Tumgik
#È così brutalista
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Okay ma la metro gialla di Milano è il liminal space per eccellenza
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tma-traduzioni · 6 months
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MAGP008 - Girando a vuoto
[Episodio precedente] [Indice TMAGP]
[Il computer dell’O.I.A.R. si accende]
NORRIS
Valutazione dell’elaborato 13718BTutor: Joseph Peterson (#ARCSTAF-12) Studente: Terrance Stevens (ID# ARCSTU-39609) Risultato: Bocciato – consegnato in ritardo (28%)
Valutazione:Struttura e Organizzazione – 50% Conoscenze – 40% Comprensione – 30% Analisi – 10% Uso delle fonti – 10%
Giustificato nel caso di: Seri problemi medici, trauma, altro. Commenti del tutor: “Venga a vedermi."
ALLEGATO:
Titolo: La Liminalità Brutale di Forton - un caso di studio dei fattori di stress psicologico indotti dall'architettura come risultato di un'esposizione prolungata agli spazi liminali in modalità brutalista, come mostrato dalla Forton Service Station.
Introduzione:
Questo saggio presenterà un’analisi dettagliata del Forton Services come esempio chiave per lo studio dell'intersezione tra brutalismo e spazi liminali nel design, con un focus secondario sui fattori di stress psicologico che un tale luogo può causare.
Per prima cosa, combinerò i framework teoretici per il brutalismo e la liminalità. Prenderò poi in esame le stazioni di servizio come uno spazio liminale stressante a livello psicologico, prima di proseguire con un’analisi architettonica del Forton Services e la sua storia come luogo brutalista. Il tutto terminerà con un caso di studio degli effetti della mia prolungata esposizione agli spazi liminali con architettura brutalista, tramite il mio impiego al Forton Services.
Per cominciare, stabiliamo un fondamento teorico per questo articolo collegando lo stile architettonico del brutalismo alla teoria antropologica della liminalità. Lo farò fornendo interpretazioni compatibili di entrambi e proponendo il nuovo concetto di “liminalità brutale”.
Brutalismo - ha origine dal Francese ‘béton brut,’ cemento grezzo - è un movimento architettonico che si concentra sullo scopo funzionale. Questo spesso risulta in materiali grezzo a vista, forme nette, forme geometriche ripetitive, e strutture monolitiche. Questo spesso può portare le persone esposte a questo stile a sentirsi sopraffatte o oppresse (Zumthor, P. 2006).
Spazi ‘liminali’, derivato dal termine latino ‘limen,’ che vuol dire ‘soglia,’ sono spazi di transito solitamente occupati per periodi brevi. È stato dimostrato che hanno effetti considerevoli sulla psiche di coloro che sono esposti ad essi, e si è scoperto che l'esposizione a lungo termine suscita risposte ansiose (Augé, M. 1995), (Bachelard, G. 1994) e una sensazione ‘perturbante’( Trigg, D.2012).
La mia ipotesi è che il Forton Services, un luogo di intersezione di questi due elementi psicologicamente significativi, può essere considerato un luogo di quello che ho denominato liminalità brutale, ed è per questo che ha un marcato effetto su coloro che ne sono esposti nel lungo periodo, come dimostrato dalle mie esperienze. Nello specifico, crea un senso di assenza che nonostante la presenza, una sorta di “fame architettonica.”
Le stazioni di servizio come Forton sono state originariamente concepite come un luogo in sè per sè, piuttosto che solo una pausa in un viaggio. Comunque, con il diffondersi delle automobili personali e il conseguente sovrasviluppo dell’infrastruttura stradale del Regno Unito, questi luoghi si sono trasformati in spazi liminali.
Questo aumento nel numero di viaggiatori, ben oltre i parametri della progettazione originale, ha portato a un flusso fugace di persone che transitano nelle stazioni di servizio a tutte le ore, lasciandosi dietro solamente rifiuti.
Non solo, a questi spazi è associata la percezione distorta del tempo, aggravata dalla voluta assenza di orologi (per incoraggiare soste più lunghe) e orari di apertura di 24 ore su 24 con routine di apertura, chiusura, pulizia e rifornimento scaffali.
La mia teoria è che poiché questi spazi sono privi di presenza umana costante e una corrente percezione del tempo, si sono così separati dal  panorama psicologico condiviso dall’umanità, e ci sono dei rischi per la salute di natura unica per le persone che sono esposte per periodi prolungati a questo fenomeno. In breve, ritengo che la “fame architettonica” di uno spazio che prova risentimento nei confronti della propria natura di luogo di transito può essere pericolosa, e ho un’esperienza diretta di questo fenomeno semplicemente unica.
Ho accettato la posizione di inserviente per il turno di notte al Forton a seguito di un prolungato divorzio che mi è costato la maggior parte delle mie amicizie. L’episodio di stress che ne è seguito mi ha portato a lasciare il mio lavoro come vice amministratore dei servizi fiduciari. Così ho fatto domanda per un colloquio e ottenuto con successo un impiego a bassi livelli di stress come inserviente, nonostante le mie notevoli qualifiche. Allo stesso tempo mi sono iscritto al Programma di Architettura all’Università di Lancashire, come studente maturo di 51 anni.
Mi sono presto accorto che il Forton Services è un perfetto esempio di liminalità brutale, dato il suo status sia come popolare stazione di servizio sull’autostrada e come monumento di architettura brutalista. E ritengo che questo sia principalmente dovuto alla Pennine Tower,che raggiunge i 20 metri e che è stata messa in vendita nel 2012, nonostante fosse chiusa al pubblico. 
L’area è 17,7 acri, include una zona picnic all'aperto e delle strutture su entrambi i sensi dell’Autostrada M6, con posti a sedere per 700 persone, 101 bagni e 403 parcheggi.
In cima alla torre originariamente c’era un ristorante di classe con una terrazza sul tetto, entrambi avevano una vista senza pari sulla campagna rurale che la circonda su ogni lato.
Sfortunatamente, gli effetti della liminalità brutale hanno presto fatto effetto, con un rapporto del governo che definiva il luogo “un’area fieristica priva di anima,”  il ristorante divenne una lounge per camionisti prima che fosse chiuso al pubblico nel 1989. Sono passati decenni dall’ultima volta che qualcuno ha mangiato lì.
In seguito ci sono stati tentativi fallimentari di dare un nuovo scopo all’area, ma nel 2017, i due ascensori pentagonali al centro della torre sono stati sostituiti, rendendo i piani più alti abbandonati e inaccessibili. 
La torre svetta ancora sulla campagna circostante, l’unico accesso è tramite il Forton Services sottostante, esempio di liminalità brutale. Ma l’ingresso è sbarrato, e questo forse è per il meglio.
Nonostante non potessi entrare nella torre, anche io nel corso dei mesi in cui ho lavorato lì ho accusato un cambiamento psicologico.
Inizialmente era talmente lieve che non me ne sono accorto, e quando è successo, ho pensato che ci fosse una spiegazione razionale. In termini semplici, ogni notte c’erano sempre meno persone. All’inizio ho pensato che fosse un qualche cambiamento che non avevo notato dovuto al periodo, ma ogni giorno diventava sempre più marcato finché alla fine, una notte, non mi sono reso conto che non avevo visto una singola persona.
Questo era ovviamente impossibile, ma era confermato dal mio registro (vedere tavola 1). Mi sono arrovellato, cercando di ricordare se avevo visto o anche solo intravisto qualcuno, ma no, nessuno. Intrigato, sono uscito fuori per controllare il parcheggio. Non c’era nemmeno una singola auto. Ma c’era… qualcos’altro.  
Mentre i miei occhi si abituavano alla distesa ambrata, ho notato delle strisce di luce sospese nell’aria. C’era una foschia luminosa che attraversava tutto il parcheggio, un miscuglio di colori attenuati attraversati da rossi più vividi, bianchi e gialli, ma cosa ancora più curiosa, mi sono accorto che principalmente era sospesa sopra l’asfalto. Le aiuole e i marciapiedi ne erano quasi tutti privi. L'effetto era stranamente familiare, ma non riuscivo a collegarlo. Da allora non sono stato ancora capace di determinare se la causa di questo effetto è di natura psicologica, fisiologica o atmosferica, ma confermo che questo fenomeno era accompagnato da un’inquietante senso di mancanza. Di fame. 
Ho aguzzato nuovamente  lo sguardo, cercando di cogliere dei dettagli in quelle lunghe strisce ondulate e iridescenti. Nel caos potevo distinguere dei percorsi più densi che portavano dalle porte principali alle strutture. Mentre osservavo, un ricordo delle fotografie della mia ex-moglie mi è tornato in mente, la mia foto preferita, che mi aveva regalato per il nostro settimo anniversario: “Uno studio del traffico.”
È stato in quel momento che ho capito perché mi sembrava tutto così familiare. Esposizione prolungata. Se fossi potuto entrare in quella fotografia, l’effetto sarebbe stato questo. Sarebbe stato bellissimo, se non fosse stato così destabilizzante.
Ripensandoci stavo chiaramente avendo un qualche tipo di grave episodio di allucinazioni causato dalla prolungata esposizione a quell'ambiente. Sapevo che probabilmente avrei dovuto semplicemente starmene seduto in silenzio ed aspettare che passasse, ma la nebbia luminosa era già entrata nell’edificio, e sentivo solo l’istinto di nascondermi, di trovare un posto, un posto qualsiasi, purché fossi lontano da quel miasma opprimente che sciabordava avanti e indietro nell’ingresso, minacciano di portarmi via con sé.
Sono tornato indietro, allontanandomi dall’ingresso principale, allontanandomi dalle aree più dense di quel caleidoscopio, nella speranza di trovare un posto meno saturo e schiacciante. 
Ed è stato allora che ho visto la donna.
Era alta, giovane, e magrissima, al punto da sembrare quasi denutrita, vestita come una steward con un gilet blu avvitato, abbottonato sopra una gonna grigia e seria. Stava sorridendo, tenendo la porta dell’ascensore aperta e invitandomi dentro. C’era una targhetta di ottone sul suo gilè, ma invece di un nome c’era scritto solo “Sei qui.” 
Ho esitato per un istante, poi prima che potessi valutare la sua stranezza, una marea di colore particolarmente alta ha invaso il corridoio avanzando verso di me. Sono andato nel panico e prima che mi rendessi conto di cosa stavo facendo ero saltato dentro l’ascensore e avevo schiacciato il bottone per chiudere le porte.
Le ho detto un “Grazie,”con la voce spezzata per il disuso. Lei a quanto pare non l’ha notato e ha continuato a sorridermi con calore quando ha allungato un braccio e ha pigiato il bottone per il penultimo piano etichettato “Ristorante.” Un bottone che sapevo essere disabilitato. L’ascensore ha iniziato a salire.
Ero in piedi, appoggiato contro le porte, e cercavo di riprendere fiato mentre lei ha iniziato a parlare:
“Buonasera!” ha esclamato. “È un piacere darti il benvenuto! Sei qui! Fermati un po’!” 
Ho borbottato qualche domanda indistinta, e il suo sorriso è rimasto largo come non mai, ma non ha detto niente. Poi le porte dell’ascensore si sono aperte con un ding e io sono caduto all'indietro sul pavimento.
“Fermati un po’!” ha ripetuto, prima che le porte dell’ascensore si chiudessero, lasciandomi nella torre.
Molly, la persona che avevo sostituito, mi aveva fatto vedere che le scale della torre erano sbarrate, e sapevo che sù in cima non c’era niente se non dei mobili rotti e bagnati dall'umidità. O almeno, così sarebbe dovuto essere.
Di fronte a me, però, c’era un ristorante, immacolato e luminoso con un arredamento retrò, stile anni ‘60, e il dolce profumo della carne di maiale sul fuoco veniva verso di me dalla cucina centrale. Sedie e tavoli erano allineati lungo la parete perimetrale, su ogni lato c’erano delle gigantesche finestre che avrebbero mostrato una vista impressionante del paesaggio sottostante, se non fossero state oscurate. Questo non sembrava infastidire gli ospiti, comunque, che erano felicissimi di mangiare mentre chiacchieravano gli uni con gli altri.
C’è stato un attimo di sollievo in quel momento, perché per quanto fosse strana quella situazione, almeno c’erano delle persone. Non ero più intrappolato in quel bizzarro limbo albeggiante e solitario al piano di sotto.
La sensazione è svanita, comunque, quando ho sentito cosa stavano dicendo. O meglio, cosa non stavano dicendo. 
Guardandomi intorno, il ristorante era quasi al completo, con un solo tavolo libero, ma quando ho cercato di ascoltare una sola conversazione, questa era solamente… rumore. Un mormorio ovattato che all’orecchio sembrava un discorso ma non conteneva alcun significato. Le loro bocche si muovevano ma potevo solo sentire un gorgoglio privo di senso, solo l’imitazione della parola, niente di più.
In maniera simile, quando ho guardato gli ospiti stessi con più attenzione, ho notato degli elementi che si ripetevano in maniera strana tra di loro. Tre donne stavano indossando gli stessi tacchi rosso-sangue. Due uomini gli stessi cappotti blu. E peggio, c’erano addirittura dei tratti ripetuti su volti diversi: gli stessi occhi verdi su due donne, baffi identici su tre uomini. Queste erano imitazioni di persone così come il suono era un’imitazione della parola. Ed erano tutti così orribilmente magri.
Uno chef si è girato verso di me, lo stesso sorriso sul suo volto sotto una quarta versione di dei baffi cespugliosi, e la stessa identica targhetta “Sei qui” sul petto. Ha indicato da dietro il bancone l’unico tavolo disponibile:
“Buona sera!” Ha urlato. “Sei qui! Speriamo che ti fermi per un po’!”
Automaticamente mi sono avvicinato al tavolo, prima di fermarmi. Nello stesso istante è sembrato che tutti nella sala si sono inclinati leggermente in avanti per l’anticipazione.
Ed è stato in quel momento che mi sono accorto della brezza che soffiava dalle finestre oscurate, solo che non erano oscurate. Non erano nemmeno finestre. Erano buchi quadrati spalancati e oltre i quali c’era il nulla assoluto. Qualsiasi ospite poteva allungare un braccio, se voleva, e affondare la mano nel vuoto buio, inquietante e completamente privo di dettagli. Non c’era niente. Niente verso l’alto, niente verso il basso, niente di niente. Niente, se non la torre e il ristorante.
Ho sentito l'istinto di allontanarmi da quella terrificante assenza in tutto il corpo, e sono indietreggiato verso l’ascensore. È stato in quel momento che il delicato mormorio di non-parole si è fermato di colpo, per essere rimpiazzato dal più totale e assoluto silenzio.
Stavano sempre tutti sorridendo, ma i loro volti ripetuti si erano bloccati, gli sguardi puntati su di me.
Lo chef ha parlato di nuovo, e anche se il suo tono non era cambiato, era chiaro che questa non era più una richiesta:
“Fermati un po’!”
Gli ospiti hanno fatto eco alle sue parole, un coro graduale sparso nella sala, che si sovrapponeva e si intrecciava, che mi ha avvolto e mi ha trascinato verso il tavolo.
“Fermati un po’!”
La loro presa su di me si è fatta più stretta, una dozzina di mani mi spingeva e mi tirava come se fossero una cosa sola. Poi un uomo con gli stessi baffi si è chinato verso la mia gamba, ha aperto la bocca, e mi ha morso.
Il dolore mi ha attraversato il corpo, ma i miei tentativi di liberarmi erano invani e poi una donna mi ha affondato i denti nella spalla, e potevo sentire il sangue caldo che scorreva lungo la mia schiena, mentre allo stesso tempo lo chef mi ha strappato un dito, l’osso ha a malapena rallentato la sua mandibola ben definita.
Ho urlato, ma il suono è soffocato, scivolando fuori dalle finestre e nel nulla.
Con una scarica improvvisa di adrenalina, ho spinto e scalciato e combattuto per liberarmi da quella folla emaciata, i loro corpi magri e fragili facevano poca resistenza, nonostante il numero. Ma non avevo vie di fuga. L'ascensore era sparito come se non fosse mai esistito e oltre le finestre c’era, ovviamente, il nulla. “Sei qui,” ho pensato amareggiato.
E così quando mi sono ritrovato di fronte al prospetto di essere mangiato vivo, o di buttarmi da una di quelle finestre nel più completo oblio… non era di una scelta. Mi sono buttato.
[Pausa]
NORRIS
I paramedici hanno attribuito il mio dito mancante e le altre ferite alla caduta dalla torre, e salvo ulteriori prove del contrario (per le quali non ho intenzione di tornare a Forton), sono costretto ad accettare la loro diagnosi di ferita da caduta e trauma associato come il risultato di un episodio psicotico causato dallo stress.
Per concludere, non c’è dubbio che il periodo in cui ho lavorato al Forton Services ha avuto un impatto considerevole su di me. Questa esperienza è prova di un intenso disagio mentale che la liminalità brutale può infliggere a una persona esposta troppo a lungo a una tale “architettura affamata.”
Posso solo scusarmi per la mia non voluta e prolungata assenza. Spero che questo possa fornire un po’ di contesto, anche se sono dolorosamente consapevole che non è stata fatta alcuna denuncia di persona scomparsa alla polizia, poiché a quanto pare nessuno dei miei colleghi, tutor o colleghi studenti si è accorto della mia assenza.
Ciò nonostante, spero che questa possa comunque essere considerata una circostanza attenuante e che quanto ho scoperto meriti uno studio approfondito. Anche se in tal caso richiederei che altri ulteriori lavori vengano assegnati a un altro studente.
[L’audio assume il tono riecheggiante della CCTV della saletta del personale]
[Passi che entrano]
[Qualcosa viene inclinato, senza risultati]
[Qualcosa viene appoggiato con rabbia]
GWEN
Alice.
[Una pausa]
GWEN
Alice.
ALICE
(si toglie un’auricolare) Hm?
GWEN
L’hai fatto di nuovo.
ALICE
Hmmm.
GWEN
Non farmi ‘hmmm’. Eravamo d’accordo che se finisci l’acqua nel bollitore dopo lo devi riempire.
ALICE
(sempre distratta) Non è vuoto.
GWEN
Non c’è nemmeno un terzo di una tazza qui dentro.
ALICE
(a voce più alta, finalmente prende parte alla conversazione) Quindi non è vuoto, giusto, no?
GWEN
Già è grave che cerchi deliberatamente dei casi parlanti e li lasci in play solo per darmi fastidio -
ALICE
Secondo l’accusa.
GWEN
– ma lasciare il bollitore pieno è il minimo!
[Pausa]
[Gwen inizia a riempire il bollitore]
ALICE
Sembri stressata. Problemi nella piramide aziendale? Accusi già il peso del ruolo di Deputata Presidente della Sinergia Esecutiva?
GWEN
“Collegamenti Esterni.”
ALICE
E ovviamente, sappiamo entrambe cosa vuol dire. Giusto?
GWEN
Presumo che gestirò una manciata di subappalti.
ALICE
(Interessata suo malgrado) Subappalti per cosa?
GWEN
Riceverò una spiegazione più dettagliata “a breve.”
ALICE
Cielo! Quanta adrenalina! Spero che deciderai di spiegarlo anche a noi infimi soldati semplici quando Lena avrà finalmente capito qual’è il tuo lavoro. Presumendo che per allora qui sarà rimasto qualcuno di noi.
GWEN
E cosa vorresti dire con questo?
ALICE
Solo che ultimamente qui ci sono stati molti cambiamenti. Non mi esalta. Teddy, Sam, Celia - e hai sentito che Lena ha messo Colin in “congedo per la salute mentale”?
GWEN
(Sorpresa) Cosa?
ALICE
Oh sì, c’è stata una scenata. Ha dato di matto e ha spaccato il telefono di Sam.
GWEN
L’ho sempre detto che era disturbato.
ALICE
Tu dici molte cose, per la maggior parte cagate. Non so… ho la sensazione che qui c’è sotto qualcosa.
GWEN
L’unica cosa che “c’è sotto” è il gigantesco carico di casi che tu non stai facendo niente per recuperare. A tal proposito, dove sono Sam e Celia?
ALICE
Hanno finito i loro casi prima, quindi sono andati via insieme.
GWEN
Non possono andarsene così senza nemmeno timbrare l’uscita!
ALICE
Forse erano troppo impegnati a darci dentro con la voce sexy di Norris in sottofondo e non se ne sono accorti.
GWEN
(fermamente) Non essere disgustosa.
ALICE
Ricevuto, “capo.”
[La CCTV si spegne]
[Suono di un telefono]
[L’audio cambia e ha la qualità metallica del telefono]
[Siamo al chiuso, con dei passi che si avvicinano]
GERRY
(Allegro) Scusate per il disordine, non aspettavo visite.
CELIA
Una tazza vuota non è “disordine”.
GERRY
Oh, sei troppo gentile!
(adesso un po’ più lontano, ad alta voce) C’è del pane a lievitazione naturale, se vi va?
SAM
No grazie mille!
GERRY
(ad alta voce) Sicuri? C’è anche del lemon curd fatto in casa da abbinarci…
SAM
(ad alta voce) Davvero, siamo apposto!
GERRY
(ad alta voce) Tè? Caffè? Succo d’arancia?
CELIA
(ad alta voce) Sei davvero gentile, ma per noi niente, davvero grazie!
GERRY
Beh, se siete sicuri…
[Gerry si siede]
GERRY
Allora. Dove eravamo, mi sa che mi sono perso i vostri nomi!
SAM
Sam.
CELIA
Celia.
GERRY
Piacere conoscervi entrambi. Io sono Gerry!
SAM
(Sorridendo) Lo sappiamo.
GERRY
(ridendo) Oh già, certo! Avete chiesto se ero in casa, ah! Allora, che cosa posso fare per voi?
SAM
Già, beh -
CELIA
Abiti qui da solo?
GERRY
(ridendo) Con gli affitti di Londra? Impossibile! Non fraintendetemi, il padrone di casa è adorabile e tutto il resto, ma no. Devo sempre fare a metà con Gee Gee.
CELIA
Gee Gee?
[Passi che si avvicinano]
GERTRUDE
Sarei io.
GERRY
(Ad alta voce) Ci sono ospiti, Gee Gee!
GERTRUDE
Sì, questo posso vederlo, Gerry. 
(freddamente) A che cosa dobbiamo questa… gradevole visita di prima mattina?
SAM
Oh sì, scusi, lavoriamo di notte, quindi… 
GERTRUDE
Quindi?
[Una pausa]
[Sam si schiarisce la voce]
SAM
Beh… uh… ci stavamo chiedendo -
CELIA
Questo l’hai dipinto tu?
GERTRUDE
Prego?
GERRY
Oh sì! Lo chiamo “Epifania di Camden.” Ti piace?
CELIA
È bellissimo!
GERRY
Se vuoi puoi averlo.
CELIA
Oh no, non potrei…
GERRY
Va bene, onestamente, ne ho molti altri di là. Ci faresti un favore, ad essere sinceri.
[Celia si fa scappare una risata]
GERRY
Gee Gee dice sempre che portano via troppo spazio, no, Gee Gee?
GERTRUDE
Di preciso che cosa avete detto di volere da mio nipote?
CELIA
Uh… Sam?
SAM
Già. Certo. Mi stavo chiedendo se sapevi qualcosa dell’Istituto Magnus?
[Una pausa, nessuno si muove]
[Si schiarisce di nuovo la gola]
SAM
Ero in uno dei loro programmi per bambini precoci e - um - ho trovato un elenco con qualche altro bambino, e ho pensato che sarebbe potuto essere bello se potessimo ritrovarci e scambiare storie e tutto il resto…
GERTRUDE
Capisco. Beh, mi dispiace, ma non credo che Gerry possa aiutarvi -
GERRY
(Con noncuranza) Sì, me lo ricordo a malapena.
[Gertrude fa un leggero sospiro]
SAM
Oh, allora eri un candidato?
GERRY
Oh sì, ma ero piuttosto piccolo. Ricordo di aver riempito una serie di schede e questionari, poi qualche vecchio che mi faceva domande sul genere di libri che mi piaceva leggere, chi ammiravo, quel genere di cose. E poi sono andato via.
SAM
(deluso) Tutto qui?
GERRY
Sì, temo di sì. Oltre che a trovarmi seduto con altri bambini in una stanza che odorava di libri vecchi.
[Una pausa]
GERTRUDE
(alzandosi in piedi) Beh, se questo è tutto, noi davvero dovremmo iniziare la nostra giornata…
SAM
(abbattuto) Ma certo, noi andiamo allora. Ah, beh.
GERRY
Oh, non prenderla troppo sul personale. È una mattina così bella.
[Gerry sembra così felice]
SAM
(Sorridendo) Non ha torto.
GERTRUDE
(aprendo la porta) Non vi tratterremo oltre. È stato un piacere conoscervi.
GERRY
(Allegro) Non dimenticare L’Epifania di Camden.
CELIA
Nemmeno per sogno.
[Le passa il quadro]
GERRY
(sempre allegro) E tornate presto! È sempre un piacere chiacchierare con dei vecchi amici!
GERTRUDE
Non penso ne avranno motivo, Gerry.
(a Sam) Buona caccia, ma altrove.
SAM
Di nuovo grazie per il tuo tempo.
[Passi che se ne vanno]
CELIA
Ciao, Gerry!
GERRY
Ciao, Celia!
[La porta si chiude]
GERRY
(ovattato da dentro) Mi piacevano.
GERTRUDE
(ovattato) Ovviamente.
[Suoni di un telefono]
[L’audio continua ad avere un tono metallico quando Sam e Celia escono, passi sul marciapiede]
SAM
Beh è stato -
CELIA
Niente male!
SAM
(diverto dal suo entusiasmo) – un vicolo cieco.
CELIA
Già. Però c’è il quadro gratis!
SAM
(inizia a camminare) Come pensi di portarlo sulla Metro?
CELIA
Mi inventerò qualcosa.
SAM
…Grazie per essere venuta con me, Celia. So che lavoriamo insieme solo da poche settimane.
CELIA
Hey, è stata una mia idea, ricordi?
SAM
So che Alice vuole che lasci perdere questa cosa del Magnus, ma, beh, dovevo provarci.
Non che faccia alcuna differenza. Vicolo cieco dopo vicolo cieco.
CELIA
Beh… forse puoi aiutarmi con il mio mistero?
SAM
E che mistero sarebbe?
CELIA
Sto cercando di indagare… nelle cose strane dal punto di vista fisico: viaggi nel tempo, altre dimensioni, teletrasporto, tutte quelle belle cose. Freddy a quanto pare non fa ricerche, quindi potresti tenere gli occhi aperti e farmi sapere se succedono nei tuoi casi? 
SAM
Uh, sembra un po’ fantascientifico rispetto alle solite cose. Per cosa ti serve? (divertito) Non è che stai facendo ricerche per quel podcast a cui hai partecipato, no?
CELIA
(Sorpresa) Lo conosci?
SAM
Potrei averti googolata.
CELIA
Allora… sì. Sto facendo un favore a Georgie.
SAM
Okay.
[Una pausa]
CELIA
Allooora…. Abbiamo un accordo? Ci aiutiamo a vicenda con i nostri misteri?
SAM
Sì, va bene. Affare fatto.
CELIA
Fantastico.
Inoltre, come parte dell’accordo, devi portare questo dipinto sulla Metro.
SAM
Ehi aspetta -
[Il telefono si spegne]
[Traduzione di: Victoria]
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the-entangler · 4 years
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Lo sfolgorio di luci dello sprawl illumina il cielo sopra le torri di cemento armato trasformando lo skyline in un astro di drammatica bellezza. La vita scorre con tutta la sua insensata velocità nelle arterie d’asfalto, celebrando con gran fragore il momento dell’inevitabile collasso.
Nei vicoli della periferia, le luci della città alta proiettano ombre dai contorni spaventosi. Al calar del sole si alza il sipario sullo spettacolo dell’orrore con i suoi folli protagonisti: rapinatori, stupratori, papponi, maniaci, prostitute, serial killer. Una famiglia si trova nella parte sbagliata della città, sono come agnellini persi nello zoo, di notte, con le gabbie lasciate aperte da un custode ubriaco. Hic sunt leones. Il fumo che fuoriesce dai tombini dona al palcoscenico un aspetto infernale. Un’ombra si stacca dal buio, in mano ha un coltello, vuole i soldi, sta tremando: l’astinenza scuote il suo corpo come un giunco al vento. Entri in scena tu. Ciò che vede il disperato è un armadio a due ante vestito di cuoio imbottito sbucato fuori dal nulla. Un colpo al plesso solare basta a piegare in due quel relitto umano. L’addestramento ti ha reso preciso, l’adrenalina ti fa più forte e rapido, il tuo sadismo mascherato da un malsano bisogno di giustizia ti porta ad accanirti su un essere inerme, ma il rumore attira altri predatori e in un attimo sei circondato. Come se non bastasse l’iperestetizzazione omoerotica del tuo costume, brandisci le bolas e le scagli contro il primo dei delinquenti alla tua destra. Gli altri due ti sono addosso, sicuri della superiorità numerica. E della pistola, ovviamente. Fai uno scatto verso il balbuziente che ha ingiuriato tua madre e in quell’istante un proiettile si conficca nella tua spalla sinistra. Quasi non ci fai caso. Picchi forte, come non hai mai picchiato in vita tua e la rabbia diventa anestetico: la vista dei tratti tumefatti, le giunture che si disarticolano sotto i tuoi pugni, i denti in frantumi sul marciapiede già bagnato di piscio, l’odore del sangue che satura i recettori olfattivi ti inebria come una droga antica. È l’odore della caccia che ti carica di un’energia primeva e l’erezione seguita dall’inequivocabile senso di calore al basso ventre ne sono la sconcertante conferma. Se gli altri potessero vedere sotto quella maschera, vedrebbero il volto di un pazzoide contratto in una smorfia di sadica soddisfazione, il labbro inferiore scosso da un tremore incontrollabile che si trasforma in un ghigno. Al mattino ti godi il frutto delle tue imprese: due laureati in filosofia pestati a morte, il terzo — un ricercatore universitario — in terapia intensiva, il papà del bambino morto per lo spavento. Le notti si susseguono, le cicatrici si accumulano, e il tuo bisogno malsano di vendetta diventa impulso seriale. Sviluppi una dipendenza da anestetici per alleviare i dolori delle botte; l’eccitazione della caccia non ti basterà più, finché non resteranno solo gli stimolanti a placare la tua sete di sangue. Il tuo nome si diffonde, le tue gesta diventano cronaca e infine leggenda. I muri si fregiano del tuo nome, il tuo simbolo è dappertutto. Il sindaco inaugura una statua in un’anonima piazza di un centro residenziale brutalista nell’escrescenza urbana metastatica a ovest della città. La tua fama cresce — e con essa il numero di emuli che finiscono per farsi ammazzare. Le forze dell’ordine che all’inizio tolleravano malvolentieri la tua presenza, ora ne invocano la protezione a ogni turno di pattuglia, imitando i riti votivi dell’antichità. Ti dicono che sei la cosa migliore capitata alla loro città, ti senti un eroe, invincibile e ineffabile come un dio greco, il tuo ego ti solleva a un palmo da terra, ma ignori comodamente tutti i tuoi privilegi, di aver ricevuto l’addestramento migliore, gli strumenti più sofisticati e l’impunità per poter agire al di fuori della legge. Ma questo non è un tuo problema, perché ora tu sei la legge. Ogni tua parola solidifica, precipita e si trasforma in gesto. Sposti le opinioni, controlli i giornali e, infine, i voti. La città nel frattempo si trasforma nel tuo personalissimo spettacolo di wrestling. Personaggi sempre più assurdi fanno la loro comparsa sul ring e nel caos della lotta nessuno più tiene il conto delle vittime innocenti. Il male necessario è la nuova foglia di fico di questa nuova era di follia. Il numero di imitatori cresce fino a diventare un culto e infine un esercito, pronto a rispondere a ogni tuo comando. Sei ovunque. Il tuo sguardo si irradia dall’alto della torre fallica nel centro della metropoli in ogni anfratto della città, ogni appartamento, ogni angolo di vita privata è sotto il tuo controllo. La paranoia nata dal bisogno di sentirsi protetti ha portato alla nascita di un regime di sorveglianza su modello panoptico, dove le libertà individuali sono state sacrificate sull’altare della lotta al crimine. Eppure l’unico nemico che ancora non riesci a sconfiggere, quella stessa malattia che crea miseria, ingiustizia e diseguaglianza è ancora intatto. Il pensiero di questo fallimento ti logora: il leviatano è ancora in piedi, non sei riuscito neanche a scalfirlo, anzi, ne sei diventato il protettore. Ora sei un autocrate, i cittadini hanno destituito i vecchi governanti vidimando nei fatti la tua tirannide. La prima legge promulgata ripristina la pena di morte, la prima condanna riguarda una donna: si tratta di una madre costretta al taccheggio per sfamare il figlio (il figlio sarà spedito in un orfanotrofio; crescerà in miseria, costretto a rubare per pagarsi la droga; troveranno il suo cadavere in un cassonetto). Leviathan, l’anima cybersenziente della city, diventa così efficiente da diventare predittiva. Uno dei pochi reporter che non sono sul tuo libro paga comincia a porsi delle domande e inizia a scavare. È abile e scopre gli studi condotti su medium e sensitivi, esperimenti di eugenetica e fusioni biocibernetiche. Ma, ovviamente, il tuo sguardo panoptico lo scopre prima che la notizia si diffonda e i tuoi uomini consegnano il giornalista all’oblio del cemento armato. Ma nemmeno il più sofisticato dei sistemi di controllo può resistere alla pressione costante della verità sulle sue pareti. Così capita che una giovane idealista, una giornalista non abbastanza famosa per finire sul libro nero, ma sufficientemente determinata e capace da non farsi intimidire da una redazione prezzolata e sessista, scopre che il regime da sempre autocelebratosi per la sua olimpica incorruttibilità è in effetti il sistema più corrotto della storia. La notizia comincia a circolare nei canali sotterranei e ne viene sottovalutata la portata, ma poi emerge come un fiume carsico e raggiunge l’opinione pubblica in tutta la sua dirompenza (la scomparsa misteriosa della giornalista non fa che aumentare la contestazione). Ma per te non fa più alcuna differenza. Tu che hai fondato questo regno sulla paura, che hai stretto nelle tue mani la bilancia e la spada della giustizia, sai meglio di chiunque altro che il crepuscolo è ormai giunto. È l’ennesima notte insonne che passi collegato a Leviathan. Osservi i simboli del regno sgretolarsi come creta, gli enormi ingranaggi crollare sotto il loro peso. Ora senti dei passi provenire dall’atrio. Non stai dormendo, eppure l’atmosfera assume i contorni di quegli incubi claustrofobici dove sai che qualcosa di orribile sta per succedere, ma tu non puoi urlare né fuggire. È un generale delle tue truppe d’assalto, il tuo prediletto, scortato da una squadra di tirapiedi ed assassini. In te vede il padre che ha perso troppo presto (in una rapina da te stesso sventata agli inizi della tua carriera, ma il ricordo è ormai lontano) e in lui rivedi la tua forza, l’energia che ti animava quando iniziasti la tua crociata. Attendi immobile il suo arrivo nella sala del potere, il suono dei suoi passi ti terrorizza; è già nel vestibolo. La porta si spalanca senza alcuna resistenza; il tuo delfino, l’uomo che ti ha amato e odiato per tutta la vita, scopre un vecchio tossicodipendente consumato dal potere e dalla pazzia. Gli basta un fendente per portare a termine il lavoro erosivo del tempo. Ti vengono riservati dei funerali maestosi, che comunque, a ben vedere, celebrano più la nascita di un nuovo ordine, piuttosto che la tua morte. Ma il regno del tuo erede non dura che poche settimane, un pallido barlume di una stella morta da tempo. Le torri crollano, le statue cadono, il corpo della bestia imputridisce al sole. Ora uno strano rumore si sente provenire da sotto le macerie, come un ticchettio, simile a quello di un contatore Geiger. Forse sono solo le radiazioni che hai riversato sulla tua città per mezzo secolo, o forse è una figura retorica volta a rappresentare l’energia potente quanto distruttiva di un desiderio di ricominciare che sta covando sotto le macerie e che però ha già piantato nel suo cuore il seme della distruzione.
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chez-mimich · 6 years
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IL FUTURO DEL JAZZ È ADESSO. Giornata molto impegnativa quella di ieri a “Novara Jazz”. Si comincia alla periferia di un paese e si finisce in un museo: é il fascino di questa, ormai consolidata manifestazione. Il paese è Trecate e il primo concerto “solo” si tiene qui, di fronte al birrificio Croce di Malto, che oltre a produrre una squisita birra artigianale, ci accompagna nei vagabondaggi jazz. E qui, appollaiato su uno sgabello, Simone Lobina estrae la sua “Gibson” e, dopo un paio di accordature, incomincia a farci sognare: sonorità sinuose, intime, fluenti, ma capaci di infinite sfumature e di qualche cromatismo. E così, complice la buona birra e le panche di legno ( che sembrano essere quelle del treno che porta William Blake a Machine nel film “Death Man” di Jim Jarmush) lui, Simone Lobina, giovane e promettente chitarrista, sembra Neal Young. Grande talento, ottima capacità compositiva, suggestivo concerto nella fresca brezza del tramonto. Di tutta altra atmosfera, il doppio concerto di ieri sera nel cortile del Broletto con gli spettatori prima rapiti dalla bravura di Carlo Guido al “Fender Rhodes” e poi tramortiti dalla possente serialità degli “Horse Lords”. Carlo Guidi propone “Drive!” con John Rehmer al basso e Federico Scettri alla batteria. La versatilità del pianoforte elettrico di Guidi, ci fa cavalcare attraverso la storia della musica con echi di pop e di rock, con strizzate d’occhio alla musica elettronica e il basso di Rehmer a fare da “trait-d’union” con la batteria impietosa e asciutta di Federico Scettri, che, concedendo pochissimo al voyeurismo percussionistico, concentratissimo, porta avanti in piena autonomia un suo controcanto. Grandissimo trio che questa sera presentava proprio dal vivo a “Novara Jazz” il primo lavoro su cd. Inutile però sprecare tempo prezioso e così il vulcanico Corrado Beldì, approfitta del cambio-palco per portarmi con sé in una irripetibile visita lampo alla Collezione Giannoni, a beneficio dei suoi ospiti internazionali: giornalisti, organizzatori di concerti, musicisti, critici. Forse l’intruso sono io, ma Corrado ha la capacità, non comune di far sentire tutti a proprio agio. E così tra un Fattori, un Nomellini e una scenografica “Camera con vista”, da una finestra che dà sull’arengo, riusciamo, con la nostra cittadina, a stupire i prestigiosi ospiti. Non c’è tempo di respirare ed eccoci di nuovo nel cortile per essere travolti dai ritmi possenti, ripetitivi ed infiniti degli “Horse Lords”: Andrew Bernstein (sax e percussioni), Owen Gardner (chitarra), Max Eilbacher (basso), Sam Haberman (batteria), inchiodano sulle poltroncine il pubblico novarese, sempre un po’ freddino e scettico, fino a farlo sembrare un pubblico come gli altri. Atmosfera ipnotico-brutalista di grande partecipazione, quasi una “trance” dettata da una musica che sembra essere davvero una novità assoluta. Nota di merito a Riccardo Cigolotti per aver ideato una scenografia psichedelico-razionalista (temo che l’architetto Cigolotti avrebbe qualcosa da ridire sul termine), con ispirazione che arriva direttamente dagli “Oasis”. Insomma, cari novaresi “poltronosi” e scettici, di serate così se ne vedono raramente, ma siete ancora in tempo, Novara Jazz continua e non posso dirlo meglio se non con le parole di Luca Canini: “Il futuro del Jazz è adesso.”
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Intervista ai No Perditempo: "la nostra musica è un culto dell'errore"
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Ciao Carmine, parlaci del progetto No Perditempo I No Perditempo sono Carmine alla chitarra elettrica e ai campioni elettronici, e Sara che è la voce del progetto. Produciamo musica dalla nostra casa, in maniera “do it yourself” ai limiti dell'autoproduzione: per questo nelle nostre tracce e videoclip manca la produzione, in certi casi mancano anche gli arrangiamenti, ma a noi va bene così, quello che produciamo lo definiamo “musica monca” cioè suoni in cui manca qualcosa. Può mancare la linea di basso oppure una voce aggraziata, ma tutte le scelte sono pensate apposta, non per evidenziare l’errore ma anzi per un culto dell’errore sistematico che è poi la metafora dell’intera infrastruttura mediale che ci circonda. Siamo usciti male, con falle nel sistema, questo è anche la nostra forza, nel senso che in un mare di produzioni che scintillano di glitter è bene che escano anche suoni sporchi e contaminati così rendiamo fertile l’humus sottostante del sottobosco underground. Suoni dalle latrine, chiamateli come volete: usiamo procedure di mashup e remix, e allo stesso modo quelle di détournement dadaista. Con la nostra ibridazione mediale, il fotomontaggio dadaista e il paroliberismo vengono spinti all’ennesima potenza! L’attuale contemporaneità digitale ci inghiottisce e ci sollazza ogni giorno: non ha più senso farsi domande, meglio fruirne inconsapevolmente. Il modus operandi è il seguente: due persone si chiudono in casa e in preda a impulsi di anarchismo sperimentano canzoni meccaniche e sgangherate, assemblando nenie vocali catturate a caso con un piccolo registratore, su beat e campioni di suono robotici e scarni. Quello che i No Perditempo fanno sono veri e propri studi trascendentali su ritmi e campioni di suono. Come è nato il progetto? Volevamo creare musica non in linea con i suoni delle radio e prettamente pop sdolcinato, la volevamo dal respiro internazionale poiché con i social media possiamo distribuirla nel mondo, volevamo usare l’italiano ma con un accorgimento tale che la voce sembrasse una replica dello speaker che senti nei vagoni della metropolitana B di Roma tra una fermata e l’altra. Insomma avevamo delle intuizioni brillanti non uccide dal potere mutilante del senso comune, dell’identico. Ci rifiutavamo di appartenere al magma di canzoni tutte uguali fra di loro,che si sentono in radio e in TV quindi volevamo veicolare questo brusio che avevamo in testa e abbiamo cominciato a produrre pezzi con campioni elettronici e voce da donna ma baritonale. Qual è il significato del nome del progetto musicale e qual è lo spirito che vi guida? Partiti da un assunto, abbiamo ragionato nel seguente modo: la grande forza della tecnologia è di non avere idee. Se hai la forza di non avere idee, puoi non avere limiti. E permetterti tutto. Il problema, unico delle tecnologie, è di sbarazzarsi delle idee (ideologie). Così da poter fare tutto. La scomparsa delle ideologie è il terreno più fertile per l'avanzamento tecnologico. Che di quella si nutre, per poter procedere. Altrimenti è limitata dall'ideologia. Il limite ideologico già non c'è più, e in questo sta l'accelerazione che è avvenuta negli ultimi anni. Il vero significato del salto che oggi abbiamo fatto non sta nella fine delle ideologie, ma nella necessità di sbarazzarsi degli ultimi residui. Il vero problema da affrontare, quello che non poteva essere compiuto 'assieme' all'uomo, era l'uomo stesso. La natura umana. Che resisteva di suo, senza bisogno di idee. Era il suo lato biologico, l'unico residuo ideologico rimasto, era quello minimo che l'essere umano in quanto essere naturale avrebbe continuato a difendere. Il corpo, la vita. Produrre musica scomposta, dalla voce non umana, questo lo spirito che ci guida; riteniamo che non bisogna perdere tempo con questioni estetiche del passato. E’ da molti anni che internet ha permesso alla popolazione di acculturarsi, scovare proposte musicali in linea con le inclinazioni di chi ascolta. La gente ha affinato i gusti, non si creano più nicchie e c’è molta propensione a bisticciarsi e attaccarsi l’un l’altro per l’appartenenza a questa o quella fazione estetica. La rottura,il 'salto', lo 'strappo', l'attacco alla dimensione più resistente, perché istintivamente resistente, è già avvenuto. Non occorre perdere tempo. I No Perditempo possono trapassare il tempo, oscurando il passato e saltando direttamente nel futuro. Comunque al di là di tutto, No Perditempo è la frase finale degli annunci in bacheca cerca-casa e vendo-oggetti. Quali sono le vostre fonti di ispirazione? Ci ispirano tutti quegli artisti che hanno applicato una ricerca continua di alterità e alterazioni di senso comune osceno. Ci ispirano le proposte divertenti nella loro sgangheratezza spettacolare. Potremmo definire i No Perditempo come i Nine inch Nails in uno show di mimi e musica di un cabaret robotico senza senso. Ma il senso è da cercare ascolti dopo ascolti. E lo troverete, ve l’assicuro! In Italia ci piacciono progetti tipo i Sxrrxwland e Priestess. I Plasmatics e The Strapping Fieldhands sono due gruppi che ci hanno influenzato. Ma ce ne sono molti altri. Quanto l'aspetto urbano incide sulle vostre composizioni? Siamo appassionati di architettura, di tutti i tipi dalla classica alla brutalista. Percorrendo ogni giorno le strade intricate di Roma assorbiamo gli umori dei quartieri in cui transitiamo, udendo quotidianamente i rumori dei mezzi di trasporto su cui viaggiamo non possiamo non replicare tale caos nei ritmi delle nostre composizioni. Indossiamo le cuffie con musica danzabile per molte ore al giorno durante lunghe traversate e a contatto con diverse tipologie di viaggiatori. Ci influenzano i visi stanchi dei viaggiatori, e ciò si imprime nelle nostre menti FACENDO DIVENTARE QUELLO CHE E' UN GIOCO PRIVATO, UN LIBERCOLO, UN'OPERA DELL'INTELLIGENZA, UN GIOCO PIU' DIVERTENTE. Immettiamo caos nelle nostre strutture ritmiche perché viviamo di contaminazioni. SPERANDO DI ESSERE ISTRUTTIVI E DISTRUTTIVI, DI SUSCITARE LO SCHIFO E L'INTUIZIONE, LO SCONTRO E IL RISCONTRO. Come identifichi il genere musicale dei No Perditempo? Una mediamorfosi di electro beats, di computer ibridi “Musicomediali” – uno sconfinamento mediale. Come si intrecciano i No Perditempo sull'aspetto esistenziale? Sarebbe bello se tutti i produttori di musica dirigessero i propri strali psichici verso il rinnovamento dei codici linguistici; su quest’aspetto del linguaggio. E non come invece avviene, riproponendo i soliti codici nelle classifiche e nei trend attuali. Col linguaggio si accompagna una forma di vita. La nostra forma di vita è il beat, il remix di tecniche sonore, una risultante assunta a cadavere decomposto nel pantheon nelle galassie sonore. Amiamo il mashup che è l’arte di mescolare, che spesso rende impossibile identificare tutti i frammenti che si fondono in un unico prodotto sia esso sonoro o audiovisivo. Il sistema della musica sui media, adattando una nota metafora organicistica, “sembra configurarsi come una semiosfera densa di testi e meta-testi che si richiamano e ri-generano gli uni con gli altri”. E’ presumibile che anche i lettori abbiano visto da sempre processi di traduzione, assimilazione, rigenerazione e sconfinamento mediale ma non se ne siano mai accorti. Il nostro fine ultimo è DISTRUGGERE LO STANDARD del suono. E con questa premessa Distruggeremo lo standard ! Idee per il futuro? Sicuramente adopereremo campionamenti e chitarre elettriche in uno o più show dal vivo, proiettando i nostri videoclip dal nostro mondo fatto di videoarte, con i disegni di Sarbok, la cantante con la voce abbassata. Vorremmo anche usare tecniche di guerriglia comunicativa per la pubblicità alle nostre canzoni o per veicolare concetti semplici con poche parole, ad esempio sui muri delle strade. i nostri messaggi mediali sono di carattere concettuale. Non procediamo secondo i canoni tradizionali di produzione-fruizione della musica, E’ per questo che i No Perditempo continueranno ad applicare disegni in strada, o in una galleria d’arte a corredo delle opere o mettendo le tracce sulle piattaforme di file-sharing, perchè i No perditempo sono non funzionali al sistema. O semplicemente non funzionano! Di qui la compresenza nell’immediato futuro! Il canale Youtube si chiama NO PERDITEMPO. Link: https://www.youtube.com/channel/UC4nWz7CpUHQCScCjeaA17zQ/videos Playlist youtube https://www.youtube.com/playlist?list=PLCmOfBtH3w3qg6WcDbzaf4h95FnB1aqDr La pagina soundcloud https://soundcloud.com/noperditempo/tracks Per contatti Facebook: https://www.facebook.com/noperditempoo E-mail: [email protected] Read the full article
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Intervista ai No Perditempo: "la nostra musica è un culto dell'errore"
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Ciao Carmine, parlaci del progetto No Perditempo I No Perditempo sono Carmine alla chitarra elettrica e ai campioni elettronici, e Sara che è la voce del progetto. Produciamo musica dalla nostra casa, in maniera “do it yourself” ai limiti dell'autoproduzione: per questo nelle nostre tracce e videoclip manca la produzione, in certi casi mancano anche gli arrangiamenti, ma a noi va bene così, quello che produciamo lo definiamo “musica monca” cioè suoni in cui manca qualcosa. Può mancare la linea di basso oppure una voce aggraziata, ma tutte le scelte sono pensate apposta, non per evidenziare l’errore ma anzi per un culto dell’errore sistematico che è poi la metafora dell’intera infrastruttura mediale che ci circonda. Siamo usciti male, con falle nel sistema, questo è anche la nostra forza, nel senso che in un mare di produzioni che scintillano di glitter è bene che escano anche suoni sporchi e contaminati così rendiamo fertile l’humus sottostante del sottobosco underground. Suoni dalle latrine, chiamateli come volete: usiamo procedure di mashup e remix, e allo stesso modo quelle di détournement dadaista. Con la nostra ibridazione mediale, il fotomontaggio dadaista e il paroliberismo vengono spinti all’ennesima potenza! L’attuale contemporaneità digitale ci inghiottisce e ci sollazza ogni giorno: non ha più senso farsi domande, meglio fruirne inconsapevolmente. Il modus operandi è il seguente: due persone si chiudono in casa e in preda a impulsi di anarchismo sperimentano canzoni meccaniche e sgangherate, assemblando nenie vocali catturate a caso con un piccolo registratore, su beat e campioni di suono robotici e scarni. Quello che i No Perditempo fanno sono veri e propri studi trascendentali su ritmi e campioni di suono. Come è nato il progetto? Volevamo creare musica non in linea con i suoni delle radio e prettamente pop sdolcinato, la volevamo dal respiro internazionale poiché con i social media possiamo distribuirla nel mondo, volevamo usare l’italiano ma con un accorgimento tale che la voce sembrasse una replica dello speaker che senti nei vagoni della metropolitana B di Roma tra una fermata e l’altra. Insomma avevamo delle intuizioni brillanti non uccide dal potere mutilante del senso comune, dell’identico. Ci rifiutavamo di appartenere al magma di canzoni tutte uguali fra di loro,che si sentono in radio e in TV quindi volevamo veicolare questo brusio che avevamo in testa e abbiamo cominciato a produrre pezzi con campioni elettronici e voce da donna ma baritonale. Qual è il significato del nome del progetto musicale e qual è lo spirito che vi guida? Partiti da un assunto, abbiamo ragionato nel seguente modo: la grande forza della tecnologia è di non avere idee. Se hai la forza di non avere idee, puoi non avere limiti. E permetterti tutto. Il problema, unico delle tecnologie, è di sbarazzarsi delle idee (ideologie). Così da poter fare tutto. La scomparsa delle ideologie è il terreno più fertile per l'avanzamento tecnologico. Che di quella si nutre, per poter procedere. Altrimenti è limitata dall'ideologia. Il limite ideologico già non c'è più, e in questo sta l'accelerazione che è avvenuta negli ultimi anni. Il vero significato del salto che oggi abbiamo fatto non sta nella fine delle ideologie, ma nella necessità di sbarazzarsi degli ultimi residui. Il vero problema da affrontare, quello che non poteva essere compiuto 'assieme' all'uomo, era l'uomo stesso. La natura umana. Che resisteva di suo, senza bisogno di idee. Era il suo lato biologico, l'unico residuo ideologico rimasto, era quello minimo che l'essere umano in quanto essere naturale avrebbe continuato a difendere. Il corpo, la vita. Produrre musica scomposta, dalla voce non umana, questo lo spirito che ci guida; riteniamo che non bisogna perdere tempo con questioni estetiche del passato. E’ da molti anni che internet ha permesso alla popolazione di acculturarsi, scovare proposte musicali in linea con le inclinazioni di chi ascolta. La gente ha affinato i gusti, non si creano più nicchie e c’è molta propensione a bisticciarsi e attaccarsi l’un l’altro per l’appartenenza a questa o quella fazione estetica. La rottura,il 'salto', lo 'strappo', l'attacco alla dimensione più resistente, perché istintivamente resistente, è già avvenuto. Non occorre perdere tempo. I No Perditempo possono trapassare il tempo, oscurando il passato e saltando direttamente nel futuro. Comunque al di là di tutto, No Perditempo è la frase finale degli annunci in bacheca cerca-casa e vendo-oggetti. Quali sono le vostre fonti di ispirazione? Ci ispirano tutti quegli artisti che hanno applicato una ricerca continua di alterità e alterazioni di senso comune osceno. Ci ispirano le proposte divertenti nella loro sgangheratezza spettacolare. Potremmo definire i No Perditempo come i Nine inch Nails in uno show di mimi e musica di un cabaret robotico senza senso. Ma il senso è da cercare ascolti dopo ascolti. E lo troverete, ve l’assicuro! In Italia ci piacciono progetti tipo i Sxrrxwland e Priestess. I Plasmatics e The Strapping Fieldhands sono due gruppi che ci hanno influenzato. Ma ce ne sono molti altri. Quanto l'aspetto urbano incide sulle vostre composizioni? Siamo appassionati di architettura, di tutti i tipi dalla classica alla brutalista. Percorrendo ogni giorno le strade intricate di Roma assorbiamo gli umori dei quartieri in cui transitiamo, udendo quotidianamente i rumori dei mezzi di trasporto su cui viaggiamo non possiamo non replicare tale caos nei ritmi delle nostre composizioni. Indossiamo le cuffie con musica danzabile per molte ore al giorno durante lunghe traversate e a contatto con diverse tipologie di viaggiatori. Ci influenzano i visi stanchi dei viaggiatori, e ciò si imprime nelle nostre menti FACENDO DIVENTARE QUELLO CHE E' UN GIOCO PRIVATO, UN LIBERCOLO, UN'OPERA DELL'INTELLIGENZA, UN GIOCO PIU' DIVERTENTE. Immettiamo caos nelle nostre strutture ritmiche perché viviamo di contaminazioni. SPERANDO DI ESSERE ISTRUTTIVI E DISTRUTTIVI, DI SUSCITARE LO SCHIFO E L'INTUIZIONE, LO SCONTRO E IL RISCONTRO. Come identifichi il genere musicale dei No Perditempo? Una mediamorfosi di electro beats, di computer ibridi “Musicomediali” – uno sconfinamento mediale. Come si intrecciano i No Perditempo sull'aspetto esistenziale? Sarebbe bello se tutti i produttori di musica dirigessero i propri strali psichici verso il rinnovamento dei codici linguistici; su quest’aspetto del linguaggio. E non come invece avviene, riproponendo i soliti codici nelle classifiche e nei trend attuali. Col linguaggio si accompagna una forma di vita. La nostra forma di vita è il beat, il remix di tecniche sonore, una risultante assunta a cadavere decomposto nel pantheon nelle galassie sonore. Amiamo il mashup che è l’arte di mescolare, che spesso rende impossibile identificare tutti i frammenti che si fondono in un unico prodotto sia esso sonoro o audiovisivo. Il sistema della musica sui media, adattando una nota metafora organicistica, “sembra configurarsi come una semiosfera densa di testi e meta-testi che si richiamano e ri-generano gli uni con gli altri”. E’ presumibile che anche i lettori abbiano visto da sempre processi di traduzione, assimilazione, rigenerazione e sconfinamento mediale ma non se ne siano mai accorti. Il nostro fine ultimo è DISTRUGGERE LO STANDARD del suono. E con questa premessa Distruggeremo lo standard ! Idee per il futuro? Sicuramente adopereremo campionamenti e chitarre elettriche in uno o più show dal vivo, proiettando i nostri videoclip dal nostro mondo fatto di videoarte, con i disegni di Sarbok, la cantante con la voce abbassata. Vorremmo anche usare tecniche di guerriglia comunicativa per la pubblicità alle nostre canzoni o per veicolare concetti semplici con poche parole, ad esempio sui muri delle strade. i nostri messaggi mediali sono di carattere concettuale. Non procediamo secondo i canoni tradizionali di produzione-fruizione della musica, E’ per questo che i No Perditempo continueranno ad applicare disegni in strada, o in una galleria d’arte a corredo delle opere o mettendo le tracce sulle piattaforme di file-sharing, perchè i No perditempo sono non funzionali al sistema. O semplicemente non funzionano! Di qui la compresenza nell’immediato futuro! Il canale Youtube si chiama NO PERDITEMPO. Link: https://www.youtube.com/channel/UC4nWz7CpUHQCScCjeaA17zQ/videos Playlist youtube https://www.youtube.com/playlist?list=PLCmOfBtH3w3qg6WcDbzaf4h95FnB1aqDr La pagina soundcloud https://soundcloud.com/noperditempo/tracks Per contatti Facebook: https://www.facebook.com/noperditempoo E-mail: [email protected] Read the full article
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