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(La mattina di lunedì 5 Luglio, un gufo ministeriale consegna una busta pergamenata, sigillata in ceralacca col timbro del Ministero)
Alla gentile attenzione di Miss Azalea Coleman,
Il Quartier Generale della Lega Britannico-Irlandese del Quidditch del Ministero della Magia è felice di comunicarLe che è stata ufficialmente invitata alla prima edizione del Ritiro Sportivo Giovani del Quidditch per la stagione estiva 2077, presso il Bodmin Moor Millenium Stadium. Si tratta di una opportunità unica nel suo genere, nonché pista di lancio per una auspicabile carriera sportiva. Per la durata di una settimana, dal XX/XX al XX/XX, le sarà infatti concesso di allenarsi con giocatori professionistici e personale tecnico delle principali squadre della Lega Britannico-Irlandese.
La partecipazione è libera, ma la preghiamo di leggere tutte le informazioni di seguito allegate sugli orari giornalieri e sull’assistenza al trasporto per la data settimana, prima di rispondere con una conferma e smentita entro e non oltre il XX/XX.
Cordiali Saluti,
Scribonius Swoop
Presidente del Quartier Generale della Lega Britannico-Irlandese del Quidditch
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I wanted to play tough Thought I could do all just on my own « Qual è il problema, Merrow? »
« Mi hai lasciato là come una stronza, Coleman. Per andartene con lui poi »
« Uh, ma poverina. Cosa credevi, che avrei retto il moccolo a te e Delation? E guardami in faccia quando ti parlo. Se esco da un locale senza pagare perché voglio farmi due risate, sono bolidi miei »
« Tu sei mia ospite. Qualunque cosa tu fai tra queste mura o quando tua zia sa che sei con me è mia responsabilità. Siamo entrambe minorenni ma tu non hai nemmeno fatto i GUFO »
« Tu non sei il mio tutore legale. Siamo amiche, ma tu sei tu ed io sono io. Se stai cercando una sottospecie di siamese che sia schiava di ciò che tu pensi, fai e dici, mi sa che mi hai sopravvalutata. Me la sono sempre cavata da sola. Me la cavo da sola. E a quanto pare forse dici bene, non so come si fa a stare in due. Ma la mia libertà è l’unica cosa che ho e non ci rinuncio, non ci rinuncio neanche per un cazzo. Quindi se cerchi una sottospecie di zerbino che sappia anticipare i tuoi pensieri per poi eseguirli, mi sa che hai scelto male ». È a questo punto che ingoierebbe a grandi passi la distanza che la separa dal proprio borsone, disposto lì, su una cassapanca « e dove bolide è la mia maglietta! » iniziando a rovistare; cade a terra di tutto: un asciugamano, un paio di pantaloni, uno di scarpe; sono braccia che si muovono spasmodicamente dentro l’apertura della sacca. Prima di tirare un calcio secco contro il mobile che lo regge, quel borsone. Ed eccola lì tutta la sua incapacità di stare al mondo, o in un mondo che comprenda qualcuno al di fuori di se stessa.
L'espressione di chi ci aveva creduto, e che ora ha decisamente troppa poca aria nei polmoni per respirare a dovere. Scalza, in quella mise da letto, semplicemente si dirige verso la porta, acchiappando il fodero col catalizzatore per rimetterselo in vita, schiudere l'uscio ed uscire dalla stanza, senza sbattere nulla. Se ne va da quella stanza un po' come forse era tutto cominciato: con un passo leggero che aveva trovato un ritmo affine al proprio. Non sa dove andare, quindi semplicemente comincia a scendere di corsa le scale, con il tipico *tun tun tun* dei talloni scalzi sul marmo freddo. Aria, ha bisogno di aria.
But even Superwoman sometimes needs another hero’s soul Si sente nuda. Nuda e sotto attacco. È per questo che bypassa le decine di parole perfide che le sovvengono in risposta al suo atteggiamento. Bypassa, tralascia, cerca un contenimento per qualcosa che, al contrario, le ribolle dentro come magma: silenziosamente, pronto ad esplodere da un momento all’altro nel suo sublime spettacolo di lapilli e terrore. La t-shirt che le coprirà a stento le cosce e con cui scenderà le scale dell’appartamento la trova per caso, lì che sporge dall’imboccatura della sacca precedentemente vittima della sua titanica furia. E mentre i piedi nudi attraversano lo spazio che la separa dai gradini, non pensa a niente, se non a gettarsi all’inseguimento della sedicenne. Si rende conto che non vuole lasciarla andare. Una sensazione che le dà il voltastomaco e la tachicardia al contempo. « Tu sei abituata così, vero? C’è sempre qualcuno che ti insegue quando scappi. Beh a me non ha mai inseguito un gramo di nessuno. Quindi non pretendere dalle persone che sappiano rimanere se nessuno gli ha mai chiesto di farlo. Perché di quelle persone lì non ci si può fidare. Non provano niente. Anche quando dicono di provare tutto. Te lo lasciano solo credere. Io sono una di quelle persone. Ma tu sei la prima ad avermi fatto credere di non esserlo. Forse, semplicemente, sono nata per ferire. Nata per andarmene. »
Help me out of this hell
« Veramente, credo tu sia la prima ». Forse Will? Non lo ricorda, ed a lui non vuole nemmeno pensare. « Io non sono chi credi io sia: non sono così benvoluta o piena d'amici. Io me ne sto da sola. Sounds familiar? « Per un po', molto poco, credevo qualcuno mi volesse bene davvero, ma tanto poi mentono tutti.» Non ti hanno mai inseguito, Haze? Lo vuoi vedere lo spettacolo di qualcuno che combatte contro se stesso per te? Per non lasciarti andare? « Resta.». È un'unica parola che gli dedica, con la forza incrollabile d'un vulcano oramai inattivo, resa solo bellissima montagna. È la mancina che le porge, ancora con le nocche rosse di quel pugno sul legno. « Io ti voglio, Haze.» è così potente ciò che dice, che pare star recitando una formula, serissima e sincera dinnanzi a lei « Io ti voglio così come sei » senza cambiare nulla, lo capisci? « Ma solo se resti. » Qui, con me, nello spazio tra le mie dita. « Se so che tornerai da me, non ti chiuderò mai la porta, e non t'impedirò mai d'allontanarti » è la sua promessa: solenne e genuina, in un cuore così spalancato da fare paura « Ma tu devi tornare, perché se non lo fai, io impazzirò di dispiacere. Questa è la responsabilità di chi sceglie di dividere la propria vita con qualcuno: la felicità altrui. » E quella mano attende ancora, in un patto a metà per il momento, la sua metà. « Pensaci bene prima di scegliere, ma quando lo farai, non voltarti più indietro.» Resta, o vai. Le scale sono sgombre.
You lift me up and I am found You lift me up before I hit the ground You lift me up when I'm down down down
Lei parla di se stessa in quel modo così familiare da bloccarle il respiro all’altezza dello sterno, e per un momento le sembra quasi di trattenere il fiato. Si sforza di far ripartire la regolarità del proprio respiro incanalando un quantitativo forse eccessivo di aria dalle labbra schiuse: è costretta a deglutire un’altra volta ancora, e lo farà più volte mentre la Grifondoro distillerà frasi che non faranno altro che scolpirle sul volto l’espressione di chi comprende pur non avendo niente da aggiungere. Non per biasimo, non per rancore, ma per inettitudine. Ed è costretta a fiondare lo sguardo sulle punte dei suoi stessi piedi quando lei dice di volerle bene. Quando lei le dice di restare. E sarebbe con lo sguardo ancora rivolto verso il basso che accennerebbe uno o due passi in avanti, inghiottendo i gradini che le separano con lentezza. Sarebbe solo adesso che le rivolgerebbe uno sguardo. Ma non di quelli qualsiasi. Uno sguardo in cui una empatica come lei potrà rinvenire le tracce latenti di una dilaniante archeologia del dolore. E non ha proferito una parola e non lo farà. Allontanerà semplicemente un braccio dal fianco. Lo aprirà per lei, Merrow, e per lei sola, per la prima volta in vita sua. Poi con un gesto — più un piccolo scatto, forse — del mento andrà ad indicare la sua stessa spalla coperta dalla t-shirt.
You’re all I need
‘Cause your love lifts me up when I’ve hit the ground Your love lifts me up like h e l i u m.
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È lì con i capelli attorcigliati nella bacchetta, con qualche ciocca più corta sul davanti ad incorniciarle le guance e le tempie; è lì con le unghie prive di smalto, con le dita diafane della destra che trattengono una penna che sfreccia sulla superficie di un taccuino avido di informazioni; lì col viso privo di trucco, gli zigomi rosei, il naso spruzzato da qualche timida efelide. È lì ed è irriconoscibile, in quel suo scompiglio che ora sembra essersi fatto più ‘ordine’, irregimentato nella monocromia di un camice da stagista qualsiasi. Dopo un anno trascorso a consultare di nascosto tomi polverosi su tomi polverosi, ma soprattutto a decodificare e metabolizzare la natura stessa di un interesse che di principio ha lasciato attonita persino lei stessa, lo stage al San Mungo per aspiranti guaritori si è decisa a farlo. E lo ha fatto non senza la preoccupazione di ciò che eventuali compagni, vedendola lì, avrebbero potuto pensare o dire di lei. Lei che non è ancora riuscita a conciliare la propria concretezza con l’immagine che vorrebbe ingenuamente dare di sé; lo scarto tra ciò che realmente è e ciò che, al contrario, gli altri dovrebbero indebitamente pensare che sia.
Ha l’aria posata e leggiadra d’una che svolazza molto più nei salotti da the che dinanzi alle interiora rovesciate d’un Animagus ubriaco. È decisamente più Pryxie, in quel « Sei molto bella » con cui commenta l’attenzione che rivolge alla creaturina bionda che le sorride come solo le ragazze che non hanno mai avuto bisogno delle attenzioni maschili sanno fare — che sia genuina o meno la fiducia in se stesse.
Il complimento di lei le si schianta addosso con lo stesso impeto di uno tsunami, ed è celere il conseguente abbandonarsi dello sguardo sulle piastrelle del pavimento. Pur concludendo che deve essersi trattato solamente di una frase di cortesia, un leggero rossore altera lievemente la base cadaverica delle gote. Aumenta ora l’intensità con cui si aggrappa a se stessa e alle sue stesse braccia, affondando ancor di più dentro il camice: le clavicole adesso come spuntoni a costeggiare il bordo del soprabito.
Un so you agree; you think you’re pretty manca di calzare al momento, perché il fiotto rossastro che assalta un poco le guance altrui provocano di rimando una goccia di curiosità sulla spensieratezza con cui Phoebe s’è lasciata attrarre da quel dettaglio. Lo sguardo si offusca d’una lontana — eppure divertita — amarezza, ma ha la decenza di celare questo sotto le ciglia e stringersi semplicemente nelle piccole spalle. Chi ha osato non dirle spesso d’essere bella? […] « San Mungo è » Anche la piuma si ferma, ora, e le labbra vermiglie sospese su parole che forse non spetta a lei pronunciare. Altro dissenso cattura tra i capelli altri riflessi ramati. « Ho una bambina. » sceglie, alla fine. « E ho deciso dare a lei il mio tempo. Per qualche anno almeno. » Per quanto stia ammettendo quella che potrebbe essere una debolezza — tante Guaritrici sono madri e non tutte tradiscono la medicina pubblica, mpf —, lei suona serena nell’affermazione. « Ci fanno studiare cosi` tanto per abituarci a dormire poco, sai. » un`altra vibrazione divertita nella voce. « E` un super potere. » Altro che solo streghe.
« Una bambina… » sospendendosi « ma come fai con… » movimenti del capo che vorrebbero riassumere un ‘tutto questo’: gli orari, i ritmi frenetici. Tutto. È stata inopportuna? « Beh ti aiuta il… ‘padre’ » l’ultima parola pronunciata con l’urgenza di togliersela subito dalla bocca « …immagino », lo sguardo indagatore. « Sarà fortunata a prescindere » la figlioletta, s’intende « sembri molto grinzafica come madre » scatto di un angolo della bocca, la nonchalance a regnare sovrana sui lineamenti « è solo che coniugare le due cose… la madre e la guaritrice… » riportando ad alta voce un pensiero spontaneo.
« Ci ama. » con altri istante di silenzio a seguire. « Ma è comunque un mago. A loro non viene insegnato che genere di aspettative abbia la società per noi. Per fortuna ha me. » A insegnare, sì. « Molti Guaritori » lieve pausa « e molti pazienti » l’apprensione riluccica nello sguardo felino volto alla bionda « purtroppo non hanno la stessa Felix. » Accenna un sorriso quasi di scuse. « E forse ti sentirai di doverli imitare, per farti rispettare » lieve disappunto pennella la fronte levigata, ora, misto ancora a dispiacere. « Ma questa professione è già abbastanza esigente perché tu debba rinunciare anche a te stessa. »
La donna cita quella cosa con la ‘a’ e la sua reazione più immediata è quella di sollevare curiosamente le sopracciglia, patendo un disagio latente per il modo così diretto che lei ha di menzionare una cosa così intima. Amore. Perché a lei fa questo effetto ciò che per gli altri è motivo d’orgoglio e felicità? Si àncora a quelle vibes decisamente femministe del discorso dell'altra strega, troppo perché lei — che in fronte ha leggibile, e a chiare lettere, un costante cipiglio da ‘blondie, but never your barbie’ — non possa prorompere in un marmoreo « sì, è così.» accompagnato da cenni d’assenso del capo. Perché in poche sillabe l’altra figlia di Cosetta sembrerebbe aver riassunto le ragioni del suo dissidio interiore. Dissidio che, a quanto pare, ha tutta l’aria di avere radici secolari. Perciò si deciderà a parlare, e lo farà con calma e con ardore al contempo, infiammata da un qualcosa che sembra quasi mettersi in moto dentro le sue stesse viscere. « Io lo detesto il modo in cui hanno deciso che dobbiamo essere una cosa sola » così, a freddo, come se non l’avesse neanche premeditato. « E non lo sopporto » rincara la dose « il modo in cui questa cosa sola non va mai bene. Il modo in cui dobbiamo farcelo il doppio degli altri » leggi ‘il mazzo’ « per essere prese sul serio » non se ne rende conto, ma sta accompagnando il tutto con fervidi gesti delle mani, i capelli a briglia sciolta, il catalizzatore nella mancina, e qualcosa ad incendiarne lo sguardo «e alla fine finiamo per non esserlo mai realmente» prese sul serio «perché finisce che c’è sempre qualcos’altro che dobbiamo dimostrare» ancora gesticola «se siamo troppo intelligenti siamo ‘corvosecchie’ e possono metterci i piedi in testa. Se ci preoccupiamo del nostro aspetto siamo frivole, se non lo facciamo siamo sciatte. E non importa quanto i tuoi vestiti o il tuo modo di fare gridino al mondo che non ti interessa un grinzaficosecco di niente: le tue tette o il tuo c*lo finiranno lo stesso menzionati nel prossimo TimoCupido, e il tutto perché qualcuno ha deciso che devono starci, o che è questo che deve valere più di tutto ciò che di altro avresti da offrire al mondo, e... » si interrompe, la bolla in cui aveva la percezione di essere immersa implode. « Io... » si sospende così, aggrottando la fronte «ecco...» rabbia repressa, Coleman? Troppo tardi, direi. Si schiarisce la voce, incasinando i capelli attorno al catalizzatore che fissa nervosamente sulla nuca, rimandando indietro con le dita le ciocche più corte che incastra dietro le orecchie, seppur queste continuino a sfuggire dalle cartilagini.
È esile sotto l’ampiezza delle gonne o le morbidezze delle maniche a tre quarti, ma qualsiasi illusione di fragilità è accompagnata piuttosto dalla pienezza delle labbra e lo sguardo che ora offre quella attenzione che qualcuno — davvero — avrebbe dovuto dare ad Azalea molto tempo fa. Lei la trova bellissima. Il capo è inclinato, a riflesso del timore di ferirla o turbarla che accompagna la quieta fluidità con cui tenta raggiungerla. E lì, fronte a lei, osare dilungare la mancina verso la mano altrui — le dita sottili, morbide, curate, su quelle bianchissime altrui, a muto dimostrazione di sostegno. « Posso? » fioca poi. Se concesso, con tocchi delicatissimi, cercherebbe scostarle le ciocche via delle gote, accompagnarle dietro le orecchie — a rinfrescarla un attimo dopo quell’eruzione di rabbia troppo a lungo trattenuta. Adeguerebbe la presa — che non si fa mai intensa — ad eventuali disagi, evitandola del tutto se percepito il divieto.
La tenerezza di lei riapre l’imboccatura di quel buco addormentato tra le pareti del suo stomaco: sempre lo stesso, pronto a trasformarsi in voragine nell’urgenza e nell’impossibilità di essere mai colmato del tutto. E alle iridi ambrate di Phoebe, per un attimo, se ne sovrappongono altre azzurro mare. Materne. E non regge a quello scherzo crudele e beffardo giocatole dalla sua stessa mente. Colpita e affondata, ora che, con le ciocche incastrate dietro l’orecchio dalla premura della Guaritrice, si alza di scatto dalla poltrona per rassicurarsi con la certezza di avere quanto meno presa su quel pavimento; di avere qualcosa sotto i piedi, di non stare sprofondando. «S-sei... gentile ma... io... » la fronte corrugata, le dita diafane a cercare nervosamente un ancoraggio al proprio collo « è stato un piacere, Phoebe, ma ora... » è ossigeno che scarseggia e battito cardiaco che accelera. Rimane sospesa nell’ultima sillaba mentre, indicando con l’indice la porta, ne cercherebbe l’ampiezza dell’uscio. E intanto se lo ripeterebbe almeno cinquecento volte mentre dentro quel camice ingoierebbe a passi svelti quante più piastrelle del corridoio possibili: ‘i paladini non piangono Lea. E tu non devi fare come mamma: tu non devi piangere mai. Promettilo’. Promesso.
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(il 4 agosto il gufo di zia Mils recapiterà presso la finestra di Merrow un curioso scatolino di cartone appositamente forato per far passare ossigeno all’interno. Dentro, una Piantina Arcobaleno avvolta in una bolla isolante. Legato alla zampa del gufo un rotolino di pergamena tratteggiato dalla grafia della Coleman)
Ohilà sis, i regali non so farli, figuriamoci incartarli. Un pensierino per te, per la tua serra e per le altre cose che mi viene il vomito la nausea solo a pensare di doverle scrivere. Quindi ecco, non le scrivo e ti dico che già le sai perché sì insomma, sei tu quella empatica qui dentro.
P.S. Il regalo è anche perché in questi due mesi non ho trovato nemmeno una volta il coraggio di dirti che faccio uno stage al San Mungo e so che ti ingrami se non ti dico le cose. Ho cominciato questa settimana.
P.P.S. Non ti arrabbiare. Per certe cose a me serve più tempo degli altri. Lo so, sono pessima.
P.P.P.S. Oltre a Zia Mils sei l’unica persona a saperlo. Aguamenti in bocca. Ti spiegherò, promesso.
Ho perso il conto delle P.S. Non sono mai stata felice come questa settimana e non vedo l’ora di raccontarti.
Non combinare troppi casini in mia assenza.
Ci vediamo sabato,
H.
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quattro
Il Polisucco ormonale che da tempo ribolliva sotto l'incarnato cadaverico ha portato sfacciatamente a galla i primi effetti collaterali smussando l’acume delle precedenti geometrie in linee leggermente più morbide. Sotto l'abbigliamento di chi è certo che non sarà a suon di lustrini e capi d'alta moda che dimostrerà qualcosa al mondo, l'impalcatura da tomboy sembra cedere di fronte alle prepotenti bordate di un'energia femminea e misteriosa che già si lascia timidamente intercettare dallo sguardo altrui. Poco più di centosessanta centimetri di scompiglio modellati da allenamenti condotti fino allo sfinimento; occhi blu, zazzera biondo miele ed incisivi grandi sepolti sotto tonnellate di cinismo. A quanto pare non ha mai perso il vizio di scambiare la bacchetta per un ferma capelli. Capricorno, Luna in Redùcto. Spirito indomito senza filtri e dal sarcasmo pressoché spietato. La curiosità inestinguibile e lo stacanovismo esagerato nei confronti delle sue aree di interesse hanno progressivamente confermato la lungimiranza del cappello parlante; ciononostante si ritrova ancora a fingere supponenza in aula, a nascondere le sue reali ambizioni e a sfogliare tomi polverosi aggrovigliata in posizioni sghembe negli anfratti più improbabili del castello mordicchiando mele verdi — il tutto pur di difendere la sua reputazione di rebel girl e scongiurare quella di corvosecchia. Bossy bitch vibes, astuzia e nitroglicerina nelle vene come corredo genetico di una perfetta faccia da schiaffi.
Ha l'aria di chi preferisce cavarsela da sé — riuscendoci pure. Raramente valuta le possibili conseguenze delle proprie azioni, fregiandosi di una leggerezza e di un’indipendenza��dal valore sacrosanto. Il solo modo di provare sentimenti che conosce è spasmodico e assolutamente disorganico, nonché specchio della più generale refrattarietà nei confronti di convenzionalismi e preconfezionamenti. È ciò che cerca di far capire a Merrow tra un misunderstanding e l’altro, e se la squadra corvo è quanto di più vicino ad una famiglia abbia mai avuto, fuori da Hogwarts la sua casa rimane pur sempre zia Mils, abitata dall'unicità di ciò che le lega. La lezione della violenta e tenera Amaryllis l’ha imparata bene: gli argini non sottraggono energia al corso del fiume, ne convogliano solo più efficacemente l'impeto.
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senza pagare
Le iridi chiare tornano sul bff prima di slittare del tutto verso Haze. « Shottino? ». Un po’ di shottino solo io e te, Haze?
« Oh, che, io? » aggrottando la fronte e scagliando addosso a Merrow uno sguardo in cui lei sarà probabilmente in grado di leggere una cosa tipo ‘io non c’entro niente e non ho nulla con nessuno dei due, quindi posso accollarmi tranquillamente sta cosa senza rischiare di finire a pezzettini nel bidone dell’organico fuori nel vicolo, giusto?’. « Se loro vanno a ballare… » altra innocente alzata di spalle « accollata ». Un’altra occhiata delle loro alla Grifondoro prima di proferire un « ‘nnamo Xavì » cominciando a muoversi verso il bancone dove approderebbe con ambo i gomiti, molleggiando in avanti per sovrastare di poco il chiasso della musica dal vivo ed interloquire con il barista. « Due shot per me e per il mio amico, per favore » analcolici, ovviamente, che tanto il menù passa soprattutto quelli, indicando Xavier con un rapido scatto laterale del capo « direi che se non ci sono obiezioni… » le iridi glaciali che cercherebbero conferma in quelle del Serpeverde « per la scelta della pozione potremmo rimetterci a te » rivolta al barman « stupeficiaci! Altrimenti vai » scegli « tu Xavì, per me è uguale. Basta che non sia contrastiosa, che l’abbiamo già presa: non vorrei rischiare troppa benevolenza, che tutta in una volta potrebbe anche uccidermi ».
« Che c’hai, il singhiozzo? » il tono piatto mentre lo sguardo viene portato verso di lei proprio al termine di quel nome a metà. « È la contrastiosa che ti fa parlare così tanto, quindi? » o sei tu di norma, Coleman? « Stupeficiala. » con un buon shot. « Ancora qui sei? » neanche un secondo dopo, al barman. Ergo, ti muovi che vuole bere?
« No è che il tuo nome intero forse mi fa un po’ cagare perché sembra quello di un farmaco per il reflusso, non ti dispiacerà se ne taglio un pezzetto, mh? » ironica al punto giusto, sostenendone lo sguardo.
E quando i due bicchierini arrivano… « Ti dovrebbero licenziare. » per quanto tu sia lento, barman. Gentile, educato, simpatico e carino come sempre. Osserva il bicchierino avvicinarsi, circondandolo subito dopo con la mano destra sollevando il gomito e simulando un cin-cin in aria, mentre un passetto viene fatto in avanti, avvicinandosi appena un po’ a lei, proprio perché mentre avvicina il vetro del bicchiere alle labbra è la mancina a richiudersi in un pugno facendo spuntare solo l’indice in fuori, lo stesso che tenta di essere appoggiato sotto il mento di lei con l’intenzione di farla sbrodolare con una leggera spinta verso l’alto e quindi all’indietro, durante quella rapida bevuta. Sperando di riuscirci, cosicché da poter buttare giù il suo ed eventualmente ridere.
« Lo scusi, le direi che è ubriaco, ma è semplicemente un c*glione e non vorrei discriminare inutilmente le categorie sbagliate » facendo spallucce verso il barista prima di portare il bicchiere alle labbra e divenire vittima del simpaticissimo scherzetto. Istantaneamente va indietro con le chiappe, sporgendo lievemente le braccia che rimangono protese in avanti, in una mano ancora il bicchierino da shot. Se ne rimane lì sbrodolata fino alla giugulare, le labbra schiuse, la mano che sorregge il vetro parzialmente bagnata dal liquido dapprima in esso contenuto. Quanto meno è riuscita a berne una parte, anche se pochissimo. « Prendi-dei-tovaglioli. » lapidaria « o vedremo quanto è profondo il tuo buco del c*lo perché puoi assicurarti che lo infilo da lì e te lo faccio sputare da sopra» scrollando la mano che brandisce il bicchiere. Attenta princi, t’è caduta la tiara. Intanto quello che aveva da asciugare lo asciuga comunque tranquillamente con il dorso della mano e del braccio, fregandosene palesemente di un suo eventuale giudizio: non ha intenzione di aspettare i suoi tovaglioli. Ed è anche stanca di sorbirsi le sue lamentele sulla noia e la scontatezza delle sue risposte. « Non sono un’intrattenitrice e tu non mi paghi per intrattenerti » detto con nonchalance, il tono di chi sta ripetendo il proprio numero telefonico « sappiamo benissimo entrambi da che parte della sala dovresti essere, e non è né con me, nè con lui » andando ad indicare con uno scatto del capo il barista, intento a versare distrattamente da bere ad altri clienti poggiati al bancone. «Né con Delation, a dirla tutta» alludendo chiaramente a Merrow e scrollando la testa in segno di disapprovazione « perciò te lo dico chiaro e tondo, se cerchi una balia per innescare improbabili reazioni in qualcun altro» la tocca piano, eh « lì è pieno di quaranta-cinquantenni che non vedono l’ora di sentirsi lusingate dalla tua presenza ed avere qualche ultimo secondo di gloria prima di finire nel pattume dei rimpianti giovanili» e dice il tutto fissando di fronte a sé una bottiglia di vetro striata da motivi geometrici particolari « ma per il resto ti ricorderei che la tua sala comune non è la mia, a che Casata appartengo, e che i c*glioni Tassofessi a quest’ora dormono sotto lenzuolini di flanella, non sorseggiano cocktail in un pub per maggiorenni ». Una reazione che nasce dalla consapevolezza di essere solamente un diversivo. Un diversivo che probabilmente sta facendo ingramare non di poco la migliore amica.
« Sei proprio stupida. » il primo commento che ci tiene a dare, così de botto, senza nemmeno pensarci. « Tu non sai proprio niente. » o solo quello che ti è stato riferito. « Quindi dovresti sapere benissimo che la parte della sala in cui dovrei essere me la scelgo io, sempre e comunque » si dà il caso che non abbia intenzione di dover utilizzare chissà quale termine per andare dritto al punto « e che c’è qualcosa che si sa bene » e che quindi puoi sapere anche tu « che se non avessi scelto di star qua, sarei a divertirmi con Delation. » giusto perché è il suo migliore amico, ricordiamolo. « Quindi » rimarcando piuttosto bene un concetto che già di per sé dovrebbe essere stato piuttosto chiaro « prima di dar aria a quella bocca, prova a sentire quello che si muove nella tua testa » aka non dire parole troppo affrettate, pensaci un po’ su « o il cappello parlante ha seguito la lamentela di una bambina che gli diceva ‘Non mandarmi a Tassorosso che non voglio risultare più imbecille di quanto già…’ continuo? » bloccandosi così giusto perché ha già parlato abbastanza.
[…] Si rimpasta la bocca, deglutisce; diventa tutta zigomi ed occhi da iceberg cerchiati di nero. Solo a questo punto dopo aver abbassato le palpebre andrebbe a voltarsi verso il bancone con un movimento secco. « Tu » tentando di richiamare l’attenzione del barista. « Tu, sei sordo? Devo forse tirarti un Redùcto tra le chiappe per farti scattare? » cambiando completamente registro, inviperita. « In questo fo*tutissimo buco del gramo dimenticato da Merlino la servite qualcosa senza i vostri esperimenti da pozionanti falliti dentro? » ora più simile ad una iena; insomma, si sta girando un bel po’ di specie animali. « Se deve essere analcolico per le vostre politiche aziendali del crup, che quanto meno sia decente, che per fortuna quello di prima me l’ha sbrattato per metà lui addosso » scatto della testa verso il Serpeverde. Respiro profondo che le dilata ampiamente il petto, braccia conserte, ora rivolge nuovamente la figura interamente a lui « richiamo quella colonia secolare di pidocchi dall’ufficio di Doragon per farmi rismistare? » chiaro riferimento al cappello parlante.
Cattura quell’umettata di labbra e quell'intenzione a trattenersi, la stessa che sembra nascere in lui dove le labbra non fanno altro che smuoversi in quello che permette di diventare subito dopo uno schiocco, lasciando che la lingua batta fortemente sul palato e le sopracciglia si flettano, come se in quel modo volesse ancor di più affacciarsi al 'discorso' appena fatto. Ma poi si volta di scatto verso il barman che è diventato il capro espiatorio di tutta questa barzelletta per partire con una sfrecciata degna di chi almeno una volta è corso sulla scopa. « D'altronde fanno tremendamente schifo. » in aggiunta, proprio al discorso di lei « Oltre al fatto che più che sbrodolarselo addosso » e lo sbuffo di divertimento è inevitabile « avrebbe voluto vomitartelo, addosso. » scegliendo lo stesso giro di parole per dar un peso maggiore a queste. « Sai cosa? » al barman, dandogli del tu che non gli spetta. « Non vi meritate nemmeno uno zellino per quest'acqua sporca. » giusto per ricordare che tipo ancora non hanno pagato? Ed è pronunciandolo che si ritrova a portare le iridi chiare sulla Corvonero, assottigliando di poco le palpebre per non dare nell'occhio in ciò che, con un passo all'indietro dal bancone, dovrebbe essere piuttosto chiaro. « Dipende. » sei ancora in prova, insomma. Ma basta un « Corri. » per cambiare le carte in tavola. Perché quel che fa è voltare le spalle al bancone e compiere uno scatto necessario per fuggire da lì, verso l'uscita del locale. Lo sguardo che punta indietro nel controllare che Haze faccia lo stesso. Aspettandoselo, in realtà. E nel mentre, in tutto ciò, ride.

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lines seta ultra
A | La ricerca all’interno della borsa di chi-lo-sa-poi-che-cosa non sortisce gli effetti sperati e mentre un braccio è ancora interamente inghiottito dall’imboccatura della sacca, si premura di scomodare Merlino da dov’è messo per imputargli le colpe del suo disordine congenito. « Merlinoboia è un cacatoio per kneazle sta roba qua » un chiaro riferimento agli interni della sua pidocchiosa tracolla. Con un gesto rapido della mano ancora libera porta dietro l’orecchio un bel po’ di ciocche che le impediscono la visuale; sta giusto per abbassare l’avambraccio, seppur con lo sguardo ancora fisso sulle tasche della borsa, quando una voce le solletica i timpani. Una voce la cui inflessione si fa certamente riconoscere. « Dieci parole in una sola frase » solo adesso alzerebbe lo sguardo, allontanando con un soffio esploso a fior di labbra e verso l’alto qualche altra ciocca bionda ancora ribelle « muretto » a secco, ormai l’ha battezzato così e non c’è verso di farle cambiare idea « ti lascio due settimane e m’impari a parlare? » scrollando la testa giusto per fingere stupore. Lo squadra dal basso verso l’alto, iniziando comunque a venirgli incontro. Solo non appena sarebbe abbastanza vicina intenterebbe la tipica manovra di saluto standard, quella universale che si trascina dietro la grazia di un elefante: più che una pacca sulla spalla sarebbe una bella botta sul bicipite a palmo aperto. « Aò, come te la passi? » gli chiederebbe lanciando nel mentre qualche occhiatina intorno « aiutami un secondo qua oh, che sto cercando una cosa » l’aria di chi non può assolutamente rimandare. A questo punto tenterebbe di accollargli la borsa, o meglio « me la tieni aperta prima che le dia fuoco? graaaazie », che le esce a metà tra una richiesta e un ordine « vabbè, per favore, ovviamente » corregge subito il tiro giusto per non sembrare più cafona di quanto non lo sia davvero.
N | Ovviamente non gli interessa quello che la ragazza bionda sta cercando, ma evidentemente preso dalla noia, le parla. E dice davvero dieci parole? Niall alza già il sopracciglio sinistro e si mette a ripensare sulla frase detta, e a contare realmente le parole che ha detto. Si isola insomma, come al suo solito, prendendosi tutto il tempo che l’altra occupa parlando. « I Corvonero invece hanno la capacitа di misurare lunghezze? » domanda, andando ad allargare il sorriso sulla parte destra del volto. La voce comunque non cambia ne in tono ne in volume, apparendo comunque distaccato e disinteressato alla possibile risposta. Si prende comunque la pacca sul bicipite, che è duro, nella misura in cui è anche un bimbo secco che si allena. Non è di certo enorme, e neanche un palestrato. « Gnn » mugugna comunque a quel gesto, passando alla sua domanda alla quale non da nessuna risposta. Odia le domande di rito, come quei “come va?”. E poi insomma, l’altra gli rifila in mano la borsa. « Tanto ormai me l’hai messa in mano » dice tenendo la borsa aperta, e non dando peso alle parole. « Accia quel gramo di oggetto che ti serve, fai prima » si permette pure di suggerirle riempiendo un po’ il petto. E le regole degli incantesimi fatti dai minorenni? A lui non frega nulla, assolutamente nulla.
A | Le iridi glaciali si soffermano sul volto del suo interlocutore studiandone i tratti e l’espressione — al momento un po’ persa — che fa capolino tra gli occhi e le guance. Non entra nel merito di quell’attimo visto che è impegnata a blaterare come suo solito; di certo lo stesso, però, non può dirsi di quando coglie — o vuole cogliere? — nella battuta del coetaneo un residuale doppio-senso. « Gnegne, viaaa muretto, non fare lo zozzone con ste frecciate che se mia zia fa retromarcia dal negozio in cui è infilata mi chiude in convento » lanciandogli un’occhiata della serie ‘sì sono vittima di un regime carcerario che in confronto Azkaban è un residence per famiglie e sono in procinto di abbracciare una nevrosi’. In ogni caso subito dopo non si fa troppi problemi a piazzare la borsa in mano a Niall non appena lui accenna alla minima sfumatura di consenso, continuando a rovistare come un ratto subito dopo. « Gnegne » gli fa il verso ancora una volta « acciare sto paio di bolidi, secondo te infrango la legge!? » e l’affermazione, partorita dalla sua bocca, le pare comunque talmente assurda che è costretta a correggersi sostanzialmente subito « ce nel senso, ci mancano solo i problemi con la giustizia e quella lì mi incatena all’armadio » sta chiaramente esagerando, povera Mils, però insomma, è nel suo stile. Nel frattempo la sua ricerca — di cui a quanto pare non conosceremo mai l’oggetto — si conclude tragicamente quando, avvistato l’incarto di nientepopodimenoche un assorbente perlecosedellefemmine non prorompe in un esagitato « EEEE NIENTEEEEE » tentando di tirargli via di mano la borsa come il miglior scippatore di Secondigliano « BASTA NON C’È, UHEHHEUUH CHE SBADATA DEVO AVERLO LASCIATO A CASA » anche se non dice cosa perché insomma, pronto polizia delle borse, abbiamo un grave problema con il disordine e i prodotti d’igiene femminili lasciati lì dentro alla ca*zum di cane. « Grazie lo stesso, sei stato davvero gent- » rimettendosi in spalla la tracolla dopo essersi premurata di aver sigillato l’apertura a doppia mandata « eeeh ma senti, ce lo facciamo un giro? Ti va di farti un giro no? Ti sto chiedendo di farci un giro, dovevo andare da Quidditch Supplies, spero ti vada perché insomma, chi fa da sé fa per tre e meglio soli che mal accompagnati, però vuoi mettere ecco camminare con i muretti a secco nei marciapiedi che non sono solidi come i mur- » come un fiume carsico, nel disperato tentativo di contenere la destabilizzazione.
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(il 16 a pranzo giungerà ad Azalea un pacchettino in carta fucsia scuro con un fiocco in velluto nero ad ornarlo ed un biglietto) Me lo sono fatto fare solo per te. Lampone e Liquirizia, spero ti piaccia Zizi, altrimenti, dallo a tua Zia, saprà se metterlo al gatto o gettarlo nel fiume.
Merrow
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acquavite


A | Rimane in cucina in attesa della Grifondoro mentre i fumi dell’alcol si impossessano dell’ultimo millimetro di dignità residua non ancora annegato nei bicchieri da shot. Le giunge in lontananza l’eco dei passi di Merr, che accoglierà in cucina con un « Morgana avadata, cento volte meglio farsi depilare la calotta cranica con una pinzetta che stare a sentire sto st*onzo » con un palese riferimento a Waleystock. « Vié qua sis, fregatene, non ti merita » e manca solo il ‘questo programma è stato offerto da Mediaset’ perché il cringe c’è tutto. Se ne sta lì ubriaca lercia con la t-shirt che puzza di alcol manco avesse trascorso i nove mesi di gestazione dentro un barile di Acquavite; i talloni poggiati cafonamente sul tavolo, ricoperti dai rombi delle calze a rete come il resto delle gambe, sono talmente freddi e cadaverici che se solo non aprisse bocca ogni tre per due siamo certe che due tastatine al collo per sincerarti dell’effettività del suo battito cardiaco ogni tanto gliele daresti, Merrow cara. « Che poi che volevi mica farci? Ti può venire padre, cade a pezzi! Ce rischi che se gli pigli la mano e fate due passi magari ti fai cento metri ancorata solo alle sue falangi perché il resto l’hai perso per strada senza accorgertene » colpetto di singhiozzo che la lascia retrocedere automaticamente da donna vissuta che elargisce perle di una saggezza del tutto infondata sugli uomini a neonato nel momento del ruttino post-poppata « ce hai tanti di quei manzi ai tuoi piedi » non risulta però troppo convincente nel dirlo, al punto da sentirsi in dovere di correggersi. Solleva l’indice con l’aria da maestrina « okay, so cosa stai per dire » cioè tipo niente, però lei va avanti come un treno ugualmente « MAAAAA poi, chi se ne fo*te? » facendo spallucce. « MAAAA POI, che dire amici? » congiungendo i palmi delle mani in un sonoro applauso « di bere abbiamo bevuto » si alza in piedi con uno scatto « Merlinobono che c***o di caldo, di bere abbiamo divertit- » si corregge biascinando le ultime sillabe « di divertirci ci siamo bevute » fermi, non ha capito il gioco, o sono solo gli effetti del saltello che le ha portato su la bellezza di settordici ettolitri di solfiti ed acido. « Merr, brodi » tipo 'bro', ma a modo suo « basta, andiamocene a dormire, c***o » è in piedi ma barcolla, l’orlo della maglia nera che le sfiora i quadricipiti torniti dagli allenamenti, la matassa di capelli biondi scompigliata e le palpebre cariche di ombretto nero ripetutamente strizzate come ad indicare che è semplicemente in procinto di stramazzare al suolo. Fine — quasi — delle trasmissioni.
M | Torna dalla Coleman con lo stesso cipiglio di Medusa pietrificatrice d'Eroi […] Le parte uno scoppio di risata improvviso alla visione d'un Waleystock decrepito appresso a lei: che voleva farci? Spallucce « Ma che ne so. Niente forse. O forse si, sis non me le penso sempre ste cose.. cioè vado a braccio. Teso. Sui denti, di solito. » L'arte del rimorchio by Merrow, primo volume [...] La Coleman fa saltini e tutte cose, e prima di passare al ballo dei Mooncalf, quello che fa lei è avvicinarlesi appena dichiara che "si sono bevute" per andare ad allargare le braccia e cercare di serrargliele in vita stile innamoratini. Se non fosse che poi sforza gambe e schiena per tirar su la Corvonero, facendone oscillare in aria le gambe secche come un pendolo per qualche istante mentre sbuffa « Si, sis. Leviamoci dal Gramo. E domani una bella fumiga- » attacca il risolino mentre se ne uscirebbe con lo stecchino della Coleman tenuta sollevata dalla vita, per farle fare un altro saltino e chiudere la destra a pugno attorno al polso destro sotto il fondoschiena altrui « fimiga- no fig-No » attacca a ridere a metà atrio, e quello che succede non appena giungono alle scale è che lei non riesce più a parlare da quanto le scappa da ridere. Addome contratto, vista offuscata, primo gradino che viene fatto a metà ed inciampo del piede. Ricetta perfetta per il disastro: sbatte contro il secondo gradino e per poco non si ammazzano in due, motivo per cui con un braccio regge a costo della vita la Coleman che finirebbe di schiena sulle scale, e con l'altro attutisce il dolore d'entrambe, che caracollano come sacchi di sabbia sui gradini, facendosi male ma non troppissimo. « Ahahahahha o-ora si che siamo a le-ehehetto! » Seh ciao, sta in botta piena, e supina cercherebbe d'allungare l'avambraccio verso di lei, probabilmente colpendola ad altezza occhi « Ohu » eh « OHU! » è importante ascoltami « Sei una m*da. » Ah, pure [...]. Di nuovo, con voce più alta ed urgente « Zizi, non te ne andare ok? » tipo mai, in generale « Resta nella mia cucina in calze a rete a fare lo schifo per mangiare la marmellat-hic » singhiozzino « Ok?! » A voce più alta di nuovo « NON DEVI MOLLARE LA MIA C*ZZO DI MANO, OK?! » Glielo urla in faccia a due centimetri, con gli occhietti velati di sbronza e forse altro, prima di sorridere beota e contentina «Dormiamo qui? » Ora col tono d'un cucciolo, accomodando la testolina dalla chioma nera e folta, sul petto inesistente di Haze. È pazza. Si, pazza di lei « È comodo. » Come no, scale, migliori amiche dei chiropratici.
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selma’s day
Non si lascia dire due volte da Luke che non deve disturbarsi per il regalo e dopo la meritata sfregatina di corna lo lascia andare senza troppo indugio, accompagnando il gesto con un ghigno. Nel frattempo con nonchalance verso Cornelia « Morgana ladra, stai proprio bene Harris » annuisce compiaciuta verso la compagna di squadra « non mi stupirei se l’anno prossimo uno stuolo di pretendenti arrivasse in spogliatoio in preda all’accecante desiderio di sostituirsi alla tua mazza » mazza da battitore, s’intende. « Vedi di non farti fregare » e punta contro un indice sarcasticamente « gli unici bolidi che contano sono quelli con un cervello » afferma compiaciuta « e credimi, posso assicurarti che di norma non sono quelli conditi al testosterone » altro ammiccamento prima di prorompere con un « OOOH muretto a secco » rivolto a Niall, da poco sopraggiunto e soprannominato così dal primo giorno perché insomma, non si può dire che sia proprio loquace… « che c’è, non hai portato il costume? » gli chiede aggrottando la fronte « avanti, che forse a contatto con l’acqua fredda li aggiungi due monosillabi al tuo repertorio » facendo scattare lievemente la testa verso il lago.
Nota comunque Azalea che lo richiama con quel nomignolo che comunque non gli interessa e non lo scalfisce. Volge quindi il capo verso di lei e non si fa problemi a risponderle. « Io ce lo faccio nudo » dice sciallo e apatico « non mi hai mai visto dalla tua torre? » e la va ad indicare con lo sguardo, visto che comunque da lì hanno una bella visuale pure del castello. Ma è a sentir la voce di Merrow che affila lo sguardo in sua direzione, anche perché deve comprendere bene quelle parole prima di poter reagire. « Gnn » mugugna per poi abbassar lo sguardo e sghignazzare una delle sue risate che risuonano maligne e risucchiate. « In realtа lei la volererebberebbe addestrare la selma » commenta facendosi sicuramente udire da Azalea e guardando Merrow con un sorriso del tutto sghembo e beffardo.
« Muretto a secco, l’anno prossimo saremo costretti a finanziare un logopedista per farti sostenere i G.U.F.O. » conclude facendo spallucce. « In ogni caso no, O’Gallagher » scuotendo la testa, gli occhi ridotti a due fessure « non ho ancora avuto questo privilegio » di problemi se ne fa pochi « ma se devo dire la mia, mi sembra abbastanza pretenzioso da parte tua ipotizzare che certe cose possano addirittura intravedersi dalla mia torre, credo proprio che ti manchi qualcosa di molto simile al senso della misura » anche qui, spallucce compiaciute « e magari anche quella, senza ‘senso’ » concludendo il suo teatrino poggiando le natiche a terra e incrociando le ginocchia.
L’argomento Selma si sta mescolando ad altri che lo portano ad uno stato confusionale che lo fa sembrare tra le nuvole. « Chi ca*zo è quello che hai detto? » chiede in merito al logopedista, con i denti stretti e con un accento un po’ norvegese che gli esce un po’ random. Continua a guardare Azalea non risultando in alcun modo attaccato dalle sue parole schiette. « Chiedi a lei » e ammicca con il mento proprio a Merrow, quando l’altra finisce tutto quel dire sul senso della misura e cose da vedere dalla torre.
«O’ Gallagher, è quello che ti insegnerà a parlare » spiegazione di ‘logopedista’ che Treccani spostate « ammesso che avrai ancora la lingua per poterlo fare » continua «felice che ti sia sbloccato, ma se devi farlo per scartavetrarmi i bolidi, allora ti preferisco decisamente muto come prima ».
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explicit ‘76 — segreteria
M. «Haze, tuo padre continua a telefonare»
H. «Si vede che con la nuova tariffa non paga le chiamate»
M. «Dice che hai sempre la segreteria»
H. «Grammaticalmente improprio, non trovi? È il telefono ad avere la segreteria, non io»
M. «Haze, non è questo il modo di risolvere le cose»
H. «Infatti è un modo tra i molti possibili»
M. «Non sono d’accordo, è sbagliato non dare una seconda possibilità»
H. «Infatti questa non è la seconda, ho perso il conto. Hai guardato i documenti per la questione del tutore?»
M. «Non si può fare»
H. «Perché non si può fare?».
M. «Non è così semplice Haze»
H. «Allora vorrà dire che diserterò e andrò in albergo»
M. «Non puoi permetterti un albergo»
H. «Non occuperò abusivamente la tua umile dimora senza un pretesto legale. Tranquilla, esisteranno i sottoscala, e poi i ponti. E poi comunque tra un po’ me ne torno ad Hogwarts»
M. «Qui puoi rimanere quanto vuoi, lo sai... anzi, a me e-ecco, farebbe piacere se tu rimanessi»
H. «Non ha senso»
M. «Un passo alla volta, okay?»
H. «Okay».
M. «Buonanotte Haze»
H. «Buonanotte Mils»
zia Mils indugia qualche secondo sull’uscio della camera degli ospiti per poi sparire, fagocitata dal buio corridoio del piano superiore di casa sua.
M. «Haze»
Torna indietro come niente fosse, riaffacciandosi di nuovo alla porta.
H. «Che c’è?»
M. «Non devo incantare le finestre, vero?»
H. «Mmm forse»
M. «Azalea Coleman»
H. «Merlino gramo, no, okay? Ora va a dormire, sciò sciò»
M. «Un’ultima cosa»
H. «Eh»
M. «Non è vero che non sarebbe fiera di te»
H. «Chi?»
M. «Tua madre. Siete uguali. Lui non può capire. Non l’ha mai accettato»
H. «Che cosa?»
M. «Quello che lei era, che tu sei. Che sono anch’io. È per questo che è ostile»
H. «C’è una bella differenza tra essere babbani ed essere str***i»
M. «Rifletti su quello che ti ho detto e considera la possibilità di poterlo perdonare»
H. «Finito?»
M. «Sì, scusami... hai ragione, non ti dico più niente, okay?»
H. «Okay. Notte Mils»
M. «Notte. Ti... ti voglio bene Haze»
H. «Sì, lo so. Dormi... dormi bene»
M. «E tu?»
H. «Sei proprio cringe quando ti ci metti»
M. «Quindi è un no?»
H. «Morgana ladra Mils, sono le due, ce ne andiamo a dormire?»
M. «Tanto so che è un sì»
H. «Ecco infatti, allora che lo chiedi a fare?»
M. «Quindi è un sì»
H. «Sì, è un c***o di sì, contenta?»
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anti vigilia — ‘76
Casa Coleman è immersa in una quiete surreale. In cucina, nel salone, nelle camere, non sembra sussistere traccia alcuna che lasci prevedere l’imminenza delle giornate natalizie, fatta eccezione per un piccolo Bonsai sul marmo del piano cucina su cui è stato distrattamente apposto un filo di luci bianche. Haze e Isaac Coleman siedono uno accanto all’altro davanti ad un monotono servizio di porcellana, lasciando che sia il rumore delle posate e dei liquidi rovesciati distrattamente nei bicchieri a riempire l’abisso di silenzio che si frappone tra loro.
I. «Buono il polpettone?»
H. «Mm mm»
I. «È un sì?»
H. «È un ‘sì, ma so che non l’hai cucinato tu’»
I. «Però è buono, mh?»
H. «Come ti pare»
Isaac Coleman, un filo di barba sugli zigomi pronunciati, passa un lembo del tovagliolo sulle labbra prima di schiarirsi la voce con una solennità che non gli appartiene. Il tono di un martire consapevole di essere in procinto di far detonare il suo ordigno.
I. «Viktoria verrà a stare qui, settimana prossima»
Haze Coleman, quindici anni il mese dopo, deglutisce a fatica un pezzo di polpettone, sforzandosi di non strabuzzare gli occhi e di non accennare al minimo segno di alterazione. Dentro, il gelo.
H. «Perché? Non ce l’ha una casa?»
I. «Ci sposiamo. L’anno prossimo»
H. «Scusa, quando pensavi di dirmelo?»
I. «Al momento giusto»
H. «E allora si vede che non hai tempismo, perché è un bel momento di mer*a»
I. «Azalea, ti prego di non cominciare»
H. «Non chiamarmi in quel modo»
I. «Haze, non cominciare per favore»
H. «Di non cominciare a fare che cosa esattamente, papà? A rivendicare il diritto di non avere una donna diversa tra i bolidi ogni volta che torno in questa casa per le vacanze?»
I. «Fino a prova contraria questa è casa mia»
H. «Ma davvero? Scusami tanto, tolgo il disturbo allora»
Fa per alzarsi strattonando violentemente la sedia all’indietro poggiando sul tavolo i palmi di mani che hanno già cominciato a tremare. Si sforza di mantenere la lucidità mentre voltandosi di scatto dall’altra parte tenta di svincolarsi dalla presa di Isaac, dita cinte intorno al suo polso.
I. «No, adesso tu siedi e finisci»
H. «Togliti»
I. «No, adesso tu siedi e finisci, mi hai sentito?»
Lei dal canto suo inizia a muovere il braccio lasciando che ogni molecola del suo corpo accompagni lo strattonamento — irrisorio — di quello del padre. Non riuscendo comunque a divincolarsi decide di desistere.
H: «Altrimenti che fai? Mi picchi? Mi sbatti fuori di casa così da poterla tranquillamente trasformare nella succursale di un bordello?»
L’eco dello schiaffo è talmente forte che sembra schiantarsi contro le pareti, insidiarsi dentro gli sportelli, morire a contatto con le stoviglie nei cassetti. Arriva tanto forte quanto imprevedibile e quando si ridesta le è necessario uno sforzo quasi titanico per non portare la sua, di mano, al volto, laddove la guancia dalla punta dell’orecchio allo spigolo delle labbra ha già iniziato a formicolare.
I. «Lo vedi cosa mi fai fare? Mi fai fare e dire cose che non voglio!»
H. «Sai qual è il tuo problema?»
Lo dice con una voce quasi robotica, guardandosi dapprima le ginocchia e solo dopo trovando il coraggio di alzare lo sguardo e di cercare le sue stesse iridi dentro quelle del padre.
H. «Che non hai i co****ni, ecco qual è il tuo problema. Perché se ce li avessi, diresti sì, volevo darti uno schiaffo perchè non ti sopporto, perché non ti ho mai voluto. Perchè non ho mai saputo e non ho mai voluto fare il padre. E ammetteresti che mi tieni qui dentro solo perché ti senti in colpa. Perché pensi che io sia l’agnello sacrificale con cui puoi giocarti la possibilità di una redenzione agli occhi del padre eterno, ma hai fatto male i conti. Perchè se pensi che me ne starò qui a farmi bistrattare da quelle sanguisughe di conto correnti che girano per le stesse stanze in cui girava mamma credendoti il brav’uomo che non sei, mi sa tanto che ti sbagli di grosso».
I. «Tua madre sarebbe molto delusa nel vedere chi sei diventata»
Tira fuori la bacchetta, puntandogliela immediatamente contro. Braccio teso, cuore in gola.
H. «Ma non può vederlo. Non può vedere neanche il padre che non sei mai stato, quindi direi che nel complesso non ti è andata tanto male, eh Isaac?»
I. «Metti giù quell’affare»
H. «Se la nomini anche solo un’altra volta in mia presenza ti faccio diventare un pezzo del mobilio» I. «Era m-i-a moglie» H. «Non l’hai m-a-i amata! Aveva bisogno di te e tu non c’eri!»
I. «Eravamo divorziati!»
H. «Hai appena detto che era tua moglie, c***o!»
I. «Abbassa quella cosa, non puoi usare la magia fuori dalla tua scuola»
H. «Vuoi fare una prova?»
I. «Ti espellono»
H. «Ma veramente? Sei diventato un esperto di diritto del mondo magico? Non facevi lo sbirro per quello babbano?»
I. «Non vorrai farti espellere!»
H. «Che c’è, hai paura che ti rovini la luna di miele con quella sciacquetta?»
I. «Non ti permettere»
H. «Vaffanc**o papà. Vaffanc**o davvero»
Lascia la stanza retrocedendo a passo svelto, pur continuando a mantenere la bacchetta puntata contro il pullover blu di Isaac fino all’incipit delle scale. Una volta arrivata in cima si barricherà in camera sua a doppia mandata, riempirà un borsone delle poche cose in suo possesso e sgattaiolerà fuori dalla finestra. Camminerà senza voltarsi indietro, mentre fuori nevica ed il mondo, completamente estraneo alle sue sorti, si appresta a festeggiare una rinascita che per lei avrà sempre e solo il retrogusto amaro dell’abbandono.
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