che non è stato divertente e pensa a lei. E la tua risata telefonica, quello che se ne va. - Intanto vengo lì domani - mi dici. E il cuore è una gomma da masticare. Che per rivederci siamo involontariamente diventati tra i maggiori azionisti di Trenitalia. Poi guardavo attraverso i tuoi occhi che sono praticamente trasparenti. Se non stai bene qui possiamo anche andare via. Vedrai che scopriremo altre americhe io e te. E ci siamo sdraiati vicini con i cuori arresi. Ti presento i miei difetti. E mi dici che finalmente abbiamo perso il conto delle volte che ci siamo visti. Poi guardi in internet gli orari e i prezzi dei treni per tornare e ci escono delle vezze salmastre dagli occhi. I nostri laceranti arrivederci. E il treno dei desideri è deragliato l'altro ieri. Tu mi dici che alla fine è colpa dei platani, e di tutte le nostre distrazioni. E il diaframma si sente quando piangi. Le stelle comete come te. Avrei voluto essere un taxista per farmi chiedere da te di portarti per favore a Roma. E tu che entri col piccone e col casco da minatore nel mio cuore. Io che cerco delle agenzie di copyright per riuscire a venderti il mio carattere di merda, per leggerti chilometri di righe confusionarie d'amore. Che non mi scrivi più. Per risarcirti i giorni e i giorni grigi. Per ricucirti i polsi e riaggiustarti le dita. Per pagare le multe dei miei divieti di fermata e di sosta nella tua testa. Vorrei mettere degli asterischi ai margini delle nostre conversazioni, per cercare di capirti. Telefonami di notte ti prego svegliami. A volte si sente male quando mi chiami perchè la capsula microfonica del tuo telefono è piena di lacrime. Puoi amarmi come una madre, come vuoi tu, puoi ammalarti di me. Davvero vorrei circumnavigare i tuoi occhi. Che io ti voglio bene a fondo perduto. Starai dentro di me in ergastolo. E quando mi trovo a mezzogiorno a letto a trascrivere i tuoi silenzi. Un nome che ti trema dentro. Ho scritto col catrame sulle strade che mi mancherai. E me ne accorgerò solo quando ti avrò perso. Quando per paura di disturbare, non ci sei mai. Quando a forza di ferirci siamo diventati consanguinei. Scriverti sulla fronte torno subito, e poi non tornare mai. Non mi succede niente di che, sono solo un po’ stanco e stanco di parlare male di me. Di dire come sto, e di sapere cosa ne penso e cosa non ne penso. È inutile dire che è un periodo difficile, sono tutti così. E le canzoni non servono a niente. Mi fa abbastanza male, ma non è niente. Niente di che.”
— Un po’ di belle frasi da Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero, Vasco Brondi.
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“Tienimi la mano che mi manchi, non a volte, non raramente.”
— Vasco Brondi
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“Mi sveglio con calma, pensando che sarebbe bello parlare al plurale. E dire che andiamo a vedere insieme cosa c'è in frigo. Invece sono sostanzialmente solo e con poca fame. E vorrei traslocare. Che mi spaccherei il setto nasale come i pugili prima di venire a vivere con te, così puoi farmi quello che vuoi che tanto non mi succede niente e posso continuare a girarti intorno, facendo finta di colpirti e poi abbracciarti finché l'arbitro non riesce a staccarci. Misuro coi pensieri i chilometri, i metri quadrati della stanza immaginaria che non ci divideremo. Perchè non ci siamo mai rincorsi come nei brutti film. Farò rifare l'asfalto per quando tornerai. Sabato mi sveglio relativamente presto e prendo tutti i treni che riesco. Cerco di convincermi che le distanze sono una cosa bellissima. E lo sono, di sicuro, ma vaffanculo. Mi manchi che mi mancano praticamente tutti i pavimenti. Chissà se sono solo un bisogno fisiologico gli abbracci. E sarei sempre sugli eurostar e sulle frecce rosse a sfogliare riviste, per venirti incontro. Stammi a duecentotrentasei chilometri di distanza e corrimi addosso. A tre ore di macchina o trenta euro di treno. Adesso se fossimo in un telefilm ti dicevo che ti amavo. Così, coniugando anche male i verbi. E noi siamo meglio di un telefilm, e infatti non ci diciamo niente. Poi in qualche altro modo tecnologico ci abbracciamo appoggiando la fronte sullo schermo del computer. Amare è tutto un tornare che cazzo vuol dire. I compleanni i supplementi sui biglietti dei treni interregionali. I nostri laghi interni, scambiarci la saliva e le illusioni. Vorrei tanto rivederti e portarti con me in posti orrendi. E mi sembra di essermi trasferito in una cazzo di canzone di Battisti che lavora e pensa a lei che non dorme e pensa a lei che non è stato divertente e pensa a lei. E la tua risata telefonica, quello che se ne va. - Intanto vengo lì domani - mi dici. E il cuore è una gomma da masticare. Che per rivederci siamo involontariamente diventati tra i maggiori azionisti di Trenitalia. Poi guardavo attraverso i tuoi occhi che sono praticamente trasparenti. Se non stai bene qui possiamo anche andare via. Vedrai che scopriremo altre americhe io e te. E ci siamo sdraiati vicini con i cuori arresi. Ti presento i miei difetti. E mi dici che finalmente abbiamo perso il conto delle volte che ci siamo visti. Poi guardi in internet gli orari e i prezzi dei treni per tornare e ci escono delle vezze salmastre dagli occhi. I nostri laceranti arrivederci. E il treno dei desideri è deragliato l'altro ieri. Tu mi dici che alla fine è colpa dei platani, e di tutte le nostre distrazioni. E il diaframma si sente quando piangi. Le stelle comete come te. Avrei voluto essere un taxista per farmi chiedere da te di portarti per favore a Roma. E tu che entri col piccone e col casco da minatore nel mio cuore. Io che cerco delle agenzie di copyright per riuscire a venderti il mio carattere di merda, per leggerti chilometri di righe confusionarie d'amore. Che non mi scrivi più. Per risarcirti i giorni e i giorni grigi. Per ricucirti i polsi e riaggiustarti le dita. Per pagare le multe dei miei divieti di fermata e di sosta nella tua testa. Vorrei mettere degli asterischi ai margini delle nostre conversazioni, per cercare di capirti. Telefonami di notte ti prego svegliami. A volte si sente male quando mi chiami perchè la capsula microfonica del tuo telefono è piena di lacrime. Puoi amarmi come una madre, come vuoi tu, puoi ammalarti di me. Davvero vorrei circumnavigare i tuoi occhi. Che io ti voglio bene a fondo perduto. Starai dentro di me in ergastolo. E quando mi trovo a mezzogiorno a letto a trascrivere i tuoi silenzi. Un nome che ti trema dentro. Ho scritto col catrame sulle strade che mi mancherai. E me ne accorgerò solo quando ti avrò perso. Quando per paura di disturbare, non ci sei mai. Quando a forza di ferirci siamo diventati consanguinei. Scriverti sulla fronte torno subito, e poi non tornare mai. Non mi succede niente di che, sono solo un po’ stanco e stanco di parlare male di me. Di dire come sto, e di sapere cosa ne penso e cosa non ne penso. È inutile dire che è un periodo difficile, sono tutti così. E le canzoni non servono a niente. Mi fa abbastanza male, ma non è niente. Niente di che.”
— Un po’ di belle frasi da Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero, Vasco Brondi.
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“Poi mi hai scritto :“Spero che le tue canzoni ti portino lontano.” E io invece volevo starti vicino.”
— Vasco brondi
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“Ti aiuto a smantellare i sogni, a disinnescare le ansie, baciandoti sulle guance, sulle lacrime.”
— Vasco Brondi: Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero.
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“Find me now. Before someone else does.”
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La verità è che a volte mi manchi talmente tanto che posso a malapena sopportarlo
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