#stringendo
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raccontidialiantis · 19 days ago
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Odore selvaggio di femmina
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Non vedo mai l'ora che rientri dal lavoro: non le permetto di andare a lavarsi. Mi piace così: sudata, sporca e selvaggia. Lei stessa, da sporca e sudata, s'abbandona di più, anche se si sente in imbarazzo. Però, più le dico che mi piace il suo odore naturale di femmina, più s'allarga per agevolare la penetrazione e il trattenimento dentro di sé.
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Quando voglio che goda, le dico che vorrei moltissimo che fosse una puttana. Per pagarla solo venti euro. Così lei puntualmente viene, anche se mentre mi trattiene dentro di sé, stringendo le gambe sulla mia schiena, mi urla cose irriferibili all'orecchio. La inondo letteralmente e lei mi bacia. Mi dice che sono la sua vita, che se la lascio mi ammazza. E non scherza. Quanto pagheresti, per un amore così?
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RDA
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be-appy-71 · 1 month ago
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Le mie dita scivolano sulla tua pelle nuda,
dal petto fino alla parte più intima,
stringendo la carne, e l'attesa di come
giocherò e ti toccherò delicatamente
aggiunge quella scintilla che fa tremare
la tua pelle, riflettendosi nel tuo respiro e attraversando il tuo corpo come un'onda... ♠️🔥
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poesiablog60 · 1 year ago
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E allora mi curvo
Stringendo fin dove posso le braccia
Per trattenere l'ultimo sogno
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armandoandrea2 · 3 months ago
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Il postino dei messaggi in bottiglia viveva solo in cima ad un’altura con un albero soltanto a fargli ombra. Tutto il tempo teneva gli occhi fissi sulle onde, in cerca di un luccichio di vetro». Quello del postino è un lavoro che conduce nell’intimità delle persone, bisogna saperlo fare con discrezione e rispetto: si entra nelle vite degli altri ed è necessario farlo in punta di piedi, a maggior ragione se il messaggio è contenuto in una delicata bottiglia di vetro. Grazie ad un retino il postino raccoglie messaggi che sembrano venirgli incontro e poi parte, affinché ogni parola giunga a destinazione. Perché, sapete, chi manda un messaggio in bottiglia spesso sa che il destinatario è molto lontano: «A volte doveva viaggiare finché la bussola non arrugginiva e la solitudine diventava tagliente come una squama di pesce». Ma la fatica è tutta ripagata perché i messaggi che consegnava («il più delle volte») «rendevano le persone piuttosto felici». Che raro e meraviglioso lavoro il suo!
Quotidianamente assisteva a piccole schegge di luminosa felicità: era lui a portarle nella sua tracolla, lui le aveva delicatamente raccolte tra i flutti, lui le affidava gratuitamente a colui al quale erano destinate.
Sarà stato forse contagiato da quelle schegge, perché «tutte le volte che apriva una bottiglia, sperava di vedere il proprio nome campeggiare in cima al foglio», ma puzzava di pesce lui, di sali, «di sogni di marinaio». «Nessuno gli avrebbe mai scritto un messaggio. Però gli sarebbe piaciuto». Finché un giorno nel retino rimane impigliata una bottiglia un con messaggio, ma senza destinatario: «Questo invito potrebbe non arrivare in tempo, ma sto organizzando una festa. Domani alla marea della sera in riva al mare. Per piacere, verrai?».Il postino percorre in lungo e in largo la sua città, interroga i destinatari abituali delle missive, tutti esprimono rammarico e stupore di fronte una lettera così compita, ma nessuno riconosce il mittente. Il postino è addolorato: è la prima volta che non riesce a svolgere il suo lavoro e forse gli pare di aver sbriciolato quella scheggia di felicità che qualcuno gli aveva affidato. Così la sera dopo, stringendo tra i guanti rossi una manciata di conchiglie, si presenta all’invito, per scusarsi. E quando arriva «Eccoti!». L’abbraccio degli amici a cui il postino tante volte aveva regalato la felicità sono tutti lì: erano loro i mittenti della lettera? Hanno solo colto l’occasione? Non lo sappiamo. Sappiamo però che la felicità è contagiosa e non si può fare a meno di chiedere che riaccada:«alla fine quando sorsero le prime stelle e poi la luna, il postino raccolse la bottiglia che non era riuscito a consegnare. “Forse” si disse con la bocca piena di torta, “sì, forse riproverò a consegnarla domani”
Michelle Cuevas
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smokingago · 2 months ago
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Mi manchi,
ma ti porto dentro di me.
A volte sfoglio uno a uno gli istanti trascorsi insieme,
cerco indizi nel silenzio dei tuoi stati d’animo,
nelle mie domande che non sanno dove posarsi.
Vivi nelle mie parole non dette,
mentre io abito nelle tue incertezze,
nei tuoi cambi d’umore improvvisi.
Mi manchi,
a volte vorrei scriverti, ma non lo faccio,
mi basta l’idea di un legame d’anima sempre vivo.
Ho molta cura della tua assenza,
penso alle lunghe passeggiate insieme,
ascoltando il profumo dell’autunno,
stringendo le tue mani affusolate.
Mi manchi,
anche se coltivo come un’orchidea
il filo invisibile che ancora ci lega.
E tu? Chissà se mi pensi,
se il mio nome sfiora qualche volta i tuoi pensieri?
O siamo destinati ad essere due assenze
che si ricordano, che si vivono,
ma non si incontrano?
Mi manchi, ma ti porto dentro di me,
perché la tua assenza è continua presenza.
Agostino Degas
🍀
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wutternach · 6 days ago
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Piccola storia di un diario -1
Adesso ti siedi, qui, sulla stessa sedia su cui sono io. La schiena poggiata sul mio petto, le mani sulle cosce. Le mie braccia attorno al tuo corpo, le mie mani di fianco alle tue, a contatto. Le devi guardare, le mie mani, le devi guardare muoversi lentamente, sollevare lentamente il vestito che hai deciso di indossare. Adesso senti la mia voce da dietro, calma. Le mie parole lente. Senti come mi nutro del tuo odore, come sento i tuoi capelli, come annuso il tuo collo. Senti come sfioro la tua pelle. Ascolta tutte le mie parole, i miei desideri, come descrivo i tuoi movimenti in mezzo alla gente, come ti parlo dei tuoi sguardi che penetrano.
Ti siedi qui, ti fai sfiorare, ti fai parlare, ti fai toccare.
Piano.
Mi lasci dire della tua bellezza, del tuo modo di muoverti, dell’eccitazione che mi percorre il corpo quando ti incontro, delle idee perverse per farti godere che mi passano per la testa. Ti lasci prendere con le parole, ti fai scopare con i pensieri. Guarda, guarda ancora un attimo. Guarda le mie dita sulla tua pelle nuda, sulle tue gambe scoperte. Non vedi l’ora ti farmi scoprire cosa hai indossato sotto al vestito, non vedi l’ora di sentirle avvicinarsi, di arrivare tra le tue gambe, di farti toccare come sai che voglio fare. Ascolta bene, mentre sollevi ancora un po’ la stoffa, perché devi capire ancora più dettagliatamente quello che sei, quello che mi fai provare, il desiderio che mi travolge quando ti penso. Ora ascolta, io mi masturbo pensandoti, sai? Lo faccio più di quello che tu creda, lo faccio inevitabilmente, pensando a momenti come questo, pensando ai tuoi capezzoli esattamente come sono ora, sotto questo vestito.
Scoprili.
Brava, quanto ti piace farti dire brava. Quanto ti piace farti dire brava con il seno nudo, esposto, stretta tra le mie braccia, con le gambe semi aperte. Quanto ti piace sentire il mio cazzo poggiato sulla tua schiena. Quanto ti piace sentirmi parlare di quello che mi eccita di te.
Avvicino le mani, va bene? Avvicino le mani alla tua fica, senza occuparmi del seno che voglio che rimanga così, per il momento. Scopro. Guardo. Brava, sì. Molto brava. Hai scelto bene, hai scelto benissimo, così appena sposterò ancora di più le mie mani potrò sentire subito la tua pelle calda, non è vero? Così ti posso parlare all’orecchio delle sensazioni che provavi mentre arrivavi qui, camminando, nuda, sotto quel vestito. Così puoi confessarmi quanto è stato eccitante l’avvicinamento, il prima. Il desiderio sfregato, la voglia crescente, le idee nascoste in un sorriso accennato.
Oggi non ti scopo, oggi chiudi gli occhi e mi vieni tra le mani, con la mia lingua sul collo, con il mio petto sulla schiena. Oggi vieni con me appiccicato addosso, stringendo le gambe, spingendo la schiena su di me, vieni ascoltando le mie parole, sentendo il mio cazzo duro spingerti contro. Stringerti. Oggi ti lasci andare, chiudi gli occhi, non trattieni niente. Oggi puoi essere volgare, puoi dire quello che esce dalla tua bocca, puoi ascoltare quello che ti eccita.
Oggi mi vieni in mano, oggi mi vieni in testa. Lasciati parlare, fino a che non smetti di tremare, fino a che non lasci quel posto che volevi visitare.  
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canesenzafissadimora · 2 months ago
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Mi manchi,
ma ti porto dentro di me.
A volte sfoglio uno a uno gli istanti trascorsi insieme,
cerco indizi nel silenzio dei tuoi stati d’animo,
nelle mie domande che non sanno dove posarsi.
Vivi nelle mie parole non dette,
mentre io abito nelle tue incertezze,
nei tuoi cambi d’umore improvvisi.
Mi manchi,
a volte vorrei scriverti, ma non lo faccio,
mi basta l’idea di un legame d’anima sempre vivo.
Ho molta cura della tua assenza,
penso alle lunghe passeggiate insieme,
ascoltando il profumo dell’autunno,
stringendo le tue mani affusolate.
Mi manchi,
anche se coltivo come un’orchidea
il filo invisibile che ancora ci lega.
E tu? Chissà se mi pensi,
se il mio nome sfiora qualche volta i tuoi pensieri?
O siamo destinati ad essere due assenze
che si ricordano, che si vivono,
ma non si incontrano?
Mi manchi, ma ti porto dentro di me,
perché la tua assenza è continua presenza.
Agostino Degas
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mucillo · 2 months ago
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"Stella marina"
Una tempesta terribile si abbatté sul mare.
Lame affilate di vento gelido trafiggevano l’acqua e la sollevavano in ondate gigantesche che si abbattevano sulla spiaggia come colpi di martello o come vomeri d’acciaio. Aravano il fondo marino scaraventando le piccole bestiole del fondo, crostacei e piccoli molluschi, a decine di metri dal bordo del mare.
Quando la tempesta passò, rapida come era arrivata, l’acqua si placò e si ritirò.
Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui si contorcevano nell’agonia migliaia e migliaia di stelle marine rimaste intrappolate. Erano tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa.
Il fenomeno richiamò molta gente da tutte le parti della costa. Arrivarono anche varie troupe televisive per filmare quanto accaduto.
Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano morendo.
Tra le numerose persone che affollavano la spiaggia c’era anche un bambino che, stringendo forte la mano del padre, fissava con gli occhi pieni di tristezza le piccole stelle di mare.
Tutti stavano a guardare e nessuno faceva niente.
All’improvviso il bambino lasciò la mano del padre, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre piccole stelle di mare e, sempre correndo, le portò nell’acqua. Poi tornò indietro e ripeté l’operazione.
Dalla balaustra di cemento, un uomo lo chiamò: “Ma che fai ragazzino?”
“Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti muoiono tutte sulla spiaggia.” – rispose il bambino senza smettere di correre.
“Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa spiaggia: non puoi certo salvarle tutte. Sono troppe!” – gridò l’uomo. “E pensa che questo succede su centinaia di altre spiagge lungo tutta la costa! Non puoi cambiare le cose!”
Il bambino rimase un attimo immobile a quelle parole. Subito dopo sorrise, si chinò a raccogliere un’altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: “Ho cambiato le cose per questa qui”.
L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed erano in quattro a buttare stelle marine nell’acqua.
Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi cento, duecento, migliaia di persone lungo la costa che buttavano stelle di mare nell’acqua.
 
A volte il coraggio di iniziare è l’unico ingrediente segreto necessario per cambiare le cose. 
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raccontidialiantis · 5 months ago
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Ti controllo: sei mio!
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Sono la tua droga. Non puoi fare a meno di me e della mia bocca. Ogni volta che provi ad alzare la voce o a essere sgarbato, a mancarmi di rispetto, mi basta tirare fuori la lingua e passarmela sul labbro superiore: è il segnale convenuto che ben conosci. Ti faccio capire così che se non la smetti immediatamente non avrai più il privilegio dei miei lavoretti da sogno. Capolavori d’orgasmo fatti con una bocca bellissima e turgida dalla espertissima puttana che sono diventata. Anche grazie a te.
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Allora tu, rassegnato ma comunque felicissimo della mia dominazione totale sulla tua psiche, mi fai segno che hai capito e ti predisponi a leccarmela; cerchi di ritrovare la mia approvazione, sapendo già che arriverà di sicuro. Ci amiamo troppo. Le nostre menti sono intrecciate. Ti sottometti completamente a me, come fossi il mio schiavo preferito. Mi fai spogliare, ti inginocchi e mi lecchi a lungo la fica e il buco del culo, fino a portarmi all’orgasmo più totale. Io per parte mia quando mi lecchi e succhi così vengo in maniera vergognosa: mi apro sempre di più, per far arrivare la tua lingua ovunque.
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E ti regalo il preziosissimo miele di donna che bevi avidamente. Ti inondo di nettare, ma tu non smetti: insisti di più con la lingua e la bocca. Mi fai letteralmente raggiungere il paradiso. Il nostro è un legame molto particolare. Più che scopare, ci piace succhiarci reciprocamente e bere il frutto dei nostri amplessi. Infatti, la prima volta che abbiamo fatto l’amore tra noi è stato con un bellissimo sessantanove. Solo dopo ti ho concesso di scoparmi e incularmi. E ti godo comunque mi prendi.
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Probabilmente la nostra prima volta ci ha dato un imprinting molto particolare, che ormai informa totalmente la nostra unione e la caratterizza. Per noi fare l’amore significa soprattutto leccarci con golosità e ingoiare i nostri rispettivi nettari. A sera non vedo l’ora di succhiartelo e svuotarti completamente. Ti lascio sfinito ma assolutamente felice. E tu a tua volta mi lecchi e giochi sapientemente di lingua, fino a farmi sentire la donna più desiderata e allo stesso tempo la vera, assoluta padrona della tua urgenza di leccare la mia fregna; solo la mia, non quella di un'altra donna. Non ti devi permettere neppure di pensare a un'altra passera.
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Però la cosa più singolare e bella per me è che io faccio l’amore col cazzo, più che con l’uomo che lo porta. Mi piace succhiarlo: da morire. Non vedo l’ora di tornare a casa, la sera. Da quando ho capito che è la cosa che più adoro, negli uomini da tempo non guardo più gli occhi, la mascella squadrata o il culo, bensì il pacco. E sogno di pomparli. Tutti. Io si: io posso farlo e tu devi soffrire in silenzio di gelosia. Amo molto anche vedere la sborra schizzare, mi mette una sana allegria, perché so che l’uomo sta avendo l’orgasmo grazie al mio lavoro sapiente. Però è un peccato sprecarla, perché più di tutto mi piace ingoiarla.
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Fosse possibile, da te ne berrei a litri, perché ti amo; perciò mi stacco difficilmente dal tuo inguine. Anche se so che dopo sborrato avresti bisogno di sfilarti almeno per un minuto o due, altrimenti il cazzo ti duole. E quindi, egoista sadica, non ti mollo: sono una troia infoiata e assetata, quando te lo succhio, sebbene ti senta chiaramente soffrire. Purtroppo quando ho il cazzo in bocca è una cosa più forte di me, quindi continuo a succhiare e a tirare fortissimo, come se volessi farti uscire l’anima dal membro. Per te è una vera tortura, ma ti piace comunque.
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E siccome mi ami e mi vuoi soddisfatta, stringendo i denti resisti, con il tuo uccello diventato semirigido dopo la prima sborrata ben piantato nella mia bocca avida; le mia labbra e la mia gola si danno da fare per farlo ridiventare durissimo. Ti tengo stretto a me, con le mani che afferrano il tuo culo mentre premo il tuo bacino contro il mio viso. Non puoi scappare, dalla mia dolce prigionia. Per re-indurirti al più presto ti infilo un vibratore nel culo. Funziona. Paziente quindi, tu ti concentri e dopo un po’ riesci a tornare durissimo. Continuo a bere, bere e ancora bere dal tuo cazzo. Solo la stanchezza della mandibola, la lingua che si gonfia e il sonno ce la fanno a farmi smettere.
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Prima di crollare sfinito dovresti vedere le occhiaie che ti faccio venire! Comunque sia, puoi finalmente riposare un po’ anche tu: esci dalla mia gola e mi passi il cazzo sul viso, sulle tette. Questo è il segno del tuo amore per me, la tua carezza oscena e intima per la tua troia preferita. Poi vai a prenderti un bicchiere di latte in frigo, con tanti biscotti. Perché ho scoperto che addolciscono il sapore della tua sborra e la notte potrei avere di nuovo sete. Quanta pazienza hai, con me!
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Di domenica, dopo il pranzo, se ci gira bene a volte mettiamo in scena il nostro rituale più adorato. Mi tolgo le mutandine, mi accomodo e mi preparo per te: me la bagno con un vino liquoroso dolce e so che mentre mi guardi hai già l’acquolina in bocca. Ti sottometti di buon grado e mi fai sentire profondamente tua padrona; divento l’ape regina, nell’alveare della tua mente. Sono l’ostessa nella locanda del nostro segreto e continuo, intimo peccato. Proibito ma irresistibile per entrambi.
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RDA
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Serata di attimi... E perversione ( parte 2)
Lui raccolse tutto con la sua mano,
:Apri la bocca bimba lo so che non Ti piace,
Ma apri e zitta.
E in quel attimo esatto la sua mano entro nella sua bocca e lui iniziò a leccare il suo viso, stringendo sempre il suo collo....
La lascio improvvisamente cadere in terra e guardandola le ordinò di spogliarla e di porgergli la sua cintura,
E mentre tutto questo veniva fatto i colpi della cintura facevano diventare rossa la sua pelle bianchissima,
La prese per i capelli e la trascino sul letto...
Le sue mani prima e il suo membro dopo erano in ogni parte di lei....
Ormai era dolore e piacere.. E i suoi orgasmi sempre più forti... Sempre più belli...
Ora però lui voleva per sé il suo dolore... Le apri le gambe e affondo i sui denti sul suo clitoride vibrante...
Poi si alzo di scatto e con il suo piacere le inondo il viso...
Soddisfatto si lascio andare su di lei... Asciugando le sue lacrime e baciandola dolcemente...
@Choco
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jadarnr · 6 months ago
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol.1 From the Empire
FLIGHT NIGHT - Capitolo 3
Traduzione italiana di jadarnr basata sui volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
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“È ferita?”
Gli occhi di Jessica fissavano il vuoto senza espressione. “S—sono… sono tutti morti. Tutti…” balbettò. Crollò sul pavimento, stringendo le braccia attorno a sè.
Erano riusciti a correre via lontano dal ponte, ma non riusciva a fare a meno di guardarsi intorno nervosamente. Le sembrava che quel mostro fosse ancora con lei, ne sentiva ancora il sudiciume addosso.
Abel poteva quasi a vedere i pensieri che le passavano per la testa. Cercò di calmarla e portarla a concentrarsi su quello che avrebbero dovuto fare ora.
“Non ci seguirà. Persino un vampiro avrá bisogno di tempo per guarire da ferite del genere. Quello che il Duca ha detto é vero?”
“Sì, ha detto che avrebbe fatto schiantare la nave su Roma” singhiozzò “E il signor Dickins ha cercato di fermarlo, ma… e poi il capitano…” le sue parole si spezzarono a mezz’aria.
“Va tutto bene… Ora cerchi di calmarsi.”
Abel mise un braccio attorno alle spalle di Jessica scosse dai tremiti ed alzò lo sguardo verso il soffitto come se cercasse aiuto da Dio. Che incubo. Il computer di bordo era compromesso, c’era un vampiro terrorista a piede libero ed il ponte di comando era inservibile. Se i passeggeri lo fossero venuti a sapere, si sarebbe scatenato il panico.
“Padre, cosa dovremmo fare?” Chiese Jessica.
“Dobbiamo fermarlo.”
Ma come? Si domandò Jessica. Tutto l’equipaggio era morto ed il computer era stato sabotato. Non avevano possibilità di salvezza.
“Ho visto il progetto di questa nave. Ha un ponte inferiore, giusto? Si trova nell’hangar dove ci sono i tutti dispositivi di comunicazione. Possiamo controllarla da lì.”
“Impossibile” disse la ragazza, chiedendosi come avesse fatto il prete a mettere le mani sui disegni di progettazione della nave. “La Tristan ha inserito l’auto pilota al momento. Disabilitarlo manualmente è estremamente complicato, ci sono innumerevoli livelli di sicurezza. Dovremmo poterli sbloccare. Ed è tutto controllato dal computer.”
I computer erano una delle reliquie più misteriose lasciate indietro dopo l’Armageddon. Solo specialisti chiamati ‘programmatori’ erano in grado di decifrare l’enorme volume di codici e dare una logica a tutti quegli uno e zero. Non sapeva cosa il vampiro potesse avere fatto al sistema, ma un neofita ci avrebbe messo anni a capirlo.
“Ho un’idea. Potremmo disconnettere i controlli del computer e pilotare la nave dal ponte inferiore”
Lei esitò: “Tecnicamente… potremmo farlo. Ma non abbiamo un timoniere”.
Sia il timoniere che il comandante erano morti. Anche il navigatore era stato assassinato. Come mai avrebbero potuto pilotare la nave e farla atterrare?
“Il timoniere é proprio qui, davanti ai miei occhi”
Jessica sussultò: “Cosa?” Si allontanò da lui, con un’espressione come se fosse stata colta sulla scena di un crimine.
“Impossibile! Assolutamente impossibile! Non sono in grado”
“Ma prima stasera ha detto—“ iniziò Abel ma lei lo interruppe.
“Teoria e pratica sono due cose completamente diverse! Io sono solo una hostess…”
“Allora la situazione si complica…”
Gli occhi del prete si spostarono improvvisamente verso il corridoio. Si sentivano dei passi avvicinarsi lentamente.
“Oh no! Non può essere…”
“Non é lui, i passi sono troppo leggeri” disse Abel.
Il ragazzino con il palloncino rosso apparve timidamente da dietro l’angolo. Sembrava essersi perso. Quando vide Jessica corse verso di lei, scoppiando in lacrime.
“Piccolo, vieni qui. Ti sei perso?” Disse Jessica abbracciandolo ed asciugandogli le lacrime.
Il bambino annuì energicamente. Era spaventato anche lui, perché tremava tutto.
“Non ti avevo detto di tornare dalla tua mamma?” Gli chiese
“La mia mamma non è qui”
“Come?”
Il ragazzino tirò su col naso e continuò “La mamma sta lavorando a Roma. Il papà ed io stiamo andando a trovarla.”
Il bimbo sorrise, probabilmente pensando a quando avrebbe rivisto la sua mamma a Roma l’indomani.
Jessica si morse il labbro. Questo bambino non vedrá più la sua mamma. Probabilmente morirà. E non solo lui. Tutti gli altri passeggeri, compresa lei, sarebbero morti, e la nave che la sua stessa madre aveva contribuito a costruire sarebbe stata distrutta.
“Padre?” Sussurrò.
“Sì Jessica?”
Abel sorrise riconoscendo la luce nello sguardo di Jessica. La disperazione e lo shock avevano lasciato il posto ad una forte determinazione— ora era pronta.
“Mi può aiutare? Per prima cosa dobbiamo riportare questo bambino dal suo papà”
“E poi?”
Si strinse nelle spalle “E poi faremo ciò che si deve fare”.
“Sì, lo faremo insieme. Mi piace questa determinazione degli esseri uman—“ Abel si interruppe a metá frase e scosse la testa.
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La trasmissione radio che arrivò alle 01.40 di mattina era forte e chiara, nonostante il suo significato fosse assurdo: Il Vaticano deve liberare tutti i vampiri prigionieri entro un’ora o distruggeremo Roma.
“Abbiamo ricevuto delle informazioni preliminari dal Dipartimento dell’Inquisizione!” Gridò un assistente.
“Il Duca di Meinz, Alfredo, vampiro— ricercato per sessantasette omicidi e furto di sangue. Come diavolo ha fatto quel pazzo omicida a salire sulla Tristan? Come ha fatto a superare la sicurezza in aeroporto?”
Era una follia. Al Castello di Sant’Angelo, il Salone dell’Angelo Messaggero, anche conosciuto come la war room del Vaticano, era in fermento—persone urlavano e volavano scartoffie da tutte le parti. Tutti quelli che contavano erano lì presenti: il Sacerdote Capo della Sicurezza Papale, il Ministro dei Trasporti e perfino la sorella del Papa, Ministro degli Affari Esteri. Erano stati tutti buttati giú dal loro letto, ma nessuno di loro mostrava segni di stanchezza.
Il ragazzo magrolino a capotavola, d’altro canto, sembrava sul punto di addormentarsi.
“Vostra Santità, siete ancora sveglio?”
Il giovane, Alessandro XVIII, trecentonovantanovesimo Papa, la bocca spalancata in un enorme sbadiglio, alzò lo sguardo sorpreso verso la bellissima donna in piedi accanto a lui, vestita con l’abito rosso da Cardinale.
“Scusa sorella mia, devo essermi assopito” disse imbarazzato.
“Non serve che tu stia alzato per questo, Alex. Possiamo occuparcene noi.” Disse la Duchessa di Milano, Ministro degli Affari Esteri Cardinale Caterina Sforza, guardando Alex calorosamente da dietro il suo monocolo. “Dovresti essere a riposare ora”.
Lui sbattè le palpebre rapidamente “Sto bene. Cosa sta succedendo?”
“Qualcosa di brutto”. La sua espressione calma minimizzò la gravitá della faccenda.
La situazione all’interno della nave era ancora poco chiara, e non c’era nulla che il Vaticano potesse fare a quel punto. “Nella peggiore delle ipotesi dovremo accontentare le loro richieste” disse Caterina.
“S—se gli ostaggi sono in pericolo, non c’è altro che possiamo fare, giusto?”. Balbettò il giovane Papa.
Annuendo seriamente, Alessandro tamburelló sulla superficie del tavolo. “Sì, rilasceremo i prigionieri.” Dichiarò.
Una profonda voce baritonale si alzò per obiettare: “Non possiamo farlo Sua Santità” tuonò la voce.
“Fratello maggiore?”
“Cardinale Medici” Caterina fece un cenno con il capo, salutando l’uomo che aveva parlato.
I fratelli si scambiarono un’occhiata gelida.
Il Segretario della Dottrina Papale Vaticana Francesco de’ Medici era un uomo grande e minaccioso. Il suo corpo era più adatto alla guerra che al clero. Si tolse il suo copricapo e si inchinò rigidamente al Papa, senza mostrare traccia di emozione. “Sono tornato dalla mia visita alla Base Aerea di Assisi”.
“Q—quando siete arrivato, fratello? Pensavo che saresti stato via fino alla p—prossima settimana” balbettò il ragazzo.
“Sono appena arrivato. Ed ho appreso dell’incidente sulla Tristan. Ebbene Caterina?” Chiese il Cardinale Medici.
La bellezza bionda si irrigidì al suo tono di rimprovero.
“Dovresti dare consigli migliori al Papa che dirgli di accontentare le richieste di terroristi vampiri. Così diventerá un debole ai loro occhi— un pupazzo che possono prendere in ostaggio ogni volta che lo vorranno. Dovresti vergognarti!” Abbaiò.
“Fratell… mi scuso, volevo dire Cardinale Medici” si rivolse al suo fratellastro “Cosa dovremmo fare? La Tristan viene da Albion, ed è piena di civili di Albion. La deadline per la firma del trattato di pace col Regno di Albion è la prossima settimana. Non possiamo permetterci che il minimo problema ostacoli i negoziati di pace. Le questioni riguardanti Albion devono essere trattate con delicatezza” spiegó. Il suo volto rimase sereno, ma i suoi occhi non mostravano la minima traccia di calore.
“Il Vaticano non negozierà con i terroristi. Specialmente terroristi vampiri!” si scherní il Cardinale Medici “Vostra Santitá, non dobbiamo sottometterci alle loro richieste. Bisogna impedire che entrino nello spazio aereo del Vaticano.”
“Obbediranno ai nostri ordini?” Si chiese il Papa. Nella sala calò il silenzio ed il giovane ed inesperto Papa sentì gli occhi di tutti su di lui. Deglutí faticosamente “Se fossero stati il tipo di persona che obbediscono agli ordini non avrebbero nemmeno dirottato la nave, giusto? Scusate, sono proprio inutile.”
“Sì, probabilmente sarebbe uno spreco di tempo” confermò Caterina.
“Allora cosa possiamo fare?” Chiese timidamente il Papa.
“Gli daremo un ultimatum. Se invaderanno il nostro spazio aereo, li abbatteremo. È molto semplice.” Disse il Cardinale Medici. Le sue parole si abbatterono sulla sala come una tonnellata di mattoni.
Caterinà protestò urlando “Sei forse fuori di testa, Cardinale Medici?! Ho appena detto che la Tristan é una nave di Albion!”
“Beate sumpto qui muribundum in Dominum. Beati coloro che muoiono nel nome del Signore. Stiamo parlando della gloria di Dio e della dignitá umana. Non possiamo dare ascolto a quelle empie voci!” Rispose Francesco, battendo con forza lo scettro da Cardinale sul pavimento come se fosse una spada, con un impeto degno di un rappresentante di Dio in terra.
“Il Vaticano è la più alta autoritá terrena ed il potere più forte dell’umanitá. Una tale istituzione sacra ed inviolabile non può piegarsi a nessuna minaccia! Non è questa un’opportunità perfetta per dimostrare a questi abomini che non esiste la parola ‘negoziazione’? Facciamo vedere a quei parassiti che non sanno qual’é il loro posto in terra quale sará il loro destino!”
“Beati coloro che muoiono nel nome del Signore!” ripetè con voce fervente uno dei sacerdoti in piedi accanto a Francesco. Un coro di voci eccitate si alzò da varie parti del Salone in risposta a quelle parole.
“Noi siamo il Vaticano—l’autoritá esecutrice della volontà di Dio in terra!”
“Non possiamo tirarci indietro!”
Caterina guardó ognuno degli uomini presenti in sala, ma vide solo bestie assetate di sangue.
Il suo fratellastro maggiore era un uomo molto carismatico, ma abusava troppo spesso della sua autoritá all’interno del Vaticano. I tempi sono cambiati. Il popolo non tollererá altra violenza inutile. Le persone non sono più un gregge di pecore senza opinioni. Il filo dei pensieri di Caterina fu interrotto da uno dei Diaconi.
“Cardinale, signora, abbiamo un’informazione urgente” disse il Diacono precipitosamente. Porse velocemente a Caterina una lista di nomi.
“È la lista dei passeggeri della Tristan? Ottimo lavoro”
Il cuore di Caterina sprofondò quando vide quanto lunga era la lista di nomi. Ognuno di loro era un fratello o una sorella, una madre o un padre, un figlio. Ed erano tutti in grave pericolo.
Ma quando si accorse di un nome in particolare, il suo atteggiamento cambiò istantaneamente. “Non può essere… Ne avete la certezza?”
“Sissignora. È stato confermato da tre fonti differenti” disse il Diacono avvicinandosi alla donna “È un’informazione certa. C’è un Crusnik sulla Tristan. L’abominio infernale era di ritorno al Vaticano dopo aver arrestato Padre Scott”.
“Faccia attenzione a come parla, Diacono. L’ ‘abominio infernale’ è uno dei miei più leali agenti. Convochi subito tutti gli agenti della AX. Chi di loro può essere immediatamente disponibile?
Il Diacono si inchinò: “Le porgo le mie scuse, Cardinale. La Iron Maiden e Gunslinger sono pronti a partire. Possono essere in contatto con la Tristan in quattro ore.
“Loro due potranno essere di supporto al Crusnik e mettere al sicuro la Tristan. Ci sarà dello spargimento di sangue…” si interruppe, prendendo un profondo respiro “Saranno accettabili vittime finchè rimarranno sotto al cinquanta percento dei passeggeri. Un numero più alto rovinerebbe le nostre possibilità di pace con Albion.”
Caterina si guardò intorno. Il Salone continuava ad essere in frenetica attività. Il Cardinale Medici abbaiava ordini. Sembrava un pazzo che riusciva a malapena a controllarsi. Nel frattempo il povero Alec sembrava completamente sopraffatto. Avere il suo piú fidato agente della AX a bordo della Tristan era stato certamente un dono del Signore.
Allora forse Roma era ancora tra le grazie del Signore. E così lo era anche lei.
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cywo-61 · 9 months ago
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Amare significa esserci, sono qui per te. Con un abbraccio, l'ascolto o semplicemente stringendo una mano in silenzio, asciugando lacrime o fare ridere fino alle lacrime.
cywo
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couragescout · 7 months ago
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È morto Liam Payne, ho letto questa mattina la notizia e sono rimasta sconvolta. Mi dispiace per il Liam che ho conosciuto a tredici anni, per il Liam che mi ha accompagnata durante l’adolescenza e per il Liam che ho sempre sognato di abbracciare. Mi dispiace per il Liam da cui mi sono allontanata ma che ha sempre occupato un piccolo pezzo di cuore.
Aggiornamento lunedì 21/10: sono passati quattro giorni, ogni giorno il mio pensiero va a lui. Liam nella mia adolescenza ha significato così tanto, gli devo così tanto, è stato per anni la mia ragione per sorridere. Con la band hanno salvato i miei momenti più bui. Sono stati il mio primo concerto. La mia prima band. Sono stati la mia àncora. Sono stati coloro che mi hanno fatto entrare in una famiglia enorme, in un fandom appassionato. In questi giorni ci stiamo stringendo tutti su twitter, il social che ha creato legami ed esperienze importanti per me. Avevo quindici anni quando Liam ed i ragazzi sono entrati nella mia vita, ne sono passati dodici e io provo ancora quell’amore profondo, quell’adorazione, quell’affetto infinito.
Stanno uscendo molti chiarimenti, ho ancora tante domande in testa, tanti interrogativi ma piano piano le indagini stanno uscendo e a me inizia a nascere la rabbia. Non me ne frega un cazzo di quello che pensate voi che non lo avete mai conosciuto o mai seguito. Poteva essere salvato. Poteva salvarsi cazzo. Spero che la famiglia arrivi fino in fondo, che sia abbastanza forte da farlo. Le sue debolezze sono state la sua rovina. La sua dipendenza lo ha portato via da questo mondo nonostante si stesse ripulendo. Nella vita ha sbagliato, tanto. Ci sono stati momenti in cui le sue azioni mi hanno fatta sentire disgustata, arrabbiata, infuriata. Ha sbagliato così tanto. Mi sono allontanata da lui per un periodo, non riuscivo a sopportare quello che leggevo. Ho pensato così tanto che avrebbe dovuto pagare per ciò che ha fatto, ma non avrei mai immaginato che invece si sarebbe spento così. A me resta il cuore pesante. Poteva essere salvato. Poteva essere ancora con noi ed iniziare un percorso riabilitativo, migliorare quella versione di sé che ha sbagliato così tanto. Poteva essere qui cazzo.
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soffroeppuremivienedaridere · 9 months ago
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Come se qualcuno stesse stringendo il mio cuore, sento questa sensazione.
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empreinte0 · 5 months ago
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Questo lo dedico a tutte le persone che dovrebbero smettere di essere “buone a tutti i costi”.
Fin da quando ho capito come funziona la mente umana ho cercato di impedire che la cattiveria delle persone che mi circondavano mi contagiasse.
Ho cercato di rimanere buona tra i cattivi.
Ho lottato tanti anni affinché il nero che ho interiorizzato non mi sporcasse, non più di tanto almeno..
Perché è così che funziona.
La cattiveria genera rabbia e paura.
La rabbia sporca e distrugge.
La paura sottomette e immobilizza.
Ho risposto con bontà e perdono all’egoismo, alla mancanza di empatia e sensibilità, allo stigma, alla stupidità e alla superficialità delle persone.
Mi sono distinta e sono rimasta diversa, anche quando essere diversa era una cosa brutta.
Ho tenuto il dolore per me, preoccupata che potessi disturbare.
Ho sopportato il peso del giudizio di chi invece avrebbe dovuto aprirsi su di me come un ombrello e proteggermi.
Ho dato tanto e ricevuto molto poco.
Ho passato più della metá della mia vita a sopportare stringendo i denti e a giustificare.
Ma più sopporti e più la membrana che ti protegge dal virus della rabbia si assottiglia.
Poi ho capito che è paradossale:
Ma se non vuoi essere contagiato dalla cattiveria devi smettere di essere buono a tutti i costi.
Perché l’ingratitudine è troppo potente da sconfiggere,
anche per una come me.
Continuate a rimanere buoni,
ma non a tutti i costi.
Altrimenti vi ammalate.
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raccontidialiantis · 6 months ago
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Io mi ricordo, quando t’ho vista la prima volta
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Eri giovanissima, infagottata dentro una tuta da benzinaia, con dei guanti di pelle a dita scoperte e un cappellaccio di lana calato sulla fronte. Soffrivi il freddo, ma il tuo sorriso riscaldava tutto, nel raggio di due metri. Ero arrivato in paese da poco, per il mio nuovo lavoro nella vicina città e stavo ricreando la mia piccola rete di conoscenze e posti utili. Quella routine che man mano poi chiamiamo “casa” lontani da casa.
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Ho preso a servirmi da te. Eri la tuttofare di quella piccola pompa di benzina, che gestivi assieme a tuo padre. Un uomo saggio e sereno, con cui parlavamo di calcio e imprecavamo contro il governo. Mettevo solo dieci euro di benzina, per passare di nuovo da te al più presto. L’avevi capito e mi sorridevi, complice. Noi uomini siamo furbi stupidi. Eri lusingata, da questo fatto.
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E regolarmente ridendo mi chiedevi: “ma perché non metti trenta euro?"  E io: “perché così la macchina è più leggera e consuma di meno: ma tu che lavori con le macchine, non guardi la formula uno?” così mi guadagnavo il ”ma vattene, va'!” quotidiano, detto con un sorriso che avrebbe fermato un esercito. Poi papà è morto e tu sei rimasta sola: facevi di tutto, con competenza, pazienza e stringendo i denti.
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Olio, acqua, pressione, rabbocchi. Ma un sorriso l’avevi per tutti. E tutti t’adoravano. Il fruttivendolo lì vicino, vecchio amico di papà, uno che t’ha vista crescere, ogni mattina ti portava il caffè. Rigorosamente fatto nel suo retrobottega con la napoletana.
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La panettiera, tua amica, solo di qualche anno più grande di te, alle dieci ti portava un bel trancio di pizza e t’aggiornava sui pettegolezzi. Servizio completo: due euro. Prezzo quasi simbolico. Tutto in pace, fino a quando le nuove norme, il piano regolatore e la sopraggiunta illegalità delle piccole pompe in città non t’hanno costretta a chiudere l’esercizio. Un lunedì sono venuto a far benzina e... semplicemente non c’eri più!
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Ero sinceramente disperato e mi sarei preso a schiaffi, per non aver avuto mai il coraggio di chiederti di uscire con me. Mi mancavano da morire lo scambio di battute quotidiano, la barzelletta che ti raccontavo, che tu ascoltavi con gli occhi attentissimi e la tua esplosione di gioia finale genuina, la risata fragorosa e il solito congedo finale: “quanto sei scemo!” che per me equivaleva a una carezza sul cuore. 
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Quando ormai m’ero rassegnato, pur non smettendo di pensare a te ogni giorno, t’ho ritrovata per caso dal dentista: su una rivista di moda! Bella come il sole, agghindata solo con intimo e accessori. Eri tu! Eri proprio tu! Non ci potevo credere! Sono rimasto imbambolato a guardarti, a bocca aperta. Una vera dea. Senza troppe speranze, ho scritto un’e-mail alla redazione del giornale, vantando una parentela inesistente e chiedendo che in qualche modo te la girassero. Se non a te, almeno all’agenzia o al fotografo degli scatti, al produttore dell’intimo.
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Era un vero e proprio biglietto della lotteria. Un messaggio in bottiglia. Poi dice che i miracoli non succedono: dopo una settimana circa m’hai scritto! Mi hai detto che eri contentissima di avermi ritrovato, che un po’ avevi addirittura nostalgia del vecchio lavoro, soprattutto per i contatti umani e che tenevi particolarmente a me. Perché anche se, da bravo tricheco imbranato, non t’avevo mai confessato il mio sincero interesse per te, tu l’avevi capito da subito e non aspettavi altro che ti invitassi. Mi sarei preso a schiaffi appena letta l’e-mail!
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Non ho perso tempo: t’ho chiesto il numero di telefono, ci siamo sentiti e con piacere ho constatato che il tuo dialetto è bello vivo. Anzi: forse proprio per non rompere con le tue radici, con me usi più il dialetto che l’italiano! Mi hai parlato a lungo delle difficoltà economiche dopo la perdita dell’unica fonte di introito, della solitudine in casa, delle preghiere a Dio perché ti facesse trovare un lavoro, delle foto che già avevi inviato, nei mesi che precedevano la chiusura della pompa, a varie agenzie, su suggerimento e presentazione di una tua ex compagna di scuola, ora fotografa professionista.
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Della fiducia incrollabile che da sempre hai in te stessa, del fatto che eri sicurissima che qualcuno t’avrebbe offerto un’occasione. Poi mi hai parlato della gioia nell’aver trovato questo lavoro, dove tutti ti vogliono bene, anche se parlare di denaro... è volgare e vivete in quattro in un miniappartamento che sembra un campo di battaglia! E per quanto mi riguarda... adesso eccomi qua: sono su un volo Palermo-Milano, con l’unico obiettivo di aspettarti puntuale stasera alle sette, sotto l’agenzia dove lavori, per portarti a cena e gustarmi le stupende fossette sulle guance, acchiappabaci che ti si formano quando ridi.
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Per farti morire di risate allora ho preparato una ventina di barzellette e aneddoti locali vari. T’aggiornerò sui pettegolezzi del quartiere, farò per te le imitazioni dei soggetti che ben conosci in paese. E poi, se Dio m’aiuterà, voglio vedere e adorare finalmente il resto del tuo corpo stupendo. Il viso e il tuo carattere meraviglioso, solare, positivo e bello li conosco già molto bene: sono la cosa che amo di più, di te. M’hai catturato. Scema che non sei altro!
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RDA
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