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Cordélia abbraccia con lo sguardo le due sagome che si rimpiccioliscono all’ingresso del parcheggio, si dileguano nella notte, poi lancia un grido, si stacca dalla colonna, si scrolla come un puledro, afferra il telefono, il suo volto si ridisegna e riprende colore, e in un movimento di bilanciere di una forza inaudita, effettua quel voltafaccia interiore che la riaccende, uno slancio che segna la ripresa, compone a razzo il numero di quell’uomo sparito alle cinque del mattino, si sorprende ad agire, tamburella sui tasti con destrezza, come se volesse al tempo stesso sbarazzarsi di quella storia e sfidare la sottomissione cui la relega la sua tristezza, come se volesse contrastare tutta quella malattia che l’assilla e ricordare la possibilità dell’amore. Uno, due, tre squilli, e poi la voce del tipo che in tre lingue chiede di lasciare un messaggio, ti amo, e riattacca, stranamente rinvigorita, sollevata di un peso: all’improvviso, ha di nuovo tutta la vita davanti, si dice che piange sempre quando è stanca, che è carenza di magnesio.
Riparare i viventi di Maylis de Kerangal
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