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VAINSTREAM
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La corrente che scorre ovunque, che fa pulsare il cuore. La corrente nei muri, nei tronchi degli alberi, nei neuroni di chi non riesce a fermarsi. La corrente che sbatte le porte e spalanca la finestra, quella che ti porta un profumo perduto. Muove le onde, fa stormire le foglie, carbonizza verande, fulmina insetti blu. La corrente che precede uno schiaffo, quella che segue una lunga caduta. Quella corrente libera e liberata si mostra forte ed è irrimediabilmente fragile. Fai attenzione; cavalca il flusso, ma attento a non cadere: non sarà mai solida abbastanza da arrestare il tuo precipitare.
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vainstream · 2 years ago
Note
Dopo tanti anni, dopo tante lotte con i professori. Dopo tanto sentirmi sbagliato, stupido, meno degli altri, ho scoperto che ho alcuni DSA, tra cui una disgrafia.
Sì, scrivo con il culo, ma non devo giustificare il mio modo.
Ci sono tante persone gentili nel mondo, tante che cercano solo un sorriso e sono pronte subito a restituirlo. Siate gentili.
Scrivi veramente col culo
Oh ciao :) Si, a mano scrivo malissimo, ma tanto devo leggere solo io, no? Se ti riferisci all'ultima foto, poi, le parole in grande sono state scritte usando il dito. Non è facile scrivere così. Non sei assolutamente il primo a dirmelo (quindi niente, mi dispiace ma non sei stato originale), puoi immaginarti le lotte con i vari professori che hanno incontrato la mia grafia durante gli anni di scuola. È anche per questo che ormai scrivo tutto a computer. Solo le note che svilupperò più avanti le scrivo a mano, tanto, come dicevo prima, le devo leggere solamente io.
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vainstream · 5 years ago
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vainstream · 5 years ago
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Forse ne sanno qualcosa le stelle, forse qualcosa del loro modo di essere ci può insegnare quanta immortalità c’è in ogni attimo di attesa. Di speranza.
C. Mazzucato
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vainstream · 5 years ago
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È l’unica speranza a cui aggrapparsi.
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vainstream · 5 years ago
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In tutte le cose della vita i tentativi sono organici alla riuscita.
C. Mazzucato
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vainstream · 5 years ago
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Riot Games, ho disinstallato League of Legends. Riot Games, avete un problema: nel caso particolare, il suo nome è DrCrane74, in generale, tossicità della community e dovreste davvero iniziare a gestirlo seriamente.
Non è sostenibile il fatto che un gioco fatto per divertirsi – in particolare al di fuori delle code classificate, quindi in un posto in cui la competitività dovrebbe stare su un livello decisamente contenuto – diventi il luogo in cui essere insultati pesantemente. 
Ci si potrebbe passare sopra, potrei certamente dirmi che il problema sono io, che mi faccio ferire tremendamente da parole di sconosciuti che non hanno nessuna conoscenza e nessun potere sulla mia vita, ma la storia non finisce qui. Il problema è che quando mi trovo davanti ad una situazione di questo tipo, so che con il 90% delle probabilità non accadrà nulla a quella persona, che potrà continuare a insultare chiunque e a vivere la sua vita tranquillamente, come se fosse nel giusto. Quindi, io sono fragile? Sì. Voi state facendo un pessimo lavoro nella gestione di uno dei più grandi giochi online al mondo? Certamente sì. Se metteste metà dell’impegno che mettete nel marketing in questo genere di cose, sono certo che League sarebbe migliore. 
Il fatto che chi come me – che non ho mai insultato nessuno, che faccio le mie partite serenamente, che cerco sempre di essere gentile anche con chi sbaglia – si trovi a dover disinstallare il gioco perché non riesce a gestire la pressione degli insulti dei propri compagni di squadra è una vostra grande sconfitta. Che community vi rimarrà, quando saranno rimasti solo i DrCrane? Sicuramente una di cui non voglio far parte. 
Mi dispiace molto, amo i vostri personaggi, le loro storie e tutto il lavoro artistico che c’è dietro, ma non posso più permettere a persone del genere di entrare nella mia vita, neanche per il tempo di una partita. 
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vainstream · 5 years ago
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Our March is yours. Rainbow has infinite shades. Rainbow brings limitless love. We stand.
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Giugno 2020.
By me.
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vainstream · 5 years ago
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vainstream · 5 years ago
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26 aprile 2020
Sono pieno di meraviglia. È una condizione difficile da raggiungere, in questi giorni. Siamo tutti chiusi in casa, il viaggio è l’attività che più di tutte è lontana dalle nostre vite, adesso. Eppure eccomi qui, con la mente proiettata fuori da me, sparata lontanissimo e velocissimo sul nostro mondo e oltre.
Ho appena fatto un viaggio per Roma. Una Roma deserta come pensavo non sarebbe mai stato possibile. Io ci sono stato poco tempo fa, alla fine dell’anno, per festeggiare l’arrivo di quello nuovo – inconsapevole di quanto funesto sarebbe stato.  
È una città caotica. Se dicessi che l’ho amata, mentirei. Non è la mia dimensione: prima di tutto, c’è troppa gente. Per uno come me, abituato ad una piccola e composta città, popolata di gente schiva e circondata da infinite campagne, trovarsi imbottigliato nei tunnel della metropolitana, schiacciato agli altri come tante sardine in una latta, è un’esperienza funesta. La scalinata di Piazza Navona che non si riusciva a salire da quanti l’affollavano, il Circo Massimo stracolmo di persone in attesa del concertone di Capodanno. Insomma, non esattamente la mia tazza di tè. Neppure io sono riuscito a trattenere la meraviglia di fronte ai monumenti che segnano la storia del nostro Paese, certo anche io mi sono trovato ad ammirare sbigottito la bellezza di Fontana di Trevi e del Colosseo e mi sono sentito schiacciato dalla magnificenza dell’Altare della Patria. Non sfuggo a questi meccanismi, ma sapevo di non essere nel mio ambiente; ero fuori posto, più del solito.
Pure, di Roma conservo un caro ricordo, che la renderà indelebile nella mia memoria. Un “ti amo” dritto negli occhi, colmo di sincerità, di intenzione, detto con il cuore palpitante degli stessi scoppi che fuori dalla finestra riempivano il cielo e lo illuminavano di strisce colorate, a salutare il decennio.
L’immagine che ho della città è quindi quella e pensavo che mai sarebbe cambiata. Quanti “mai” mettiamo inutilmente. Poniamo in continuazione limiti al nostro futuro, quando non abbiamo il minimo indizio di come saranno neppure i secondi successivi dopo averli posti. Una rassicurante abitudine umana, immagino, di quelle che rendono tutto più accettabile e semplice, perché finito.
Oggi Roma l’ho vista invece deserta. Io sono qui, a casa, ma l’occhio meccanico di una telecamera e le strade di internet l’hanno portata sullo schermo del mio cellulare. Ho camminato per tutti quei luoghi ed è stato strano e molto giusto rendersi conto di come non appartengano solo a me, alle mie impressioni, al ricordo di quel “ti amo”, ma anche a tutte le persone che ci sono passate sopra o vicino e che ci ambientano i propri, di ricordi. Così che quelle strade ora deserte, quella scalinata così bianca e silenziosa, quell’anello di terra solitario, sono comunque affollate di tutti coloro che vi legano una parte della propria esistenza indissolubilmente.
Il viaggio non si è fermato nella nostra Capitale, però. Ero colmo di meraviglia, avevo ormai un nodo in gola ma di quelli belli che non vorresti mai allentare. Così sono partito ancora. Sarebbe stato un viaggio di 12 ore, se avessi preso l’aereo. Invece mi sono steso sul mio divano e mi sono immerso nelle pagine di un diario.
Sono in Cile, è il 2019. La nostra mente è così meravigliosa, un dono insostituibile, che ho potuto viaggiare anche nel tempo, in un punto preciso.
Il Cile fa parte del mio immaginario da quando scrivo storie (e cioè circa da quando ho imparato che mettendo in fila le parole potevo creare mondi che prima non esistevano). Innanzitutto, perché è un paese lontano e a me sconosciuto, il che lascia più libera la fantasia di estraniarsi dalla realtà; poi per il deserto di Atacama, un’enorme area su cui domina la natura e nient’altro, ma non la natura fatta di vita – dono fragile –, quella fatta di terra e roccia e acqua e sole, le vere forze che plasmano il mondo di cui noi viventi siamo solo fugaci ospiti. E poi perché in Cile c’è il cielo. Sì, non sono pazzo, so che il cielo c’è anche qui, ma lì lo vedi veramente. Lì di notte le stelle sono così tante che davvero non puoi dire il nome di tutte quando alzi lo sguardo, come faccio qui in Emilia, dove l’umidità e le luci della città lasciano che solo i pianeti e qualche stella più luminosa faccia capolino.
Dopo essere passato per Santiago, aver visto quanto somiglia all’Europa (un’ Europa incastonata tra altissimi monti e un infinito oceano), averne percepito l’odore e il colore, sfreccio sulla Panamericana ed ecco che sono a La Silla, in mezzo a migliaia di astronomi e turisti ad aspettare. Facciamo tutti finta che non stia per accadere nulla, loro parlottando del più e del meno, io indugiando sulle parole che i miei occhi cercano di divorare, ma sappiamo benissimo perché siamo lì e siamo ferventi. E poi eccola: l’ombra della Luna si allunga veloce come una macchia e ci raggiunge e anche se eravamo lì proprio per vederla, un po’ ci terrorizza ugualmente. È notte di una notte strana, con troppe tonalità di grigio. Fa improvvisamente molto più freddo. Siamo nel bel mezzo del pomeriggio. È la notte d’eclissi.
Non mi sono spostato, eppure sento che il mio mondo si è mosso. Sono ancora steso sul mio divano, ma so che il mio mondo si è allargato. Io, stando qui, ho vissuto. Il tempo che ho speso qui nel guardare e nel leggere si è moltiplicato e mi ha permesso di rendere la mia vita più di una vita, tante vite.
Allora anche se sembra che sia tutto fermo, se nelle città si riescono a sentire molto meglio gli uccellini e il vento e i delfini sono tornati nei porti deserti, anche se sentiamo ogni giorno, aprendo gli occhi, che la nostra esistenza sia come sospesa, in realtà la vita non si può fermare. Non è forse questa, la sua essenza?
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vainstream · 5 years ago
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Ma anche io, se permettete, di quei tempi ero fatto per sprofondare, a ogni parola che mi fosse detta, o mosca che vedessi volare, in abissi di riflessioni e considerazioni che mi scavavano dentro e bucheravano giù per torto e su per traverso lo spirito, come una tana di talpa; senza che di fuori paresse nulla.
-Luigi Pirandello (Uno, nessuno e centomila)
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vainstream · 6 years ago
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Le poesie di Vian
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vainstream · 6 years ago
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Dipende da che parte della scacchiera vogliamo metterci.  Gli scacchi sono un gioco che presuppone due avversari, ma facendo riferimento ad un immaginario medievale - torri, alfieri, cavalli, re - vuole individuare due nemici. Il nemico si distingue dall’avversario per la sua condizione di disparità: il nemico è infido, il nemico è diverso, in nemico è lontano. Per guardare una partita a scacchi, come quella di Geri, è necessario scegliere da che parte stare, chi è il nostro nemico. Non schierarsi, per la verità, è impossibile; lo abbiamo fatto anche in questo caso, pur sapendo che l’uno e l’altro erano la stessa persona.
La partita è una e il re guarda la regina nemica da lontano allo stesso modo, in qualunque prospettiva tu stia osservando la scacchiera. Devi sono scegliere se tifare per la parte che vincerà o per quella che perderà; fare il tifo bene, dispensare bene i consigli, odiare la parte giusta, sperare nella sua disfatta. Spesso scegliamo la parte sbagliata e il terrore negli occhi del protagonista quando vede la sconfitta compiersi è il nostro, quando pensiamo che i giochi siano fatti, che sia finita.
Oppure possiamo smetterla di piegarci ad un ragionamento binario e goderci la partita, proprio come ha fatto Geri. Ché alla fine era lì, ghignate, perché si era ricordato che non c’era nemico, ma solo la più fervida delle immaginazioni.
Il gioco di Geri
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“Il gioco di Geri” è un cortometraggio animato prodotto dalla Pixar nel 1997 che ha preceduto la proiezione nelle sale di “A Bug’s Life”. 
Il protagonista sta giocando una partita a scacchi contro se stesso in un parco deserto. Egli assume il ruolo di entrambi i giocatori simultaneamente, fino a che, per mezzo di alcuni espedienti visivi, il personaggio si sdoppia. L’esito della partita volge a favore di uno dei due rivali fino a che l’altro non finge un malore e senza essere visto, ruota la scacchiera passando in vantaggio e vincendo. L’alter ego perdente è costretto a cedere a quello trionfante la propria dentiera e a quel punto Geri, ritornato solo, ride di gusto dell’accaduto. 
Lo short oltre a porre l’accento sulla condizione di separatezza che accompagna la senilità, si fa portatore di una massima di capitale importanza: l’unica partita che abbia una reale valenza, la giochiamo contro noi stessi. Sicuramente la scelta di individuare il nuncius di questo messaggio in un uomo anziano, è ragionata alla luce dell’inevitabile pulizia che l’incedere degli anni fa dei nostri affetti. Ciascuno ha “pezzi” tra le proprie mani più o meno servibili e crede di doversene avvalere in modo congruente con la loro funzione, ma le regole del gioco si prestano ad essere riscritte con la massima elasticità. Da qui una condizione perdente acquisisce le potenzialità di un nuovo incipit, di un’opportunità di più fausta rifioritura.
Tutto si riduce dunque all’angolazione da cui si scruta la scacchiera.         
Qualche parola inoltre va senza dubbio spesa per il ruolo giocato dagli occhiali da vista, sfruttati nello sceneggiato come elemento distinguente tra i due Geri. Inizialmente sembra prevalere la parte sgradevole e beffarda, ma non è un caso che a determinare le sorti della partita, sia quella che osserva la situazione attraverso le giuste lenti.
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vainstream · 6 years ago
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Cosa otterremo poi? Con questa cazzo di tendenza a farsi male. Terra bruciata sia, tanto è la cenere la fine della carne.
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vainstream · 6 years ago
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vainstream · 6 years ago
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Chiudo gli occhi di nuovo
a vedere l’anima in pezzi
Non trovo neppure le parole
per raccoglierne
uno ad uno i cocci
La notte scende e il mio cuore
impazza
Tremo
il viso
una maschera
nasconde le crepe
Sarà questa la goccia
Il mio stillicidio
o forse l’ultima
sulla mia tempia
Un solco profondo
la gravità
la voglia
la disperazione
guida
Fuori dal sentire
solo ancora
a raccoglierne una in più
di queste gocce rosate
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vainstream · 6 years ago
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E’ davvero incredibile come la mia faccia possa ridere e la mia anima spezzarsi allo stesso momento. 
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vainstream · 6 years ago
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Sappiamo con certezza che ci orienteremo con mappe che ancora non esistono, avremo un’idea di bellezza che non sappiamo prevedere, e chiameremo verità una rete di figure che in passato avremmo denunciato come menzogne. Ci diciamo che tutto quello che sta accadendo ha sicuramente un’origine e una meta, ma ignoriamo quali siano. Tra secoli ci ricorderanno come i conquistadores di una terra in cui noi oggi a stento saremmo in grado di trovare la via di casa. Non è fantastico?
A. Baricco
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