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Divinamente.
Sarà pur vero che non siamo ciò che cerchiamo d'apparire o che la gente pensa di capire di noi.
Sarà pur vero che è tutto un gioco di parole, complicità del verbo, seduzione della mente.
Sarà pur vero che nascondiamo espressioni camuffando il carattere o la vergogna di noi.
Vittime dell'incompresione, audace sensazioni di tepore, virtù della consapevolezza. Non essere frutto d'una fantasia, essere se stessi contro ogni peripezia. Dalla vita nessuna certezza. Un social come terapia, dosi endovena di annichilita euforia, coma indotto dalla nostalgia. Non apparenza ma appartenenza ad un'ideologia. Accontentarsi in un certo senso, nell'altro; come tentarsi? Sesso, certo. Ed ho la nausea da constatazioni, butto giù così tanta merda che sono preda di costipaizioni. Non mastico la tua mentalità, sono intollerante all'ignoranza. Deluso da questa imbarazzante circostanza. Mi sale il vomito. Aspro nella bocca, labbra secche, quant è doloroso sorridere se messi alle strette. Le fitte al petto, un nodo alla gola, manca. L'aria. Manca ancora. Gobbi, non per la postura ma per lo sforzo. Trascinarsi il mondo mentre tutti gli altri tirano dal lato opposto. Ed è snervante, stancante. I segni del disprezzo addosso. Ed è un attesa eterna, un respiro, il prossimo. Non una tregua nella nostra mente.
Ma tu lo fai divinamente.
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Tardi.
Sarà tardi. Quando capirai. Che sono altri i valori della vita.
Metterai da parte il rimpianto per la fatica.
Conoscerai il tormento, l'attesa infinita.
Sarà vana ogni tua via d'uscita. Possibilità diverranno angosce, ad ogni tuo passo trascinerai le coscie, deboli, di farina le tue ossa. Sarà un lento cammino verso la fossa. Non troverai ne riparo ne sosta. Nella trafila di gente che dall'alto, ormai scossa, abbassa lo sguardo, inarca le ciglia, contrae l'addome e senza meraviglia, t'offre la sua ricompensa. Saliva e indecenza. Sarai la vergogna, lei la tua gogna. Unica compagna d'un viaggio insipido, pane azzimo a colazione, per cena disperazione. Nemmeno la notte verrà a consolarti, nessun rifugio, nessuna mano a 'carezarti. Sarà uno schiaffo in faccia per quanto forte, il sole. Sbatterà su di te, moscerino lui parabrezza. Ti cancelleranno con un colpo di spazzola, stridulante certezza. Sarà vana ogni tua via d'uscita.
Conoscerai il tormento, l'attesa infinita.
Metterai da parte il rimpianto per la fatica.
Che sono altri i valori della vita. Quando sarà. Capirai tardi.
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Castrazione.
Come te non ne ho incontrate più. Occasionalmente ho creduto d'averti ritrovata. Il problema è stato averti provata. Sapere chiaramente cosa si vuole. Avere una perfetta idea di quello che è l'amore. Dura da cancellare. Irremovibile. Come l'ombra dannata d'un passante sulle scale d'Hiroshima. La tua luce si è impressa su di me. Lasciandomi addosso un immensa cicatrice. Compatibile, per mia sfortuna, unicamente con te. È questo che si definisce castrazione dell'amare. Tutto ciò che mi circonda è asettico. Iperbarico. Insipido. Persino i miei interessi sono diventati secondari. E non è la mancanza della tua persona, odiosa e meschina, fin troppo egoista, che mi tormenta. È l'idea di quella sensazione. Uno stato di coma profondo. Un profumo di rosa sul volto. Il romanticismo a te rivolto. Tutte quelle cose a cui credevo, che tu m'hai tolto. È beato chi mai ha conosciuto l'amore, mai soffrirà d'astinenza. Dovessi definirti, non saresti droga ma spacciatore. È questo che resta dopo la festa, qualche bicchiere a terra, delle bottiglie vuote ed intorno la desolazione. Non è un rimpianto, la mia è una constatazione, razionale e di scienze. Nulla è stato più bello e devastante della tua conoscenza.
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M'innamorai.
M'innamorai una volta. Non so dirvi se in un sogno, o se conscio, in un momento. M'innamorai e fu la cosa migliore che potesse capitarmi. Convinto d'aver raggiunto l'atteso traguardo, la ribalta del successo. Convinto d'aver posto fine ad ogni mio amaro retrocesso. L'amore è un farabutto, di questo ne son certo. M'illuse, ma ero felice. Sapevo in cuor mio, d'esser solo un'altra vittima. Eppure, mi piacque farmi torturare. Ci godevo. Sottomesso, sempre più, lasciavo decadere ogni mia razionale convinzone, come residuo della decomposizione di quell'atomo radiottivo che è l'amore. Così, l'amore è tossico. Non d'immediato, è dannatamente meschino, si sollazza in giardino finchè il caffè non è pronto. Godete della sua compagnia, godete della compagnia di chi vi ha avvelenato. Non durerà l'eterno ma l'avrete assaporato. M'innamorai, certo. E se prima dell'amore, il buio fu l'abisso; quando svanì, fui come naufrago in un mare d'affanni. Mentre il mondo intero tentava d'annegarmi. E quando il fiato cominciò a mancare, quando l'acqua m'entrò nei polmoni, non mi scomposi. Lascia che accadesse. Come pensate che sia, rinvenirsi sperduto su di una riva, d'un Isola deserta? Così è essere abbandonati dall'amore. Devastante, inspiegabilmente deturpante. Che gioia regala allora questo innamorarsi? Se non la certezza d'una più grande sofferenza. Dilaniarsi, pregando Iddio, torturarsi, per poi pentirsi di essere stato asocltato. M'innamorai una volta, non so dirvi se in un sogno, o se conscio, in un momento. M'innamorai e fu la cosa peggiore che potesse capitarmi.
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Vagano.
Ho ricordi di ieri che mi sembrano lontani e, ricordi d'anni che attribuisco appena a ieri. Credo che tutto dipendenda dalla loro importanza. Da quanto questi siano significativi, prioritari. Si sono guadagnati il loro spazio nel tempo della mia mente. Sono distaccati, dissociati dallo scorrere fisico dei nostri giorni. Questo inganna la nostra mente. Spaventosamente, piega la realtà. Di certi eventi non ho il minimo ricordo, di altri invece, stento a credere sia passato così tanto. Alcuni, persino, non hanno età. Vagano.
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Sonetto delle constatazioni.
Una tazza di thè, un gelato un caffè Che non hai mai bevuto, a differenza di me.
A colmare quel vuoto, tra mille rintocchi, Di un tempo ormai perso nei miei occhi sconvolti.
È che nè stato di noi, dei nostri discorsi, Delle notti passate in quel parcheggio Rom.
Adesso è deserto, non c'è il nostro sesso a riempire quel cielo distratto e sofferto.
Che la vita era bella, quanto bella eri tu, che la notte era magica anche di più.
Una gironata fantastica se a svegliarmi c'eri tu, tra lenzuola di plastica ed un porno alla tv.
L'una meno venti, gocce di malinconia, Non c'è più la tua bocca a farmi compagnia.
L'odore dei nostri sguardi dal mio giachetto non va più via, nelle tasche un altro biglietto, cinema di periferia.
Eppure a volte manchi ancora, molto spesso manchi ancora, eppure credo più d'allora, dannatamente manchi ora.
Passanti distratti susseguono passi, complesso dosaggio di coraggio e energia.
Sospinti dal vento, l'ebbrezza è un momento, un sospiro soltanto che poi vola via.
Ritorni poppante, la gamba tremante, incitato o ingannato, sorretto solo dalla follia.
Così sono adesso, un po’ vago un po’ perso, sabbioso deserto di malinconia.
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Venne.
Venne la notte, ad ampie falcate divorò la luce. Di bianco pallore ora è il mio viso, gesso. Trascino le gambe in mare aperto, eppure son fermo sull'asfalto. Nero, fonde l'orizzonte con la volta, pece, sporca. Non v'è stella a brillare nella mia sorte. Il timore si desta, creatura dell'ombra. Un gatto, s'avventa in una fronda. Persino l'aria sè fermata, neppure un sospiro, un lieve carezzare. La solitudine è l'unica certezza. Se non stando a guardare, in che modo si fa giorno? Chiudere gli occhi per fare d'una notte un secondo. Ma non vè più Alba ne Tramonto, solo un cupo silenzio e un vagadondo. Fra le strade deserte scorre la vita, senza fermate ne vie d'uscita.
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Come.
Come alberi che sembrano danzare, in totale armonia, sospinti dal vento. Che intrecciano le loro chiome, per poi allontanarsi ancora. Che s'inchinano, devoti a ringraziare questa terra. E nuovamente si sollevano, ad ammirare il cielo. Come alberi che nella più fredda delle stagioni si spogliano d'ogni pregiudizio e accolgono, senza timore, la difficoltà. Che s'affannano ad inspirare la notte, per espirare il giorno. Come alberi che affondano nel fango e nella melma le loro radici, ne traggono linfa e donano frutti. Che s'inebriano di luce, dai raggi del sole. Come a raccogliere ciò che và sprecato. Che popolano foreste, sorreggono terreni, sempre immobili, a braccia conserte. Come alberi, pazienti, in un attesa eterna, aspettando che sbocci un fiore. Apprezzando l'immenso, occupando un metro quadro.
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T'ammiro.
Ammiro in silenzio, per non disturbare. Come s'ammira uno specchio d'acqua quando non v'è onda che lo possa turbare. Riflesso perfetto, la vera Luna è nel mare. Timidamente osservo e mi lasico stupire. Bellezza incosciente è la più sublime. Ingnara causa d'un emozione. Attonito contemplo così perfetta creazione. Ammiro in silenzio, non oso parlare. Come s'ammira un'auorara soave danzare, persino il tempo si sofferma a guardare. Protendo la mano, convito di poterla toccare. Impassibile s'affolla la mia mente, un flusso di coscienza che non porta più a niente. Tale è l'effetto di tanto stupore, fisso il vuoto ormai da ore. T'ammiro così, incredulo e beffato. Potrò mai toccare il tuo viso, gioirò mai di un tuo spontaneo sorriso. Carezzarti le labbra, per poi assaporarle, guardarti negli occhi fino ad amarti. Perdermi in te solo per restarci. Della tua pelle sentire l'odore. Tenerti stretta a me per infinite ore. Il mio sciocco desiderio d'amore. T'ammiro in silenzio e mi lascio cullare, timoroso di perdere la capicità di sognare.
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Esistenza.
Esistenza Sei bella dunque, com'è bello il mare. Com'è bello il sole dopo la più turbinosa tempesta. Immensa, vasta, senz'argine che ti possa contenere. La tua bellezza è trepidante. Non ha tregua ne riposo, mai assopisce, piuttosto d'ogni istante s'arricchisce. Sei bella dunque, com'è bello il cielo. Com'è bella la Luna dopo la più cupa giornata. Tant'è che nessuno del tutto, t'ha mai conosciuta, misteriosa, come la sua metà celata. Ma stupefacente per quella rivelata. La notte più nera, il tuo vestito elegante. Di porcellana il tuo viso ammaliante. Sei bella dunque, com'è bello averti veduta per un istante. Essermi perso nel tuo sguardo, per l'animo devastante. Aver mancato un battito per apprezzarlo. Godere d'un effimero momento, impalpabile estasi. Anche da morto ora starei sorridendo. Non v'è esistenza che sia degna di nota, se non quella spesa per l'amore d'un ignota.
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Sconforto.
Sconforto e null'altro rimane. Aver creduto un ruscello, mare per quanto tu possa remare: sconforto e null'altro rimane Vivo costantemente in bilico tra il desiderio di fare e la noia d'agire.
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Donarmi.
Vorrei solo donarmi. Dare tutto me stesso a chi come me brama per questo. Chi si sconvolge la mente, la notte. Chi non dorme e vorrebbe solo amare, amare forte.
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Un Gradino.
S'affannano i ricordi, sempre più beffardi. Col fiato corto come sull'ultimo gradino. Assaporando quel momento di vuoto, poco prima di un lungo sospiro. Non v'è più timore, con un addio abbandoni il corrimano. Certo di avercela fatta, la fatica ha una fine. È lì, nella tua più ingenua debolezza, che li senti colpire. È lì che ti blocchi, senza più salire. Ad un gradino dalla fine, d'un ricordo il divenire.
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Condanna.
Davvero v'accontentate d'esser un involucro? Di limitarvi ad accogliere ed immagazzinare. Senza filtro. Davvero v'accontentate di prender per reale ciò che vedete, sentite, toccate? Non dubitate mai, che ve ne fate della ragione. Stolti e annichiliti. Fermi nel centro d'una piazza con la bocca aperta, nell'attesa che un piccione faccia centro. Illusi persino di possedere il controllo, d'essere in grado all'ultimo istante, di schivare con eleganza l'espulso refuso. No, è un inganno. La privazione causa bisogno. L'opposto vi assesta. E più sostate, più le vostra ossa calcificano. I vostri arti ramificano. La vostra anima, appassisce. Davvero v'accontentate di morire, senza prima aver vissuto? Respirate per necessità o perché l'avete visto fare? Emulate o Create la vostra personalità? Fantocci di carta pesta che alla prima pioggia liquefanno o, creature plasmate dalla creta con sofferenza, rimpianti, sconfitte, temprata nel dolore? Non conoscerete mai l'amore eppure lo portate in bocca. Preferisco essere conscio, seppur triste, che annegare in questa fossa. Vi osserverò affondare, non per superbia, per effetto. Ad ogni uno la sua condanna. Chi della vita gioisce, beato e soave ed infine io, che ne faccio un dramma.
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L’Abisso.
Mesto vago nello spettro d'un passato troppo rarefatto per essere occultato. Giungono a me voci prepotenti e violente sensazioni. Annebbiano la vista, distolgono la coscienza dall' amara sconfitta. Assuefatto come dalla più amabile delle Droghe, ne abuso ed ormai dipendente, abbandono la realtà. Assaporo l'illusione distorta dell'amore. Il più reale dei sogni, che giureresti d'aver vissuto, che ti lascia l'amaro in bocca una volta rinvenuto. Mera illusione d'un io mai esistito. Poi riemergo. D'improvviso c'è solo il vuoto e quella tremenda sensazione di precipitarvi senza mai fine. Non mi rimane che capire se son io quello che cade o, dell'abisso sono il buco del culo.
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Tormento.
Il più temibile affanno della vita. Fingere d'esser normale. Di trovarsi a proprio agio tra la folla, sorridere agli estranei. Salutare. Sopportare l'enorme peso della gente. Insignificante e disadattata, fastidiosa, banale, scontata, monotona. Priva anche solo d'un minimo spessore. Vuota. Non c'è tregua, non c'è momento in cui non sia insido il tormento. Affanno della mente, che soffocando si dimena pur di uscirne. Piuttosto la solitudine. Neppure nel silenzio trovo la quiete. Per me il vuoto non esiste. Ho questa condanna. Miliardi, o forse più, microscopici elementi, stimolati da una flebile tensione elettrica, comunicano, elaborano, trasmettono dati. Senza tregua, senza affanno che li colga. Ogni distrazione si fa interesse, e quando non è più tale, ecco. Un altra distrazione. Non posso limitarmi a guardare le cose, sono costretto ad osservarle. Analizzarle, scomporle, schematizzarle. La mia coscienza arde. Brucia tutto quello che le do in pasto. Si fa scaltra e furba se provo ad evitarla. Ci convivo, devo sopportarla. La mia condanna è esser conscio di non ingannarla. Spesso c'è gioia dove c'è ignoranza. La banalità soddisfa, calma, ma lentamente uccide. Eppure vedo la pace in chi l'accoglie. Ed io che anche volendo, mai potrò, mi limito a sentenziare anche su di essa. Che dono stupendo è la mia condanna. Fa del tutto un dramma. Di ogni concetto so dare sentenza. Di ogni stupore so creare assenza. Di ogni fenomeno conosco l'essenza. Eppure soffro, perché d'amore sono senza. Trovate una mente dannatamente elaborata, datele il mondo e poi fermatela. Impossibile. Datele una donna invece, che sia adorata, d'incanto, stupenda, spaventosamente aggraziata. Che sappia fare d'essa stassa l'interesse di una vita. Ebbene, quella mente fermerà il mondo, pur di averla, per un istante, osservata.
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Bellezza e sgomento.
Bellezza e sgomento.
Notare lo sguardo perso tra la folla di una giovane fanciulla. Senza la pretesa di essere osservata. Con la pelle chiara e delicata. Aggraziata nei movimenti, tanto quanto impaurita. Creatura soave e delicata. Puro incanto nell'estasi della vita.
Bellezza e sgomento.
Soffermarsi a godere di tale visione. Provare amore. Ogni singolo desiderio racchiuso in quell'istante. Talmente vicino da sembrare distante. Restare immobile, senza più forze. Gettarsi perterra, gridare forte.
Bellezza e sgomento.
Persino il respiro tace per non disturbare. In un attimo la perfezione. Un pugno in pieno petto che ferma il cuore. Attonito non posso che realizzare: Bellezza tale sfugge ad ogni normale comprensione, lascia un vuoto immenso. Svanisce trai raggi del sole.
Bellezza e sgomento.
Questo rimane, nell'anima sola di un fortunato osservatore. Di chi in un istante ha conosciuto amore e dolore. Che è stato vinto e vincitore. Di chi da ora conosce il tormento, questo comprende:
Bellezza è sgomento.
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