“Ciao. Scusa il disturbo. Lo so che non vorresti sentirmi, che non potrei scriverti, ma stasera proprio non riesco a trattenermi. Domattina me ne pentirò e cancellerò tutto, ma tu avrai già letto e il danno sarà fatto. Ciao. Come stai? Senza me, intendo. Come stai senza me? Riesci ancora a sorridere mentre cammini, a fare finta di niente? Riesci a dire ai tuoi amici che mi hai dimenticato? Io non ne sono in grado. La mattina appena alzata non mi pensi mai, lo so, ma a volte mi chiedo se dopo tre o quattro ore che sei in piedi ti passo per la testa. E ancora mi chiedo, cosa fai quando ti passo per la testa? Quando il mio nome si fa spazio tra le tue fantasie, come reagisci? Sorridi? O fai quella smorfia tipica di chi ha una mosca sul naso? Io immagino che quando mi pensi, chiudi gli occhi. Io li chiudo sempre, quando ti penso forte. Li chiudo perché sento che sei più vicina, come se le tue labbra toccassero le mie per sussurrare “torno presto”. Ciao. Devo andare, ho sentito una parte del cervello sussurrare “cancella tutto, tanto non serve a niente”. Non l’avrà vinta, non l’avrà vinta. Io non ti cancellerò mai. Finché ci sarà una parte del mio cuore che mi dirà di scriverti, io ti vorrò bene. Io ti vorrò dentro di me. Ciao.”
“Mamma, dove sono i miei maglioni?” urlai dal bagno. Lavai per bene il taglierino, così che non potesse vedere la causa dei “graffi” sul mio corpo.
“In salotto amore” merda. Non potevo uscire, avevo ancora le braccia grondanti di sangue. “Me ne porti uno?” presi il mio asciugamano rosso e mi tamponai le braccia e le coscie, sì, molto meglio. Sentii bussare, “lascialo per terra, mi sto asciugando.” immaginai stesse annuendo, più a se stessa che a me. La sentii scendere le scale e andare a finire di preparare la colazione. Aprii la porta, controllai che non ci fosse mio fratello e poi presi il maglione, chiudendo velocemente la porta e richiudendola a chiave. Mi misi la tuta e la maglia, legai i capelli per far risaltare il mio viso morto, pallido e secco. Mi guardai allo specchio. Ormai non ero più nulla, se non una massa incolore di muscoli, sangue, ossa e lesioni.
‘Non posso andare avanti così.’ ma scossi la testa al solo pensiero della crudeltà del mondo la fuori…
Aprii la porta ed uscii, andai in camera a prendere lo zaino e a mettermi le scarpe, dopodichè scesi ed andai in cucina.
“Ciao mà”, mi sorrise, feci una smorfia. Ormai il mio sorriso era più un ghigno di dolore che un modo per esprimere gioia.
Presi mezza fetta biscottata integrale e uscii di casa per andare a scuola.
Mi misi le cuffie giganti e mi incamminai. Arrivai davanti al grande cancello ma passai avanti sapendo che c’erano i soliti bulli. Grazie alla bidella che sapeva di loro, mi faceva entrare dalla porta da cui entrano i professori.
Salii le scale ed andai in classe mia, aprii il mio libro preferito e continuai la mia lettura.
Suonò la campanella e sia tutti miei compagni di classe che i professori entrarono.
Rimasi in silenzio, mi alzai e poi mi risedetti.
L’appello, la parte peggiore. Scorreva i nomi, arrivò il mio. “Martina”. “Prof, forse voleva dire Martina la gallina”, “Martina la moschina”, “Martina la paperina”, “Martina la taglierina” e avanti così. Gli insulti scatenavano la risata generale della classe, compresi i professori. Sprofondavo nella sedia ogni volta..
Per fortuna la giornata finì lì.. uscii da scuola ma, come al solito, c’erano Darwin e la sua banda di mostruosi armadi puzzolenti ad attendermi per pestarmi.
Come al solito tornai a casa sanguinante e piena di lividi. Corsi in camera e piansi. Poi mi tirai su, sentii come una forza che mi schiacciava, come se il mio destino avesse deciso in quel momento come si dovevano svolgere gli eventi. Andai in bagno, presi il taglierino, mi spogliai, aprii l’acqua nella vasca, la lasciai riempire, ci entrai e mi tagliai, un taglio per ogni insulto. Quando finii le gambe iniziai con le braccia. L’acqua ormai rossa. Mi tagliai le vene, in lacrime per il troppo dolore ricevuto. Trattenni il respiro e mi immersi nella vasca. Sì, volevo morire. Il mio cuore cessò di battere dopo poco.
Finalmente tutti avevano ottenuto ciò che volevano.