"Ciò che conquistiamo interiormente modificherà la realtà esterna" (Plutarco)
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"Tutto rimane. Anche le cose che non esistono più. E saranno la tua condanna. Saranno ovunque, per sempre, lì per te ma non con te."
- Manuela G.
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Vero.
“La parola è fatta di una sostanza chimica impalpabile che opera le più violente alterazioni”
— Frammenti di un discorso amoroso - Roland Barthes
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Questa mattina, in un messaggio ad un caro amico che chiaramente non vedo da mesi, ho trovato la definizione perfetta per esprimere la nostalgia che scaturisce quotidianamente da questa “brutta situazione”:
mancanza di “sinestesia esistenziale”.
Oh, fantastico eh potersi ascoltare (e magari pure vedere) grazie ai prodigi della tecnologia...ma vuoi mettere essere vicini, percepire la presenza con tutti i sensi che Madre Natura tanto generosamente ci ha concesso??
La realtà virtuale perderà sempre ogni battaglia contro il Reale, almeno per quanto mi riguarda. Certo, ha i suoi vantaggi, come negarlo, ma è pur sempre frutto di un filtro artificiale: attutisce l’impatto.
Concludo questa mia considerazione mattutina con il disappunto nato dal fatto che il “dizionario digitale” non riconosce la parola sinestesia: a riprova del fatto che il virtuale avrà sempre da imparare dal reale.
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•In bilico•
Si sta come
d’inverno
attaccati a un lembo
aculei ghiacciati.
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La solitudine ci spaventa, eppure io la trovo così necessaria quando sento il bisogno di dialogare con me stessa per riordinare le idee che danzano nella mia testa. In queste occasioni mi serve il silenzio, meglio ancora se riempito da un dialogo muto con la natura. Solo così riesco a vedere quello che mi accade da nuovi e inaspettati punti di vista.
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“Era la tempesta, la notte, l'istante.”
— Guillaume Musso - La ragazza e la notte
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Ogni caso
Poteva accadere. Doveva accadere. È accaduto prima. Dopo. Più vicino. Più lontano. E’accaduto non a te. Ti sei salvato perché eri il primo. Ti sei salvato perché eri l’ultimo. Perché da solo. Perché la gente. Perché a sinistra. Perché a destra. Perché la pioggia. Perché un’ombra. Perché splendeva il sole. Per fortuna là c’era un bosco. Per fortuna non c’erano alberi. Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno, un telaio, una curva, un millimetro, un secondo. Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio. In seguito a, poiché, eppure, malgrado. Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba, a un passo, a un pelo da una coincidenza. Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso? La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo. Ascolta come mi batte forte il tuo cuore.
Wislawa Szymborska
Fino a che punto è determinante il ruolo svolto dal caso nelle nostre vite?Padrone assoluto al quale non possiamo sottrarci, noi con la nostra presunzione cerchiamo di contrastarlo, talvolta ci illudiamo persino di controllarlo, ma forse l’unico approdo che ci è davvero consentito è quello dello stupore e della meraviglia, quel restare in silenzio a guardare il dipanarsi di un intreccio fatto di incredibili coincidenze o di traiettorie ostinatamente parallele, incredibilmente vicine ma mai quanto basta per potersi anche solo sfiorare.
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Quel viscerale bisogno di tempo
Il tempo: la ricchezza più grande che non possediamo, eppure quanto di più prezioso ci appartiene.
Come insegnava il filosofo Seneca, la nostra vita di per sé non è breve: siamo noi a farla diventare tale quando la sprechiamo in attività inutili, quando non diamo un senso a quello che facciamo o quando facciamo cose che per noi un senso non ce l’hanno, quando spendiamo le ore con persone (per noi) poco stimolanti o quando ci accontentiamo della banalità, perché è più comodo stare in superficie piuttosto che scavare a fondo nell’inesauribile ricerca delle nostre verità.
Ed è così che nasce questo mio spazio: da un bisogno di vivere appieno parte del mio tempo libero dedicandomi a una delle attività per me più stimolanti e appaganti che ci siano. L’otium, inteso nel suo significato più autentico, quello latino: quel prendermi cura di me ritagliandomi spazi da dedicare esclusivamente al pensiero, tempo per stimolare e vivere quello critico.
E quale modo migliore di soddisfare questo mio viscerale bisogno, che mi fa sentire irrequieta quando, presa dalle mille “occupazioni” della vita quotidiana (sempre citando uno dei miei scrittori e filosofi preferiti), finisco per trascurarlo o talvolta persino per cercare di metterlo a tacere?
Scrivere. O meglio, dialogare, stimolare confronti.
Perché è proprio quando ci confrontiamo con la meraviglia, talvolta imperscrutabile, che nasce dalla relazione con l’Altro che riempiamo bene il nostro tempo e arricchiamo davvero la nostra vita.
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