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#berlino sea life
asikomecom · 1 year
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Esploso a Berlino Sea Life, il più grande acquario cilindrico del mondo: conteneva 1.500 pesci
Esploso a Berlino Sea Life, il più grande acquario cilindrico del mondo: conteneva 1.500 pesci
Fanpage.it Sea life, l’enorme acquario di un hotel di Berlino non lontano da Alexanderplatz, è esploso questa mattina causando il ferimento di due persone e la morte di 1.500 pesci tropicali. Berlino, esploso Sea life il più grande acquario cilindrico del mondo: conteneva 1.500 pesci:… Leggi di più
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Acquario di Berlino: esplode l'enorme acquario della capitale tedesca
L'esplosione dell'acquario di Berlino ha provocato non pochi danni alla capitale tedesca. Due feriti, strade chiuse, danneggiate ed allegate mentre sono stati oltre 1500 i pesci tropicali che sono fuori usciti dall'acquario a causa dell'esplosione. Acquario di Berlino; un po' di storia Inaugurato il 2 dicembre 2003, dopo diversi anni di costruzione, e costato circa 12,8 milioni di euro, l'AquaDom era l'attrazione principale del Berlin Sea Life Centre, il parco dedicato alla vita marina di proprietà della Merlin Entertainments Limited, situato, come lo stesso Radisson Collection Hotel, nel complesso di DomAquarée. Progettato e realizzato dalla società statunitense International Concept Management, Inc. in società con la tedesca Müller-Altvatter, l'enorme acquario aveva in effetti la forma di una corona cilindrica alta 16 metri (a cui si sommavano 9 metri di basamento, avente funzione di fondale, per un'altezza totale di 25 metri) ed era stato montato in loco incollando dodici diversi segmenti, formanti la superficie esterna della corona e aventi un diametro di 11 m, e posizionando poi il cilindro interno, formato da un unico segmento. All'interno di quest'ultimo era inoltre alloggiato un ascensore che permetteva ai visitatori di avere una visione unica dell'acquario. La ricostruzione dell'esplosione L'acquario tedesco ha ceduto ieri mattina all’alba. Circa un milione di metri cubi d’acqua salata si è riversato dall'imponente cilindro in vetro acrilico che era alto 14 metri con un diametro di oltre 11. L'acqua ha allagato il pianterreno arrivando fino al terzo piano dell’albergo. Una marea di detriti e pesci si è, infine, trascinata fin sulla strada, non lontano dalla celebre albergo tedesco dell'Alexanderplatz. Due persone, tra cui un dipendente dell’hotel, sono rimaste ferite ma non sono in pericolo di vita. Purtroppo, tutti i 1.500 pesci esotici che vivevano nell’acquario non sono sopravvissuti. Le parole dell'AquaDom La causa dell'incidente è ancora ignota. Neanche le prime indagini dei vigili del fuoco hanno chiarito i dubbi dietro l'esplosione. Una delle possibili teorie è quella del cedimento strutturale dovuto al freddo in Germania. Una soluzione che andrebbe, però, incontro ad un grosso ostacolo ovvero la recente ristrutturazione dell'Acquario tedesco iniziata dal 2020. L'AquaDom, infatti, era stato riaperto solamente la scorsa estate. «Ci sono ancora molte cose da chiarire – ha detto un portavoce della Union Investment, proprietaria dell’AquaDom - stiamo cercando di farci un quadro preciso delle cause e dei danni insieme a pompieri e polizia» Foto di Michael Bußmann da Pixabay Read the full article
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arzipop · 1 year
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Articolo: Esplode acquario dei record: feriti e strade chiuse a Berlino
Esplode acquario dei record: feriti e strade chiuse a Berlino
via @updayIT
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telodogratis · 1 year
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Berlino, esplode enorme acquario con 1500 pesci tropicali | VIDEO
Berlino, esplode enorme acquario con 1500 pesci tropicali | VIDEO
Non sono ancora chiare le cause dell’esplosione L’articolo Berlino, esplode enorme acquario con 1500 pesci tropicali | VIDEO proviene da PalermoLive.Dal mondo, acquario, berlino, Germania È esploso a Berlino l’enorme acquario Sea life dell’hotel “DomAquaree” non lontano da Alexanderplatz. La vasca alta 16 metri conteneva 1500 pesci tropicali; a quanto riferito dalla Bild, l’esplosione avrebbe…
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myborderland · 5 years
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People say that, if you put your ear to the cracks in the asphalt of a city, like you do with sea shells, you can hear the voices of the pioneers who founded it, and the hammering noise of the drums and the rock drills that built it. If you listen deeply, you can hear even the songs of the souls of those who defended it from steel and fire. It's the sound of the city, the deep pulse of the life of a place, the song of the force that has been flowing underground for centuries. It's the blues of the city.
{CITY BLUES, the sound of Los Angeles, Berlino, Detroit} • vittoriobongiorno.com/city-blues
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magicnightfall · 6 years
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ICEBERG, RIGHT AHEAD
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Io sono tirchia economicamente oculata.
Il solo pensiero di separarmi fisicamente dal contante mi provoca spasmi muscolari, sudorazione, tic all’occhio, asma, sinusite, prurito, rinite allergica, congiuntivite, tosse, tachicardia, bradicardia, ballo di San Vito, ballo del qua qua, ballo del mattone e tuca tuca.
Così, quando mi si è presentata la scelta di Sophie se spendere undici (UNDICI) euro per andare al cinema a vedere Titanic in occasione della celebrazione del ventennale (dopo averlo già visto al cinema nel 1998 - due volte - e nel 2012 per la riedizione 3D, aver comprato il cofanetto dvd, e guardandolo ogni volta che lo passano in tivì al punto che so esattamente dove cascano gli stacchi pubblicitari) e risparmiare la pecunia alla luce del quadro clinico di cui sopra, beh
io ieri alle 17:17 ero in fila alla cassa dell’UCI Cinemas (si noti che il lunedì la biglietteria apre 17:15) a chiedere un biglietto per lo spettacolo delle 20:00.
Perché, non so se si è capito, a me Titanic piace appena appena un tantino.
La sala, comunque, era bella pienotta, segno che evidentemente, pure dopo vent’anni, ‘sto film tira ancora parecchio. Io, dal mio posto G10, mi esibivo in una disgustosa ostentazione di plutocratica sicumera del fatto che tanto no, tutti gli altri spettatori non potranno certo arrivare ad un livello ossessivo-patologico pari o superiore a quello della sottoscritta.
Mi
sbagliavo.
Perché nella mia fila c’era lui: un ragazzo che sapeva a memoria tutte le battute e no, non è un eufemismo.
Tutte.
Non solo le frasi epiche.
Tutte.
Anche quelle più banali.
Anche “Tutti i bauli su quell’automobile lì, dodici di questi, e la cassaforte, vanno nelle suite presidenziali B52, 54 e 56”.
Conosceva ogni brano della colonna sonora.
Anticipava gli attacchi della musica.
Perfino la melodia tipo carillon che suona quando Cal regala a Rose il Cuore dell’oceano.
Il fottuto carillon.
Nemmeno io, che pure conosco ogni battuta a memoria, anche le più banali, ho idea di come faccia la melodia del carillon.
NEMMENO JAMES CAMERON HA IDEA DI COME FACCIA LA MELODIA DEL CARILLON.
Si è fermato a cantare My Heart Wil Go On.
Credo, per la prima volta in vita mia su questo argomento, di aver trovato un mio degno avversario. Allora che ho fatto? Nella mia testa sono entrata in modalità competitiva, e quindi ho pensato di scrivere questo post.
Perché lui avrà pure visto il film quarantotto milioni di volte, ma ha letto l’inchiesta del Senato americano a seguito del naufragio? L’ha letta? Perché io sì.
Mentre le ragazzine della mia età leggevano Twilight, io leggevo l’inchiesta del Senato americano a seguito del naufragio.
(vabbè, che vol dì, Twilight l’ho letto pure io - ma le ragazzine della mia età hanno letto l’inchiesta del Senato americano a seguito del naufragio? Eh? EH?)
(a questo link un post che prende le mosse dall’inchiesta, e relativo agli italiani ai tempi del Titanic)
Perché lui avrà pure visto il film quarantotto milioni di volte, ma ha fatto la tesi di laurea sui sinistri marittimi?
Perché io sì.
Praticamente, entrambi gli emisferi del mio cervello sono composti da nozioni varie ed eventuali sul Titanic e il suo naufragio. Non c’è dentro nient’altro.
Potrebbero chiedermi: ma ti serve a qualcosa sapere che il Titanic si differenziava dalla sua gemella Olympic perché la seconda aveva il ponte di passeggiata A aperto? O che il quarto fumaiolo era finto e aveva solo funzione decorativa? O che le porte dei compartimenti stagni funzionavano “a ghigliottina” nel senso che per chiuderle in assenza di elettricità sarebbe stata sufficiente la forza di gravità? Ti serve forse per lavoro? No. Certo che no. Tutt’al più mi serve per avere sempre qualche argomento di conversazione alle feste.
Posso dire che ho sempre modo di... rompere il ghiaccio.
Too soon?
It’s been eighty-four years
E quindi niente, ho deciso di pubblicare qui di seguito un estratto del capitolo terzo della mia tesi in diritto della navigazione, nella parte relativa al Titanic, perché la gara a chi è più fulminato co’ ‘sto film - gara di cui l’altro ragazzo è totalmente ignaro - la devo vincere io.
LE INCHIESTE SUI SINISTRI MARITTIMI
- Alessandra Pierandrei Università degli studi di Macerata - Dipartimento di Giurisprudenza - Anno Accademico 2014/2015
LE INCHIESTE SUI SINISTRI MARITTIMI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE
1. Le ripercussioni del naufragio del Titanic sulle normative domestiche e su quella internazionale.
Il naufragio più celebre della storia, quello occorso al transatlantico Titanic nel 1912 a seguito della collisione con un iceberg, ha giocato un ruolo estremamente importante sulla sicurezza della navigazione e sulla preservazione della vita umana in mare, tanto da avviare un vero e proprio processo di riforma della legislazione marittima, rendendola più rispondente alle esigenze emerse l’indomani del disastro.
Affondato la notte del 15 aprile a qualche centinaia di miglia dall’isola di Terranova (Canada), il Titanic, con le sue 1517 vittime (su 2228 persone a bordo) rese infatti evidente l’inadeguatezza delle norme allora vigenti: inadeguatezza ampiamente sottolineata dalle due inchieste che vennero condotte per far luce sulla dinamica dei fatti, una negli Stati Uniti (da parte di una sottocommissione del Senato), e l’altra nel Regno Unito (da parte di una commissione del Board of Trade, il Ministero del commercio).
Entrambe le inchieste si conclusero con l’enunciazione di numerose raccomandazioni in materia di sicurezza, che si tradussero in altrettanti atti normativi. Raccomandazioni che, peraltro, andavano adeguandosi al progresso tecnologico: l’invenzione di Guglielmo Marconi, il radiotelegrafo (il cui brevetto risaliva al 1896, poco più di un decennio prima) si era dimostrata efficace anche nelle trasmissioni transoceaniche, tuttavia non vi era ancora una normativa che le regolamentasse in maniera puntuale: non solo sulle navi non era previsto un servizio radio di ventiquattro ore, ma anche il linguaggio morse utilizzato non era uniforme. Ad esempio, contemporaneamente al segnale di soccorso introdotto nel 1904 dall’azienda Marconi’s Wirless Telegraph Company, il CQD, esisteva anche il nuovo segnale convenzionale, il SOS (1), adottato nella seconda conferenza radiotelegrafica di Berlino nel 1906 (e in vigore dal luglio del 1908).
Le due inchieste, svolte in maniera indipendente poco tempo il naufragio (2), produssero tuttavia raccomandazioni simili.
La commissione del Senato degli Stati Uniti, nel rapporto finale (3), prese atto della necessità di modificare la legislazione vigente e di produrne ulteriore, al fine di garantire la sicurezza della vita umana in mare. Tra le numerose raccomandazioni proposte, si ricordano in particolare quelle che riguardano le scialuppe, il radiotelegrafo e i requisiti strutturali da rispettare in sede di costruzione.
Per prima cosa, venne esortata l’installazione di scialuppe in numero sufficiente per tutte le persone a bordo (il Titanic disponeva di scialuppe soltanto per un terzo delle persone trasportate [4]), e si ritenne che i membri dell’equipaggio dovessero essere adeguatamente istruiti sul loro funzionamento (5), anche attraverso delle frequenti esercitazioni durante la navigazione.
Venne sottolineata la necessità di disciplinare in maniera puntuale il servizio radiotelegrafico: in particolare, le raccomandazioni riguardarono l’esigenza di avere almeno un operatore in servizio giorno e notte (6), e che fosse coadiuvato da efficiente sistema di comunicazione tra la sala radio e il ponte, così che la postazione non restasse mai sguarnita; l’esigenza di impedire qualsiasi interferenza da parte dei radioamatori e, infine, quella di avere un generatore ausiliario di corrente che consentisse alle apparecchiature radiotelegrafiche di poter funzionare il più a lungo possibile.
Per quanto riguarda invece i requisiti strutturali delle navi, le raccomandazioni hanno avuto ad oggetto la necessità di un ulteriore scafo rinforzato (7), i compartimenti stagni, e il modo in cui questi dovessero essere disposti, così che la galleggiabilità o la stabilità della nave non venissero compromesse in caso di allagamento.
L’inchiesta britannica pervenne alle stesse conclusioni, e in aggiunta venne suggerito di ridurre la velocità di navigazione nelle vicinanze del ghiaccio (8).
La tragedia del Titanic non influenzò soltanto le normative domestiche statunitensi (9) e britanniche: poiché ebbe risonanza globale, consentì di ripensare l’intero settore della navigazione marittima.
A Londra, in risposta al disastro, il 12 novembre 1913 si aprì una conferenza internazionale sulla sicurezza della vita umana in mare. I lavori della conferenza vennero formalizzati nella prima versione della convenzione SOLAS (“International Convention for the Safety of Life at Sea”), firmata il 20 gennaio 1914 ma mai entrata in vigore (10). Tra le varie risoluzioni ivi adottate si ricorda l’istituzione, il 7 febbraio 1914, dell’International Ice Patrol (IIP): amministrato dalla guardia costiera degli Stati Uniti (11), l’IIP è un ente deputato al monitoraggio degli iceberg nel Nord Atlantico al fine di promuovere la sicurezza della navigazione, diramando segnalazioni atte a scongiurare il rischio di eventuali collisioni (12).
La SOLAS, in questa sua prima versione, tocca in linea di massima tutti i punti sollevati dalle due inchieste (oltre a prenderne in considerazione anche di ulteriori), disciplinando: il comportamento da tenere in caso di presenza di ghiaccio (l’articolo 8 prescrive l’obbligo di informare le navi nelle vicinanze, e il 10 di moderare la velocità o di cambiare rotta); i compartimenti stagni (articoli 21 e seguenti); il radiotelegrafo, reso obbligatorio (articolo 31); l’obbligo, a carico del capitano, di fornire assistenza a qualsiasi nave in difficoltà (articolo 37) (13); e un numero di scialuppe proporzionato alle persone a bordo (articolo 40, rubricato peraltro “principio fondamentale”).
1 Il segnale SOS, codificato in tre punti, tre linee, tre punti, era di più immediata e facile interpretazione rispetto al CQD (linea, punto, linea, punto / linea, linea, punto, linea / linea, punto, punto). I due marconisti del Titanic (Jack Phillips e Harold Bride, solo il secondo sopravvisse) lanciarono dapprima il CQD, e poi decisero di intervallarlo con il SOS.
2 L’inchiesta americana - presieduta dal senatore William Alden Smith - si svolse dal 19 aprile al 25 maggio 1912, e quella britannica - presieduta da John Charles Bigham -  dal 2 maggio al 3 luglio.
3 T. KUNTZ (a cura di), The Titanic disaster hearings: the official transcripts of the 1912 Senate investigation, New York, 1998, p. 554.
4 Uno degli aspetti più controversi del naufragio del Titanic riguarda infatti il numero delle scialuppe (oltre al fatto che molte vennero calate in mare vuote per metà): il transatlantico disponeva di 20 barche (16 standard e 4 canotti pieghevoli), per una capacità di 1178 persone, circa un terzo della capacità totale della nave. Tuttavia, come emerge chiaramente dalle testimonianze rilasciate durante l’inchiesta britannica e in uno dei rapporti dell’inchiesta stessa, il Titanic era perfettamente in regola con le normative allora vigenti: le previsioni del Merchant Shipping Act del 1894 sul numero di scialuppe da installare su ogni nave si basavano infatti sul tonnellaggio, e non sulle persone trasportate. Si riteneva che per una nave di oltre 10.000 tonnellate (all’epoca la nave più grande - la Lucania - raggiungeva le 13.000) fossero sufficienti 16 scialuppe, per una capacità di 962 persone. Quindi non solo il Titanic era conforme alla legge, ma addirittura la capacità delle sue scialuppe eccedeva di 216 rispetto a quanto previsto dai regolamenti. All’indomani del naufragio, le norme del Board of Trade apparvero subito sorpassate e inadeguate, in quanto il limite del tonnellaggio non teneva in considerazione il progresso tecnologico: il Titanic raggiungeva infatti le 46.000 tonnellate, e molte altre navi, seppur in regola, disponevano di scialuppe in numero drammaticamente inferiore rispetto a quanto fosse ragionevolmente auspicabile.
5 Già durante l’affondamento del Britannic (il terzo transatlantico di classe Olympic, gemello dell’Olympic e del Titanic), avvenuto il 21 novembre 1916 dopo aver colpito una mina tedesca nel Mar Egeo mentre svolgeva il servizio di nave ospedale, il migliore addestramento dell’equipaggio consentì un’evacuazione più celere, nonostante la difficoltà creata dalla forte inclinazione del lato di dritta (cfr. M. CHIRNSIDE, The Olympic-class ships: Olympic, Titanic, Britannic, Stroud, 2004, p. 322).
6 L’importanza di garantire un servizio radiotelegrafico ventiquattr’ore su ventiquattro emerse nell’ambito della testimonianza rilasciata al Senato da Cyril Evens, marconista a bordo della Californian, la nave che verosimilmente si trovava più vicina al Titanic e che era stata costretta a fermarsi perché circondata dal ghiaccio. Evans, alle 22:55, aveva avvertito i suoi colleghi sul Titanic della presenza di iceberg, ma gli venne intimato di tacere perché stavano trasmettendo i messaggi dei passeggeri, trovandosi nel campo di ricezione di Cape Race, sull’isola di Terranova. Evans rimase in ascolto fino alle 23:35 (il Titanic avrebbe colpito l’iceberg cinque minuti più tardi), dopodiché spense la radio e andò a dormire, non potendo così captare le richieste di soccorso. Venne svegliato intorno alle 5:30, e avvertito che durante la notte una nave aveva sparato dei razzi di segnalazione.
7 Il Britannic, varato nel 1914 e la cui costruzione fu molto influenzata dall’incidente del Titanic, disponeva infatti di un ulteriore scafo rinforzato, che tuttavia fu severamente danneggiato dall’esplosione in cui fu coinvolto, rendendolo di fatto inutile.
9 Se le esortazioni circa le scialuppe, la costruzione e il radiotelegrafo avevano comunque portata generale e dunque “internazionale”, la prima raccomandazione emessa all’esito dell’inchiesta americana riguardava in realtà la normativa interna: fino a quel momento, infatti, gli Stati Uniti riconoscevano ed accettavano i certificati di ispezioni di quegli Stati terzi che avessero una legislazione simile alla propria. Alla luce del naufragio del Titanic, sembrava opportuno che questa pratica venisse interrotta, e che non si consentisse ad alcuna nave di trasportare passeggeri da porti americani a meno che questa non si conformasse esattamente ai regolamenti e alle leggi statunitensi.
11 L’articolo 7 della prima convenzione SOLAS invitava infatti il governo degli Stati Uniti di farsi carico dell’osservazione e dello studio del ghiaccio, con la collaborazione di una serie di Stati interessati (tra cui l’Italia), elencati nell’articolo stesso.
13 Se davvero fosse la Californian la nave in lontananza avvistata dai passeggeri del Titanic al momento dell’affondamento fu (ed è tuttora) questione controversa, tuttavia i rapporti finali di entrambe le inchieste - in cui le commissioni si dicono positivamente persuase che si trattasse proprio della Californian - condannarono il comportamento del suo capitano, Stanley Lord, per non aver fornito l’adeguata assistenza nonostante l’avvistamento di segnali di pericolo (nello specifico i razzi, in quanto il marconista stava dormendo e venne svegliato soltanto ore dopo, per iniziativa personale di uno degli ufficiali).
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salvo-love · 7 years
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Perché lo ius soli mina la sicurezza dell’Italia
Ottobre 21, 2017 GIOVANNI GIACALONE
Il generale Mario Mori, ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde, venerdì 18 agosto è intervenuto alla trasmissione “In Onda” di La7, all’indomani dell’attentato a Barcellona affrontando alcune tematiche relative al terrorismo.
Il generale è entrato anche in merito alla questione sulla cittadinanza in risposta alla domanda sul perché in Italia non abbiamo ancora avuto attacchi, illustrandone il differente contesto rispetto ad altri Paesi europei come Francia, Belgio e Gran Bretagna: “Non è stata una questione di fortuna: noi come Italia abbiamo una storia diversa rispetto agli altri Paesi europei. In particolare abbiamo una storia coloniale molto ridotta nel tempo e nello spazio; altri Paesi come Francia, Belgio, Inghilterra o Spagna hanno oggi la seconda e terza generazione di immigrati, quindi con passaporto e cittadinanza di quel Paese. Noi invece abbiamo una scarsa frequenza di cittadini provenienti dal mondo musulmano e pochissimi fra costoro hanno la cittadinanza italiana. Solo 250mila persone su un milione e mezzo hanno infatti la cittadinanza. Questo cambia il fatto che i controlli sono più facili. Noi rispetto ad altri Paesi abbiamo la possibilità di espellere più facilmente persone pericolose”.
È fondamentale tenere bene in considerazione quanto detto dal generale Mori perché di fatto le espulsioni sono uno strumento essenziale, “cavallo di battaglia” della strategia anti-terrorismo dell’Italia, come dimostrano i numeri (da inizio 2017 sono 70 i soggetti espulsi per motivi legati alla sicurezza nazionale). Immaginiamoci cosa sarebbe potuto succedere se non avessimo disposto di tale strumento.
Tutto ciò ci porta a fare un’ulteriore considerazione e cioè che regalare la cittadinanza non porta automaticamente all’integrazione, come possiamo vedere in molti paesi europei, ma rischia invece di rendere più difficile il lavoro di contrasto al radicalismo visto che i radicalizzati non potrebbero in quel caso essere espulsi. Finiremmo per trovarci ghetti come quelli di Selinunte a Milano o Porta Palazzo a Torino, con potenziali elementi radicalizzati ma con cittadinanza italiana.
Se poi teniamo conto dei dati dell’Europol dello scorso giugno secondo i quali i soggetti radicalizzati sono sempre più giovani (molti i nati in Europa), come confermato tra l’altro dall’età media degli attentatori di Barcellona, la situazione è ben poco felice.
Il modello multietnico, multiculturale come antidoto all’esclusione ha già dato risultati fallimentari, come dimostrano i casi di Francia, Belgio e Gran Bretagna con i vari ghetti, banlieue, dove nemmeno la polizia si addentra, luoghi diventati fulcro della radicalizzazione islamista (Molenbeek parla chiaro). Le “zone franche” di Londra, Birmingham e Leicester sono ben note, dove girano addirittura ronde di barbuti che impongono la sharia e aggrediscono chi non la rispetta.
La cittadinanza non è dunque sinonimo di integrazione e non a caso molti dei terroristi che hanno colpito l’Europa avevano la cittadinanza (alcuni esempi: Mohammed Merah, Abdelhamid Abaoud, Salah Abdeslam, Mehdi Nemmouche ecc.) così come tantissimi di quelli che sono partiti per andare a combattere nelle file dell’Isis.
Nonostante i dati parlino chiaro, il premier Paolo Gentiloni, durante il suo intervento al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini e con l’attentato di Barcellona ancora caldo, partiva di nuovo alla carica a favore dello ius soli che “arricchisce la nostra identità” elogiando “una società più aperta e multietnica”. Un tempismo non certo ottimale.
Un termine tra l’altro interessante quello di “società aperta”, la open society tanto promossa dal filantropo George Soros, al punto da utilizzarla come nome della sua rete di fondazioni creata nel 1993, la “Open Society Foundations”. Peccato però che diverse ONG legate a Soros sono in più occasioni state accusate di essere legate al business dell’immigrazione clandestina grazie all’impegno di navi-soccorso gestite da organizzazioni umanitarie (Moas, Jugend Rettet, Stichting Bootvluchting, Médecins sans frontières, Save the children, Proactiva Open Arms, Sea-Watch.org, Sea-Eye, Life boat) che annoverano tra i propri finanziatori proprio la Open Society e altri gruppi legati al milionario «filantropo» George Soros, come già mostrato da Gian Micalessin.
Non dimentichiamo inoltre che a inizio maggio, in concomitanza con lo scoppiare del caso ONG/immigrati, arrivava a Roma proprio George Soros e si recava a Palazzo Chigi per incontrare il premier Paolo Gentiloni. Perché? Elvira Savino di Forza Italia annunciava un’interrogazione parlamentare sui motivi della visita.
Gentiloni a Rimini ha inoltre affermato: “Il governo alla luce dei risultati” raggiunti nella gestione dei flussi migratori “non deve avere paura di riconoscere diritti e doveri a chi è nato in Italia e chi studia nelle nostre scuole. La risposta non è nell’esclusione, non è nella negazione della realtà che alimentano solo minacce, non sicurezza“.
Il premier sbaglia perché i risultati raggiunti da questo governo in quanto a immigrazione sono disastrosi, con intere aree fuori controllo, in preda all’illegalità e basta fare un giro a Milano in zona stazione Centrale o a Torino all’ex Villaggio Olimpico per rendersene conto (giusto per citarne un paio).
Grazie al flusso di barconi è entrato di tutto, incluso l’attentatore di Berlino Anis Amri e il torturatore somalo Osman Matammud, riconosciuto da alcune sue ex vittime mentre girava liberamente in Stazione Centrale a Milano.
Del resto anche le autorità libiche lo scorso maggio avevano segnalato che l’Isis caricava i suoi uomini sui barconi dei clandestini per inviarli in Europa “perché la polizia europea non sa chi appartiene all’Isis e chi è invece un rifugiato”. Una volta sbarcati riescono a spostarsi e sparire grazie alla totale assenza di documenti e alla possibilità di eludere molto facilmente i controlli.
Infine sarebbe bene ricordare che il governo in carica non è stato eletto dagli italiani e si dovrebbe dunque astenere dal prendere iniziative unilaterali su un aspetto così delicato come la cittadinanza in un momento in cui l’intera Europa è in piena emergenza sul piano della sicurezza.
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telodogratis · 1 year
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Berlino, esplode enorme acquario con 1500 pesci tropicali
Berlino, esplode enorme acquario con 1500 pesci tropicali
Read MoreIl Sea life in un hotel nel centro della capitaleIl Sea life in un hotel nel centro della capitaleRSS di – ANSA.it
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telodogratis · 1 year
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Berlino, esplode enorme acquario con 1500 pesci tropicali
Berlino, esplode enorme acquario con 1500 pesci tropicali
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salvo-love · 7 years
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Perché lo ius soli mina la sicurezza dell’Italia
AGO 21, 2017 152 COMMENTI PUNTI DI VISTA  GIOVANNI GIACALONE
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Il generale Mario Mori, ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde, venerdì 18 agosto è intervenuto alla trasmissione “In Onda” di La7, all’indomani dell’attentato a Barcellona affrontando alcune tematiche relative al terrorismo.
Il generale è entrato anche in merito alla questione sulla cittadinanza in risposta alla domanda sul perché in Italia non abbiamo ancora avuto attacchi, illustrandone il differente contesto rispetto ad altri Paesi europei come Francia, Belgio e Gran Bretagna: “Non è stata una questione di fortuna: noi come Italia abbiamo una storia diversa rispetto agli altri Paesi europei. In particolare abbiamo una storia coloniale molto ridotta nel tempo e nello spazio; altri Paesi come Francia, Belgio, Inghilterra o Spagna hanno oggi la seconda e terza generazione di immigrati, quindi con passaporto e cittadinanza di quel Paese. Noi invece abbiamo una scarsa frequenza di cittadini provenienti dal mondo musulmano e pochissimi fra costoro hanno la cittadinanza italiana. Solo 250mila persone su un milione e mezzo hanno infatti la cittadinanza. Questo cambia il fatto che i controlli sono più facili. Noi rispetto ad altri Paesi abbiamo la possibilità di espellere più facilmente persone pericolose”.
È fondamentale tenere bene in considerazione quanto detto dal generale Mori perché di fatto le espulsioni sono uno strumento essenziale, “cavallo di battaglia” della strategia anti-terrorismo dell’Italia, come dimostrano i numeri (da inizio 2017 sono 70 i soggetti espulsi per motivi legati alla sicurezza nazionale). Immaginiamoci cosa sarebbe potuto succedere se non avessimo disposto di tale strumento.
Tutto ciò ci porta a fare un’ulteriore considerazione e cioè che regalare la cittadinanza non porta automaticamente all’integrazione, come possiamo vedere in molti paesi europei, ma rischia invece di rendere più difficile il lavoro di contrasto al radicalismo visto che i radicalizzati non potrebbero in quel caso essere espulsi. Finiremmo per trovarci ghetti come quelli di Selinunte a Milano o Porta Palazzo a Torino, con potenziali elementi radicalizzati ma con cittadinanza italiana.
Se poi teniamo conto dei dati dell’Europol dello scorso giugno secondo i quali i soggetti radicalizzati sono sempre più giovani (molti i nati in Europa), come confermato tra l’altro dall’età media degli attentatori di Barcellona, la situazione è ben poco felice.
Il modello multietnico, multiculturale come antidoto all’esclusione ha già dato risultati fallimentari, come dimostrano i casi di Francia, Belgio e Gran Bretagna con i vari ghetti, banlieue, dove nemmeno la polizia si addentra, luoghi diventati fulcro della radicalizzazione islamista (Molenbeek parla chiaro). Le “zone franche” di Londra, Birmingham e Leicester sono ben note, dove girano addirittura ronde di barbuti che impongono la sharia e aggrediscono chi non la rispetta.
La cittadinanza non è dunque sinonimo di integrazione e non a caso molti dei terroristi che hanno colpito l’Europa avevano la cittadinanza (alcuni esempi: Mohammed Merah, Abdelhamid Abaoud, Salah Abdeslam, Mehdi Nemmouche ecc.) così come tantissimi di quelli che sono partiti per andare a combattere nelle file dell’Isis.
Nonostante i dati parlino chiaro, il premier Paolo Gentiloni, durante il suo intervento al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini e con l’attentato di Barcellona ancora caldo, partiva di nuovo alla carica a favore dello ius soli che “arricchisce la nostra identità” elogiando “una società più aperta e multietnica”. Un tempismo non certo ottimale.
Un termine tra l’altro interessante quello di “società aperta”, la open society tanto promossa dal filantropo George Soros, al punto da utilizzarla come nome della sua rete di fondazioni creata nel 1993, la “Open Society Foundations”. Peccato però che diverse ONG legate a Soros sono in più occasioni state accusate di essere legate al business dell’immigrazione clandestina grazie all’impegno di navi-soccorso gestite da organizzazioni umanitarie (Moas, Jugend Rettet, Stichting Bootvluchting, Médecins sans frontières, Save the children, Proactiva Open Arms, Sea-Watch.org, Sea-Eye, Life boat) che annoverano tra i propri finanziatori proprio la Open Society e altri gruppi legati al milionario «filantropo» George Soros, come già mostrato da Gian Micalessin.
Non dimentichiamo inoltre che a inizio maggio, in concomitanza con lo scoppiare del caso ONG/immigrati, arrivava a Roma proprio George Soros e si recava a Palazzo Chigi per incontrare il premier Paolo Gentiloni. Perché? Elvira Savino di Forza Italia annunciava un’interrogazione parlamentare sui motivi della visita.
Gentiloni a Rimini ha inoltre affermato: “Il governo alla luce dei risultati” raggiunti nella gestione dei flussi migratori “non deve avere paura di riconoscere diritti e doveri a chi è nato in Italia e chi studia nelle nostre scuole. La risposta non è nell’esclusione, non è nella negazione della realtà che alimentano solo minacce, non sicurezza“.
Il premier sbaglia perché i risultati raggiunti da questo governo in quanto a immigrazione sono disastrosi, con intere aree fuori controllo, in preda all’illegalità e basta fare un giro a Milano in zona stazione Centrale o a Torino all’ex Villaggio Olimpico per rendersene conto (giusto per citarne un paio).
Grazie al flusso di barconi è entrato di tutto, incluso l’attentatore di Berlino Anis Amri e il torturatore somalo Osman Matammud, riconosciuto da alcune sue ex vittime mentre girava liberamente in Stazione Centrale a Milano.
Del resto anche le autorità libiche lo scorso maggio avevano segnalato che l’Isis caricava i suoi uomini sui barconi dei clandestini per inviarli in Europa “perché la polizia europea non sa chi appartiene all’Isis e chi è invece un rifugiato”. Una volta sbarcati riescono a spostarsi e sparire grazie alla totale assenza di documenti e alla possibilità di eludere molto facilmente i controlli.
Infine sarebbe bene ricordare che il governo in carica non è stato eletto dagli italiani e si dovrebbe dunque astenere dal prendere iniziative unilaterali su un aspetto così delicato come la cittadinanza in un momento in cui l’intera Europa è in piena emergenza sul piano della sicurezza.
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