Tumgik
#campagnol tv
Video
youtube
Quand l'aristo socialiste s'aperçoit que son homme-à-tout-faire est deve...
0 notes
yesiamdrowning · 6 years
Video
youtube
Di rado mi sveglio con entusiasmo. Preferirei dormire. Negli ultimi mesi prendo sonno con fatica e per farlo mi avvolgo in un quantitativo imprecisato di puntate di serie tv che assai difficilmente vedrò una seconda volta. Quando non hanno l’effetto desiderato, allungo la mano su una pila di libri e riviste a lato del letto e incomincio a leggere. Spesso non chiudo occhio per tre o quattro ore dopo che tutti sono andati a letto. Mi addormento e dopo tre o quattro ore sono di nuovo sveglio; faccio quello che qualcuno chiama “testacoda”, ovvero rialzarsi quando dei benefici del sonno si è goduto poco o nulla. La sveglia suona ma la metto a tacere due o tre volte. Alla fine sono comunque costretto a darle retta e spesso ho già i nervi. Per giunta, da qualche tempo, appena butto i piedi sul pavimento della mia stanza, mentalmente i guai della giornata mi si presentano all’istante. Non un granché, me ne rendo conto, ma corroborati da quelli della vita che in genere sono più difficili da mandar giù. Per riottenere la mia consueta faccia da John Balance, scelgo quella che sarà la t-shirt che indosserò (operazione che stranamente mi rilassa) e penso a James Brown. Sfoglio le magliette piegate in ordine e per colore, aggiustando con le dita il cotone a volte stropicciato ora su una maglia dei Bad Brains ora degli Om. James mi accompagna. Quella voce strozzata, quell’interpretazione fuori da ogni paragone, degna del più classico mimetismo da actor’s studio, sotto l’immancabile ciuffo impomatato e completini impeccabili nei balletti improponibili che ridefiniscono da soli il concetto stesso di coolness. Origine campagnole, aspirazioni metropolitane. Da moquette rossa e suite al Holiday Inn di Memphis. L’emblema del riscatto sociale per milioni di persone, lui che da bambino raccoglieva cotone e lustrava scarpe ai bianchi e grazie al gospel, allo swing e al soul ne divenne un Re. Finito alla Rai nel 1971, a Teatro 1O, con due batterie sul palco nemmeno suonasse coi Melvins come nei film di Rocky. Perfezionista ossessivo, passò attraverso l’alcool e le droghe, e venne ricoverato per punizioni che si autoinfliggeva (digiuni, soprattutto). Nato sotto il segno del Toro, soprannominato Mr. Dinamite, col suo carattere irrascible sfociava spesso in scatti d’ira che sono passati alla storia, confusi con altrettante leggende. Pare si presentasse armato a tutti gli appuntamenti, dove per armato si intende di un fucile, ma soprattutto poteva ingaggiare vere e proprie scazzottate per niente: un assolo sbagliato, una richiesta di denaro, una precedenza. Tirava cazzotti urlando le proprie ragioni, poi si nascondeva nella sala prove e trasformava tutta la sua avversione verso il mondo in estro, creando il suo famoso stile. Magari cantava bombe come Out of Sight o The Night Train e lasciava il mondo intero inerme, a lapparsi le nocche ferite ma mai quanto lui. Sono pensieri che ti aiutano ad affrontare la vita mentre fai finta che una maglietta dei Beastie Boys o di Lydia Lunch potrebbe servirti a svoltare la giornata. Ma l’esercizio più ultile, quando l’orologio indica le 8 e O5, sei sveglio già da un’ora e niente sembra essere ancora migliorato, è pensare a Please Please Please. L’inno allo struggimento definitivo. Chitarra, basso e batteria in scioltezza e il Padrino del Soul che ci appoggia sopra la sua (infinita) supplica affinché lei torni. Diciamocelo subito, a conti fatti Please Please Please è una canzone d’amore come altre. Lei se ne andata, lui si sente solo come un cane, ha una faccia che nemmeno un’omelette di asparagi, tocca quindi quanto meno buttarsi in ginocchio per auspicare a un ripensamento dell’amata. Insomma, sono messe in campo tutte quelle variabili che distanziano l’ipotetico racconto disneysiano dal suo lieto fine. Un po’ come metà delle canzoni di Laura Pausini che però, spero sarete d’accordo, a sentirle al risveglio sarebbero un invito al suicidio; con quegli svolazzi di sfiga adolescenziale con trent’anni di ritardo che poi te se te li ritrovi nella vita di tutti i giorni, nella realtà, sarebbe veramente grave e mi auguro per lei che le sue siano solo “bugie a fin di bene” altrimenti rischirebbe il ricovero in una clinica a ogni singolo. Comunque con James tutto il discorso cambia e mi ripasso Please Please Please mentre abbino magliette chiare a pantaloni scuri o viceversa. Due minuti e quarantanove che venivano dilatati a oltre sei nelle esibizioni dal vivo o inclusi in medley memorabili come quello del Live at the Apollo, album di una bellezza tale che spero non occora spiegare. Ma James a Please Please Please ci arrivò nel 1956 quando non era ancora il Re di nulla, fuori dal gioco lucroso degli album e/o dei singoli al primo posto in classifica che arriverà solo cinque anni dopo, ma carico di speranze e frustrazione. Da qui il senso della canzone oltre il senso stretto della canzone. La leggenda narra di un giovanissimo James Brown intento a provarla dentro lo studio di registrazione della sua prima etichetta mentre il produttore Ralph Bass lo ascolta in estasi. Bussano alla porta ed entra Syd Nathan, boss e fondatore della King Records. Si infila subito un paio di cuffie per capire quanto gli potrà fruttare questo marmocchio nero con un diavolo per capello. Ascolta un po’ e al quattordicesimo “Ti prego” in un solo minuto lancia le cuffie per aria e sbotta a Ralph: “Questa non è una canzone! Dove sono le strofe? Dov’è il ritornello?”. Allora il buon Ralph Bass abbassa il volume dalle cuffie, abbassa le tendine nel vetro che separa la cabina di regia dallo studio per non disturbare la band che suona, abbassa la voce e sorridente gli risponde: “Qui non conta la canzone”. Aveva ragione. Cazzo se ne aveva. E’ il mantra struggente dei Please ripetuti come se si fosse persa la ragione a farla da padrone. Grazie a quella superba interpretazione di James, il cantato (se così si può dire) diventa un miscuglio tra litania eucaristica e la supplica dell’ubriaco, e il senso, il senso reale del brano per quello che è passa in secondo piano. Ti prego cosa? Tutto! Ti prego fammi conquistare la donna amata sì, ma ti prego fammi arrivare a fine mese, ti prego dai un po’ di stabilità alla mia famiglia, ti prego fammi avere i soldi per pagare le bollette, ti prego fai guarire mio zio, ti prego non fare morire più i miei amici, ti prego cura la mia mente. Ti prego, sono arrivato al limite, non ce la faccio più. Venne deciso che piano e fiati rimanessero in secondo piano rispetto al gioco di voci tra coro e James. Scelta giusta che non lo buttò affatto nel panico come avrebbe fatto con molti altri. Nella voce di James Joseph Brown non c’è un solo tentennamento: è quello che prova, è quello che sente, non potrebbe venirgli più facile. E così oltre alla favolosa registrazione riuscì a mettere su una delle performance più estenuanti e coinvolgenti della storia della musica. Al corista e amico di una vita Bobby Byrd venne dato così un incarico mai stato dato prima a nessuno sopra un palco. Durante l’esecuzione di Please Please Please, oltre a cantare, doveva, come dire, sostenere psicologicamente (anche fisicamente, come si può vedere) un esausta James Brown che sta per cedere sotto i colpi dello struggimento, sta per buttare la spugna, ma alla fine si rialza, ritrova il fiato e scalcia, e cosa fa? Ricomincia di nuovo a pregare. Perché non gli resta altro. L’ultimo rifugio di chi non ha più nulla. Non si è mai visto nulla di simile. Bob che gli da dei colpetti sulle spalle mentre gli fa coraggio a suon di “No” e di “Go” per completare i suoi Honey, please don't interrotti dal troppo dolore. Pure Syd Nathan sarà costretto a ricredersi ammettendo che “quello che era poco convincente in studio dal vivo diventava ottimo”. Potere della catarsi. Potere di tutta la personalità di James Brown, del suono di James Brown, del feeling di James Brown, della potenza scenica di James Brown. Sorge persino spontaneo chiedersi cosa avessero di tanto più interessante gli isterismi della Beatlemania che si sarebbe scatenata due anni dopo e avrebbe travolto anche lui come un fiume in piena. Quindi io afferro una maglietta dei Damned e penso a James, che urla come trafitto da mille frecce ma non cede per sei lunghi minuti e continua a pregare. Per cosa? Un po’ di amore? Un po’ di serenità? Pensate a ciò di cui avete più bisogno, e provate ad affrontare una nuova giornata.
9 notes · View notes
bfrss · 4 years
Text
RT @DCampagnolle: Le @MuseeEducation avait consacré 1 expo en 2014 avec @LeCLEMI @laBnF « 50 ans de pédagogie par les petits écrans » : ebook, vidéos des pionniers de la TV scolaire . Retour sur ces « nouvelles » technologies éducatives, collections du musée ... tous les liens dans le dossier ⬇️ https://t.co/xqCq47iR1R
Le @MuseeEducation avait consacré 1 expo en 2014 avec @LeCLEMI @laBnF « 50 ans de pédagogie par les petits écrans » : ebook, vidéos des pionniers de la TV scolaire . Retour sur ces « nouvelles » technologies éducatives, collections du musée ... tous les liens dans le dossier ⬇️ https://t.co/xqCq47iR1R
— Delphine Campagnolle (@DCampagnolle) April 18, 2020
bertrandformetApril 18, 2020 at 08:39AM
0 notes
charlesmartel732 · 6 years
Text
Le soleil se lève à l’Est : Combaz nous parle de la Hongrie, les Tchèques rachètent Marianne…
  Après Hervé Juvin dont je vous parlais hier, voici un maître qui a des choses à nous dire (en général en environ 4 mn) et qui les dit bien voici  Christian Combaz   Christian Combaz avec la « France de Campagnol » est apprécié des téléspectateurs de TV Libertés qui le retrouvent, chaque jour, dans sa chronique […] from Résistance Républicaine https://ift.tt/2wmHkEb via IFTTT
0 notes
Video
vimeo
Christian Combaz : la France de Campagnol du 3 au 7 septembre 2018 de TV Libertés sur Vimeo.
1 note · View note