“La saggezza è saper stare con la differenza senza voler eliminare la differenza.”
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Specchi che illudono. Femminismo che confonde.
Viviamo in un tempo in cui la libertà si misura in like.
Dove il valore di una donna sembra passare prima dal filtro che dal pensiero.
I social, nati per connettere, sono diventati il palcoscenico del corpo,
mentre la mente resta spesso dietro le quinte, inascoltata.
È davvero questa l’emancipazione che volevamo?
Mostrarsi per piacere, piuttosto che esprimersi per esistere?
Abbiamo scambiato l'autodeterminazione con la sovraesposizione,
la forza con l’approvazione altrui.
Il femminismo non è esibizione.
È consapevolezza.
Non è costruirsi un'immagine, ma reclamare identità.
Essere donna oggi dovrebbe significare scegliere di mostrarsi per ciò che si pensa, non solo per ciò che si appare.
Una domanda scomoda, ma necessaria:
E se ci stessimo tradendo nel tentativo di affermarci?

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In un'epoca in cui l'apparire spesso ha la meglio sull'essere, scegliere di non vivere costantemente sui social è un atto di libertà e di coraggio.
Significa proteggere il proprio tempo, la propria intimità e il proprio pensiero da un flusso continuo di immagini, giudizi e confronti che troppo spesso svuotano invece di arricchire.
Stare lontani dai social permette di ritrovare la presenza autentica nel quotidiano, di ascoltare davvero chi si ha accanto, di coltivare sogni senza il bisogno di esibirli, di sbagliare senza paura di essere giudicati da estranei.
È un modo per riappropriarsi di uno spazio interiore dove i pensieri maturano senza il filtro delle aspettative altrui.
Tuttavia, non essere presenti online può talvolta generare disagio: si può avvertire un senso di esclusione, di distanza dal "flusso" degli altri, come se si restasse ai margini di un mondo che sembra scorrere a velocità sempre maggiore.
Ma è proprio in quel silenzio che si trova una verità più profonda: il valore di relazioni genuine, il coraggio di pensare con la propria testa, la capacità di dare peso e misura a ciò che conta davvero.
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Siccome non c'è quasi più niente "sopra la follia", si capisce lo smarrimento e l'arrancare di dichiarazioni, mentre si precipita dal passato "equilibrio". Mantenersi saldi, please. Saldi, non muscolari, che i muscoli sono il rifugio dei paurosi.
Mauro. Biani
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Mi scusi (ma anche no) Presidente Mattarella, personalmente reputo come lei ha detto indecente il commerciante che non fa uno scontrino o un artigiano che non rilascia una fattura.
Reputo molto più indecente, in un Paese civile, i vitalizi e le pensioni d'oro, l'enorme tasso di corruzione della politica, le auto blu e tutti i vostri privilegi.
Indecenti sono i ponti che crollano e i terremotati che da anni vivono nelle tende.
Indecenti sono 400 euro di pensione per chi ha lavorato una vita e 600 euro di stipendio per chi si fa il culo in fabbrica.
Indecente è la Terra dei fuochi, l'Ilva di Taranto e il rogo della Thyssen.
Indecente è che ogni volta che piove si contano i morti.
Indecente è l'impunità dilagante e il pilotare giudici e sentenze.
Indecenti sono i processi che finiscono in prescrizione.
Indecente è strappare i bambini alle loro famiglie per farci soldi.
Indecente è la propaganda, il traffico e il lucro sulla pelle dei migranti.
Indecenti sono i tre miliardi di euro regalati ad una banca privata.
Indecente è attendere sei mesi per una Tac
Indecenti sono le buone uscite milionarie ai dirigenti che distruggono le aziende.
Indecenti sono quelli che dovrebbero puntarvi il dito contro scrivendo fiumi di parole e invece si prostano come zerbini.
Indecenti sono i maiali all'ingrasso dentro il palazzo mentre fuori manca l'aria.
Indecente, in un Paese civile nel ventunesimo secolo, caro Presidente, sono gli anziani che rovistano nei cassonetti per cercare qualcosa da mangiare e gli imprenditori che si bruciano vivi perché non riescono a pagare gli stipendi ai loro dipendenti....e ci sarebbe molto altro....
Perciò non so chi è che ruba di più
Aggiungerei che è indecente togliere la pensione di reversibilità a persone comuni, quando ai politici viene dato vitalizio di pensioni d'oro fino all'ennesima generazione.
Copiate e incollate e che ci sia in ogni bacheca
È la nostra piccola rivolta.
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La perfezione umana e il perfezionamento tecnico non sono conciliabili. Se vogliamo l’una, bisogna sacrificare l’altra; a questo punto le strade si separano. Chi di questo è convinto, sa quel che fa in un senso o nell’altro.
Ernst Junger
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L'assurdità di tutta questa uguaglianza
è che pensiamo di essere
originali.

-Robysjack
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Mi ha chiesto "a te cosa ferisce?" e gli ho risposto che a me feriscono forse più i silenzi delle parole, perché ho conosciuto silenzi così tanto affilati che trafiggono direttamente il cuore senza passare dalle orecchie. E tu resti lì, senza poter far nulla, perché non c'è niente a cui rispondere, perché niente è stato detto ma tutto si è capito. Quanto mi ha ferito il silenzio lo so solo io, quelle parole non dette che senti lo stesso...e ti ritrovi con dei vetri invisibili incastrati nel cuore e non hai nemmeno il diritto di soffrire.
zoe, questa è sentita
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"Butterò questo mio enorme cuore
tra le stelle... un giorno...
giuro che lo farò."

F. De Gregori - La donna cannone
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“Posso affermare con grande certezza e assoluta onestà che non sapevo cosa fosse l'amore fin quando non ho capito cosa non lo fosse.”
-P.I. Ferkey
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Accetto la mia incompletezza,
gli smarrimenti, il bloccare le emozioni quando non le so gestire, il temere la mia potenza realizzatrice.
Accetto l'instabilità, la precarietà, la presunzione di sentirmi diversa e la sofferenza dei miei limiti.
Accetto che anche il rumore di una foglia fa sussultare la mia anima bambina, che una parola può uccidermi e una parola può ridarmi vita.
Accetto con amore, con un sorriso, con umiltà la mia imperfezione, le mancanze, tutte le volte che non ho amato, che non ho osato, che non ho taciuto.
Accetto la mia chiusura silenziosa, il mio non voler esserci, il mio desiderio di fuga. Accolgo le mie fragilità, la mia emotività eccessiva e una sensibilità che mi lacera, perché l'anima ce l'ho sulla pelle, senza protezioni naturali, senza autodifese. E così mi espongo al sole e aspetto che mi maturi come il migliore dei suoi frutti.
Accetto quella che sono, così come sono, nello splendore di tanta imperfezione, nella luminosità di tanta trasparenza, nell'oscurità di tanto dolore.
Accetto il fiore che germoglia nel mio seno di donna, nel mio cuore di artista, nel mio spirito contraddittorio e traboccante di vita. Nella ricezione amorevole del mio essere, scelgo di accogliere i desideri, approdi da cui salpare verso acque interiori, paesaggi dell'anima immaginati, a cui devo dare un nome, per poterli chiamare, per poter cantare: "ti ho visto anima mia, ti ho conosciuto e amato come si fa con la creatura più bisognosa, affamata di vita e di bellezza, magica, incantevole, miserevole, compassionevole, vitale, un eterno divenire che mi sfugge e che pure possiedo nell'annullamento della mia piccola persona, nella regalità di un sogno privo di dubbi e ardente di stupore".

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La nostra identità è sempre approssimativa
Lo sappiamo, abbiamo un’identità approssimativa. Non ci è mai possibile conoscere totalmente noi stessi. Così ci arrangiamo con quello che crediamo di aver capito di essere. Per il resto, vi sono ragioni del cuore che la ragione non conosce, come ha ben detto Pascal.
Ma vi è approssimazione e approssimazione. Possono essere molto differenti i modi con cui ci approssimiamo, ossia ci avviciniamo, alla conoscenza di noi stessi. Cercando di comprende le remote e invisibili esperienze a cui sono ancorate le nostre abitudini emotive. Oppure cercando di diventare consapevoli dell’effettivo impatto che produciamo sugli altri con i nostri modi di agire. E’ strada da fare e occorre fiato e impegno per farne molta. Il fiato del desiderio, della necessità che sentiamo di voler sapere di più di noi stessi, senza accontentarci. E l’impegno, lo sforzo di interrogarci, di porci domande nuove, di dubitare di ciò che crediamo di aver già capito della nostra identità. Occorre anche l’impegno di buoni romanzi e buoni film, di esperienze con un po’ di coraggio, di conversazioni con gli amici che hanno la pazienza e la voglia di andare a fondo, di curiosità verso le altre persone. Insomma si fa strada, e si conquista consapevolezza, irrobustendo lo sguardo e il pensiero, perché sono lo sguardo e il pensiero che abbiamo allenato che ci consentono di vedere con maggiore accuratezza l’invisibile della nostra unicità.
Potremmo anche farci, lungo questa strada, un paio di domande, diverse e complementari: sin dove arriva la mia identità? e anche: di cosa è fatta la mia identità? Durata e sostanza del nostro io. Orizzontale e verticale di chi siamo.
L’identità si estende, è un movimento che viaggia e si sposta, nel tempo, nei luoghi e nelle relazioni. Dunque, cosa raggiunge? Quale mondo include e quale esclude la mia identità? Noi siamo anche dove non arriviamo.
L’identità è anche contenitore che si riempie, di esperienze, di idee, di valori, di emozioni. E tanto altro ancora. Quale dunque il suo contenuto, la sua materia? Quanto di questo contenuto che ha dato sostanza alla nostra identità è stata una scelta consapevole? E nei casi in cui non lo è stata, nei casi in cui abbiamo avuto esperienze che non abbiamo scelto, quanto, successivamente, le abbiamo trasformate in riflessione, ne abbiamo compreso il segno che hanno lasciato nel nostro cuore?
Così abbiamo ineludibilmente identità approssimative. Ma per quanto la nostra identità sarà sempre più vasta di ciò che ne potremmo dire, possiamo fare questo viaggio da passeggeri inconsapevoli, oppure ovvero cercare di capire meglio dove caspita stiamo andando, evitando così di rimare sorpresi o delusi di ciò che ci accade.
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Una triste verità universale è che, nonostante tutti i nostri sforzi, il tempo scorre inesorabile e le persone che amiamo, o anche noi stessi, siamo destinati a cambiare e, alla fine, a separarcene. Questo è uno degli aspetti più dolorosi dell'esistenza: il fatto che ogni cosa, ogni momento, ogni relazione, è destinata a finire, lasciando dietro di sé ricordi e rimpianti.
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Amiamo il dramma. Amiamo il conflitto. Abbiamo bisogno di un demone, o ce ne creeremo uno. Non c'è nulla di male in tutto questo. È solo il modo in cui funzionano gli esseri umani. I pesci devono nuotare, gli uccelli devono volare. La gente ha bisogno di un mostro in cui credere. Un nemico vero e orribile. Un demone in contrasto col quale definire la propria identità. Altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi.
-Chuck Palahniuk-

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Finalmente posso dire di essere arrivata ad un punto della mia vita dove ho chiare molte cose.
Ho dovuto pagare un prezzo molto caro questa trasparenza, ho dovuto capire che non sempre le persone che ti sono accanto sono quello che sembrano e soprattutto non sono quello che dicono.
Ho compreso che non ho più voglia e tempo di capire un'assenza o una mancanza, non ho più interesse di decifrare un silenzio immotivato o uno scatto di rabbia inappropriato.
Ne ho passate troppe per fermarmi ad ascoltare chi non sa cosa dire e dunque cerca parole a caso, a chi ti giudica di cose che egli stesso fa.
Non permetto a persona alcuna di farmi sentire in colpa, di punirmi, di svalutarmi.
Il mio errore, da perfetta persona empatica è sempre stato quello di "sentire" e di condividere con altri le emozioni e le situazioni vissute, ma le persone non sono tutte buone, mi duole ammetterlo.
La vita insegna e noi dobbiamo imparare. È come quando dai troppo amore. Non insegni ad amare.
(Paola Delton)
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Troppi pensieri per un cervello, troppe ansie per un cuore. Ci sono giorni in cui la mia mente è come una tempesta, un vortice di pensieri che non riesco a fermare, e il mio cuore è come un tamburo che batte incessantemente, intrappolato in un ritmo che non riesco a controllare. Ogni giorno, mi sento come un equilibrista su una fune sottile, costretta a camminare senza mai fermarmi. Da un lato, i pensieri si accavallano come onde in piena, ogni singolo problema sembra amplificato, ogni minima preoccupazione diventa un ostacolo insormontabile. Dall’altro, l’ansia che serra il mio cuore come una morsa e mi lascia senza respiro.
A volte mi chiedo se sono solo io, se questo modo di sentire tutto in maniera così profonda e intensa sia un errore, un difetto nel mio modo di essere. Sembra quasi che il mio cervello non riesca mai a spegnersi, come se fosse perennemente in allerta, a caccia di qualcosa che non va, di qualche dettaglio che mi sfugge, di qualche motivo per preoccuparmi. E il mio cuore, invece di essere un rifugio, diventa un campo di battaglia, dove combatto costantemente contro le mie paure, i miei dubbi, le mie insicurezze. Non riesco mai a trovare pace, e tutto questo mi consuma dall'interno.
Ci sono notti in cui resto sveglia fino all’alba, perché i miei pensieri non mi lasciano dormire. Mi giro e rigiro nel letto, cercando un modo per calmarmi, per trovare un attimo di sollievo, ma non ci riesco. Ogni pensiero sembra accendere una scintilla di paura, e quella scintilla diventa subito un incendio. Mi preoccupo per il futuro, per le cose che ho fatto e per quelle che non ho fatto, per i miei errori, per le mie scelte. E anche quando penso di avere tutto sotto controllo, basta un dettaglio, un’idea, una parola per far crollare ogni sicurezza che pensavo di avere.
Sono stanca di questa guerra costante tra la mente e il cuore. È come se ogni giorno fosse una battaglia, e io non riesco a smettere di combattere. Ma è una battaglia in cui non vinco mai. Anzi, ogni giorno mi sento sempre più debole, sempre più esausto. Ogni pensiero diventa una trappola, ogni ansia una prigione. Mi sento come se fossi intrappolata in un ciclo infinito, incapace di liberarmi, incapace di trovare un momento di serenità.
E il peggio è che, spesso, nessuno se ne accorge. Ad alcuni mostro un volto sereno, una maschera che nasconde tutto questo tumulto interiore. Non voglio che gli altri vedano quanto sto soffrendo, quanto sto lottando. Mi dico che devo essere forte, che devo resistere, che devo andare avanti. Ma dentro di me so che questa forza apparente è solo una facciata, e che, sotto la superficie, sto crollando.
Vorrei poter fermare il tempo, poter mettere in pausa la mia mente e il mio cuore, anche solo per un attimo. Vorrei poter smettere di pensare, di preoccuparmi, di sentire tutto in modo così intenso. Vorrei poter respirare senza sentire questa morsa che stringe il mio petto, senza questa paura che non riesco mai a placare.
E mi chiedo se un giorno troverò mai pace. Se un giorno riuscirò a liberarmi di questi pensieri che mi tormentano, di queste ansie che mi consumano. Ma, al momento, tutto sembra così distante, così irraggiungibile. Mi sembra di essere in balia di una tempesta, e non vedo nessun porto sicuro dove rifugiarmi.
Forse, il vero problema è che non riesco ad accettare che la vita sia fatta anche di incertezze, di errori, di momenti di vulnerabilità. Forse, pretendo troppo da me stessa, cerco di controllare tutto, di avere sempre una risposta, una soluzione. Ma la verità è che, a volte, non ci sono risposte, e non ci sono soluzioni. A volte, bisogna solo accettare di sentirsi persi, di avere paura, di essere vulnerabili.
Ma io non so come fare. Non so come accettare questa parte di me. E così, continuo a lottare, a cercare di tenere tutto sotto controllo, anche se so che è una battaglia persa in partenza. Continuo a pretendere troppo dal mio cervello, e a chiedere troppo al mio cuore, anche se so che questo mi sta lentamente distruggendo.
Non so se un giorno troverò la forza di lasciar andare, di smettere di lottare contro me stessa. Ma, per ora, tutto ciò che posso fare è cercare di sopravvivere a questa tempesta, cercare di mettere un piede davanti all'altro, anche se ogni passo mi sembra sempre più pesante.
Perché, alla fine, non so essere diversa. Non so vivere senza pensare, senza preoccuparmi, senza sentire ogni emozione come un peso sul cuore. E, forse, questa è la mia condanna: troppi pensieri per un cervello, troppe ansie per un cuore che, anche quando è sul punto di crollare, continua a battere, nonostante tutto.
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«Il dolore è passato. La vita lo ha trasformato in qualcos’altro; dopo averlo provato, dopo aver singhiozzato, lo si nasconde agli occhi del mondo come una mummia da custodire nel padiglione funerario dei ricordi. Passa anche il dolore provocato dall’amore, non credere. Rimane il lutto, una specie di cerimonia ufficiale della memoria. Il dolore era altro: era urlo animalesco, anche quando stava in silenzio. È così che urlano le bestie selvatiche quando non comprendono qualcosa nel mondo – la luce delle stelle o gli odori estranei – e cominciano ad avere paura e ululare. Il lutto è già un dare senso, una ragione e una pratica. Ma il dolore un giorno si trasforma, la vanità e il risentimento insiti nella mancanza si prosciugano al fuoco purgatoriale della sofferenza, e rimane il ricordo, che può essere maneggiato, addomesticato, riposto da qualche parte. È quel che accade ad ogni idea e passione umane»

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“Tra noi due, tu sei sempre stato il più colto, il più diligente, il più virtuoso, il più dotato in ogni campo, poiché possedevi anche un talento che tenevi segreto, quello della musica. Tu eri della razza di Chopin, eri cioè un essere pieno di riserbo e di orgoglio. Ma in fondo all’animo nascondevi un impulso spasmodico: il desiderio di essere diverso da quello che eri. È il tormento più crudele che il destino possa riservare a un uomo. Essere diversi da ciò che siamo, da tutto ciò che siamo, è il desiderio più nefasto che possa ardere in un cuore umano. Giacché l’unico modo per sopportare la vita è quello di rassegnarci a essere ciò che siamo ai nostri occhi e a quelli del mondo. Dobbiamo accontentarci di essere fatti in un certo modo e sapere che, una volta accettata questa realtà, la vita non ci loderà per la nostra saggezza, nessuno ci conferirà una medaglia al merito solo perché ci siamo rassegnati a essere vanitosi ed egoisti, o calvi e panciuti – no, in cambio di questa presa di coscienza non otterremo né premi né lodi. Dobbiamo sopportarci quali siamo, il segreto è tutto qui. Sopportare il nostro carattere, la nostra natura di fondo, con tutti i suoi difetti, il suo egoismo e la sua cupidigia, che non saranno corretti né dall’esperienza né dalla buona volontà. Dobbiamo accettare che i nostri sentimenti non siano contraccambiati, che le persone che amiamo non rispondano al nostro amore, o almeno non nel modo che vorremmo. Dobbiamo sopportare il tradimento e l’infedeltà, e soprattutto la cosa che ci riesce più intollerabile: la superiorità intellettuale o morale di un’altra persona.”
Sándor Márai - Le braci
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