Un ex per ogni tipologia di uomo sbagliato. Been there, done HIM.
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La pertica - part 1
Come sempre, la dovuta premessa. Sono alta un metro e una Vigorsol, quindi vado giù di testa per gli uomini alti. Sono pigra e priva di coordinazione mano-occhio, quindi vado giù di testa per gli sportivi.
La mia amica S., in una tiepida sera fine autunno, mi scongiura di portarla fuori perché è triste, e guarda che bella serata, e non facciamo mai niente io e te, ma approfittiamo dell'ultimo caldo! (Spoiler: diluvierà e io avrò freddo.) Alla fine, dai, sono stata dal parrucchiere nel pomeriggio: chi sono io per sprecare così una messa in piega? (Spoiler: diluvierà e io sembrerò lo Spaventapasseri senza Cervello né olio di Argan.) Usciamo dunque con un paio di suoi amici storici: ora, io e S. ci conosciamo da dieci anni DIECI, e lei non mi ha mai presentato questo bonazzo da 1.93 che gioca a basket?
Sento la base di un'amicizia finora molto solida vacillare.
Si chiacchiera, si scherza, si ammicca. Same old. Viene fuori che la sera lavora come barista (aridaje!). Qualora non lo sapeste, vi informo che quella dei baristi è una lobby: conoscono gli altri baristi della città, conoscono i buttafuori, conoscono i clienti. Conoscono chiunque e si scambiano tutti favori con tutti. Forse dovevo dire che quella dei baristi è una mafia, ma non perdiamo il focus. Il suo amico barista ci infila un cicchetto dietro l'altro (cvd) e, se mi conosceste bene, sapreste che un ottimo modo per entrare nelle mie mutand… nel mio cuore è offrirmi da bere.
La pertica (TM della mia amica S., perché io al copyright ci tengo) ha capito tutto e ci fa servire una tequila dietro l'altra, per poi fare infilare due mosse tatticissime: A)“Dai, ti accompagno a fumare, ma mettiti la mia giacca sulle spalle che fuori fa freddo” (ciao telefilm americano alle 3 di pomeriggio su Italia Uno!). B) Non mi fa nemmeno tirare fuori il pacchetto, che mi tira su con un braccio e mi limona per un quarto d'ora, come se non avesse aspettato altro (ciao telefilm americano a mezzanotte e tre quarti su Italia Uno che ha il bollino rosso!)
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Il non primo appuntamento
Mancavano ancora quattro ore e mi ero già cambiata i vestiti sei volte, maledicendo i miei fianchi, le mie cosce e il punto vita troppo poco sottile. La mano mi tremava sensibilmente mentre tentavo di farmi la riga nera per rendere gli occhi più belli. Sulla faccia avevo un'espressione da ebete che non riuscivo a nascondere da quasi una settimana. "Mi sono data il deodorante?" (Circa tre volte ma chi le conta?). Settimo cambio d'abito: jeans, camicia e reggiseno. Il reggiseno decideva le sorti del mondo. Ok, ridimensioniamoci. Il reggiseno decideva quanta voglia avevo di farmi frugare dalle sue mani. TANTA. Opto per una robina trasparente pagata 37 euro, che solo per il prezzo avrebbe dovuto garantirmi un orgasmo vaginale. Mancavano ancora tre ore e io ero già pronta. Ciao ansia, anche tu qua? Quindi con molta lucidità mi spoglio e rifaccio una doccia. Nella mia testa vorticavano un milione di domande e qualche risposta senza senso. "E se non mi limona?" -Lo volevo limonare fortissimo- "Senti, se non ti limona è gay". Tentavo di convincermi ma continuavo a pensare che se non mi avesse limonato sarebbe stata colpa dei miei cazzo di fianchi da lolita anni '50. "Vabbè se non mi limona me ne farò una ragione" pensavo mentre mi struccavo il viso. Finita la doccia ricomincio il rito della vestizione, trucco e capelli. Pronta un'altra volta. Deodorante messo. Mi specchiavo su ogni superficie riflettente cercando di capire come stavo sotto ogni angolazione. Dai, carina. Bella no. Bella mai finché sono sullo stesso pianeta di Adriana Lima. Salgo in macchina. Musica. Fari. Mi riguardo nello specchietto retrovisore: "Dai, se non mi limona è gay", ripetuto come un mantra nel quale non credevo. "Mi sono data il deodorante?" Metto in moto. Andavo pianissimo per tentare di non arrivare in anticipo. Arrivo in anticipo. Ciao ansia anche tu qua? Inizio a vagare in macchina con il timore di perdermi, ma non potevo arrivare prima di lui. Ok, ero in ritardo di sei minuti. I sei minuti più lunghi della storia dei minuti lunghi. Parcheggio. Nel petto avevo un tamburo che suonava lentissimo, mi sembrava di dover morire da un momento all'altro. "Respira cretina che non sei altro" provavo a domare le emozioni insultandomi. Lo vedo da lontano, inizio a camminare nella sua direzione, guardandomi le scarpe condannata da un imbarazzo crescente. Intercetto per un attimo lo sguardo di lui e mi sento andar giù le gambe. Oddio si sarà visto? È sempre stato così difficile camminare? "Ciao" "Ciao" E ci abbracciammo come se fosse l'unico modo per continuare a respirare.
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Il barista colombiano - Unhappy ending
Sono una donna, non sono certamente una santa e sono arrivata al limite delle buone maniere, credo di averlo trascinato fuori dal locale tirandolo per una manica e fermato il primo taxi come fossi Carrie Bradshaw sotto acidi scaraventadocelo dentro.
Il tassista, molto cortese e discreto, decide di fingere che sul suo sedile posteriore non si stia consumando il preludio di un film porno e ci porta a casa mia mettendoci sicuramente piú tempo di quel che vorrei.
Credo che il barista mi sfili la maglietta ancora prima che io riesca a sfilare la chiave dal portone.
Sono molto orgogliosa di presentarvi a questo punto la sola e unica Pagella del mio futuro Ex, che io e la mia collega abbiamo ideato per evitare di essere additate come la nuova MelissaP ma anche per non raccontarvi del nostro fare l’amore come direbbe una giovan3_s0gnatric3_98 qualunque.
Bacio: 10+++
Sono tette, non antistress: 8
Preliminari: 9
The real deal: 10+++
Tre round, tre sigarette e mezzo litro di acqua dopo, sono le cinque e mezza del mattino e ci rivestiamo. Io non lo invito a restare, lui non mi chiede di restare. Torno a letto con un sorriso che lo Stregatto mi fa una pippa.
La mattina dopo addirittura mi ha scritto un messaggino carino.
Mi spiace, vi avevo avvertito sin dall’inizio ed è giunto il momento del finale triste: il barista colombiano è sparito.
No, non è vero, sono ingiusta: non è sparito.
Qualche giorno dopo l’ho invitato a rivedere la mia collezione di tappi di bottiglie di birra, ché magari la prima volta non si era concentrato bene. L’unico giorno che gli potesse andare bene era giustamente quello in cui dovevo partire per due settimane di trasferta di lavoro (1 stellina dorata di sfiga per me).
La volta successiva che ci siamo sentiti mi ha accusato di essere sparita (1 stellina dorata di follia per lui) e poi, di rimando, è scomparso lui.
Infine quando gli ho detto con una versione piú da signorina “Senti, scopiamo o no?” mi ha dato la mazzata finale dicendomi “Eh, sto uscendo con una chica, se ti va ci vediamo. Come amici.”
Com’è che dite voi giovani? BOOM. FRIENDZONED.
Sipario.
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Il barista colombiano - part 4
Mandate a letto i bambini, perché dopo la quarta canzone in cui mi fa girare come fossi una bambola e le sue mani sono finalmente sul mio culo, io onestamente non so piú cosa mi trattenga dal limonarmelo sul bancone del bar senza ulteriori indugi.
Ma non lo faccio, perché sono una signorina per bene (in mezzo alla gente, per lo meno).
Ci fermiamo per bere qualcosa e lui continua a fissarmi gli occhi e le labbra. Beve. Occhi. Labbra. Occhi. Labbra. Labbra. Sto silenziosamente morendo dentro.
Cromosomi Y a rapporto: questa segnatevela e riutilizzatela perché funziona.
Doppi cromosomi X a rapporto anche voi: non vi illudete, sembra romantico ma finirà con un LOL.
Mi dice “Hai degli occhi meravigliosi”. Divento di cinquanta sfumature di viola. Sorrido, abbasso lo sguardo, faccio la mia migliore imitazione di un cucciolo di cerbiatto.
Mi dice “Hai le ciglia lunghissime, non possono essere vere”.
Come, scusa?
“No, sicuramente hai le ciglia finte”.
Che cazzo hai detto, scusa?
“Dai, fammi vedere: chiudi gli occhi!”.
Io chiudo gli occhi, fiera dei miei trentasei euro di mascara, e ZAC, scatta il limone, ladies and gentlemen. E ve lo posso dire senza alcun dubbio: è il Re dei Limoni.
“Non potevo piú resistere a non baciarti ma ormai non ci speravo più, ho dovuto ingannarti”.
Preso appunti fin qui?
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Il barista colombiano - part 3
Riassunto delle puntate precedenti: vagamente ubriaca e con una self confidence che raramente mi appartiene, lascio il mio numero a un figo, che si rivela essere interessato. Mi chiama per chiedermi di uscire e io mi sento tutta friccichina ogni volta che lui emette un fonema.
Mi aspetta sul lungomare e noto con piacere che anche senza un bancone davanti è abbastanza alto da potermi permettere un tacco dieci senza pentirmene. Sembra, ma non è così scontato.
Andiamo a cena in un angolo un po’ nascosto della città, uno di quei ristoranti shabby-urban-chic che piace tanto agli appassionati di Instagram. Mi aiuta a togliere la giacca, mi fa sedere per prima, non mai smette di guardarmi gli occhi e le labbra ma non mi sfiora nemmeno la mano. Mi racconta della sua famiglia, della sua vita e dei suoi progetti futuri. Mi parla di filosofia e di García Márquez e di una serie di altre cose che mi fanno venire il dubbio legittimo che forse questo non sia un deficiente completo come gli altri della sua specie.
Se non fossimo in un locale pieno di gente gli avrei giá strappato la polo di dosso coi denti.
Scopro che i colombiani si riferiscono a una ragazza come mina e ci trovo un che di ironico. Scopro anche che le colombiane non la danno nemmeno sotto tortura finché non hanno un anello al dito e ci trovo un che di ironico.
Usciamo dal ristorante e mi porta in un locale. Non uno di quei posti dove ci sono diciannovenni in preda a spasmi muscolari (Ciao diciannove anni! Non mi mancate per un cazzo!) ma un locale di salsa dove la gente balla per davvero, con giri e figure e passo-passo-passopasso.
Ricapitolando: ispanofono con accento colombiano+figo+cervello funzionante+cena perfetta+dirty dancing bally proibiti = che cazzo ci fai ancora con tutti i vestiti addosso?
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Il barista colombiano - part 2
Prima di riprendere con il mio emozionante, seppur triste, racconto, devo fare una confessione: riconosco di avere un problema con gli uomini stranieri. Mi parlano in una qualsiasi lingua che non sia l’italiano e io vado giù di testa. È come se la mia vagina fosse glottofila. E no, non ha un senso.
Eravamo rimasti che il barista mi chiama.
Cari compatrioti portatori di cromosoma Y, questo è il punto in cui dovreste iniziare a prendere appunti (e forse anche a valutare la possibilitá di farvi dare una seconda cittadinanza, ma magari questa è una para solo mia e con le donne normali non vi serve).
Mi dice Hola linda chica con il suo meraviglioso accento sudamericano e io mi sento subito dentro al video di una sensualissima bachata su una spiaggia di Cuba. Devo correre a farmi svariate docce fredde e un paio di impacchi di ghiaccio. Il tutto con un Hola linda chica. Iniziamo bene, ma che dico, benissimo.
Bisogna specificare anche che, oltre a essere figo e colombiano (score and score), decide anche di lasciare un’aura di mistero non dicendomi il suo nome, mentre il mio ce l’ha scritto sul famoso tovagliolino galeotto. “Se ti comporti bene, poi te lo dico”. E aggiunge che venerdì sera mi porta a cena, senza darmi ulteriori dettagli ma solo che da lì in poi suelta el control y pase lo que pase.
Non so se è chiaro: ho un appuntamento con un barista colombiano che prima ancora di dirmi il suo nome mi ha già fatto venire un paio di volte solo parlando per telefono.
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Il barista colombiano - part 1
Sono una grande sostenitrice dei surgelati, dello smalto quick dry e della consegna a domicilio in 24 ore. Tutte cose che ti semplificano la vita e ti fanno ringraziare di essere nata durante la culla della modernità.
Ecco perché sono sostenitrice anche delle donne che attaccano bottone per prime.
Pensateci: se fate il primo passo vi siete appena risparmiate una serata passata a cercarlo con gli occhi in mezzo a duemilaseicentotré persone in discoteca, un ceffone dalla tua amica dopo l'ennesimo “Ma secondo te mi sta guardando?” e mezzo pacchetto di sigarette scroccate in giro perché hai capito che fuma e speri che ti offra da accendere.
Quindi, a un certo punto della mia vita, ho deciso che potevo essere io ad iniziare a parlare con un uomo. Potete anche smettere di leggere oltre, se volete, perché la parte saggia dalla quale dovete prendere ispirazione finisce qui.
La scorsa estate, dopo quarantacinque euro di cocktails che non volevo bere ma mi servivano come scusa per stare al bancone, ho chiesto ad un barista bonissimo una penna, gli ho scritto il mio numero su un tovagliolino di carta e gli ho detto “Non vorrei sembrare sfacciata, ma questo è il mio numero e se ti va chiamami” e lui mi ha risposto “Certo, ti chiamo”.
Indovinate?
MI HA CHIAMATA.
Cioè a distanza di mesi ancora non ci credo nemmeno io, ma l'ha fatto.
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