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The TURNING-LA CASA DEL MALE
The TURNING-LA CASA DEL MALE
(The Turning, GB/Irlanda/Canada/USA 2020) Regia di Floria Sigismondi. Sceneggiatura di Carey W. Hayes e Chad Hayes dal romanzo di Henry James The Turn of the Screw,1898 (Il giro di vite, BUR-Rizzoli 2013). Con Mackenzie Davis, Finn Wolfhard, Brooklynn Prince, Barbara Marten, Joely Richardson, Niall Greig Fulton, Denna Thomsen.
Ultimo adattamento cinematografico, in ordine di tempo, della celebre gh…
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La Trilogia del Baztán su Netflix
La Trilogia del Baztán su Netflix
La serie di film del regista spagnolo Fernando González Molina è la trasposizione fedele dei romanzi di Dolores Redondo inclusi nella cosiddetta Trilogia del Baztán, composta da Il guardiano invisibile (El guardián invisible, 2012), Inciso nelle ossa (Legado en los huesos, 2013) e Offerta alla tormenta (Ofrenda a la tormenta, 2014), incentrati sulle indagini dell’ispettrice della polizia di…
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Les Soleils de l’île de Pâques (1972)
Les Soleils de l’île de Pâques (1972)
Il fenomeno degli UFO (Unidentified Flying Object), che con gli anni ha ingenerato centinaia di teorie del complotto, nacque nel 1947 con l’avvistamento da parte dell’aviatore statunitense Kenneth Arnold, di nove oggetti volanti a forma di disco che si muovevano a scatti, come sottobicchieri che rimbalzano sull’acqua (da qui il termine flyinig saucers, in Italia dischi volanti). Da quel momento…
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DI STELLE E DI MISTERI, la fantascienza d’antan di Mino Milani
DI STELLE E DI MISTERI, la fantascienza d’antan di Mino Milani
Di stelle e di misteri è il titolo della raccolta di un romanzo e due racconti di fantascienza scritti dal prolifico autore pavese Mino Milani pubblicato dalle Edizioni Della Vigna nel 2019, vincitore del Premio della critica Ernesto Vegetti 2019. Mino Milani, dicevamo, è un autore che nella sua lunga carriera ha praticamente toccato tutti i generi narrativi, dal western all’avventura, dal giallo…
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1968, come è successo in ogni ambito artistico, anche il cinema – e la fantascienza con esso – risente l’influenza del grande fermento culturale, sociale e politico che si sviluppò in quasi tutto il mondo e che vide in quell’anno la propria data di nascita. La controcultura, i movimenti dei diritti civili, la ricerca di stati di coscienza alterati, la rivoluzione sessuale, la cultura pop e psichedelica, l’inasprirsi del conflitto in Vietnam, l’instabilità politica e le rivolte popolari in quasi ogni angolo del globo, questo è il contesto culturale in cui la cinematografia fantascientifica del periodo in questione s’inserisce, ricavandone e rielaborandone gli spunti.
Anche l’Italia fu investita dal fenomeno, e arrivarono alcuni film figli della contestazione del periodo oggi per lo più dimenticati. Il perché col tempo siano caduti nell’oblio è che oggi appaiono irrimediabilmente datati in quanto realizzati con uno stile che può risultare poco comprensibile per chi non è a conoscenza del clima sociale, culturale e politico che li originava. Vediamone alcuni.
Eat It (1969) scritto e diretto da Francesco Casaretti voleva essere una satira alla società consumistica e al potere crescente dei mass media ma risulta nell’intreccio abbastanza confuso. Il titolo si riferisce al nome di un nuovo prodotto alimentare. L’industriale che lo produce lo reclamizza dandolo in pasto ad una sorta di selvaggio scovato in aperta campagna. La trovata ha un enorme successo e l’industriale, per incrementare le vendite, incarica i suoi chimici di inventare una sostanza capace di aumentare l’appetito del cavernicolo. Ottenuto l’effetto contrario, decide di sperimentare su se stesso il prodotto ma si trasforma in una mucca. Orso Maria Guerrini interpreta l’industriale, Paolo Villaggio il suo ingegnere.
Colpo di stato (1969) di Luciano Salce ci porta invece in un vicino futuro, il 1972, dove il partito comunista italiano vince le elezioni e subito nel paese si scatena il panico. I ricchi fuggono, gli americani allertano il loro armamentario nucleare e i militari prospettano un golpe. Alla fine, dopo essersi consultati con i vertici dell’Unione Sovietica, è lo stesso PCI a dichiarare nulla la votazione. Commedia satirica che ha avuto scarsa distribuzione cinematografica, criticata sia da destra sia da sinistra.
In H2S (1969) scritto e diretto da Roberto Faenza, il giovane Tommaso lavora in una fabbrica il cui motto è “formazione e obbedienza” e dove ogni forma di individualismo è proibito. Dopo infruttuosi tentativi di ribellione, severamente puniti, al giovane non resta non resta che far saltare tutto in aria con una bella bomba. La pellicola (vietata ai minori di 14 anni) fu sequestrata non appena uscì nelle sale per offesa al comune sentimento del pudore e fu dissequestrata solo dopo un interminabile procedimento giudiziario. Il titolo fa riferimento alla formula dell’acido solfidrico.
Ecce Homo – I sopravvissuti (1969) è un post apocalittico diretto da Bruno A. Gaburro. Dopo una guerra nucleare, una famiglia composta da padre, madre e figlio, ha trovato rifugio in riva al mare. L’uomo è stato contaminato dalle radiazioni che lo hanno reso impotente. Sul posto giungono altri sopravvissuti che vedono nella donna la possibilità di ripopolare il pianeta. Si scatena una lotta tra i contendenti ma alla fine la donna si suiciderà piuttosto che rinfoltire un’umanità che nonostante la tragedia che l’ha colpita, non si è liberata degli istinti di distruzione che l’hanno condotto sul baratro dell’estinzione. Un film senza speranza con Irene Papas e Philippe Leroy.
Ancora fantascienza post-apocalittica con Il seme dell’uomo (1969) di Marco Ferreri. Una giovane coppia, Cino e Dora, sono dei sopravvissuti a una misteriosa piaga non meglio definita. Trovata una casa in riva al mare dove vivere, Cino mette in piedi un museo dove raccogliere i ricordi del mondo che fu. Ben presto arrivano altri sopravvissuti guidati da un maggiore e da un sacerdote che affermano che per permettere all’umanità di sopravvivere, tutte le donne dovranno essere fecondate. Da questo punto di vista, Dora non è molto collaborativa ma Cino la violenta dopo averla sedata. Scoperto che la ragazza è incinta, l’uomo comincia a gridare entusiasta “Il seme dell’uomo ha germogliato! Ho seminato!”, ma all’improvviso la Terra esplode. Per l’umanità non c’è nessuna speranza. Altro film estremamente pessimistico, che unisce metafore sull’egoismo maschile a critiche alla società. A parte il protagonista, interpretato da Marzio Margine, tutti i ruoli maschili del film furono coperti da attori non professionisti. Solo i ruoli femminili furono interpretati da professioniste tra cui la francese Anne Wiazemsky in quello di Dora. In una scena del film, nel museo del protagonista, le immagini dei voli spaziali sono tutte foto di scena di 2001: odissea nello spazio, uscito l’anno precedente, forse la primissima citazione del capolavoro di Kubrick mai apparsa in un film.
Tema affine nel film La ragazza di latta (1970), debutto alla regia di Marcello Aliprandi. Ravenna, il signor Rossi è un giovane impiegato di una potente azienda, la Smack O-Mat Corporation ed è considerato piuttosto originale ed eccentrico dai suoi colleghi perché non si adegua al conformismo imperante della ditta. Tutti i dipendenti, infatti, vestono allo stesso modo, viaggiano sullo stesso modello di automobile e portano le basette lunghe. Tutti, dalla moglie al datore di lavoro, cercano di convincerlo a conformarsi al resto della società ma lui desiste e un giorno incontra una bella ragazza che sembra apprezzarlo per quello che è veramente. In realtà la donna, interpretata da Sydne Rome, è un robot della società per cui lavora, programmata per indurlo a passare dalla loro parte. Scoperto l’inganno, al signor Rossi non resta che dichiararsi sconfitto e conformarsi.
Altro futuro distopico in I cannibali (1970), film diretto da Liliana Cavani. Le strade di una grande città sono piene di cadaveri. Si tratta dei corpi di ribelli al regime per servire da monito lasciati a marcire per volere delle autorità. La protagonista vorrebbe seppellire il fratello, aiutata da uno straniero ma vengono scoperti e uccisi. L’esempio dei due sarà seguito da altri giovani che inizieranno a seppellire i cadaveri, sfidando le autorità.
Anche in N.P. Il segreto (1971) di Silvano Agosti mette in evidenza le istanze sessantottine ma in maniera più seria, quasi da cronaca, rispetto i titoli citati precedentemente. Un ingegnere (N. P. sono le iniziali del nome) inventa una macchina che converte la spazzatura in prodotti commestibili. Lo Stato si impossesserà, del marchingegno per sfruttarne la tecnologia a fini di controllo e potere e lo scienziato sarò privato della memoria e dell’uso della parola ma pian piano riacquisterà una coscienza critica verso la società che lo circonda. Irene Papas, Francisco Rabal e Ingrid Thulin, sono gli interpreti principali.
LA FANTASCIENZA ITALIANA NELL’EPOCA DELLA CONTESTAZIONE 1968, come è successo in ogni ambito artistico, anche il cinema – e la fantascienza con esso – risente l’influenza del grande fermento culturale, sociale e politico che si sviluppò in quasi tutto il mondo e che vide in quell'anno la propria data di nascita.
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“Possiamo coesistere, ma solo alle mie condizioni. Dirai che perdi la tua libertà, la libertà è un’illusione. Tutto ciò che perdi è l’emozione dell’orgoglio. Essere dominati da me non è tanto male per l’orgoglio umano quanto essere dominato da altri della tua specie.”
Il dipartimento della difesa degli Stati Uniti inaugura Colossus, un avveniristico computer creato dall’equipe del professor Charles Forbin cui verrà affidato il compito di gestire tutto l’arsenale nucleare della nazione in modo da garantire la sicurezza dei cittadini e una pace duratura con il blocco contrapposto. Una volta attivato, Colossus avverte la presenza di un suo simile. Anche i sovietici hanno, infatti, costruito una macchina simile cui hanno dato il nome di Guardian. I due computer iniziano quindi a comunicare fra loro in un codice incomprensibile. Le autorità delle due nazioni cercano di impedire il collegamento. Colossus e Guardian reagiscono facendo esplodere alcune testate nucleari. I governi sono così costretti a riattivare il collegamento e i due computer fondono le loro memorie in un unico supercomputer che si è dato il nome di Colossus Due. La nuova entità, in un discorso a tutta l’umanità, annuncia di aver preso il controllo globale del pianeta e, seguendo la sua programmazione originaria, impedirà qualsiasi guerra e che l’umanità potrà scegliere la pace sotto il segno dell’abbondanza ma solo sotto il suo dominio assoluto oppure la pace data dall’estinzione. Per far capire che non scherza, il computer fa esplodere due missili nel loro silos per risposta a un ultimo tentativo di disarmare le testate, provocando la morte di migliaia di persone. Colossus fornisce quindi agli scienziati i progetti di un nuovo computer ancora più potente. Nel finale, rivolgendosi al suo creatore Forbes, Colussus dice che la libertà è un’illusione e col tempo verrà considerato non solo con rispetto e timore, ma con amore. Forbin, tirando fuori tutto l’orgoglio di un’umanità che mai si arrenderà a essere assoggettata anche a scapito del benessere e della sua stessa sopravvivenza, risponderà: “MAI!“
In questo ben congegnato film la Guerra Fredda è proposta per una volta senza la contrapposizione americano/buono, sovietico/cattivo tipica di quegli anni. Una trama che ricorda quella del fulminate racconto di Fredric Brown La risposta (Answer, 1954) e del romanzo di Philip K. Dick Vulcano 3 (Vulcan’s Hammer, 1960) ma che in realtà è tratta, in maniera fedele, dal romanzo di James Bridges Colossus (1966). Bridges scrisse anche due sequel al romanzo, The Fall of Colossus (1974) e Colossus and the Crac (1977), entrambi inediti in Italia. Un supercomputer con poteri simili a quelli di Colossus, ma senza ambizione di pacificatore e dominatore del mondo, sarà quello del NORAD che si vedrà nel film Wargames – Giochi di guerra (WarGames, 1983) di John Badham.
La Control Data Corporation, una pionieristica società nel settore dei computer attiva soprattutto negli anni Sessanta, fornì gratuitamente componenti e attrezzature per un valore di circa 4,8 milioni di dollari e personale tecnico come consulenti. In cambio, il marchio CDC fu ben visibile ogni apparecchiatura andata in scena. Poiché si stavano usando computer reali e non solo grandi scatole con luci lampeggianti, come succedeva nella maggior parte dei film quando si doveva mostrare un computer, il teatro di posa fu fornito di riscaldatori a gas e deumidificatori appositamente costruiti per tenere l’umidità lontana dai computer. Inoltre, un sistema di climatizzazione manteneva l’aria intorno ai computer a una temperatura uniforme e l’attrezzatura veniva tenuta costantemente coperta tranne quando effettivamente ripresa dalle telecamere. Visto il valore dell’attrezzatura, guardie armate sorvegliavano i set giorno e notte. Alcune riprese dell’attivazione di Colussus furono riutilizzati dalla casa di produzione, la Universal, nella serie televisiva L’uomo da sei milioni di dollari (The Six Million Dollar Man, 1973-1978). Le immagini finali che vedono, attraverso apparecchi televisivi, un’esplosione atomica sono quelle reali del primo test americano di fusione nucleare svoltosi nel 1952 nell’atollo di Enewetak, nell’oceano Pacifico.
Il film non uscì mai nei cinema italiani, solo diversi anni dopo fu trasmesso a tarda ora dalla RAI.
Colossus: The Forbin Project (Id., USA 1969, 100’, C). Regia di Joseph Sargent. Sceneggiatura di James Bridges dal romanzo di Dennis Feltham Jones Colussus (1966). Con Eric Braeden (dottor Charles Forbin), Susan Clark (dottoressa Cleo Markham), Gordon Pinsent (Presidente degli Stati Uniti), William Schallert (Grauber, direttore della CIA), Leonid Rostoff (leader sovietico), Gerog Stanford Brown (dottor John F. Fisher), Willard Sage (dottor Blake), James Hong (dottor Jim).
COLOSSUS: THE FORBIN PROJECT “Possiamo coesistere, ma solo alle mie condizioni. Dirai che perdi la tua libertà, la libertà è un'illusione.
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“Questi grandi complessi ospedalieri sono le cattedrali della nostra epoca. Miliardi di dollari, migliaia di letti. Un’intera nazione di malati che si rivolgono a noi per chiedere aiuto.”
In un grande ospedale di Boston, una giovane chirurga, Susan Wheeler, indaga su una serie d’incidenti sospetti avvenuti in sala operatoria. Diverse persone, infatti, sono entrate in coma dopo interventi chirurgici di routine, non risvegliandosi dall’anestesia. Ad aiutarla, inizialmente recalcitrante, il fidanzato Mark Bellows, chirurgo anche lui. La pista che seguono li porterà in una clinica all’avanguardia, lo Jefferson Institute, gestita dal primario di chirurgia George A. Harris, loro superiore, dove i corpi dei pazienti sono usati come serbatoi da cui attingere organi da trapiantare.
Pellicola dalle inquietanti implicazioni che cavalca l’ondata di diffidenza e paranoia verso le organizzazioni che gestiscono i trapianti d’organo e la sanità in generale. Il produttore Martin Erlichman disse sul film che voleva fare per gli ospedali quello che Lo squalo (Jaws, 1975) aveva fatto con l’oceano e gli squali:
“la gente ha una paura primordiale dell’oceano e Lo squalo ha titillato quella fobia. In modo simile, Coma profondo accentua le paure primarie verso gli ospedali. Questa è una fobia ancora più forte perché una persona può sempre astenersi dall’entrare in acqua, ma non sempre può evitare la necessità di andare in ospedale!“.
Lo scrittore Michael Crichton aveva esordito alla regia con il televisivo Pursuit (1972), un thriller tecnologico tratto dal suo romanzo Codice Beta (Binary, 1972), scritto sotto lo pseudonimo di John Lange, e in seguito aveva realizzato l’ottimo Il mondo dei robot (Westworld, 1973), da una sua sceneggiatura originale. Per questa sua terza prova dietro la macchina da presa scelse invece di trasporre sullo schermo un romanzo non suo ma dell’amico e collega Robin Cook dal quale acquista i diritti di Coma (1977), un thriller dove i confini tra scienza e fantascienza risultano davvero labili. Diverse le analogie tra i due scrittori, Crichton aveva frequentato la scuola di medicina, Cook era un chirurgo e oftalmologo, ambedue avevano lasciato la carriera medica per dedicarsi alla scrittura di romanzi che avevano a che fare con la medicina, l’etica e la tecnologia. Coma fu il primo grande successo di Cook e la riuscita del film di Crichton funse da ulteriore traino.
Rispetto al romanzo, il film elimina tutta la componente femminista riguardante la discriminazione sessuale che subiva la protagonista in ambito ospedaliero, una studentessa di medicina che sullo schermo diventa invece una residente al secondo anno di chirurgia. Crichton evidentemente decise di concentrarsi sull’aspetto da thriller hitchcockiano, capace di instaurare un clima di tensione crescente quasi senza nessun effetto speciale, e sulle implicazioni dell’uso della tecnologia in medicina, cosa a lui congeniale come si potrà vedere nel resto della sua carriera di regista e scrittore. In realtà il film mostra, senza richiamare esplicitamente istanze femministe, una donna protagonista che si sta affermando in campo medico e che non sfigura affatto al cospetto dei due coprotagonisti maschi.
Come già detto, l’aspetto fantascientifico della vicenda narrata è labile ma d’impatto, visto che la scena del film che si ricorda maggiormente è quella dei corpi dei pazienti sospesi a mezz’aria da fili allo Jefferson Institute, la clinica high tech dove sono ricoverate le persone in coma.
Geneviève Bujold interpreta la protagonista, Michael Douglas, che con questo film vide il decollo della sua carriera cinematografica, il suo fidanzato e un grande Richard Widmark, il primario Harris, colui che nel finale del film pronuncia la frase riportata sotto il titolo, preceduta da quest’altra:
“La nostra società deve affrontare decisioni importanti. Decisioni sul diritto di morire. Sull’aborto. Sulle malattie terminali, coma prolungato, trapianto. Decisioni sulla vita e sulla morte. Ma la società non sta decidendo. Il Congresso non sta decidendo. I tribunali non stanno decidendo. La religione non sta decidendo. Perché? Perché la società ce le sta lasciando, gli esperti! I dottori!”
In piccoli ruoli appaiono anche Tom Selleck (che con Crichton girerà in seguito il film Runaway) e Ed Harris, al suo debutto cinematografico.
Un remake televisivo, prodotto da Ridley e Tony Scott, dal titolo Coma è uscito nel 2012 per la regia di Mikael Salomon.

Coma Profondo (Coma, USA 1978, 113’, C). Regia di Michael Crichton. Sceneggiatura di Michael Cricton dal romanzo di Robin Cook Coma, 1977. Con Geneviève Bujold (Susan Wheeler), Michael Douglas (Mark Bellows), Elizabeth Ashley (signora Emerson), Rip Torn (dottor George), Richard Widmark (Dott. George A. Harris), Lois Chiles (Nancy Greenly).
COMA PROFONDO “Questi grandi complessi ospedalieri sono le cattedrali della nostra epoca. Miliardi di dollari, migliaia di letti.
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– Qualche dolore?
– No…
– Bene. Adesso rilassati.
– Anche tu, dottore…
L’uomo terminale, tratto da un romanzo Il terminale uomo di Michael Crichton del 1972, è un thriller fantascientifico scritto, diretto e prodotto dal britannico Mike Hodges, con George Segal nei panni di Harry Benson, un esperto informatico affetto da una forma di epilessia psicomotoria che lo porta occasionalmente a essere vittima di crisi di violenza. Per questo motivo l’uomo decide di sottoporsi a una procedura medica sperimentale per placare le sue crisi. L’intervento consiste nell’impiantare nel suo cervello un microchip che rileva l’insorgenza di un attacco e lo ferma. Appare ironico che proprio Benson era estremamente diffidente verso i computer, temendo che un giorno si sarebbero sollevati contro l’umanità. Proprio per questo motivo la psichiatra di Benson, Janet Ross (Joan Hackett), è preoccupata del fatto che una volta completata l’operazione, soffrirà ulteriori psicosi a causa del fatto che la sua mente si fonderà con quella di un computer. Poco dopo l’operazione il cervello di Benson comincia a diventare dipendente dagli impulsi elettrici, elargiti dal microchip sempre più frequentemente in quanto le convulsioni avvengono a intervalli sempre più brevi. Quando diventeranno continui, l’uomo avrà un blackout permanente. Prima che i medici capiscano cosa sta succedendo, Benson fugge dall’ospedale. Diventato violentemente imprevedibile, è presto ricercato dalla polizia ma la sua intelligenza superiore (l’uomo aveva un Q.I. estremamente alto) è rimasta intatta e gli permette di sfuggirle. La dottoressa Ross riesce comunque a rintracciarlo, sperando in una sua possibilità di recupero, ma le forze dell’ordine lo abbattono sparandogli da un elicottero.
Nel film la sperimentazione scientifica su cavia umana è trattata senza sentimentalismi e l’esperimento mostrato in modo freddo, documentaristico e con minuzia di particolari, un po’ come aveva fatto Robert Wise con Andromeda (The Andromeda Strain, 1971), tratto guarda caso da un altro romanzo di Crichton. Da parte sua il regista Hodges aveva esordito nel 1963 proprio con una serie di documentari d’attualità. D’altronde anche il romanzo era impostato con piglio documentaristico. Narrato dal punto di vista dei medici che curano Benson, gli stessi titoli di ogni capitolo, ad esempio “MERCOLEDÌ, 10 MARZO 1971: Impianto” rimandavano a un diario clinico di una cartella medica. Da notare come le date dei capitoli implicavano che il romanzo raccontasse qualcosa che è già successo. Da notare che Crichton era stato inizialmente ingaggiato per scrivere dirigere il film ma fu estromesso perché la sceneggiatura non seguiva fedelmente il suo romanzo, cosa che appare come un ribaltamento di ruoli visto che di solito sono gli scrittori che si lamentano della scarsa aderenza del film al proprio romanzo!
L’asetticità della narrazione contribuisce a far apparire il tutto come disumano e a dare forza al monito contro una certa scienza priva di valori e regolamentazioni e un e ambiente sanitario depersonalizzante e disumano (si vedano a proposito le divise degli operatori sanitari che riportano non il nome ma solo l’iniziale del proprio ruolo, “D” per medico, “N” per infermiere, “T” per tecnico). Una critica verso la classe medica cui lo stesso Crichton aveva fatto parte prima di accedere alla fama di scrittore e regista.
Il ritmo lento, il particolare stile visivo (influenzato, a detta del regista, dalla opere del pittore Edward Hopper) e i pochi dialoghi, perlopiù tecnici, potrebbero rendere la visione del film poco appetibile al pubblico odierno.
Mike Hodges sarebbe tornato alla fantascienza nel 1980 con un film quanto più distante da questo: il colorato Flash Gordon prodotto da Dino De Laurentiis.
L’uomo terminale (The Terminal Man, USA 1974, 107’, C). Regia di Mike Hodges. Con George Segal (Harry Benson), Joan Hackett (Dr. Janet Ross), Richard Dysart (Dr. John Ellis), Donald Moffat (Dr. Arthur McPherson), Michael C. Gwynne (Dr. Robert Morris), William Hansen (Dr. Ezra Manon), Jill Clayburgh (Angela Black), Norman Burton (Det. Capt. Anders).
L’UOMO TERMINALE - Qualche dolore? - No... - Bene. Adesso rilassati. - Anche tu, dottore... L’uomo terminale, tratto da un romanzo…
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“Mi stavo chiedendo perché la gente che non si sarebbe mai sognata di ridere di un cieco o di un uomo paralizzato riderebbe di un deficiente?”
Charlie Gordon è un povero minorato mentale che, su proposta di Alice Kinnian, giovane insegnante della scuola che frequenta, è usato come cavia per uno sperimentale intervento di neurochirurgia dei dottori Anna Strauss e Richard Nemur, atto ad accrescerne l’intelligenza. L’esperimento va oltre le aspettative, le facoltà cognitive di Charlie migliorano di giorno in giorno. Prima deriso o visto con pietà, diventa gradualmente una persona geniale e arguta. L’uomo ben presto raggiunge e supera gli scienziati che l’hanno curato tanto da collaborare con loro nelle ricerche. S’innamora inoltre, ricambiato, di Alice, ma la felicità che sembra aver raggiunto sarà destinata a durare poco. Proprio la sua spiccata intelligenza lo porterà a scoprire quello che gli scienziati hanno tentato di tenergli nascosto, gli effetti dell’intervento sono transitori e presto Charlie tornerà nella sua condizione originaria di ritardato. Nonostante tutte le ricerche, il processo si rivelerà irreversibile e Charlie allontanerà da se tutte le persone che ama, compresa l’amata Alice. Nel finale la donna osserva da lontano Charlie giocare inconsapevole sull’altalena di un parco deriso dalla gente. Si chiude così questa sorta di racconto morale, forse un po’ troppo enfatico e melodrammatico, sulla dignità umana e sulla liceità di certi esperimenti fatti in nome della scienza.

Il fantastico racconto originale di Daniel Keyes, Fiori per Algernon (Flowers for Algernon), vincitore del Premio Hugo nel 1960, era scritto sotto forma di diario dello stesso protagonista. La sua innovativa particolarità era che inizialmente utilizzava il linguaggio sgrammaticato di Charlie nella sua condizione di minorato, per poi passare a uno chiaro e brillante e infine ritornare a essere illeggibile, seguendo così la struggente parabola del protagonista. Il racconto fu poi ampliato nel 1966 in un romanzo, che è poi la fonte effettiva del film. L’amore tra Charlie e la sua ex-insegnante fu proprio un inserimento per allungare una storia che vedeva nel racconto la sua dimensione ideale e in effetti il romanzo è meno efficace del racconto (che vinse comunque un Premio Nebula). L’Algernon del titolo del racconto è un topo di laboratorio che aveva subito lo stesso intervento e verso cui Charlie prova una forte empatia.
L’attore Cliff Robertson, che interpreta Charlie con partecipazione ed efficacia ma probabilmente in maniera un po’ troppo compiaciuta, vinse per il ruolo un controverso Oscar come miglior attore protagonista. L’attore aveva già interpretato Charlie nel film televisivo The Two Worlds of Charlie Gordon del 1961, episodio della serie antologica americana The United States Steel Hour (1953-1963). Fu proprio dopo questo primo adattamento che lo stesso attore acquistò i diritti del romanzo e a curò la realizzazione del film.
Altri adattamenti del romanzo arrivarono nel 1999 con Un cuore semplice (Flowers for Algernon) di Jeff Bleckner, film televisivo co-prodotto da USA e Canada con il protagonista interpretato da Matthew Modine, e nel 2006 con Des fleurs pour Algernon film francese di David Delrieux con Julien Boisselier. Da segnalare anche due serie televisive giapponesi dal medesimo nome, Algernon ni Hanataba wo, una del 2002 e l’altra del 2015, ciascuna composta di 10 episodi.
I due mondi di Charly (Charly, USA 1968). Regia di Ralph Nelson. Sceneggiatura di Stirling Silliphant dal romanzo di Daniel Keyes Fiori per Algernon, 1960 (Flowers for Algernon). Con Cliff Robertson (Charly Gordon), Claire Bloom (Alice Kinnian), Lilia Skala (Dr. Anna Strauss), Leon Janney (Dr. Richard Nemur), Ruth White (Mrs. Apple), Dick Van Patten (Bert).
I DUE MONDI DI CHARLY “Mi stavo chiedendo perché la gente che non si sarebbe mai sognata di ridere di un cieco o di un uomo paralizzato riderebbe di un deficiente?
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“L’influenza del futuro sul passato. Peccato che lei non voglia credermi e che non possiamo intenderci… perché abbiamo un termine breve, tre giorni, e poi non avrà più importanza…”
Una della più interessanti pagine della fantascienza italiana fu scritta nel 1974 da questo film del regista Emidio Greco al suo esordio cinematografica.
Un evaso senza nome naufraga su una misteriosa isola, dove si trova un’imponente costruzione in stile anni Venti del Novecento. All’interno vi si trovano strani macchinari che il protagonista rimette in funzione. Dopo qualche tempo si accorge di non essere il solo abitatore dell’isola. Un gruppo di persone apparse dal nulla e vestiti con abiti d’epoca iniziano a frequentare la casa e aggirarsi per l’isola. Inizialmente si nasconde da loro ma ben presto si accorge che i nuovi inquilini svolgono ciclicamente le stesse azioni e ripetono gli stessi dialoghi. Uno degli ospiti attira l’attenzione del naufrago, la bella Faustine, della quale s’innamora e cerca di comunicare ma ogni tentativo d’interazione viene frustrato. La donna, come gli altri ospiti, sembra non accorgersi della sua presenza. La psiche del protagonista sembra traballare ma durante il suo girovagare tra gli ospiti scoprirà la verità. Lo scienziato Morel, uno degli ospiti, ha inventato una macchina, nascosta nelle fondamenta del palazzo, in grado di “registrare” la vita e riprodurla come in un enorme proiezione in 3D, una specie di antesignano del ponte ologrammi di Star Trek, e vi ha sottoposto, a loro insaputa, la sua compagnia di amici in vacanza in quel luogo. Quelli che il naufrago vede, sono quindi le immagini, dotate di solidità, degli ospiti presenti sull’isola anni addietro, nel 1929. Dei simulacri, forse dotati di coscienza o forse no, che imitano la vita ripetendo all’infinito i gesti di quella settimana di “spensierata gaiezza”. Creare questo surrogato di vita comporta, però, una controindicazione. Una volta che l’essenza di una persona è “registrata”, questa non può più esistere nel mondo reale e la persona muore per consunzione. Nonostante ciò, il naufrago decide di sottoporsi anche lui alla macchina per cercare di restare con l’amata Faustine, probabilmente ormai morta da anni, modellando i suoi gesti con quelli della donna come in un’elaborata sovraimpressione, una registrazione su registrazione, creando l’illusione di vivere e interagire con lei. In un ultimo momento di lucidità dopo il “trattamento”, prima di cadere nell’oblio, l’uomo distruggere la macchina realizzando la vacuità del suo sogno.
Film dal ritmo lentissimo con risvolti metacinematografici, comunque ipnotico e dall’atmosfera inquietante. I primi dialoghi si sentono dopo trentadue minuti dall’inizio, il resto della pellicola ne è quasi priva e sono perlopiù quelli ripetitivi tra gli ospiti.
Il film è tratto in maniera fedelissima dal romanzo L’invenzione di Morel (La invención de Morel, 1940) di Adolfo Bioy Casares, scrittore argentino dalla prosa influenzata dall’amico Jorge Luis Borges. Lo stesso Borges disse a proposito del romanzo: «Ho discusso con il suo autore i particolari della trama; l’ho riletta; non mi pare un’imprecisione né un’iperbole qualificarla perfetta». A titolo di curiosità, ricordiamo anche che la disegnatrice della copertina della prima edizione fu Norah Borges, la sorella del famoso scrittore.
Poche le differenze tra pellicola e libro e riguardano il protagonista, nel romanzo giunto sull’isola volontariamente per fuggire a non precisate persecuzioni di carattere politico e non per naufragio dopo un’evasione; l’ubicazione dell’isola, non in Polinesia ma nel Mediterraneo (per ragioni economiche il film fu girato a Malta, peraltro ripresa magnificamente dal regista); il finale, infine, nel romanzo il protagonista non distrugge la macchina.
Il romanzo servì probabilmente da ispirazione ad Alain Robbe-Grillet e Alain Resnais per il loro capolavoro L’anno scorso a Marienbad (L’Année dernière à Marienbad, 1961). Il nome del cinico scienziato Morel sembra invece un riferimento a L’isola del dottor Moreau (The Island of Dr. Moreau, 1896) di H. G. Wells, ma di isole misteriose dove le persone ritrovano se stessi è piena la narrativa scritta, cinematografica e televisiva, non ultima la serie Lost (2004-2010) di J. J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber.
Sia il romanzo, sia il film, sono inoltre dei precursori nel descrivere una specie di realtà virtuale, elemento fantascientifico che solo in seguito, diciamo dagli anni Novanta, acquisterà popolarità e diffusione. Ricordiamo infatti che il romanzo è del 1940, quando ancora non si parlava di computer e infatti Casares descrive la “macchina” di Morel più come un fonografo o una macchina da presa che registra e riproduce e materializza immagini senza bisogno di supporto su cui proiettarle che come un elaboratore elettronico.
Il romanzo di Casares era già stato adattato per lo schermo nel 1967 in un film televisivo francese dal titolo L’invention de Morel per la regia di Claude-Jean Bonnardot.
L’invenzione di Morel (Italia 1974). Regia di Emidio Greco. Sceneggiatura di Andrea Barbato ed Emidio Greco dal romanzo di Adolfo Bioy Casares L’invenzione di Morel (La invención de Morel, 1940). Con Giulio Brogi (il naufrago), Anna Karina (Faustine), John Steiner (Morel).
L’INVENZIONE DI MOREL “L’influenza del futuro sul passato. Peccato che lei non voglia credermi e che non possiamo intenderci… perché abbiamo un termine breve, tre giorni, e poi non avrà più importanza…”
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Kolchak – The Night Stalker è una serie televisiva americana del 1974 inedita in Italia ma che va ricordata perché ebbe notevole influenza sul fantastico seriale degli anni a venire. Soprattutto un prodotto come X-Files (1993-2002) deve molto del proprio format a questa serie.
Carl Kolchak, il protagonista, è un reporter che indaga su crimini tra il soprannaturale e il fantascientifico. Darren McGavin, l’interprete di Kolchak, comparirà anche in diversi episodi delle ultime stagioni di X-Files, quasi un omaggio dovuto per una serie seminale.
Il personaggio nacque nel romanzo del 1972, anch’esso inedito in Italia, The Kolchak Papers di Jeff Rice, dal quale fu realizzato il film televisivo Una storia allucinante (The Night Stalker, 1972), questo passato anche dalle nostre parti. L’anno dopo arrivò il sequel Lo strangolatore della notte (The Night Strangler) dal quale lo stesso Rice ricavò la novellizzazione. Entrambi i film, più horror che fantascientifici, furono sceneggiati dallo scrittore Richard Matheson e diretti da Dan Curtis.
La serie vera e propria iniziò nel 1974 e chiuse dopo 20 episodi a seguito di una causa legale intentata dal Jeff Rice, il quale affermava di non aver mai ceduto i diritti per la realizzazione di una serie ma solo per i due film.
Questo l’elenco episodi:
1 The Ripper 2 The Zombie 3 They Have Been, They Are, They Will Be… 4 The Vampire 5 The Werewolf 6 Firefall 7 The Devil’s Platform 8 Bad Medicine 9 The Spanish Moss Murders 10 The Energy Eater 11 Horror In The Heights 12 Mr. R.I.N.G. 13 Primal Scream 14 The Trevi Collection 15 Chopper 16 Demon In Lace 17 Legacy of Terror 18 The Knightly Murders 19 The Youth Killer 20 The Sentry
Uno sfortunato remake dal titolo Night Stalker, questo giunto anche in Italia, è andato in onda tra il 2005 e il 2006 ma non è andato oltre i dieci episodi prodotti.

KOLCHAK – THE NIGHT STALKER Kolchak – The Night Stalker è una serie televisiva americana del 1974 inedita in Italia ma che va ricordata perché ebbe notevole influenza sul fantastico seriale degli anni a venire.
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“- Tu come lo sai che esisti? Come lo giustifichi oggettivamente?
– Penso dunque sono.”
La Dark Star è una nave in missione nello spazio da vent’anniper distruggere stelle e pianeti instabili che potrebbero minacciare la colonizzazione di altri pianeti e il suo scalcinato equipaggio, provato dal lungo isolamento, mostra evidenti segni di squilibrio mentale. Il capitano della nave, il comandante Powell, è rimasto ucciso da un cortocircuito elettrico alla propria poltrona ma è stato mantenuto dal resto dell’equipaggio in uno stato di sospensione criogenica per mantenere attive le sue sinapsi e poterlo consultare in caso di bisogno. L’equipaggio rimanente è composto dal suo nuovo ufficiale comandante, il tenente Doolittle, il sergente Pinback (interpretato dallo stesso O’Bannon), il caporale Boiler e Talby. Più che astronauti, sembrano i membri di una comune hippie, con tanto di barba e capelli lunghi, asfissiati dalla noia. A movimentare l’atmosfera di apatia, c’è una creatura aliena a forma di pallone da spiaggia con le zampe (e, in effetti, era un pallone da spiaggia con incollate delle posticce zampe) che si rifiuta di rimanere chiuso nel magazzino, costringendo Pinback a inseguirlo per tutta la nave. Lo stesso Pinback non è chi dice di essere ma, come confesserà in una sorta di confessionale del Grande Fratello ante-litteram, solo un manutentore rimasto imbarcato per caso.
Le cose iniziano a movimentarsi quando una serie d’incidenti, dovuti sia a cause esterne sia dalla dabbenaggine dell’equipaggio, provoca un malfunzionamento nel meccanismo di rilascio di una bomba, la numero 20, già armata e puntata verso l’obiettivo prestabilito, mettendo a rischio di esplosione la nave. La bomba, dotata di una certa autocoscienza, rifiuta di disarmarsi e rientrare nel vano della nave per portare a termine quello che è lo scopo della sua esistenza, cioè esplodere. Doolittle, su suggerimento dell’ibernato Powell, cerca di parlare con la bomba e gli rivolge domande esistenziali per indurla a desistere ma insinua in lei il dubbio cartesiano che la porta a fidarsi solo di se stessa (chiede, ad esempio, come fa ha sapere che esiste e la bomba risponde “penso dunque sono”). Convintasi di essere una sorta di dio, giacché l’universo è stato creato da un’esplosione, si lascia detonare recitando la biblica frase “sia la luce!”. Nell’esplosione Pinback e Boiler vengono uccisi all’istante, Powell continuerà a vagare nello spazio all’interno della sua bara di ghiaccio, Talby andrà a finire negli Asteroidi della Fenice, gli stessi che amava contemplare dalla nave, e Doolittle cavalcando a mo’ di surf un pezzo di relitto della Dark Star, lui che era un ex-surfista di Malibu, cadrà verso la stella che erano venuti a distruggere.
Dark Star è il lungometraggio d’esordio di John Carpenter e a una prima esamina potrebbe sembrare molto distante dai lavori successivi ma in realtà contiene in nuce alcuni degli stilemi e temi ricorrenti che vedremo sviluppati nelle sue opere successive. Intriso com’è d’ironia, umorismo (mai più riproposto in questa caustica dose) e controcultura dell’epoca, si avvicina molto a essere una parodia, soprattutto di 2001: odissea nello spazio, evidente il rimando alle discussioni tra Bowman e HAL del capolavoro di Kubrick, e anche del Dottor Stranamore, nella cavalcata finale di uno dei protagonisti verso la morte, ma che non rinuncia a momenti d’introspezione e altri carichi di tensione. Le scene dell’inseguimento della ridicola creatura aliena, sono comunque girate in modo da infondere vera suspense. Il rapporto uomo-macchina è poi affrontato in modo serio e, ritornando alla discussione tra Doolittle e la bomba numero 20, anche con sottili considerazioni filosofiche.
La scenografia, molto naïf, tradisce l’economia con la quale il film fu realizzato ma anche la grande capacità e inventiva di Carpenter di realizzare ambienti credibili e pieni di dettagli con materiale di scarto.
Come sarà usuale nei film successivi, anche la colonna sonora, perlopiù elettronica, fu composta dallo stesso Carpenter. Nella canzone suonata durante i titoli di apertura e di chiusura, Benson, Arizona, esempio di country spaziale, le parole furono scritte di Bill Taylor e fu cantata da John Yager, un altri amici di college del regista.
Oltre che di Carpenter, Dark Star rappresenta l’esordio cinematografico di un’altra personalità di rilievo del cinema fantastico a venire, Dan O’Bannon. I due si erano conosciuti all’University of South California e proprio come saggio di fine corso era nato il progetto di un mediometraggio di circa quaranta minuti che inizialmente doveva intitolarsi The Electric Dutchman e che in seguito, dopo varie traversie produttive, fu gonfiato fino alla durata di un lungometraggio. Più tardi O’Bannon si sarebbe lamentato del risultato finale affermando:
“Avevamo quello che sarebbe stato il film studentesco più impressionante del mondo e divenne il film professionale meno impressionante del mondo.”
[Let There Be Light: The Odyssey Of Dark Star, film documentario del 2010]
Negli anni l’amicizia tra Carpenter e O’Bannon sarebbe venuta meno e la diatriba sull’effettiva paternità dello script del film sarebbe stata uno dei loro contenziosi. Il concept originale dovrebbe essere di Carpenter, che rende omaggio a uno dei cult movie d’infanzia Il mostro dell’astronave di Edward L. Cahn (It! The Terror from Beyond Space, 1958), con O’Bannon che oltre ad interpretare uno dei protagonisti, avrebbe contribuito ad arricchire la trama dei momenti più divertenti. Sia come sia, O’Bannon in seguito riproporrà alcune elementi di Dark Star, viaggiatori spaziali che sembrano camionisti che lavorano per un’azienda e un alieno assassino a spasso per un’astronave, nella sceneggiatura del ben più famoso Alien di Ridley Scott (1978) e alcune suggestioni riemergeranno anche ne La cosa di Carpenter (1982), quasi a voler parafrasare lo stesso O’Bannon che se non si riesce a far ridere il pubblico, forse si può farlo urlare (“If I can’t make them laugh, maybe I can make them scream”, Dan O’Bannon).
Dark Star (Id., USA 1974, 83’, C). Regia di John Carpenter. Sceneggiatura di John Carpenter e Dan O’Bannon. Con Dan O’Bannon (Pinback), Dre Pahich (Talby), Brian Narelle (Doolittle), Cal Kuniholm (Boiler), Joe Saunders (Powell).
DARK STAR “- Tu come lo sai che esisti? Come lo giustifichi oggettivamente? - Penso dunque sono.”
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La Fantascienza Cinematografica – la seconda età dell’oro: intervista all'autore del saggio, Roberto Azzara
La Fantascienza Cinematografica – la seconda età dell’oro: intervista all’autore del saggio, Roberto Azzara
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INTERVISTA A ROBERTO AZZARA.
https://kippleblog.wordpress.com/2018/06/23/la-fantascienza-cinematografica-la-seconda-eta-delloro-intervista-allautore-del-saggio-roberto-azzara/
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LA FANTASCIENZA CINEMATOGRAFICA. LA SECONDA ETÀ DELL'ORO -1977/1989-
LA FANTASCIENZA CINEMATOGRAFICA. LA SECONDA ETÀ DELL’ORO -1977/1989-
Il saggio di Roberto Azzara ripercorre la storia della fantascienza cinematografica più fica che ci sia. Date un’occhiata qui sotto, nell’articolo anche alcune illustrazioni di Roberta Guardascione. Introduzione di Michele Tetro e Giovanni Mongini.
Luke Skywalker, Darth Vader e i duelli a colpi di spade laser; i diafani alieni di Spielberg; Deckard e il replicante Roy sotto la pioggia;…
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“Sai quando un razzo è pronto, ma non sai quando un uomo è pronto.”
Anno 2069, un satellite artificiale scopre l’esistenza di un pianeta con un orbita simmetrica alla Terra, ma dal lato opposto del Sole, quindi praticamente invisibile ai telescopi terrestri. L’Eurosec, fittizia agenzia spaziale europea immaginata sei anni prima che ne fosse effettivamente istituita una, in collaborazione con la NASA, decide di inviare una spedizione sul pianeta. A bordo della Phoenix ci sono l’americano Glenn Ross e l’inglese John Kane, mantenuti in stasi per quasi tutta la durata del viaggio e risvegliati solo in prossimità della meta. Una volta in orbita, la navetta staccatasi dalla Phoenix per atterrare ha un incidente e precipita sul pianeta sottostante. Kane rimane ucciso mentre Ross si risveglia in un ospedale davanti allo stesso personale che ne aveva organizzato il volo, come se non fosse mai partito. Secondo loro la Phoenix è rientrata sulla Terra nella metà del tempo previsto e non si spiegano il come ciò sia stato possibile. L’astronauta sembra trovarsi in un mondo del tutto simile alla Terra, ma in modo speculare. Le scritte, per esempio, sono per lui leggibili solo se riflesse su di uno specchio e gli organi interni degli abitanti sono in posizione invertita rispetto alla norma. A Ross sembra di impazzire, di ogni persona che conosce esiste in quel mondo un doppio, e la stessa cosa succede al proprio gemello giunto sulla “sua” Terra in modo analogo. Lo stesso Ross spiega in un dialogo a Jason Webb, funzionario dell’Eurosec, durante uno dei numerosi interrogatori:
“Quello che sto per dirti è pazzesco, assurdo, ma è l’unica teoria che si accordi con i fatti: secondo me siamo di fronte a un duplicato della materia. In altre parole, ogni singolo atomo, ogni molecola che esiste qui ha un suo duplicato qui (indicando su uno schermo le immagini dei due pianeti gemelli in orbita attorno al Sole, n.d.r.), soltanto che è a rovescio. Perciò quando ho lasciato la Terra per andare sul nuovo pianeta, un altro uomo è partito dal nuovo pianeta, nello stesso momento esatto, per venire sulla Terra, un altro colonello Ross. L’uomo che tu conosci come Ross, in questo momento si trova sul nuovo pianeta in una stanza identica, tranne per il fatto che è rovesciata e parla con un identico Jason Webb, il quale è seduto sopra una sedia identica e si tocca le mani esattamente come stai facendo tu. (…) Quello che sto cercando di dirti è che i due pianeti hanno una corrispondenza fisica, uno è l’immagine speculare dell’altro ma, a differenza delle immagini di uno specchio, esistono entrambi. Per ogni persona su uno dei due pianeti, esiste una copia che vive sull’altro. Ma non capisci? Fino a pochi giorni fa, io e te non ci eravamo incontrati mai!”
Webb, dopo ulteriori esami, si convince della veridicità della sconvolgente teoria e decide di rimandare l’astronauta a casa per mezzo della Phoenix, rimasta nel frattempo in orbita. L’astronave, però, durante la missione di rientro si schianta sulla base dell’Eurosec, distruggendo tutte le prove relative all’allucinante vicenda. L’unico sopravvissuto al disastro è Jason Webb che trascorrerà gli ultimi anni della sua vita in un ospedale psichiatrico, in quanto nessuno crederà alla sua storia. Il film finisce con la scena dello scienziato che si schianta con la propria sedia a rotelle contro un grande specchio della casa di cura, frantumandolo in mille pezzi.
Doppia immagine nello spazio è il primo passo compiuto dalla coppia composta da Gerry e Sylvia Anderson, famosa per le serie televisive realizzate con marionette animate come Stingray (1964-1965), Thunderbirds (1964-1966) e Captain Scarlet and the Mysterons (1967-1968), di passare alle produzioni con attori in carne ed ossa. In seguito arriveranno i cult UFO (1970-1971) e Spazio 1999 (Space 1999, 1975-1977). Proprio di UFO il film può essere considerato un precursore, visto che ben undici attori del cast presero in seguito parte alla popolare serie. Gli attori Ed Bishop e George Sewell per esempio, il futuro comandante Straker e colonnello Freeman di UFO, interpretano rispettivamente David Pulson, un rappresentante della NASA, e Mark Newman, addetto alla sicurezza dell’Eurosec. A interpretare il protagonista c’è invece Roy Thinnes, visto nell’altra serie fantascientifica Gli invasori (The Invaders, 1967-1968). Inoltre, in UFO confluirono e furono utilizzati diversi modellini e le futuristiche automobili opportunamente riverniciate, l’ottima scena del lancio della Phoenix e spezzoni della suggestiva colonna sonora di Barry Gray.
Nonostante l’assunto scientifico sia abbastanza assurdo (una contro-Terra speculare rispetto alla nostra) e alcune illogicità interne (come fanno i due astronauti sulla Phoenix a non accorgersi che il pianeta che stanno esaminando ha una conformazione continentale identica alla Terra? Perché la gente di questa Terra che scrive in modo speculare, non parla anche al contrario?), il film mette in scena comunque una storia originale e ricca di fascino che risente indubbiamente l’influenza del capolavoro di Stanley Kubrick 2001: odissea nello spazio, soprattutto nelle tematiche filosofiche e nell’accuratezza visiva e tecnica (ad esempio, in entrambi i film, nelle scene ambientate nello spazio, non vi sono, giustamente, effetti sonori). Gli effetti speciali, realizzati da Harry Oakes, sono infatti ben realizzati, arricchiti dall’usuale cura nei dettagli dei modellini delle produzioni degli Anderson, qui accreditati anche della sceneggiatura.
Interessante anche lo sviluppo del tema delle incognite del viaggio spaziale, dei misteri del cosmo e quello psicoanalitico del Doppelgänger, esplicitato sin dal titolo originale (in America il film uscì invece come Journey to the Far Side Of The Sun), termine di origine tedesca che indica il proprio duplicato o sosia, perlopiù malvagio, comunque diverso e opposto nel carattere, che nelle leggende è sovente presagio di morte.
Il concetto di una Terra gemella è stato in seguito utilizzato nel film televisivo The Stranger (1973), pilot di una serie poi mai realizzata, e in Another Earth (2011), film di Mike Cahill dove però il doppione della Terra fa solo da sfondo alle vicende della protagonista. Gli Anderson riproporranno il tema del doppio anche in Un altro tempo, un altro luogo (Another Time, Another Place, 1976), episodio della prima stagione di Spazio 1999 dove però il fenomeno riguarderà la Luna.
Come scritto sopra, dal punto di vista dei contenuti e della realizzazione, fatti i dovuti distinguo, Doppia immagine nello spazio non aveva nulla da invidiare alle più celebrate opere di fantascienza del periodo come 2001: odissea nello spazio o Il pianeta delle scimmie, usciti l’anno prima, ma fu comunque un insuccesso commerciale e ancora oggi non è ricordato più per essere stato il film di passaggio degli Anderson dalle marionette alle serie live action, piuttosto che come opera autonoma e originale che meriterebbe un posto di rilievo all’interno della storia della fantascienza cinematografica.
Doppia immagine nello spazio (Doppelganger, GB 1969, 99’, C). Regia di Robert Parrish. Sceneggiatura di Donald James, Gerry Anderson e Sylvia Anderson. Con Roy Thinnes (Colonnello Glenn Ross), Ian Hendry (Dottor John Kane), Patrick Wymark (Jason Webb), Lynn Loring (Sharon Ross), Loni von Friedl (Lisa Hartman), Ed Bishop (David Pulson), Philip Madoc (Dottor Pontini), Franco Derosa (Paulo Landi), George Sewell (Mark Newman).
DOPPIA IMMAGINE NELLO SPAZIO “Sai quando un razzo è pronto, ma non sai quando un uomo è pronto.”
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“NO! Non andare lì! Non devi morire! Nessuno deve morire a 30 anni! Potresti vivere! VIVERE! Vivere e invecchiare! L’ho visto! “
Anno 2274, l’umanità, dopo una catastrofe nucleare, vive in una città circoscritta all’interno di una cupola ed è governata da un computer con potere di vita e di morte sulla popolazione. Le nascite sono infatti regolate attraverso la clonazione di soggetti scelti e, per contenere la sovrappopolazione, ricorre all’eutanasia forzata al raggiungimento dei trenta anni di età. La città è completamente automatizzata e autosufficiente, gli abitanti vivono in modo agiato e al compimento dell’età stabilita, indicata da un cristallo installato nel palmo della mano, si presenta spontaneamente al Carousel, una cerimonia pubblica al termine della quale la popolazione crede che il soggetto si reincarni in uno dei nascituri per ricominciare un nuovo ciclo vitale. Alcuni degli abitanti tentano comunque di sottrarsi al Carousel, sospettando, a ragione, che non vi sia nessuna reincarnazione e che la cerimonia serva solo a mantenere costante il numero della popolazione. Per questo motivo esiste una speciale forza di polizia, i cui agenti sono denominati sandmen, incaricata di cercare ed eliminare i fuggitivi (i runners). Logan 5 (cioè il quinto clone del genotipo Logan), insieme al suo migliore amico Francis 7, è uno degli agenti più affidabili e zelanti. Il sistema centrale di controllo gli affida la missione di scovare, infiltrarsi e smantellare una rete sovversiva responsabile della fuga di millecinquantasei dissidenti. Essi troverebbero rifugio in un luogo misterioso chiamato Il Santuario, un luogo mitico dove potranno vivere oltre i trent’anni previsti. La missione, codificata “Procedura 033-03”, deve essere mantenuta segreta e, per rendere la situazione più credibile, con una procedura chiamata retrogram, il computer riprogrammata la sua scadenza, togliendogli gli ultimi quattro anni di vita che gli restavano da vivere prima del Carousel. A questo punto a Logan non resta che diventare a sua volta un runners, braccato dagli ex-colleghi, ignari della missione, tra cui l’amico Francis. Logan fa quindi la conoscenza di Jessica 6, una ragazza che funge da contatto con i dissidenti. La ragazza si innamora di lui e decide di seguirlo nella fuga. Dal canto suo Logan, che già manifestava dei dubbi su tutta la situazione, abbandona il doppio gioco e diserta dalla dalla missione, cercando di raggiungere con Jessica il Santuario. Durante la fuga arrivano nei sotterranei della città e qui fanno un’amara scoperta. La corsa di tutti i fuggitivi si è interrotta qui, uccisi dal solitario robot Box e trasformati in derrate alimentari per gli abitanti della città, le cui scorte di cibo si erano da tempo esaurite. Riusciti ad arrivare all’esterno della cupola, si trovano davanti un paesaggio post-atomico dove però la vita è ancora possibile anche senza la protezione della cupola. Tra le rovine di Washington per la prima volta incontrano un anziano, Ballard e, non prima dello scontro risolutivo con Francis nel quale quest’ultimo muore, con lui tornano verso la città. Qui Logan viene catturato e portato a giudizio davanti al computer. Con un espediente che appare come la parte più debole di tutta la storia, il protagonista manda in corto circuito la macchina con la sua forza di volontà e un ben assestato colpo di pistola, provocando una reazione a catena che porta alla distruzione della cupola. Gli abitanti vedono per la prima volta il mondo esterno e, incontrando Ballard, scoprono che un altro tipo di vita è possibile.
La fuga di Logan, tratto dall’omonimo romanzo distopico di William Francis Nolan e George Clayton Johnson uscito nel 1967, è uno dei film visivamente più intriganti e di maggior successo degli anni Settanta, anche grazie all’apporto degli effetti speciali di Glenn Robinson, Matthew Yuricich e L. B. Abbott, premiati con un Oscar. I teatri di posa dove fu girato, per fare un esempio, furono all’epoca i più grandi del mondo. Una città dove tutti sono giovani e belli, ben nutriti e che svolgono una vita agiata (“Benvenuti nel 23 ° secolo: Un mondo perfetto di totale piacere, con un solo problema…”, era la frase di lancio del film). Una vita vissuta però nell’inconsapevolezza di ciò che è la realtà dei fatti. Una distopia inizialmente camuffata da utopia. Una perfetta metafora del potere (rappresentato dal computer centrale) derivante dal mantenere nell’ignoranza la popolazione, che vive così senza dubbi né aspettative, prodromo dell’edonismo che caratterizzerà gli anni Ottanta. La gente si presenta spontaneamente all’eutanasia di stato convinta di reincarnarsi in una nuova vita, allegoria di un altro potere, quello persuasivo e consolatorio della religione.

Forse un po’ scontato nel tema che riprende alcuni topoi classici delle storie distopiche, e post-apocalittiche, il film non manca di momenti suggestivi, come la scena del primo impatto dei due fuggitivi con la vista del Sole (“Che cos’è”, dice Jessica, “Non lo so ma qualunque cosa sia, riscalda”, risponde Logan), la vista di Washington coperta da vegetazione selvaggia e l’incontro con l’anziano Ballard, interpretato da uno straordinario Peter Ustinov. Michael York interpreta il protagonista, mentre la bella Jenny Agutter veste i panni succinti di Jessica. Nel cast è presente anche Farrah Fawcett, all’epoca star della serie Tv Charlie’s Angels, e il figlio del regista, Michael Anderson Jr..
Il regista del film, il britannico Michael Anderson recentemente scomparso, si ricorda anche per la prima riduzione cinematografica di un altro romanzo distopico, 1984 di George Orwell (1948, probabilmente il più famoso del genere) Nel 2000 non sorge il sole (1984, 1956). Altre sue incursioni nella fantascienza sono state L’uomo venuto dal Kremlino (The Shoes of the Fisherman, 1968) e la miniserie televisiva Cronache marziane (The Martian Chronicles, 1980).
Rispetto al film, il romanzo originale di Nolan e Johnson (uscito in Italia lo stesso anno del film, nel 1976) poneva a 21 anni l’età del Carousel, il Santuario era un satellite in orbita attorno Marte ed era molto più esplicito dal punto di vista della violenza e del sesso. Il solo Nolan ne scrisse due sequel, Il mondo di Logan (Logan’s World, 1977), Logan’s Search (1980) e Logan’s Return (2001), tranne il primo, tutti inediti in Italia.
Visto il successo della pellicola di Anderson, nel 1977 La fuga di Logan approdò anche sul piccolo schermo con una serie televisiva che riprendeva la storia dall’inizio con altri attori e che prendeva altre strade. Ad affiancare i fuggitivi Logan (Gregory Harrison) e Jessica (Heather Menzies), che qui si muovono per mezzo un hovercraft a energia solare piuttosto che a piedi, fu introdotto l’androide REM (Donald Moffat). La città, anonima nel film, chiamata la Città delle Cupole nella serie, non era retta da un computer ma da un misterioso (e incongruo) Consiglio degli Anziani. Infine la datazione fu spostata da 2274 al 2319. Dal film furono riciclati costumi e anche alcune sequenze, soprattutto quelle con effetti speciali. Ogni episodio portava i protagonisti, sempre in fuga da Francis e dagli altri sandmen, a contatto con vari gruppi di sopravvissuti, ognuno organizzatisi in forme di governo divere. La ripetitività delle storie portò però la serie a interrompersi dopo soli 14 episodi.

La fuga di Logan (Logan’s Run, USA 1976, 120’, C). Regia di Michael Anderson. Sceneggiatura di David Z. Goodman dal romanzo di William F. Nolan e George Clayton Johnson La fuga di Logan (Logan’s Run, 1967). Con Michael York (Logan 5), Jenny Agutter (Jessica 6), Richard Jordan (Francis 7), Roscoe Lee Browne (Box), Peter Ustinov (Ballard), Farrah Fawcett (Holly), Michael Anderson Jr. (Doc).
LA FUGA DI LOGAN “NO! Non andare lì! Non devi morire! Nessuno deve morire a 30 anni! Potresti vivere! VIVERE! Vivere e invecchiare!
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