zeropregi
zeropregi
zeropregi
326 posts
appunti disordinati e contrari
Don't wanna be here? Send us removal request.
zeropregi · 7 years ago
Text
Le (5) Stelle della continuità
Non erano bastati alcuni sgomberi abitativi per lanciare l'emergenza romana riguardo l’attitudine di quest'ultima amministrazione comunale rispetto agli spazi sociali e abitativi. Del resto non era bastata neanche la vaghezza con cui la giunta Raggi prendeva posizione riguardo lo sgombero richiesto da ATAC di Lucha Y Siesta, la casa delle donne occupata e autogestita verso Cinecittà, finché l'assessora Guerrini non ha messo in discussione anche la Casa Internazionale delle Donne, storica sede nata nel 1987, quando «il Movimento Femminista Romano, a seguito dello sfratto dalla Casa delle Donne di Via del Governo Vecchio – Palazzo Nardini occupa la parte seicentesca di Via della Lungara, 19 rivendicando la prevista destinazione e dando inizio ad una lunga trattativa con il Comune per il restauro e la consegna dell'edificio all'associazionismo femminile».
Il post di 2 giorni fa di Virginia Raggi riguardo la CID [Casa Internazionale delle Donne] è un atto di accusa, come sempre, verso chi dice che la giunta Raggi vuole sgomberare le oltre 40 associazioni che hanno sede in via del Buon Pastore:
«In questi giorni ho letto molti articoli e ricevuto molti messaggi secondo i quali questa amministrazione vorrebbe chiudere la Casa delle Donne. Ebbene, chiariamo subito che questo è FALSO! Questa amministrazione non intende chiudere la Casa delle Donne né intende procedere a sgombero. E questo viene anche confermato dalla lettura della mozione votata in aula dai consiglieri M5S il cui contenuto è stato strumentalmente capovolto per far passare la tesi contraria».
Tra i commenti più votati al post su FB della sindaca si legge:
«Solita ipocrisia piddina, utilizzano un tema civile per sollazzarsi a Trastevere in posizione di pregio, con corsi a pagamento e ristorazione, quindi di lucro, se poi non pagano affitto per 15 anni urlano al comune insensibile. Ormai so letti, si spostassero così pagano anche meno affitto e magari sono più utili».
«Siamo il solito paese di pulcinella...si accumulano centinaia di migliaia di euro di debito per anni con gli occhi chiusi di chi oggi difende l'indifendibile e poi si lanciano accuse contro chi cerca di ricondurre il tutto ad un minimo di correttezza e rispetto delle regole...senza parole, solo sdegno».
Al netto del fatto che i commenti sulle pagine FB hanno il valore che hanno, c'è da dire che questi fan della Raggi riassumono molto del pensiero dell'elettore/trice del M5S. A parte la retorica sui “piddini” – che interessa poco – aver spostato dal piano politico al piano legalitario del “rispetto delle regole” ogni discussione è la mannaia con cui amputare qualsiasi ragionamento. Ed è colpa di tutti, molti, anzi, spesso anche tra gli stessi che oggi difendono la CID o, ad esempio, “Il Grande Cocomero” che, da 25 anni, nel quartiere di San Lorenzo affianca la crescita di bambini e ragazzi diversamente abili o con disturbi psichici e che è ugualmente minacciato di sgombero dal Comune.
Roma è una città senza opposizione al M5S. Il motivo è abbastanza semplice: escluso sulle olimpiadi e (appena) su ATAC, non c'è discontinuità tra la giunta 5S e le precedenti. Del resto a questa kafkiana situazione degli spazi sociali sotto sgombero per “affitti arretrati” ci siamo arrivati grazie alla delibera 140 del 2015 (giunta Marino), passando per Tronca. E la retorica con cui media e politica accompagnarono queste prese di posizione fu sposata da tutti, quasi nessuno escluso: non a caso il PD non ha potuto che astenersi nella votazione della mozione sulla CID, che dà seguito appunto a una delibera del PD stesso. Tornare indietro, smontare l'impianto giustizialista/legalitario o post-ideologico, termine con cui fu salutato con entusiasmo il M5S, è compito arduo. Del bluff sul “benecomunismo” del M5S parlammo già qui ma basterebbe andare a parlare con i comitati contro “il Pentagono italiano” a Centocelle per capire che il “decide il cittadino” è un altro di quei retorici discorsi che hanno fatto vincere i grillini tanto quanto il “decide il Popolo” di Salvini, oggi, è solo l'altra faccia della medaglia.
Del resto la sparizione del piano della politica è evidente anche dal discorso della giunta Raggi e dei suoi sostenitori secondo cui la mozione contro la CID non sarebbe altro che l’obbligatoria attuazione della delibera 140: quasi che, per la mozione Guerrini (che tra l’altro accusa la CID più che altro di non aver creato imprenditoria femminile, svalutandone quindi i servizi che essa offre gratuitamente alle donne – centro antiviolenza, assistenza legale, visite ginecologiche – in supplenza del servizio pubblico), si trattasse di una pratica burocratica e non di una precisa scelta politica, a cui non è estraneo probabilmente il valore economico dello stabile in questione; quasi che una giunta comunale non avesse il potere di modificare la delibera di una giunta precedente.
Senza considerare che è altrettanto politica la scelta di eliminare – al di là della riappropriazione o meno di uno stabile – un’esperienza finora totalmente autogestita e, quindi, autonoma: quando la Raggi scrive di ritenere necessario «creare un tavolo di lavoro all’interno del quale accogliere una pluralità di voci, di diversa provenienza ed età, non escluse le rappresentanti della Casa delle Donne, che insieme all’amministrazione disegnino il nuovo progetto della Casa delle Donne che successivamente sarà oggetto di una futura procedura ad evidenza pubblica per consentire ai diversi soggetti e diverse associazioni, di partecipare e lavorare per la crescita delle donne, di tutte le donne, della città di Roma», cosa intende di preciso? A quale “futura procedura” fa riferimento? Quale sarà l’autonomia politica che la CIDD può continuare ad avere al suo interno? Al di là del famoso “rispetto delle regole”, le “cittadine” che la animano possono davvero continuare a “decidere”?
Ma anche quando l’amministrazione Raggi prova a dar formalmente seguito alla sua retorica del «decide il cittadino» i risultati non più che altro surreali. È questo l’esempio della destinazione dei 17 milioni ricavati per il rinnovo della convenzione su piazza dei Navigatori: la giunta Raggi, infatti come fece Tronca, ha barattato una nuova concessione agli immobiliaristi per la costruzione di un terzo palazzone destinato all’edilizia residenziale privata (palazzo che sarebbe potuto entrare, invece, nel patrimonio immobiliare del Comune) con 17 milioni di euro, da spendere sul territorio dell’VIII Municipio e, sulla destinazione di una parte di questo budget, ha proposto una fumosa consultazione dei cittadini. Se, da un lato, è stata annunciata con sommo gaudio la possibilità dei cittadini di proporre online la loro idee su come spendere questi soldi, dall’altro è stato chiarito che, parallelamente, «sarà attivato un focus group per cui veranno estratti a sorte 50 cittadini su un campione rappresentativo che potranno proporre idee parallelamente alla consultazione online». Su come sarà scelto questo “campione” non è dato sapere niente: insomma, una procedura poco trasparente nella quale si finge che siano i cittadini a “decidere” quando in realtà gli vengono affiancati altri “cittadini” che, evidentemente, sono più “cittadini” di loro. E sul come si è  arrivati a decidere questa modalità di consultazione ovviamente non è stato consultato nessuno.
Il cittadino in realtà non decide nulla, soprattutto quando si oppone alla privatizzazione degli spazi pubblici o che lo erano stati pubblici. Del resto Roma (in questo caso Zingaretti) ha appena venduto a un privato Palazzo Nardini, la prima storica occupazione del Movimento Femminista, eppure nessuno ha consultato “il cittadino” riguardo l'ennesima svendita di un bene nel centro storico gentrificato. Nessuno chiede ai cittadini di decidere circa il futuro del deposito ATAC di Trastevere (o di San Paolo due volte occupato dai Movimenti), altro bene pubblico di recente messo in vendita nella stessa zona. Nessuno si è opposto all'ultima ridicola delibera “contro la movida selvaggia” proposta dalla giunta (che prevede tra l’altro un misterioso “mini-daspo” dal centro storico per chi viene sorpreso ubriaco), anzi, nei 2 municipi governati dal PD, hanno provato a scavalcare la delibera Raggi con una ancora più restrittiva.
Al centro, di nuovo, c'è proprio il rapporto che hanno le istituzioni con lo spazio pubblico, da anni ormai frontalmente sotto attacco. La chiusura, la svendita,la militarizzazione, la limitazione dell'utilizzo dello stesso sonopoliticamente accettate da destra a sinistra. Per le ragioni diverse, ovviamente, che spaziano da quelle securitarie a quelle monetarie.
In una dichiarazione di pochi mesi fa l'assessora per Roma Semplice, Flavia Marzano, parlava di «790.000 euro di sconto all'anno!» a proposito della CIDD dimenticando che quello “sconto” non è uno sconto ma solo l'abbattimento del canone d'affitto al 20%,stabilito dalla delibera 26 del 1995per tutte le realtà sociali ospitate in immobili del Comune di Roma. Oltretutto Marzano ha sottolineato il fatto che «sono più di 3000 mq di edificato, in una zona pregiata di Roma»
La zona pregiata di Roma, Trastevere, è un ex rione popolare che negli ultimi 20 anni ha visto questo quartiere trasformarsi in un divertimentificio per romani e turisti, espellendo i propri abitanti, sostituendoli come in un normale processo di gentrificazione. Il punto è che sottolineare che la CID, che ottenne quello spazio dopo un percorso di lotte durato oltre un decennio, si trovi in una zona pregiata di Roma è un'affermazione molto più politica di quanto si pensi. Soprattutto è un'affermazione che nasconde un'idea di città condivisa dal grosso degli schieramenti politici da destra a sinistra: quella secondo cui gli edifici pubblici a disposizione delle realtà sociali e associative dei cittadini possono essere solo quelli fatiscenti alla periferia della città, mentre il centro va “messo a valore” o quanto meno ripulito da tutte le presenze che mettano in evidenza le contraddizioni sociali della città, fossero quella di coloro che frugano nei cassonetti (il famoso «accattonaggio molesto») o quella di chi visita e assiste gratuitamente le donne. 
Del resto come in centro la Raggi ha disposto il divieto dell'apertura dei compro-oro, perché chi si occupa di violenza sulle donne deve stare in centro? Magari meglio in periferia dove secondo la Raggi, a proposito di donne e violenza, «non vi è dubbio alcuno che soprattutto nelle periferie vi siano condizioni di povertà molto più estese rispetto agli anni ’80; leggiamo quotidianamente di ragazze e donne bullizzate, maltrattate, violentate, ignorate, uccise». Non vi è alcun dubbio – afferma –, eppure basterebbe chiedere a chi lavora su donne e violenza se è davvero così: perché non serve una laurea in psicologia per comprendere quanto le forme della violenza sulle donne siano diversificate e stratificate e magari una sindaca che dice la sua sulla questione potrebbe provare a tenere in considerazione pure quelle meno visibili e clamorose, quelle su cui non si possono costruire allarmi securitari e che, pure, sono ben presenti a chi di violenza sulle donne si occupa.
Quindi passiamo dal discorso da immobiliarista della Marzano alla retorica classista sulle violenze nei confronti delle donne da parte della Raggi con un'enorme nonchalance e magari facendole passare per opinioni e non per posizioni politiche ben chiare. Ovviamente nessuno ha controbattuto né ieri alla Marzano né oggi alla Raggi. Magari andandosi a informare quanto poco finanzi i centri antiviolenza nelle tanto care periferie – dove infatti, con mille difficoltà, tali centri esistono – questa amministrazione comunale.
La difesa degli spazi pubblici, delle occupazioni abitative, rimangono temi centrali di un'opposizione che nessuna delle forze politiche presenti nel consiglio comunale può faresemplicemente perché è una partita aperta dai tempi delle giunte precedenti, da destra a sinistra, passando per Tronca, dove fondamentalmente c'è un'unità di vedute e intenti. Alla faccia dei cittadini o del Popolo, ovviamente con la P maiuscola perché così vale di più.
[Scritto nuovamente a 4 mani con autrice che vuol rimanere anonima]
11 notes · View notes
zeropregi · 7 years ago
Text
Contro Roma
Da inizio anno a Roma sono andati in fiamme diversi autobus, almeno una decina. Il fatto che ieri sia accaduto in centro, oltretutto nei pressi delle redazioni di alcuni quotidiani romani, ha reso questa notizia, normale per ogni cittadino della capitale, il dramma da prima pagina. Tra autisti eroi, esplosioni che non ci sono state, le migliori penne del paese si sono scatenate su Roma con brillanti articoli di opinione dalla vena comica.
Facciamo un passo indietro. Roma è una città amministrata malissimo. Non da ieri ma da anni. Manca qualsiasi forma di progetto pubblico per la città (del resto non è che l’Italia se la passi meglio eh) e l’ultimo che c’è stato è stato il “Modello Roma” di Veltroni basato su una crescita legata agli introiti immobiliari: quello che nel 2008 ha regalato ai palazzinari l’edificabilità di oltre 2mila ettari di terreno, non esattamente un modello encomiabile insomma. L’amministrazione di Roma sembra inseguire le emergenze: la pioggia, la neve, le buche, i rami che cadono, l’allerta terrorismo, la sicurezza, gli immigrati. Del resto  è in default da quasi una decina d’anni, soffre la trasformazione in atto e sta letteralmente implodendo: la premiata ditta Tronca prima e Raggi poi, le stanno dando il colpo di grazia. Se prima eravamo in agonia ora siamo un cadavere che puzza. Ma più di tutte una cosa puzza, terribilmente, il racconto della città e la retorica che ci gira intorno.
Roma è una città senza una vera opposizione sociale. I tentativi di opposizione dal basso finiscono in sgomberi e arresti da un po’ di tempo a questa parte. C’è tutto un popolo di poveracci, lavoratori/trici precari, che vive ai margini della città che ha capito che è meglio nascondersi che provare a prendere parola. Come biasimarli? Accanto a tutto questo Roma viene descritta, da chi dovrebbe fare informazione oppure opinione con la stessa retorica di un blog anti-degrado. Tanto che anche Roma Fa Schifo, blog di riferimento della stampa romana, ormai ha perso quella visibilità che lo portò solo 2 anni fa a incontrare insieme ai candidati sindaci. Il perché è facile, le pagine delle cronache romane ne hanno sussunto la retorica e il linguaggio, basti pensare all’ossessione con cui nelle ultime settimane larepubblicaroma si è concentrata sulle erbe alte a Roma.
Il giorno dopo l’ennesimo incendio di un autobus (il decimo da inizio anno) su Repubblica in prima pagina si legge Mr AntiCasta Sergio Rizzo fare un minestrone politico che parte dall’assenteismo in Atac (che con la disastrosa condizione dei mezzi pubblici non c’entra niente) passando per i Casamonica, la Romanina, arrivando fino alle buche. Buche che oltretutto nonostante il lancio di 2 mesi fa di Virginia Raggi che prometteva di chiudere «50 mila buche in un mese» (sarebbe curioso capire come le han calcolate) sono ancora quasi tutte sulle nostre strade. Ma non se ne parla, l’indignazione oggi si sposta su altro.
Del M5S sul blog ne abbiamo già parlato. Il bluff su beni comuni e partito con istanze di sinistra è durato il tempo per crearsi un alibi per votarli. Loro del resto stanno al benecomune come facebook sta alla trasparenza: tutto deve essere messo a profitto, come dimostra la recente presa di posizione delle consigliere 5s sulla Casa internazionale delle donne. Fatto sta che Raggi non ha opposizione in città se non dal basso. Media e politica istituzionale, esclusa la faccenda olimpiadi a Roma, muovono le sue critiche da destra. La città che hanno in mente i 5S non è diversa da quella che hanno in mente i vari partiti. Una città divisa in 2 che tende a escludere chi non ha abbastanza reddito per viverci. E non parliamo del centro ormai, come in altre città d’Europa, regalato al business del turismo, come evidenziato pure di recente da Antonello Sotgia e Rossella Marchini in La conquista del West.
Ad esempio qualsiasi persona di buonsenso di fronte alla comunicazione di Raggi sul «regolamento sulla Città Storica» (le maiuscole sono nel comunicato) dovrebbe far accapponare la pelle: un provvedimento necessario, a tutela di residenti, esercenti e cittadini. Stop a minimarket, friggitorie, negozi-suk (ma loro non sono comunque esercenti? ndz) e merce di cattivo gusto nel centro di Roma. Restituiamo legalità e decoro al cuore di Roma, alle sue attività storiche, alle sue tradizioni e alle sue aree di pregio. 
Merce di cattivo gusto sarebbe? Perché no i mini-market, visto che sono indispensabili per i turisti per acquistare merce a un prezzo sostenibile? Ma quali sarebbero le attività storiche? Nel frattempo l’assessore Meloni parlava di rilancio del “Made in Rome” che onestamente farebbe pensare più alla pajata o all’abbacchio allo scottadito che ad altro ma attendiamo delucidazioni.
Nel blog di Grillo, dove la Raggi fa anche comunicazione, spiega che «vogliamo riportare nelle vie centrali l’atmosfera unica dei laboratori artigiani, delle erboristerie, delle botteghe antiquarie […] fiore all’occhiello del Made in Italy. Un cambio di passo epocale che restituisce decoro alle zone più frequentate dai turisti». 
Ovviamente nessuno è sbottato a ridere di fronte a una roba del genere. Nessuno ha chiesto, tra chi fa informazione, a chi dovrebbero vendere i propri prodotti un’erboristeria o le librerie antiche (ma in che senso antica? boh), come se negli ultimi 20 anni il centro non si fosse trasformato in un enorme turistificio, con affitti alle stelle che hanno cacciato i pochi artigiani rimasti in zona insieme alla mancanza di residenti a cui riferirsi. Non ci vuole un economista. Tanto quanto non bisogna essere urbanisti per porre domande del genere. Nel regolamento della Raggi ovviamente ci sta anche il divieto di apertura per i compro-oro. Del resto loro devono continuare ad aprire nelle periferie cittadine, insieme a decine di agenzie di scommesse (gli uni accanto alle altre), perché in qualche modo bisogna pur andare in contro alla disperazione delle persone, no? Oltre al fatto che ci sembra giusto dare opportunità alle varie mafie di riciclare soldi. È economia anch’essa.
Fatto sta che la narrazione su Roma è sempre quella del “centro degradato” e mai della periferia abbandonata. Ricordate che dopo gli assalti al Cara di Tor Sapienza l’allora sindaco Marino insieme al gotha del PD si prese il preciso impegno di «riportare la cultura in periferia»? Ecco, in periferia non sono mai arrivati, escluso qualche settimana fa per la campagna elettorale: e manco la cultura ci è arrivata, visto per dire i crescenti tagli a istituzioni come quelle delle biblioteche comunali. Giornalisti, scrittori, intellettuali, coloro che fino a 20-30 anni fa ci raccontavano gli esclusi, hanno smesso di farlo: al limite preferiscono addentrarsi in grottesche rappresentazioni di quella che considerano l’annosa contrapposizione Roma nord vs Roma sud. Del resto non è manco così comodo o semplice arrivare a Torre Maura da Monti. Ci mancherebbe. Ma soprattutto quando quelle poche volte lo fanno, usano la retorica di cui si parlava poc’anzi, quella del «signora mia degrado decoro immigrazione e Atac non funziona perché ci stanno gli scioperi». E infatti leggendo l’ultima operazione editoriale di autori vari Contro Roma, da poco uscito per Laterza, abbiamo la conferma di quel che abbiamo appena sostenuto.
L’operazione si rifà chiaramente all’omonimo volume del 1975, in cui a prendere parola erano intellettuali come Alberto Moravia e Dario Bellezza, di cui vengono riprese le riflessioni. Il bello è che la rappresentazione di Roma che ne esce è esattamente la stessa, come se non fossero cambiate tanto la società italiana quanto Roma stessa: quella della città in rovina che è inadatta al ruolo di capitale o che, dopo 150 anni, rimane una “capitale incompiuta”. Una «grande bruttezza» determinata da puzza, degrado e rumore contrapposta alla «grande bellezza» (il film sul Roma più citato da chi fa opinione, insieme a Jeeg Robot).
Del resto, scrivere «contro Roma» utilizzando tali paradigmi è un genere letterario più che un’analisi politica o sociale: si può scrivere Contro Roma, ma se qualcuno scrivesse un Contro Napoli con le stesse semplificazioni sarebbe giustamente accusato di pregiudizi e antimeridionalismo.
Invece viene ritenuto pienamente legittimo ingaggiare alcuni (in molti casi quasi autonominati) intellettuali di oggi per scrivere contro Roma: e contro i romani, al solito cinici e cazzari (che magari lo siamo pure eh, ma più o meno di altri chissà). Salvo un paio di eccezioni (Christian Raimo, per dire, che infatti scrive un buon pezzo), parliamo di persone che vivono tra il centro (un centro compreso tra il Ghetto e il Pantheon) e Monteverde, irritati da quella che in nome del politicamente corretto rifiutano di definire esplicitamente «Roma plebea»: una prospettiva deformata e deformante, che quindi non può che fare appello alla retorica antidegrado. Poi negli ultimi anni eccezioni ci sono state, sia chiaro: Walter Siti è uno che le periferie le sa raccontare e infatti fa dire a uno dei suoi personaggi che «so' tanti che vengono a fa ricerche sulle borgate, e io je dico sempre famo a cambio ... si volete capì qualcosa delle borgate, ce venite a sta' du' anni e io me trasferisco a casa vostra». In Contro Roma, invece, non va così.
Abbiamo Nicola Lagioia – che pure in Esquilino. Tre riconognizioni (edizioni dell’Asino) sembrava aver preso atto dei limiti del discorso pubblico, che «a chi è fuori dal sistema non interessa affatto» – che ci parla di una Roma «fogna a cielo aperto» e «Mumbai d’Occidente» (che gli ha fatto Mumbai? Boh, ma è esattamente lo stesso paragone e la stessa retorica usata da Romafaschifo), da cui «qualcuno mi ha visto allontanarmi su una scialuppa mentre la nave affondava». Lagioia descrive poi i romani (ma poi chi sono i romani? Quanti romani da più di una generazione ci sono a Roma?) come orgogliosi del proprio «cinismo» conquistato attraverso i vari secoli: i romani sono cinici, quindi, alla Montesquieu, in virtù del clima che determina il carattere dei popoli. Magari più di cinismo si dovrebbe parlare di resilenza, ma è meglio continuare con le antiche narrazioni che non necessitano di dimostrazioni. Oppure meglio continuare a descrivere la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma come se fosse la stessa decadente e appiccicaticcia di vent’anni fa, senza tener conto del suo nuovo allestimento (2016): tanto a Roma non cambia mai niente, no?
Abbiamo Teresa Ciabatti che ci parla dell’aristocrazia romana (??). C’è Valerio Magrelli che ci dice di quanto siano offesi i cinque sensi di chi vive a Roma (lui vive al Ghetto, deduciamo dalla targa sulla mondezza che cita), nell’ordine da: mancanza di strisce pedonali (vista); dehors che levano spazio ai pedoni (tatto); puzza/gestione Ama (olfatto); la «distruzione cui sono andati incontro negli anni antichi ristoranti, pasticcerie, caffè» (gusto!!!); le molestie acustiche dovute all’uso di altoparlanti in strada per gli artisti di strada (udito). 
Ma visto che al grottesco non c’è limite, nel raccontino successivo Antonio Pascale ci racconta quanto lo irritino le continue manifestazioni nel centro di Roma (per fortuna che ormai sia sempre più difficile manifestare, eh!) e il traffico dovuto agli scioperi dei mezzi. Ma visto che lui è uno bravo bravo, è andato a visitare pure la periferia, lungo la Prenestina, dove quelli in motorino che «entravano nel proprio quartiere si toglievano il casco», e pure Tor Sapienza, dove «l’aria è mesta, lo si vede dai vestiti non di marca, dalle scarpe alla buona. […] E ci sono gli immigrati. Tanti, secondo alcuni, oltre ai campi rom. I cittadini se ne lamentano, spesso gli immigrati sono ubriachi e molesti, anche perché non sanno come passare la giornata, si buttano nei giardinetti». 
Giuseppe Culicchia identifica il problema di Roma nei «romani che sono diventati quelli dei film di Verdone», accompagnando a ciò l’annoso dibattito sull’uso dell’espressione «sti cazzi». E poi, ci dice Igiaba Scego in un pezzo tra il feticismo e lo splatter, non ci dimentichiamo della puzza sull’autobus affollato (che infatti a Londra e a Parigi, invece, odorano di violetta): non solo di alito e di ascelle, ma persino di sangue mestruale! Perché a Roma le mestruazioni vengono con «scoppi» più improvvisi che altrove, si vede.
Ecco, la scelta di parlare «contro Roma» in questi termini e di far propria la retorica anti-degrado è una scelta politica: parlare della puzza sull’81 (linea tra l’altro in dismissione) o del traffico per lo sciopero dei mezzi ma non della dismissione dei contratti per la manutenzione dei mezzi Atac o degli stipendi non pagati degli autisti Tpl è una scelta politica. È una scelta politica parlare dei dehors in centro e non dei fenomeni di gentrificazione e speculazione come quelli di cui è pioniera l’ex Dogana a San Lorenzo. È una scelta politica quella di parlare di chi abita in periferia e si toglie il casco appena entrato nel quartiere e non del fatto che Roma è una città in cui si contano 7mila persone in povertà estrema, 15mila persone senza fissa dimora, 50mila famiglie in emergenza abitativa (a fronte di 150mila case ufficialmente sfitte), uno sfratto per morosità ogni 279 abitanti (la media nazionale è di uno ogni 419) e 3.215 famiglie sfrattate dalla polizia nel 2016, un tasso di disoccupazione giovanile che supera il 40% e uno di disoccupazione generale che sfiora il 10%. Altro che le «scarpe alla buona» notate da Pascale a Tor Sapienza.
Del resto, dietro la «lotta al degrado» c’è in realtà la «guerra ai poveri». Non alla povertà, proprio ai poveri, quelli dall’aria mesta che sono gli oggetti delle uniche politiche che sembrano funzionare in città: quelle dell’esclusione, delle barriere a Termini (non contro il terrorismo, ma contro chi ci dorme), dello sgombero quotidiano del mercatino delle carabattole dei poveri a Porta Maggiore, delle retate contro i venditori di borse contraffatte. I neo-“intellettuali”, i giornalisti, gli opinionisti rafforzano proprio la retorica che dà corpo a tali politiche di esclusione e “invisibilizzazione” del disagio economico: in effetti parlare del supposto cinismo dei romani recuperando qualche vecchio luogo comune, della puzza e dei dehors richiede meno impegno e meno fatica che dare voce a chi – magari – il degrado, la scarsezza dei mezzi pubblici e il traffico li vive davvero, abitando a 5-10-15-20 km dal centro vetrina di Roma.
Quindi amici e amiche che avete deciso di lasciare Roma, la fogna a cielo aperto, fate pure, non saremo noi a fermarvi né a venirvi a cercare in centro città. Come recita un murales nel quartiere di Rebibbia: Qui ci manca tutto, non ci serve niente. Soprattutto quello che avete da offrirci.  [Scritto a 4 mani con autrice che vuol rimanere anonima]
40 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
A Sunday Smile @ilariabramato
3 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
La schiuma di certi giorni
1 note · View note
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Flowers
4 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Fab 137 & Wies // @letteraw
2 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Morte ai fedeli // @letteraw
3 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Ad ognuno la propria Bibbia
2 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Rosso Cremona
9 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Sottomissione
2 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Contenitore di pensieri notturni
1 note · View note
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Piazza Vittorio annoiata
2 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Ciao core
1 note · View note
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Love in Torpigna
2 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
True
3 notes · View notes
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
"True" autobiografia di Mike Tyson
1 note · View note
zeropregi · 10 years ago
Photo
Tumblr media
Tempi moderni
1 note · View note