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medicomunicare · 3 years ago
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Noduli tiroidei: gli esami da fare e le modalità di trattamento a confronto
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Introduzione Si stima che nella popolazione sana la prevalenza di noduli tiroidei sia intorno al 60-68%. Generalmente è più facile riscontrarli fra coloro che hanno deficits riscontrabili di iodio, ma una grossa percentuale la si ritrova anche fra gli individui, soprattutto del sesso femminile, che hanno normali titoli sia di iodio che ormoni tiroidei. Possono essere trovati casualmente per indagini diagnostiche come le ecografie o le radiografie la cui indicazione era diversa da quella intenzionale. Nel 90-95% dei casi la loro natura è benigna. Nei rimanenti casi possono essere maligni e rappresentare un carcinoma papillare (80-90% dei casi), mentre con frequenza minore le forme midollare ed anaplastica. Il loro riscontro tardivo avviene di solito perchè non sono sintomatici. Quando però si verificano crescita rapida visibile sotto la pelle, comparsa di raucedine o tosse allora è consigliato indagare il più presto possibile. Come si valutano i noduli tiroidei Usualmente il medico di condotta prescrive delle analisi al sangue per controllare i livelli di ormoni tiroidei (TSH, T3 e T4), assieme all'ecografia della regione tiroidea e cervicale. Se i livelli di TSH sono normali o elevati è provabile che ci si trovi davanti un nodulo non funzionante, mentre ridotti o quasi azzerati suggeriscono un ipertiroidismo primario. In questo caso, il passo successivo è eseguire una scintigrafia: se la lesione capta il radiofarmaco il nodulo è definito "caldo" (iper-funzionante) ed è improbabile che si tratti di una lesione maligna. Al contrario, i noduli freddi non captanti preoccupano i clinici, che indirizzano il paziente all'agoaspirato del nodulo per analisi cellulari. Questo non è consigliato se la lesione è inferiore ad 1 cm. In una proporzione compresa fra il 15 ed il 25% dei casi ci si ritroverà davanti una lesione maligna, confermata da caratteristiche ecografiche come la difformità dei margini della lesione, presenza di micro-calcificazioni e il suo essere ipo-ecogena. Altre caratteristiche che dovrebbero fare allarmare sono la protrusione fuori dalla tiroide, l'altezza maggiore della larghezza e linfonodi cervicali con caratteristiche sospette. Se il nodulo è inferiore ad 1 cm solitamente si segue la prassi "wait and see" (aspetta e osserva), ripetendo l'esame a distanza di 6-9 mesi. Se il nodulo è cistico ma inferiore a 2 cm solitamente non si esegue biopsia e lo si tiene in osservazione a scadenza di 12 o 24 mesi. Infine, le indagini molecolari su campioni di agoaspirato hanno ormai preso piede ed hanno cambiato la modalità di come i noduli si gestiscono a livello clinico. Come si trattano i noduli tiroidei ed il follow-up I noduli benigni sono considerati non trattabili; lo specialista consiglierà di ripetere l'esame entro 12 o24 mesi. Se in questo lasso di tempo la dimensione del nodulo aumenta del 50%Nel caso di noduli iper-funzionanti o caldi la scelta è la rimozione chirurgica o l'ablazione con iodio radioattivo; è possibile eseguire uno dei due metodi se il paziente ne rifiuta l'altro. La terza opzione è il ricorso ad agenti anti-tiroidei come il metimazolo (Tapazole). Se la lesione è dichiaratamente maligna la rimozione chirurgica è l'opzione di prima linea: solitamente se le lesioni sono inferiori ad 1 cm e di tipo micro-papillare a basso rischio si opta per un trattamento conservativo e per la solita prassi di "aspetta e osserva". In caso contrario si può arrivare alla totale asportazione della tiroide. Per i noduli con un significativo aumento delle dimensioni riscontrato all'ecografia di follow-up sono nuovamente sottoposti ad agoaspirato. La sorveglianza attiva può essere considerata per i pazienti con carcinoma micropapillare a basso rischio in alternativa all'asportazione del lobo tiroideo interessato. Se il nodulo presenta aspetti ecografici altamente sospetti o fattori di rischio clinico, il chirurgo può considerare la rimozione chirurgica definitiva del lobo tiroideo colpito. La gestione personalizzata della situazione clinica presuppone sempre la presenza dell'endocrinologo. Per i noduli benigni di 4 cm o più non ci sono evidenze che bisogna proseguire con il follow-up a lungo termine, anche se si raccomanda un controllo ecografico biennale. Di fronte ad un nodo cistico semplice, il chirurgo opta per la rimozione definitiva o l'ablazione percutanea con etanolo. In precedenza era stato proposto il trattamento di questi noduli con levo-tiroxina per tenerli soppressi. Effettivamente è stato riportato che l'ormone portava ad un riduzione delle dimensioni del nodulo, ma non viene più raccomandato dato che l'interferenza dell'ormone con le funzioni fisiologiche e metaboliche supera i benefici della terapia. Questo è particolarmente vero se ci si trova di fronte ad un nodulo benigno e valori di TSH o altri ormoni tiroidei nel sangue nel range della normalità. Infine, nei pazienti con noduli tiroidei multipli può essere necessario eseguire più di una agoaspirato, poichè ogni nodulo viene considerato come indipendente nella sua natura (benignità o malignità). Se ci sono caratteristiche ecografiche anomale i noduli dovrebbero essere sottoposti a biopsia, mentre nei pazienti in cui i TSH sierico è ridotto si dovrebbe ricorrere alla scintigrafia. L'ablazione a radiofrequenza (RFA) La RFA è una procedura ablativa termica guidata da immagini ambulatoriali, che rappresenta una potenziale alternativa alla chirurgia per il trattamento dei noduli benigni sintomatici. Questo approccio elimina la necessità di anestesia generale, incisione o rimozione della ghiandola tiroidea, rendendola un'opzione non chirurgica interessante. La RFA è stata offerta in alcuni centri dal 2000 per il trattamento di tumori primari e metastatici del fegato, dei polmoni, delle ossa e dei reni e per l'ablazione delle vie di conduzione aberranti nel cuore. Con l'uso dell'anestesia locale e/o della sedazione, la sonda RFA viene introdotta nella linea mediana del collo anteriore a livello dell'istmo (chiamato approccio trans-istmico) e il nodulo viene mirato utilizzando la "tecnica del colpo mobile". Con questa procedura l'operatore muove l'ago RFA avanti e indietro nel nodulo, visualizzando i cambiamenti iperecogeni nel tessuto durante la guida ecografica. L'iniezione di lidocaina può essere utilizzata prima dell'ablazione per anestetizzare la capsula tiroidea da idro-dissezionare; e fornisce anche un dissipatore di calore attorno al nodulo per prevenire lesioni a queste strutture. Il calore della punta dell'elettrodo provoca necrosi e fibrosi dei tessuti introducendo una corrente alternata ad alta frequenza, che aumenta la temperatura dei tessuti da 60 a 100 gradi. Molti rapporti hanno stabilito l'efficacia a breve termine (6-12 mesi) e la sicurezza dell'RFA per la riduzione del volume dei noduli benigni non funzionanti (50-85%). Diversi articoli hanno dimostrato che l'RFA ha il miglior tasso di riduzione per noduli più piccoli (volume < 10 ml), con successo mantenuto fino a 2 anni. I noduli tiroidei benigni a funzionamento autonomo (AFTN) tendono ad essere più variabili rispetto ai noduli benigni non funzionanti, probabilmente a causa dell'aumentata vascolarizzazione presente nei primi e della maggiore possibilità di lasciare tessuto residuo vitale al margine. La letteratura dimostra che il raggiungimento dell'eutiroidismo dopo RFA è più coerente quando il volume di pretrattamento dell'AFTN è piccolo e più omogeneo dal punto di vista ecografico. Il cambiamento significativo nel volume del nodulo e quindi nella vascolarizzazione si traduce in un miglioramento significativo di T3, tiroxina libera (T4) e TSH. Il livello di quest'ultimo ormone può normalizzarsi fino all'80% dei pazienti senza lo sviluppo di ipotiroidismo dopo RFA.  Meglio la chirurgia o la RFA? Per i noduli tiroidei benigni sintomatici, la tiroidectomia aperta è lo standard. Tuttavia, la chirurgia potrebbe non essere sempre la scelta migliore, in particolare per i pazienti più anziani che non sono candidati chirurgici ideali o per i pazienti che non desiderano rischiare ipotiroidismo, cicatrici, raucedine o tempi di recupero chirurgico soprattutto per una malattia benigna. Uno dei principali vantaggi della RFA rispetto alla chirurgia è la ridotta possibilità di causare ipotiroidismo post-trattamento. L'intervento chirurgico prevede la rimozione della ghiandola con il nodulo e il parenchima normale, mentre l'RFA colpisce solo il nodulo, lasciando il tessuto normale protetto e preservando la funzione tiroidea. In una meta-analisi che confrontava l'ablazione termica con la tiroidectomia convenzionale, l'ablazione termica era più sicura e aveva un'incidenza significativamente più bassa di raucedine, ipotiroidismo e dolore postoperatorio. Dopo l'ablazione termica, i pazienti hanno avuto un risultato estetico postoperatorio significativamente migliore e un tempo di ospedalizzazione più breve rispetto alla tiroidectomia convenzionale. Tuttavia, in termini di miglioramento dei sintomi, entrambe le opzioni erano ugualmente favorevoli, senza differenze statistiche tra ablazione termica e tiroidectomia convenzionale, mostrando così che la RFA è un'opzione terapeutica promettente e più sicura per certi contesti. - a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica. Consigliati in questo sito Malattie della tiroide sotto i riflettori: Gennaio è il mese della “consapevolezza” tiroidea (04/01/2022) Diabete e problemi alla tiroide: è vero che prima o poi uno porta all’altro? (22/09/2021) Salute tiroidea: troppe ore di lavoro associate ad un rischio di suo malfunzionamento (02/04/2020) Malattie della tiroide oggi: da carenza di nutrienti o da antigeni alimentari? (09/10/2018) Pubblicazioni scientifiche Chijioke O. Pathologe 2022 Mar; 5(2):204-212. Tufano RP et al. Front Endocr. 2021; 12:698689. Song X et al. Gland Surg. 2021; 10(12):3351. Steward DL et al. JAMA Oncol 2019; 5(2):204. Fisher SB et al. CA Cancer J Clin 2018; 68(2):97. Roth MY, Witt RL. Cancer 2018; 124(5):888. Park HS et al. Korean J Radiol. 2017; 18(4):615. Hauger BR et al. Thyroid 2016; 26(1):1-133. Boutzios G et al. Thyroid 2014; 24(2):914-924. Read the full article
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medicomunicare · 4 years ago
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Diabete e problemi alla tiroide: è vero che prima o poi uno porta all'altro?
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Il diabete mellito è un disordine metabolico con una prevalenza progressivamente crescente, che nel 2019 conta almeno 480 milioni di persone in tutto il mondo e si prevede che questa prevalenza aumenterà a 550 milioni entro il 2030. Quasi la metà degli individui (49%) con diabete potrebbe non essere diagnosticata. I pazienti diabetici sono ad aumentato rischio di diverse gravi condizioni potenzialmente letali, con conseguenti costi di cure mediche elevate, scarsa qualità della vita e alto rischio di mortalità. I pazienti con ipotiroidismo (bassa attività tiroidea) hanno alti livelli di ormone stimolante la tiroide (TSH) e livelli T4 liberi normali, che rappresentano quasi il 9% degli adulti e il 17% dei pazienti diabetici. Le differenze nella prevalenza tra pazienti diabetici e la popolazione generale potrebbero essere dovute a razza, età, sesso, indice di massa corporea (BMI), assunzione di iodio nella dieta e valori di cut-off diagnostici del TSH. Sebbene possano esserci pochi segni e sintomi di disfunzione tiroidea nei pazienti con ipotiroidismo, i cambiamenti clinici, endocrini e metabolici potrebbero influenzare la prognosi dei pazienti. Data l'elevata prevalenza di ipotiroidismo tra i pazienti diabetici, la gestione dell'ipotiroidismo è importante per migliorare la prognosi del diabete. Siccome non sono disponibili delle recensioni descrittive o un cumulo di dati organizzati al riguardo, un team congiunto dei Dipartimenti di Endocrinologia dell’Ospedale provinciale di Taiyuan e quello di Linfen hanno steso una recensione di tutti gli studi disponibili per diabete e ipotiroidismo. Di oltre 900 studi trovati riguardanti la connessione, solamente 52 hanno soddisfatto i criteri di significatività, serietà clinica e corposità dei dati. Tuttavia, 44 di questi non erano elegibili per i seguenti motivi: 36 per i pazienti a cui non è stato diagnosticato il diabete, 5 sono stati sottoposti a revisione o meta-analisi e altri 3 non hanno ottenuto i risultati desiderati. Infine, sono stati selezionati otto studi per la meta-analisi. Quattro studi hanno riportato un'associazione tra ipotiroidismo e rischio di eventi cardiovascolari maggiori (MACE) nei pazienti diabetici. I dati finali riepilogativi non indicavano alcuna associazione significativa di ipotiroidismo con il rischio di cardiopatie. Cinque studi hanno riportato un'associazione tra ipotiroidismo e rischio di mortalità per tutte le cause in pazienti diabetici. i risultati non hanno indicato alcuna associazione tra ipotiroidismo e mortalità per qualsiasi causa. Sebbene i risultati dell'analisi di sensibilità indicassero un aumento significativo del rischio di mortalità per tutti i pazienti diabetici con funzionalità tiroidea inferiore, questo aumento significativo potrebbe essere sopravvalutato a causa di due studi che includevano pazienti con diagnosi di ipotiroidismo, ma non ipotiroidismo subclinico. I risultati di sintesi hanno mostrato che i pazienti diabetici con ipotiroidismo erano significativamente a maggior rischio di retinopatia e malattia renale, mentre le associazioni di ipotiroidismo con i rischi di morte cardiaca, ictus e neuropatia non hanno mostrato alcuna associazione significativa. Quindi il rischio cardiovascolare di questi pazienti diabetici potrebbe non dipendere necessariamente dallo stato tiroideo per sé, ma da alterazioni dei trigliceridi, colesterolo ed altri problemi del metabolismo anche indipendenti dalla salute tiroidea. Nel complesso, i ricercatori non ritengono, alla base della corposità dei dati, che la ridotta funzionalità tiroidea nei pazienti diabetici possa essere direttamente responsabile della comparsa di cardiovasculopatie. È più verosimile, invece, che concorra alla mortalità per diverse cause, fra cui l’incidenza di retinopatia diabetica e insufficienza renale cronica. Una indagine su base nazionale è stata pubblicata proprio quest’anno su una coorte di più di 1.382.000 adolescenti israeliani, da parte di un team di ricercatori della Hadassah University di Gerusalemme. L’intento era correlare la diagnosi di malattia tiroidea precoce o adolescenziale alla futura comparsa di diabete tipo 2. Gli adolescenti (età media 17 anni) sono stati esaminati prima del reclutamento militare durante il 1988-2007 e sono stati seguiti fino alla fine del 2016. Durante un follow-up medio di 18,5 anni, l'1,12% (69 su 6.152) degli adolescenti con disturbi della tiroide è stato diagnosticato con diabete di tipo 2 contro lo 0,77% degli adolescenti senza disturbi della tiroide. L'aumento del rischio di diabete è stato osservato in ambo i sessi, presenza o assenza di obesità, in assenza di altre condizioni di salute, ed è stato associato a diversi tipi di disturbi della tiroide. È stato anche simile quando l'esito è stato definito come diabete di tipo 2 diagnosticato all'età di 30 anni o prima. Questo potrebbe avvalorare in parte l’ipotesi che un disturbo tiroideo nelle fasi più giovani della vita possa predisporre alla comparsa di diabete tipo 2. Ma una ricerca parallela pubblicata da ricercatori del Malla Reddy Medical College di Telengana, India, potrebbe indicare che l’opposto è vero quando si analizza una coorte di adulti. Dei 2321 pazienti arruolati, 102 avevano diabete mellito di tipo 1 (T1DM) e 2219 diabete mellito di tipo 2 (T2DM). L'età media era di 48,4 ± 10,7, di cui 1128 femmine e 1193 maschi. Il 79,9% degli individui con diabete era eutiroideo; 13,8% con ipotiroidismo subclinico; il 3,4% con ipotiroidismo clinico e il 2,9% con ipertiroidismo. Il 14,1% con diabete di tipo 2 presentava ipotiroidismo subclinico; al contrario, l'ipotiroidismo clinico era comune nel diabete di tipo 1 (6,9%). Quindi l’asserzione iniziale se il diabete possa condurre a problemi tiroidei e viceversa potrebbe dipendere molto dall’età. Ovvero, problemi tiroidei giovanili potrebbero portare al diabete da adulto, mentre diabetici adulti potrebbero sviluppare disturbi alla tiroide per altri motivi. A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica. Pubblicazioni scientifiche° Yadav A et al. Diab Metab Syndr 2021; 15(3):885-89. Bardugo A et al. J Clin Endocr Metab 2021:dgab382. Zhang S et al. Front Endocrinol 2020; 10(889):1-8. Lin HJ, Lin CC et al. Nephrology 2018; 23:559–64. Zhou JB, Li HB et al. Medicine 2017; 96:e6519-25. Pearce EN. J Clin Endocr Metab 2012; 97:326–33. Read the full article
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