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pangeanews · 4 years
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“Lui si porta i libri di Kafka ma poi studia solo ogni cu*o che passa”. Le hit dell’estate più rarefatta del secolo, ovvero: sull’analfabetismo della musica italiana (che spacciano per indagine socio-artistica)
Ci si attendeva tonnellate di romanzi claustrofobici incubati durante la clausura anticontagio (arriveranno, dategli tempo) e di film ambientati nella cattività degli zoo per umani che sono diventate le città (purtroppo a quello di Enrico Vanzina ne seguiranno altri), così nel frattempo sono tornate le canzoni. Anzi le hit, come sono chiamate quelle produzioni che dovrebbero durare quanto gli assorbenti e invece diventano la colonna sonora delle stagioni.
Ci sono sempre state le hit, ma quelle imposte dalle radio durante l’estate post Covid – la più rarefatta e sospesa dell’ultimo secolo – oltre a rinsaldare i nostri vincoli affettivi con la mediocrità sembrano aver individuato la loro funzione sociale: sono diventate il piccone con cui demolire quel che resta della lingua italiana, il machete con cui smembrarla a beneficio di una comunicazione orizzontale, istantanea, indistinguibile e quindi informe. «Senza studiare, senza fiatare, basta intuire che è anche troppo, colpo d’occhio è quello che ci vuole, uno sguardo rapido» scriveva Ivano Fossati (Il battito, 2006), preconizzando la necessità di sintonizzare le nostre frequenze filologiche su onde sempre più elementari, catacombali: «Dateci parole poco chiare, quelle che gli italiani non amano capire, basta romanzi d’amore, ritornelli, spiegazioni, interpretazioni facili – diceva Fossati – ma teorie complesse e oscure, lingue lontane servono, pochi significati, titoli, ideogrammi, insegne, inglese, americano slang». Si argomenta spesso della crisi della letteratura, del vuoto intorno al cinema e della mancanza di coraggio dell’arte italiana, ma la verità è che dalla musica pare non ci si possa aspettare altro che disgregazione, chiacchiericcio, volgarità più o meno esplicite, analfabetismo a rigorosa misura di social. Ma guai a scambiarla per sottocultura, al contrario questa potrebbe essere la nuova frontiera della dignità autoriale con cui viene chiesto di fare i conti agli interpreti del nostro tempo, e chi non risponde «presente» o è tagliato fuori o è un dinosauro (come chi scrive).
*
La morte di una lingua.
Per brevità (ovvero banalità), velocità di trasmissione e universalità del messaggio, le canzoni post Covid sono diventate l’espressione più allarmante della deriva del Paese e della Lingua, nonostante questa rimanga tra le più belle, complesse e tradotte al mondo. Ma forse è proprio questo il demonio contro cui combattere, il padre nobile e ingombrante da abbattere. Forse alle nuove generazioni di produttori e compositori non va giù proprio questo, l’insopportabile paragone con un passato impietoso sotto troppi aspetti: nobiltà della missione, qualità del prodotto, straordinaria ricchezza artistica, inarrivabile varietà di proposte, mercato che oggi semplicemente non c’è. Va da sé che l’unica espressione culturale con cui ingaggiare un confronto, nel tentativo di riuscire a vincerlo, per paradosso è proprio l’ignoranza. Volendola tracciare con una parabola, la flessione della ricerca linguistica all’interno delle canzoni moderne, si dovrebbe scavare un fossato, interrarsi in un bunker atomico. Indifendibile, squallida, quasi sempre sessista anche se nessuno dei Benpensanti della Domenica lo fa notare. A larghi tratti analfabeta, quasi sempre composta da una manciata tra sostantivi, aggettivi e pronomi (massimo dieci, sempre gli stessi), ampiamente intrisa di offese gratuite, nomi e marche importati da lingue straniere. Né militante né consunta, né vissuta né scaltra. Una lingua traslucida, abbandonata per eccesso di frequentazione. Una lingua al consumo, usa e getta come le carte prepagate. Una lingua fantasma, nemmeno codice di riconoscimento. Avvertimento lampeggiante, segnale di insipienza riconoscibile da tutti e da lontano. Una lingua svenduta al massimo ribasso, umiliata come se di null’altro si potesse parlare che di stronzate, perché alla gente ignorante (stando al marketing alla base della concezione di questi capolavori) bisogna rivolgersi con cose ignoranti (ecco perché una signora che storpia il nome scientifico del ceppo di un virus su una spiaggia italiana, mixata e debitamente masterizzata fa più download di Alberto Angela). E in questo deserto nessuno chiede uno sforzo di creatività, nemmeno a quelli che invece avevano colpito – o ci avevano provato – per la loro audacia. «E comunque si balla, come bolle nell’aria. E si tagga la faccia, che è riaperta la caccia. E comunque si bacia, l’italiana banana…» canta Francesco Gabbani nel Sudore ci appiccica, mentre Diodato fotografa la solitudine che ci siamo lasciasti alle spalle con «lo vedi amico arriva un’altra estate, e ormai chi ci credeva più, ché è stato duro l’inferno ma non scaldava l’inverno, hai pianto troppo questa primavera» (tratto da Un’altra estate). Non fanno meglio Ermal Meta e Bugo, con Mi manca: «E mi manca aspettare l’estate, comprare le caramelle colorate. E mi manca (mancano, sarebbe plurale) le strade in due in bici. Mi manco io, mi manchi tu. E mi manca una bella canzone (sinceramente, anche a noi!)».
*
Bene intesi, nessuno pretendeva la chiave d’interpretazione dell’umanità. Ma forse è proprio dentro la musica, nelle note più spensierate di questi testi privi di urgenza e tensione morale, che la pandemia sembra aver riposto tutte le banalità che ha succhiato infilando una cannuccia sulle nostre teste. «Blocco a volte sembro ancora triste, il testo è vero sai che mamma è fiera, fumo sopra ai sedili di un Velar, penso a quando il successo non c’era – Shiva in Auto blu – fa i soldi appena diciottenne, in qualche modo sotto quelle antenne, in quanti cambiano lo sai anche tu…», con un seguito quasi mai inferiore ai 20 milioni di follower. Che la lingua non esista più lo si capisce da gemiti, monosillabi e vomiti che ormai sono diventati testo e non pretesto, overdose di egocentrismo, autoerotismo più esasperato di quello di certi scrittori. «Lui si porta i libri di Kafka – profetizza J-Ax nella sua Bibbia estiva, quella di quest’anno si chiamava Ostia lido – ma poi studia solo ogni culo che passa». E poi la ricostruzione delle giornate tipo in cui riconoscersi tutti, non solo gli adolescenti ai quali questi pezzi sarebbero destinati. «Mi chiedi com’è passare le giornate a stare sul divano, con un caldo allucinante che mi scioglie, non dormo più la notte, ventilatore in fronte, e questa casa sembra proprio un hotel – scrive Giulia Penna in Un bacio a distanza –. Latine, il bel Paese, pizza pasta e mandolino, tu portami del vino, ché forse in questo pranzo non t’arriva manco il primo».
*
Come nei decreti “Mille proroghe” in cui insieme alla manovra finanziaria finiscono anche le sanatorie sui profilattici scaduti, in questa deriva consumista sono finite umiliazioni («ay papi non mi paghi l’affitto (…) Mamma lo diceva, sei carino ma non ricco»: Giusy Ferreri ed Elettra Lamborghini, La Isla); icone di plastica («tu fra queste bambole sembri Ken, ti ho in testa come Pantene»: Baby K e Chiara Ferragni, Non mi basta più);l’ostentazione della povertà («Nelle tasche avevo nada, ero cool, non ero Prada»: Mahmood, Sfera Ebbasta e Feid, Dorado); e la nemesi, sotto forma di insofferenza verso gli eccessi di comunicazione («Te lo spacco quel telefono, oh-oh, l’ho sempre odiato il tuo lavoro, oh»: Elodie, Guaranà).
*
Ferie d’Agosto.
In una memorabile scena del bellissimo film con cui Paolo Virzì ha anticipato di almeno un ventennio il funerale politico del Paese, cioè Ferie d’Agosto, Ennio Fantastichini (capo famiglia di Destra) dice a Silvio Orlando (capo delegazione di Sinistra) queste parole: «La verità è che nun ce state a capì più un cazzo manco voi, ma da mo’…». Che non solo è vero, ma fotografa alla perfezione la saturazione di un pubblico in cui chi prova a dire «no» è condannato all’emarginazione, alla solitudine, alla gogna. «Se c’è una cosa che mi fa spaventare, del mondo occidentale, è questo imperativo di rimuovere il dolore. Secondo me ci siamo troppo imborghesiti – dice Dario Brunori in Secondo me – abbiamo perso il desiderio, di sporcarci un po’ i vestiti, se canti il popolo sarai anche un cantautore, sarai anche un cantastorie, ma ogni volta ai tuoi concerti non c’è neanche un muratore».
*
Certo non mancano le eccezioni, taluna musica riesce ancora a incarnare l’essenza di una missione a cui non solo i chiamati all’appello rispondono (cit. Leo Longanesi). Così come non mancano le ambizioni, le lezioni di scienza e coscienza di chi mette insieme la musica al più antico insegnamento degli umani, il sapere (penso al progetto Deproducers, lo straordinario tentativo di deprodurre, appunto, la musica attraverso l’ausilio della scienza); ma si tratta di oasi che al cospetto delle cover patinate, delle tracce inascoltabili imposte dalla tv e dalla pubblicità, dinanzi al muro di intolleranza al bello eretto soprattutto da alcune etichette musicali, non arriva alla grande platea. E non ci arriva perché non racconta una mutazione, non arriva perché non riesce a essere antidoto a tutto il peggio prodotto in questi anni, segnatamente in questi mesi.
*
A pensarci bene la pandemia non c’entra, al contrario come noi è costretta a subire questo strazio. La verità è che la cifra stilistica media, l’asticella della dignità, la percezione del gusto e l’estetica condivisa hanno perso qualsiasi ritengo, hanno rinunciato a ogni freno inibitore, così ciò che fino a venti anni fa era meno dello scarto delle bobine oggi è diventato esperimento, ricerca scientifica, derivato d’introspezione, indagine socio-artistica. E a nulla valgono gli impietosi paragoni col passato, quando provando a spiegare alle nuove generazioni la sofferenza da cui proveniamo lo si fa con una canzone di Francesco de Gregori («meno male che c’è sempre uno che canta e la tristezza ce la fa passare, se no la nostra vita sarebbe come una barchetta in mezzo al mare, dove tra la ragazza e la miniera apparentemente non c’è confine, dove la vita è un lavoro a cottimo e il cuore un cespuglio di spine», da La ragazza e la miniera), perché nessuno ha più tempo per ascoltare questi dinosauri. La missione è quella di favorirne l’estinzione, aprendo le porte di un mondo digitale, inespressivo e anaffettivo in cui la canzone – intesa come esperienza/fenomeno – riveste la stessa utilità dei prolungamenti delle unghie: umiliare la natura, nasconderne i prodigi. Come i bari fanno col talento.
Davide Grittani
* Davide Grittani (Foggia, 1970) ha pubblicato i reportage “C’era un Paese che invidiavano tutti” (Transeuropa 2011, prefazione Ettore Mo e testimonianza Dacia Maraini) e i romanzi “Rondò” (Transeuropa 1998, postfazione Giampaolo Rugarli), “E invece io” (Biblioteca del Vascello 2016, presentato al premio Strega 2017), “La rampicante” (LiberAria 2018, presentato al premio Strega 2019 e vincitore premio Città di Cattolica 2019, Nicola Zingarelli 2019, Nabokov 2019, Giovane Holden 2019, inserito nella lista dei migliori libri 2018 da “la Lettura”del Corriere della Sera). Editorialista del Corriere del Mezzogiorno, inserto del Corriere della Sera. Dirige la collana “Dispacci Italiani (Viaggi d’amore in un Paese di pazzi)” per l’editore Les Flaneurs. 
L'articolo “Lui si porta i libri di Kafka ma poi studia solo ogni cu*o che passa”. Le hit dell’estate più rarefatta del secolo, ovvero: sull’analfabetismo della musica italiana (che spacciano per indagine socio-artistica) proviene da Pangea.
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tarditardi · 5 years
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Circus beatclub - Brescia, fine 2019 incandescente: 22/11 Soleil con A. Marzinotto, 25/12 Natale con Vida Loca, 31/12 Capodanno in cittĂ 
Domenica 22 dicembre al Circus beatclub di Brescia, il club simbolo del divertimento in città (e non solo) torna invece Soleil, un party già ben conosciuto in città e non solo. Soleil come dj guest mette in console Albert Marzinotto, un professionista del sound che tra l'altro è salito sul palco del Jova Beach Party la scorsa estate. Marzinotto, dj producer attivo in tutta Italia da tempo, quando è in console propone un viaggio nella musica, un viaggio colorato e sorprendente nella house music, senza limiti di tempo e contaminazioni...
Il 25 dicembre, la sera di Natale, chi ha voglia di bruciare ballando un po' di calorie può passare dal Circus beatclub di Brescia e scatenarsi a ritmo di pop, hip hop & reggaeton, in una parola urban, con Vida Loca (nella foto). Sul palco e in console, per i party / musical Vida Loca non ci sono star del mixer (e presunte tali): lo spettacolo e il divertimento piacciono perché coinvolgono il pubblico e perché i dj Vida Loca (tra loro Tommy Luciani e Giulia Alberti) sono più bravi che famosi, proprio come le cantanti, gli mc e il corpo di ballo.
Il 31 dicembre 2019 invece al Circus va in scena Capodanno in città 2020. L'evento è a cura di Fresh Eventi e Remedios, che per la seconda volta si uniscono per un evento tutto da vivere. In console Dj Leb e Guglielmo Lombardi, mentre alla voce c'è Aladin Voice. E' una festa dedicata al pubblico giovane, ma non solo. Chi vuol sapere tutto ma proprio tutto di questo evento può scrivere su WhatsApp al 3497757085
#capodanno2020 #festa #locationbrescia #circusbeatclub
Circus beatclub via Dalmazia 127, Brescia info 333 210 5400 www.circusbeatclub.com www.facebook.com/circusbeatclubofficial/ www.instagram.com/circusbeatclub/ g.page/circusbrescia (Come arrivare con Google Maps e info)
FOTO HI RES E MEDIA INFO CIRCUS BRESCIA http://www.lorenzotiezzi.it/lorenzotiezzi.it/circus_brescia_1.html
Circus beatclub a Brescia è da anni l'epicentro del clubbing più "up" della città (e non solo). Il giovedì, per la stagione 2019/20, è Cartèl, non il solito party hip hop o trap, ma una festa elettronica latino dal sound internazionale. Il venerdì è OffBeat, un party non convenzionale con la Circus family (Dr.Space, Dader, Andrea Grasselli, Luca Medeghini...) in console. Ogni sabato invece va in scena Iconic, festa e scatenata: è il party più giovane della super disco bresciana, un gran bel modo per iniziare ballare con stile e fare l'alba con il sorriso sulle labbra.
Quella che è iniziata il 21 settembre '19 è la ventunesima stagione di Circus, la disco più storica e amata di Brescia e non solo.  E' un traguardo importante. Oltre vent'anni di divertimento sono davvero tanti, soprattutto in un periodo in cui a quello delle discoteche si sono affiancati tanti diversi generi di intrattenimento che in passato non esistevano. Il club di via Dalmazia è riuscito comunque a crescere. E' diventato nel tempo un punto di riferimento per chi vuol far tardi con stile, in tutta tranquillità, godendosi la musica che fa ballare il mondo. Al Circus sono nati amori, tendenze musicali, party, carriere artistiche (...) e il legame con Brescia, nel tempo, si è consolidato, grazie anche a tante collaborazioni con attività e aziende. Merito della gestione di Antonio Gregori e di tutto il gruppo che ogni weekend che insieme a lui fa divertire la città. Brio,Toma e tutto lo staff del Circus sono la dimostrazione che di notte si può lavorare seriamente, divertendosi. La Circus family, tra l'altro, ad ogni stagione cresce sempre, coinvolgendo nuove realtà cittadine e non. Il club propone da settembre a maggio oltre cento serate, un numero davvero impressionante per uno spazio che d'estate resta chiuso...
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levysoft · 4 years
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SULL’ANALFABETISMO DELLA MUSICA ITALIANA
Ci sono sempre state le hit, ma quelle imposte dalle radio durante l’estate post Covid – la più rarefatta e sospesa dell’ultimo secolo – oltre a rinsaldare i nostri vincoli affettivi con la mediocrità sembrano aver individuato la loro funzione sociale: sono diventate il piccone con cui demolire quel che resta della lingua italiana, il machete con cui smembrarla a beneficio di una comunicazione orizzontale, istantanea, indistinguibile e quindi informe.
[...] «Dateci parole poco chiare, quelle che gli italiani non amano capire, basta romanzi d’amore, ritornelli, spiegazioni, interpretazioni facili – diceva Fossati – ma teorie complesse e oscure, lingue lontane servono, pochi significati, titoli, ideogrammi, insegne, inglese, americano slang». Si argomenta spesso della crisi della letteratura, del vuoto intorno al cinema e della mancanza di coraggio dell’arte italiana, ma la verità è che dalla musica pare non ci si possa aspettare altro che disgregazione, chiacchiericcio, volgarità più o meno esplicite, analfabetismo a rigorosa misura di social. Ma guai a scambiarla per sottocultura, al contrario questa potrebbe essere la nuova frontiera della dignità autoriale con cui viene chiesto di fare i conti agli interpreti del nostro tempo, e chi non risponde «presente» o è tagliato fuori o è un dinosauro (come chi scrive).
La morte di una lingua.
Per brevità (ovvero banalità), velocità di trasmissione e universalità del messaggio, le canzoni post Covid sono diventate l’espressione più allarmante della deriva del Paese e della Lingua, nonostante questa rimanga tra le più belle, complesse e tradotte al mondo. Ma forse è proprio questo il demonio contro cui combattere, il padre nobile e ingombrante da abbattere. Forse alle nuove generazioni di produttori e compositori non va giù proprio questo, l’insopportabile paragone con un passato impietoso sotto troppi aspetti: nobiltà della missione, qualità del prodotto, straordinaria ricchezza artistica, inarrivabile varietà di proposte, mercato che oggi semplicemente non c’è. Va da sé che l’unica espressione culturale con cui ingaggiare un confronto, nel tentativo di riuscire a vincerlo, per paradosso è proprio l’ignoranza. Volendola tracciare con una parabola, la flessione della ricerca linguistica all’interno delle canzoni moderne, si dovrebbe scavare un fossato, interrarsi in un bunker atomico. Indifendibile, squallida, quasi sempre sessista anche se nessuno dei Benpensanti della Domenica lo fa notare. A larghi tratti analfabeta, quasi sempre composta da una manciata tra sostantivi, aggettivi e pronomi (massimo dieci, sempre gli stessi), ampiamente intrisa di offese gratuite, nomi e marche importati da lingue straniere. Né militante né consunta, né vissuta né scaltra. Una lingua traslucida, abbandonata per eccesso di frequentazione. Una lingua al consumo, usa e getta come le carte prepagate. Una lingua fantasma, nemmeno codice di riconoscimento. Avvertimento lampeggiante, segnale di insipienza riconoscibile da tutti e da lontano. Una lingua svenduta al massimo ribasso, umiliata come se di null’altro si potesse parlare che di stronzate, perché alla gente ignorante (stando al marketing alla base della concezione di questi capolavori) bisogna rivolgersi con cose ignoranti (ecco perché una signora che storpia il nome scientifico del ceppo di un virus su una spiaggia italiana, mixata e debitamente masterizzata fa più download di Alberto Angela). E in questo deserto nessuno chiede uno sforzo di creatività, nemmeno a quelli che invece avevano colpito – o ci avevano provato – per la loro audacia. «E comunque si balla, come bolle nell’aria. E si tagga la faccia, che è riaperta la caccia. E comunque si bacia, l’italiana banana…» canta Francesco Gabbani nel Sudore ci appiccica, mentre Diodato fotografa la solitudine che ci siamo lasciasti alle spalle con «lo vedi amico arriva un’altra estate, e ormai chi ci credeva più, ché è stato duro l’inferno ma non scaldava l’inverno, hai pianto troppo questa primavera» (tratto da Un’altra estate). Non fanno meglio Ermal Meta e Bugo, con Mi manca: «E mi manca aspettare l’estate, comprare le caramelle colorate. E mi manca (mancano, sarebbe plurale) le strade in due in bici. Mi manco io, mi manchi tu. E mi manca una bella canzone (sinceramente, anche a noi!)».
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Bene intesi, nessuno pretendeva la chiave d’interpretazione dell’umanità. Ma forse è proprio dentro la musica, nelle note più spensierate di questi testi privi di urgenza e tensione morale, che la pandemia sembra aver riposto tutte le banalità che ha succhiato infilando una cannuccia sulle nostre teste. «Blocco a volte sembro ancora triste, il testo è vero sai che mamma è fiera, fumo sopra ai sedili di un Velar, penso a quando il successo non c’era – Shiva in Auto blu – fa i soldi appena diciottenne, in qualche modo sotto quelle antenne, in quanti cambiano lo sai anche tu…», con un seguito quasi mai inferiore ai 20 milioni di follower. Che la lingua non esista più lo si capisce da gemiti, monosillabi e vomiti che ormai sono diventati testo e non pretesto, overdose di egocentrismo, autoerotismo più esasperato di quello di certi scrittori. «Lui si porta i libri di Kafka – profetizza J-Ax nella sua Bibbia estiva, quella di quest’anno si chiamava Ostia lido – ma poi studia solo ogni culo che passa». E poi la ricostruzione delle giornate tipo in cui riconoscersi tutti, non solo gli adolescenti ai quali questi pezzi sarebbero destinati. «Mi chiedi com’è passare le giornate a stare sul divano, con un caldo allucinante che mi scioglie, non dormo più la notte, ventilatore in fronte, e questa casa sembra proprio un hotel – scrive Giulia Penna in Un bacio a distanza –. Latine, il bel Paese, pizza pasta e mandolino, tu portami del vino, ché forse in questo pranzo non t’arriva manco il primo».
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Come nei decreti “Mille proroghe” in cui insieme alla manovra finanziaria finiscono anche le sanatorie sui profilattici scaduti, in questa deriva consumista sono finite umiliazioni («ay papi non mi paghi l’affitto (…) Mamma lo diceva, sei carino ma non ricco»: Giusy Ferreri ed Elettra Lamborghini, La Isla); icone di plastica («tu fra queste bambole sembri Ken, ti ho in testa come Pantene»: Baby K e Chiara Ferragni, Non mi basta più);l’ostentazione della povertà («Nelle tasche avevo nada, ero cool, non ero Prada»: Mahmood, Sfera Ebbasta e Feid, Dorado); e la nemesi, sotto forma di insofferenza verso gli eccessi di comunicazione («Te lo spacco quel telefono, oh-oh, l’ho sempre odiato il tuo lavoro, oh»: Elodie, Guaranà).
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Ferie d’Agosto.
In una memorabile scena del bellissimo film con cui Paolo Virzì ha anticipato di almeno un ventennio il funerale politico del Paese, cioè Ferie d’Agosto, Ennio Fantastichini (capo famiglia di Destra) dice a Silvio Orlando (capo delegazione di Sinistra) queste parole: «La verità è che nun ce state a capì più un cazzo manco voi, ma da mo’…». Che non solo è vero, ma fotografa alla perfezione la saturazione di un pubblico in cui chi prova a dire «no» è condannato all’emarginazione, alla solitudine, alla gogna. «Se c’è una cosa che mi fa spaventare, del mondo occidentale, è questo imperativo di rimuovere il dolore. Secondo me ci siamo troppo imborghesiti – dice Dario Brunori in Secondo me – abbiamo perso il desiderio, di sporcarci un po’ i vestiti, se canti il popolo sarai anche un cantautore, sarai anche un cantastorie, ma ogni volta ai tuoi concerti non c’è neanche un muratore».
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Certo non mancano le eccezioni, taluna musica riesce ancora a incarnare l’essenza di una missione a cui non solo i chiamati all’appello rispondono (cit. Leo Longanesi). Così come non mancano le ambizioni, le lezioni di scienza e coscienza di chi mette insieme la musica al più antico insegnamento degli umani, il sapere (penso al progetto Deproducers, lo straordinario tentativo di deprodurre, appunto, la musica attraverso l’ausilio della scienza); ma si tratta di oasi che al cospetto delle cover patinate, delle tracce inascoltabili imposte dalla tv e dalla pubblicità, dinanzi al muro di intolleranza al bello eretto soprattutto da alcune etichette musicali, non arriva alla grande platea. E non ci arriva perché non racconta una mutazione, non arriva perché non riesce a essere antidoto a tutto il peggio prodotto in questi anni, segnatamente in questi mesi.
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A pensarci bene la pandemia non c’entra, al contrario come noi è costretta a subire questo strazio. La verità è che la cifra stilistica media, l’asticella della dignità, la percezione del gusto e l’estetica condivisa hanno perso qualsiasi ritengo, hanno rinunciato a ogni freno inibitore, così ciò che fino a venti anni fa era meno dello scarto delle bobine oggi è diventato esperimento, ricerca scientifica, derivato d’introspezione, indagine socio-artistica. E a nulla valgono gli impietosi paragoni col passato, quando provando a spiegare alle nuove generazioni la sofferenza da cui proveniamo lo si fa con una canzone di Francesco de Gregori («meno male che c’è sempre uno che canta e la tristezza ce la fa passare, se no la nostra vita sarebbe come una barchetta in mezzo al mare, dove tra la ragazza e la miniera apparentemente non c’è confine, dove la vita è un lavoro a cottimo e il cuore un cespuglio di spine», da La ragazza e la miniera), perché nessuno ha più tempo per ascoltare questi dinosauri. La missione è quella di favorirne l’estinzione, aprendo le porte di un mondo digitale, inespressivo e anaffettivo in cui la canzone – intesa come esperienza/fenomeno – riveste la stessa utilità dei prolungamenti delle unghie: umiliare la natura, nasconderne i prodigi. Come i bari fanno col talento.
Davide Grittani
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tarditardi · 5 years
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Circus beatclub - Brescia, ecco cosa si balla: Cartèl, Soleil con A. Marzinotto e Natale con Vida Loca
Giovedì 19 dicembre invece al Circus beatclub di Brescia torna Cartèl. Non è il solito party hip hop o trap. E' un evento tutto nuoto, dalle sonorità latine, reggaeton e non solo. In console ci sono i dj di Cartél, ovvero, ovvero, tra gli altri, Taz Goons, Trendy Ema, Arienne Dj, Francesco Andreoli. E Cartél proprio come il mitico Fight Club e come simbolo si è scelta uno scorpione, un animale che sa far male, parecchio. Le regole sono tutte scritte in spagnolo nelle stories, su www.instagram.com/cartel_night:  E' proibito andare dal dj e chiedergli di suonare le proprie canzoni preferite. Se vuoi essere fotografato non muoverti come un ballerino trap...
Domenica 22 al Circus beatclub di Brescia torna invece Soleil, un party già ben conosciuto in città e non solo. Soleil come dj guest mette in console Albert Marzinotto, un professionista del sound che tra l'altro è salito sul palco del Jova Beach Party la scorsa estate. Marzinotto, dj producer attivo in tutta Italia da tempo, quando è in console propone un viaggio nella musica, un viaggio colorato e sorprendente nella house music, senza limiti di tempo e contaminazioni...
E che succede la sera di Natale, il 25 dicembre? Chi ha voglia di bruciare ballando un po' di calorie può passare dal Circus beatclub di Brescia e scatenarsi a ritmo di pop, hip hop & reggaeton, in una parola urban, con Vida Loca (nella foto). Sul palco e in console, per i party / musical Vida Loca non ci sono star del mixer (e presunte tali): lo spettacolo e il divertimento piacciono perché coinvolgono il pubblico e perché i dj Vida Loca (tra loro Tommy Luciani e Giulia Alberti) sono più bravi che famosi, proprio come le cantanti, gli mc e il corpo di ballo.
Circus beatclub via Dalmazia 127, Brescia info 333 210 5400 www.circusbeatclub.com www.facebook.com/circusbeatclubofficial/ www.instagram.com/circusbeatclub/ g.page/circusbrescia (Come arrivare con Google Maps e info)
FOTO HI RES E MEDIA INFO CIRCUS BRESCIA http://www.lorenzotiezzi.it/lorenzotiezzi.it/circus_brescia_1.html
Circus beatclub a Brescia è da anni l'epicentro del clubbing più "up" della città (e non solo). Il giovedì, per la stagione 2019/20, è Cartèl, non il solito party hip hop o trap, ma una festa elettronica latino dal sound internazionale. Il venerdì è OffBeat, un party non convenzionale con la Circus family (Dr.Space, Dader, Andrea Grasselli, Luca Medeghini...) in console. Ogni sabato invece va in scena Iconic, festa e scatenata: è il party più giovane della super disco bresciana, un gran bel modo per iniziare ballare con stile e fare l'alba con il sorriso sulle labbra.
Quella che è iniziata il 21 settembre '19 è la ventunesima stagione di Circus, la disco più storica e amata di Brescia e non solo.  E' un traguardo importante. Oltre vent'anni di divertimento sono davvero tanti, soprattutto in un periodo in cui a quello delle discoteche si sono affiancati tanti diversi generi di intrattenimento che in passato non esistevano. Il club di via Dalmazia è riuscito comunque a crescere. E' diventato nel tempo un punto di riferimento per chi vuol far tardi con stile, in tutta tranquillità, godendosi la musica che fa ballare il mondo. Al Circus sono nati amori, tendenze musicali, party, carriere artistiche (...) e il legame con Brescia, nel tempo, si è consolidato, grazie anche a tante collaborazioni con attività e aziende. Merito della gestione di Antonio Gregori e di tutto il gruppo che ogni weekend che insieme a lui fa divertire la città. Brio,Toma e tutto lo staff del Circus sono la dimostrazione che di notte si può lavorare seriamente, divertendosi. La Circus family, tra l'altro, ad ogni stagione cresce sempre, coinvolgendo nuove realtà cittadine e non. Il club propone da settembre a maggio oltre cento serate, un numero davvero impressionante per uno spazio che d'estate resta chiuso...
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tarditardi · 5 years
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Circus beatclub - Brescia, ecco cosa si balla a dicembre: 13/12 Off Beat, 14/12 Clab - Iconic, 19/12 Cartèl, 22/12 Soleil con Albert Marzinotto, 25/12 Vida Loca
Circus beatclub fa scatenare la città venerdì 13 e sabato 14 dicembre con i suoi consueti party del weekend. il venerdì è Off Beat. Al mixer si alternano Dr.Space, Dader, Andrea Grasselli, Luca Medeghini... Sul palco invece dà spettacolo il corpo di ballo del Circus. il sabato è invece Iconic / Clab, un modo tutto bresciano di dire club e far conoscere la disco ed il suo stile ai più giovani.
Giovedì 19 dicembre invece al Circus beatclub di Brescia torna Cartèl. Non è il solito party hip hop o trap. E' un evento tutto nuoto, dalle sonorità latine, reggaeton e non solo. In console ci sono i dj di Cartél, ovvero, ovvero, tra gli altri, Taz Goons, Trendy Ema, Arienne Dj, Francesco Andreoli. E Cartél proprio come il mitico Fight Club e come simbolo si è scelta uno scorpione, un animale che sa far male, parecchio. Le regole sono tutte scritte in spagnolo nelle stories, su www.instagram.com/cartel_night:  E' proibito andare dal dj e chiedergli di suonare le proprie canzoni preferite. Se vuoi essere fotografato non muoverti come un ballerino trap...
Domenica 22 al Circus beatclub di Brescia torna invece Soleil, un party già ben conosciuto in città e non solo. Soleil come dj guest mette in console Albert Marzinotto, un professionista del sound che tra l'altro è salito sul palco del Jova Beach Party la scorsa estate. Marzinotto, dj producer attivo in tutta Italia da tempo, quando è in console propone un viaggio nella musica, un viaggio colorato e sorprendente nella house music, senza limiti di tempo e contaminazioni...
E che succede la sera di Natale, il 25 dicembre? Chi ha voglia di bruciare ballando un po' di calorie può passare dal Circus beatclub di Brescia e scatenarsi a ritmo di pop, hip hop & reggaeton, in una parola urban, con Vida Loca (nella foto). Sul palco e in console, per i party / musical Vida Loca non ci sono star del mixer (e presunte tali): lo spettacolo e il divertimento piacciono perché coinvolgono il pubblico e perché i dj Vida Loca (tra loro Tommy Luciani e Giulia Alberti) sono più bravi che famosi, proprio come le cantanti, gli mc e il corpo di ballo.
Circus beatclub via Dalmazia 127, Brescia info 333 210 5400 www.circusbeatclub.com www.facebook.com/circusbeatclubofficial/ www.instagram.com/circusbeatclub/ g.page/circusbrescia (Come arrivare con Google Maps e info)
FOTO HI RES E MEDIA INFO CIRCUS BRESCIA http://www.lorenzotiezzi.it/lorenzotiezzi.it/circus_brescia_1.html
Circus beatclub a Brescia è da anni l'epicentro del clubbing più "up" della città (e non solo). Il giovedì, per la stagione 2019/20, è Cartèl, non il solito party hip hop o trap, ma una festa elettronica latino dal sound internazionale. Il venerdì è OffBeat, un party non convenzionale con la Circus family (Dr.Space, Dader, Andrea Grasselli, Luca Medeghini...) in console. Ogni sabato invece va in scena Iconic, festa e scatenata: è il party più giovane della super disco bresciana, un gran bel modo per iniziare ballare con stile e fare l'alba con il sorriso sulle labbra.
Quella che è iniziata il 21 settembre '19 è la ventunesima stagione di Circus, la disco più storica e amata di Brescia e non solo.  E' un traguardo importante. Oltre vent'anni di divertimento sono davvero tanti, soprattutto in un periodo in cui a quello delle discoteche si sono affiancati tanti diversi generi di intrattenimento che in passato non esistevano. Il club di via Dalmazia è riuscito comunque a crescere. E' diventato nel tempo un punto di riferimento per chi vuol far tardi con stile, in tutta tranquillità, godendosi la musica che fa ballare il mondo. Al Circus sono nati amori, tendenze musicali, party, carriere artistiche (...) e il legame con Brescia, nel tempo, si è consolidato, grazie anche a tante collaborazioni con attività e aziende. Merito della gestione di Antonio Gregori e di tutto il gruppo che ogni weekend che insieme a lui fa divertire la città. Brio,Toma e tutto lo staff del Circus sono la dimostrazione che di notte si può lavorare seriamente, divertendosi. La Circus family, tra l'altro, ad ogni stagione cresce sempre, coinvolgendo nuove realtà cittadine e non. Il club propone da settembre a maggio oltre cento serate, un numero davvero impressionante per uno spazio che d'estate resta chiuso...
Circus beatclub via Dalmazia 127, Brescia info 333 210 5400 www.circusbeatclub.com www.facebook.com/circusbeatclubofficial/ www.instagram.com/circusbeatclub/ g.page/circusbrescia (Come arrivare con Google Maps e info)
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