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#uccellaci e uccellini
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Gaviões e passarinhos (Uccellaci e Uccellini) de Pier Paolo Pasolini (Itália, 1966)
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cinetropisme · 7 years
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Uccellacci e uccellini (1966) Pier Paolo Pasolini, film italien
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Questioni di mosche e altre bazzecole
Quando andavo a trovare lo zio bruno a Ca degli Oppi sapevo che avrei trovato: la sua moto Guzzi, rossa come il fuoco, sulla quale mi fece fare l’unico e terrificante giro in moto della mia vita, a tutta manetta, forse perchè voleva dimostrare la potenza della macchina, ma che mi fece passare per il resto dei miei giorno la voglia di avere una moto; i suoi peperoncini piccanti Jalapeño che lui metteva sotto aceto e mangiava tranquillamente nel panino (un solo morso a uno di questi peperoncini procurò a mio padre una emicrania immediata e potente che durò vari giorni); il suo sorriso furbo e al tempo stesso bonario incorniciato da due baffoni alla Peppone, manifesto palese della sua fede incrollabile nel partito comunista;  e, soprattutto la carta moschicida, quelle striscioline arancione che pendevano in cucina da uno spago attaccato in alto e sulle quali erano rimasti incollati i cadaveri delle incaute mosche che vi si erano appoggiate. Si, mosche ce n’erano in quantità, e non solo perché in fondo al suo orto ci teneva il porco, che ogni anno ammazzava per farsi in proprio i salami e il resto. A mio padre, che gli chiese di avvisarlo quando uccideva il maiale per poter fare degli schizzi e degli studi, mandò un giorno un telegramma con queste uniche parole: “Vieni subito stop l’ammazzo stasera stop”. Fortunatamente nessun omicidio venne commesso quel giorno nella zona. Non solo, oltre alla carta moschicida, un giorno vidi uno strano vaso di vetro con un coperchio con un beccuccio rivoltato verso il basso. Dentro: un liquido giallastro a base di acqua e zucchero nel quale galleggiavano innumerevoli mosche ormai defunte, altre moriture cercavano disperatamente di uscire da quella trappola sbattendo contro il vetro. Ho rivisto un oggetto identico solo quarant’anni dopo, nel 2001, a casa del regista Michael Hoffman (Boise, Idaho, USA): Mike lo tirò fuori quando si accorse che mangiando all’aperto nel suo giardino, noi italiani eravamo piuttosto infastiditi dalle numerose vespe che puntavano senza ritegno ai pezzi di prosciutto e di carne che avevamo nel piatto. Doveva averlo pagato carissimo a qualche fiera antiquaria, a giudicare da come lo maneggiava, ma si rivelò totalmente inefficace con le vespe, alle quali non fregava niente dell’acqua zuccherata e miravano dritto alla carne. Loro, gli americani, sembrava che a queste vespe non facessero nemmeno caso. Ma torniamo alle mosche. Ce n’erano da noi dappertutto, in città come in campagna e il famoso bar detto “la moschea” nella zona dei Molini fuori Verona, doveva il suo nome non tanto a fattori religiosi o architettonici ma ad una percentuale decisamente sopra la media di presenza di questi insetti. Ma non solo mosche. Di sera, attorno ad ogni lampione di città o di provincia girava un nugolo di insetti che erano una manna per i numerosi pipistrelli in cerca del pasto giornaliero. Un gioco che facevamo da bambini vicino a questi luoghi era tirare un piccolo sasso in aria e vedere i pipistrelli che lo inseguivano per un tratto, prima di rendersi conto che doveva essere qualcosa di poco appetibile. Quindici anni fa, appena arrivato nella casa dove abito, quattro di questo simpatici mammiferi volanti entrarono dalla finestra spalancata nella mia camera e si misero a girare intorno: una specie di giostra, immagino. Quando me ne accorsi presi una scopa e l’agitai in aria. Tre di loro capirono al volo, è proprio l’espressione pertinente, l’antifona e uscirono subito dalla stessa finestra: il quarto, evidentemente il tonto della compagnia, continuò a girare per un quarto d’ora scagazzando, senza riuscire a trovare l’uscita  nonostante i miei incoraggiamenti a colpi di scopa in aria. Poi finalmente, non so se esausto o disperato, ne ebbe abbastanza di girare fra quattro muri e imboccò anche lui la via della salvezza. Oggi, nella stessa zona, non gira più nessun pipistrello.  Anche le rondini sono sparite e non fanno più il nido sotto la tettoia del garage. Attorno ai lampioni gialli della via non gira più nessun insetto a qualunque ora della notte si guardi. Certo, se una rondine mangia in un giorno una quantità di insetti pari a tre volte il proprio peso corporeo e un pipistrello, in una notte, forse anche di più, non hanno più niente da mangiare. Nel frattempo trovo ogni tanto sul davanzale della stessa finestra delle strane file di api morte, come se si fossero messe in coda per morire ordinatamente e, nella terra del mio giardino, se la smuovo, non trovo più nemmeno un lombrico di quelli che fino a dieci anni fa la abitavano e si vedevano subito appena si smuoveva una qualsiasi zolla. Nel frattempo le coltivazioni sono devastate dalla mosca d’oro e dalle cimici asiatiche, la zanzara tigre allieta le nostre gite all’aperto e le zecche si attaccano subdole alle nostre gambe quando andiamo in montagna a camminare. Dunque: via le mosche, le falene, le api, ecc. via gli animali che le mangiano come pipistrelli e rondini, ma non solo le rondini. Fino a dieci anni fa, la mattina, fuori dalla stessa finestra, era tutto un cinguettio di passeri e altri piccoli uccelli. Poi, uno alla volta, i nostri vicini hanno tagliato tutti i grandi alberi che li ospitavano. Oggi, alla mattina, c’è un silenzio assoluto rotto solo dal rumore delle macchine che passano sulla via e dal gracchiare di qualche cornacchia (anche i merli stanno sparendo) che a me ricorda inevitabilmente la famosa inquadratura di “Uccellaci e uccellini” di Pasolini e questo surreale silenzio mi sembra visualizzare in continuazione il sottostante cartello con scritto PROPRIETA’ PRIVATA.
Nel frattempo la coltivazione della vite “alla francese” (cioè con le viti basse) sta invadendo tutto il territorio coltivabile, spesso sradicando olivi centenari i quali, chissà come, si sono presi la famosa malattia in modo inspiegabile (”pecunia non olet” che in latino maccheronico si potrebbe tradurre: l’olio non ti fa fare i soldi). Così, quando passa la macchina a raccogliere l’uva, dentro ci finiscono tutte le coccinelle, i ragni, le mosche, le cimici, ecc. e l’unica consolazione che ho è che chi berrà quel vino si berrà anche una discreta percentuale di cimici fermentate.
Quando, molti anni fa ho letto  La strada di Cormac McCarthy mi sembrava una specie di racconto geniale e terribile di fantascienza. Oggi mi sembra ogni giorno più vicino e reale.
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