storienneo
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Una storia semplice
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storienneo · 5 years ago
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Ancora una volta voglio scandagliare
scrupolosamente le possibilita` che
forse ancora restano alla giustizia.
(Durrenmatt, Giustizia)
La telefonata arrivo` alle 9 e 37 della sera del 18 marzo, sabato, vigilia della rutilante e rombante festa che la citta` dedicava a san Giuseppe falegname: e al falegname appunto erano offerti i roghi di mobili vecchi che quella sera si accendevano nei quartieri popolari, quasi promessa ai falegnami ancora in esercizio, e ormai pochi, di un lavoro che non sarebbe mancato. Gli uffici erano, piu` delle altre sere a quell’ora, quasi deserti: anche se illuminati, l’illuminazione serale e notturna degli uffici di polizia tacitamente prescritta per dare impressione ai cittadini che in quegli uffici sempre sulla loro sicurezza si vegliava.
Il telefonista annoto` l’ora e il nome della persona che telefonava: Giorgio Roccella. Aveva una voce educata, calma, suadente. ‘Come tutti i folli’ penso` il telefonista. Chiedeva infatti, il signor Roccella, del questore: una follia, specialmente a quell’ora e in quella particolare serata.
Il telefonista si sforzo` allo stesso tono, ma riuscendo a una caricaturale imitazione, resa piu` scoperta dalla freddura con cui rispose: «Ma il questore non e` mai in questura a quest’ora», freddura che in quegli uffici abitualmente correva sulle frequenti assenze del questore. E aggiunse: «Le passo l’ufficio del commissario», col gusto di far dispetto al commissario, che certo stava in quel momento per lasciare l’ufficio.
Il commissario si stava infatti infilando il cappotto. Prese il telefono il brigadiere che aveva tavolo ad angolo con quello del commissario. Ascolto`, cerco` sul tavolo una matita e un pezzo di carta; e mentre scriveva rispondeva che si`, sarebbero andati al piu` presto possibile ma appena possibile, cosi` collocando la possibilita` in modo da non illudere sulla prestezza.
«Chi era?» domando` il commissario.
«Un tale che, dice, ha da farci vedere urgentemente una cosa che si e` trovata in casa».
«Un cadavere?» scherzo` il commissario.
«No, ha detto proprio una cosa».
«Una cosa… E come si chiama, questo tale?».
Il brigadiere prese il pezzo di carta su cui aveva scritto nome e indirizzo, lesse: «Giorgio Roccella, contrada Cotugno, dal bivio per Monterosso, strada a destra, quattro chilometri; quindici da qui».
Il commissario torno` dalla porta al tavolo del brigadiere, prese quel pezzo di carta, lo lesse quasi credesse di trovarvi qualcosa di piu` di quel che il brigadiere aveva detto. Disse: «Non e` possibile».
«Che cosa?» domando` il brigadiere.
«Questo Roccella,» disse il commissario «e` un diplomatico, console o ambasciatore non so dove. Non viene qui da anni, chiusa la casa di citta`, abbandonata e quasi in rovina quella di campagna, in contrada Cotugno appunto… Quella che si vede dalla strada: in alto, che sembra un fortino…».
«Una vecchia masseria,» disse il brigadiere «ci sono passato sotto tante volte».
«Dentro il recinto, per cui pare una masseria, c’e` un villino molto grazioso; o almeno c’era… Grande famiglia, quella dei Roccella: ma ora ridotta a questo console o ambasciatore che sia… Non credevo nemmeno che fosse ancora vivo, da tanto che non si vede».
«Se vuole,» disse il brigadiere «vado a controllare».
«Ma no, sono sicuro che si tratta di uno scherzo… Domani, magari, se hai tempo e voglia, vai a dare un’occhiata… Per quanto mi riguarda, qualunque cosa accada, domani non mi cercate: vado a festeggiare il San Giuseppe da un mio amico, in campagna».
L’indomani, in pattuglia, il brigadiere ando` in contrada Cotugno: nello stato d’animo, lui e i due agenti che lo accompagnavano, di fare una gita: per quel che aveva detto il commissario, erano sicuri che quel luogo fosse disabitato e che la chiamata della sera prima era stata uno scherzo. Un fiumiciattolo, che scorreva ai piedi della collina, era ormai soltanto un alveo pietroso, di pietre bianche come ossame; ma la collina, in cima quella masseria in rovina, verdeggiava. Fatto il sopralluogo, il loro proposito era di darsi a raccogliere asparagi e cicorie, festosamente: tutti e tre esperti a riconoscere le buone verdure selvatiche, da contadini che erano stati.
Filtrarono nel recinto, che non era fatto, come guardando da giu` si poteva credere, di semplici muri: erano magazzini, le porte chiuse da lucidi catenacci, che circondavano il villino, davvero grazioso e con molti segni di disgregazione, di rovina. Vi girarono intorno. Tutte le imposte erano chiuse, tranne di una finestra dai cui vetri si poteva guardar dentro. Stando nella luce abbagliante di quella mattinata di marzo, videro dapprima confusamente l’interno: poi cominciarono a distinguere e a tutti e tre, ripetendo la prova facendosi schermo del sole con le mani, parve certo si vedesse un uomo che, di spalle alla finestra, seduto a una scrivania, vi si fosse accasciato.
Il brigadiere prese la decisione di rompere il vetro della finestra, di aprirla, di entrare nella stanza: l’uomo poteva esser crollato per un malore, si era forse in tempo a dargli soccorso. Ma l’uomo era morto, e non per sincope o infarto; nella testa, che poggiava sulla scrivania, tra la mandibola e la tempia, era un grumo nerastro.
Ai due agenti, che pure erano entrati scavalcando la finestra, il brigadiere grido`: «Non toccate nulla!»; e per non toccare il telefono, che stava sulla scrivania, ordino` a uno degli agenti di tornare in questura, di riferire, di far venire subito medico, fotografo e quei due o tre che in questura erano considerati e privilegiati come esperti scientifici: secondo il brigadiere soltanto privilegiati, non avendo fino ad allora esperienza di un solo caso in cui costoro avessero dato un contributo risolutivo, di confusione piuttosto.
Dati quegli ordini, e continuando a dire all’agente che era rimasto con lui di non toccar nulla, il brigadiere comincio` a fare il suo lavoro di osservazione, in funzione del rapporto scritto che gli toccava poi fare: compito piuttosto ingrato sempre, i suoi anni di scuola e le sue non frequenti letture non bastando a metterlo in confidenza con l’italiano. Ma, curiosamente, il fatto di dover scrivere delle cose che vedeva, la preoccupazione, l’angoscia quasi, dava alla sua mente una capacita` di selezione, di scelta, di essenzialita` per cui sensato ed acuto finiva con l’essere quel che poi nella rete dello scrivere restava. Cosi` e` forse degli scrittori italiani del meridione, siciliani in specie: nonostante il liceo, l’universita` e le tante letture.
Immediata, l’impressione era che l’uomo si fosse suicidato. La pistola era a terra, a destra della poltrona su cui era rimasto seduto: vecchia arma da guerra ’15-’18, tedesca, uno di quei souvenir che i reduci si portavano a casa. Ma c’era, a cancellare nel brigadiere l’immediata impressione del suicidio, un particolare: la mano destra del morto, che avrebbe dovuto penzolare a filo della pistola caduta, stava invece sul piano della scrivania, a fermare un foglio su cui si leggeva: «Ho trovato.». Quel punto dopo la parola «trovato» nella mente del brigadiere si accese come un flash, svolse, rapida e sfuggente, la scena di un omicidio dietro quella, non molto accuratamente costruita, del suicidio. L’uomo aveva cominciato a scrivere «Ho trovato», cosi` come in questura aveva detto di aver trovato in casa qualcosa che non si aspettava di trovare: e stava per scrivere di quel che aveva trovato, ormai dubitando che la polizia arrivasse e forse cominciando, nella solitudine, nel silenzio, ad aver paura. Ma avevano bussato alla porta.
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storienneo · 5 years ago
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