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diggidiggitale · 10 years ago
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Capodanno 2012 | domenica 1 gennaio 2012 | Interzona
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Cerco di impressionarti coi numeri. 16 diggeis 16, con selezioni per tutti i palati: Cigno, Copper, GG eD Alessio, Miss Tomorrow e la Verde Anita che ti spacciano del sano Rock'n'Roll; Dj Zeta (che se sei venuto da queste parti la sera di halloween, mi sa che non ti devo spiegare che macello scatena sul dancefloor), Digga e Mr. Coffee che si occupano dei beats neri e grezzi e del soul-funkettone sapido; i sacerdoti della tecno dritta D.Iron, Lukas Widell e Dj Müll piazzano le loro mine electro; le istituzioni interzioniane John Marangoni & Jennifer Manzo e gli Yeah Fuckin' Yeah ti fanno arrampicare sui muri con le bordate indie-disco e le raffinatezze electro-dubstep. Cerco di impressionarti con le dimensioni. 3 sono le sale in cui trovi tutto questo ben di dio: mega salone per l'elettronica, la sala dove di solito ti ascolti i concerti per il rock e la black music, la saletta della zona bar con i suoni dilatati superlounge di decompressione. Cerco di impressionarti con quanto è cheap. Dal portafoglio ti escono 21 euri e ti devi fare la tessera di IZ e il primo giro te lo offriamo noi. Apriamo a mezzanotteemezza, giusto quando hai bisogno di una scarica di bassi che ti faccia scendere il bolo del cenone maledetto. Chiudiamo alle 6, giusto quando ti vengono le convulsioni perché sono quasi sei ore che stai ballando come un indiavolato. Ma, in tutta sincerità, non capisco perché dovrei impressionarti con tutti 'sti viaggi, quando semplicemente mi piacerebbe che stanotte ci fossi anche tu al magazzino 22 a festeggiare il diciannovesimo anno che Interzona alza la serranda!
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diggidiggitale · 10 years ago
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Jolly Jolly Woodhacker | venerdì 16 dicembre 2011 | Interzona
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Il folk psichedelico dei due marchigiani è davvero una folgorazione se non li hai mai incontrati sul tuo cammino. Lo spirito è sicuramente sincero spirito cantautoriale italico innervato di sostanziose influenze post grunge, psichedeliche e brit-pop (loro dicono British pop post-Blur). E' il caso di superare le barriere che definiscono i generi, perchè sarebbe davvero troppo ampio lo spettro di quanto convive nella musica di questa band: i Violent Femmes e i Blur - appunto - meno scontati, il tutto sotto una lieve patina retrò che ingentilisce e insaporisce il tutto. Sono in giro solo dal 2009, ma sono decisamente maturi sia dal punto di vista della capacità compositiva, assolutamente non banale, sia sotto l'aspetto dei loro originali live, mai uguali a se stessi.
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diggidiggitale · 10 years ago
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She Keeps Bees | venerdì 16 dicembre 2011 | Interzona
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Ok, lei tiene le api. Le api sono quelle tatuate sul braccio di Jessica Larrabee o forse sono solo un nomignolo che deriva dal suo cognome, fatto sta che, se ti rimandano all'immaginario bucolico dei prati fioriti e dei ciliegi in fiore, sei un pochetto fuori strada. Fai te che si sono conosciuti al bar, mentre lei, quella delle api, serviva a lui, Andy LaPlant, uno dopo l'altro, i drink che quella sera lo avrebbero storto. In combo i due newyorkesi - di Brooklyn - formano una indie folk band davvero verace: folk comunque urbano, potentemente venato di rock blues, con lei alla voce e alla chitarra e lui alla batteria. La leggenda, poi, vuole che Jessica oltre a servire i cocktail ad Andy, gli abbia pure insegnato a suonare la batteria: personalità debordante, la tipa, energia magnetica e carica di sensualità come la sua voce, corposa, densa di soul, fiera ma riservata. Seduce insomma, ma sa essere anche ben cruda. Troppo facile comparare un combo lui&lei così possente agli White Stripes coi ruoli invertiti, forse più adeguato il paragone con i The Kills o con i Black Keys: sicuramente la ferocia espressiva del loro afoso blues sotto acido e senza basso ha un suono sporco e crudo che accetta pochi paragoni a buon mercato. La cupa intensità della batteria di Andy è l'accompagnamento perfetto per l'incedere della voce di Jessica, che brucia lentamente come il primo sorso di whiskey quando ti scende in gola. E la voce, la voce di quella che tiene le api, è stata assimilata a tutte le più belle voci in circolazione e non più in circolazione: Cat Power, P.J. Harvey, Amy Winehouse, o per salire nell'Olimpo Janis Joplin, Patti Smith e Nina Simone…voce che è un richiamo indecente, licenzioso, potente e terribilmente sexy. Amano il fatto in casa, i due: propugnatori dell'home recording, le loro uscite discografiche sono sempre ascolti che lasciano una ricompensa all'anima. Poi, basta dare un occhiata veloce su Youtube per rendersi conto che la coppia è ancora meglio live: rumorosi e insinuanti con i loro pezzi che sono classici istantanei e con quel chitarra-batteria solidissimo che è un uno-due da knock out alla bocca dello stomaco.
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diggidiggitale · 10 years ago
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High Places | sabato 10 dicembre 2011 | Interzona
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Hanno incrociato le loro inquietudini di musicisti solisti nel 2006, cominciando assieme il progetto meglio noto con il moniker High Places. Sono originari di Bedford Stuyvesant - Brooklyn, NYC - ma di recente si son spostati sull'altra costa, nella città degli angeli. Loro sono il polistrumentista Rob Barber e la vocalist Mary Pearson, che si diploma in fagotto e poi si infila sulle perverse vie dell'elettronica indipendente: hanno nel carniere beats puliti e cristallini, linee ritmiche che escono da percussioni folk, campionamenti ricercatissimi e manipolazioni sonore di qualsiasi oggetto di uso comune sia capitato ai due tra le mani. In tutto questo la raffinatezza elettroacustica c'è (e si sente), ma non devi pensare che manchi una sana dose di ritmi da danze sincopate: il calore della kalimba e la familiarità tradizionale del banjo. Sono davvero abitutati a suonare in qualsiasi posto: dal Guggenheim di Manhattan ai vecchi depositi industriali di Santiago del Chile. E nei loro live esce la carica più viva della loro cruda energia: un propulsore di emozioni a tutto tondo, dallo spettro amplissimo. Il flusso di coscienza e l'abilità artigiana nel costruire i pezzi in sede di produzione diventa tangibile sul palco nelle manipolazioni della voce da mezzosoprano di Mary, quando canta processata da delay e riverberi, o nelle melodie infettive di Rob, che pesta sui pads della drum machine, che spippola i samplers e qualsiasi altra diavoleria si sia portato dietro per stendere il tappeto sonoro per la sua partner in crime. I due newyorkesi hanno nell'album dei ricordi dei signori tour con i Deerhunter, con gli Yatch e con il guru Dan Deacon: ma il presente, il qui ed ora, sono le date con cui presentano il loro ultimo lavoro uscito in ottobre per la Thrill Jockey. Conta l'attitudine e le capacità di video artisti e fotografi dei due, conta i loro concerti sempre rimpolpati da visuals e da una estetica molto attenta al piano visivo: ciò rende la data di stasera un'esperienza davvero multi sensoriale!
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diggidiggitale · 10 years ago
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Peter Kernel | sabato 3 dicembre 2011 | Interzona
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Un rock primario, dicono loro. Una musica che soddisfa gli istinti base dell'essere umano: solido beat con poche parole e volumi da sangue alle orecchie. Mezzi canadesi, mezzi svizzeri, i Peter Kernel sono il gruppo che non ti aspetti, l'outsider di lusso pronto a divenire il prossimo nome che fa il botto sulla scena. Pompano un arty noisy punk schizoide che flirta di sicuro con la pischedelia più genialmente folle spingedosi fino alle sponde di certo math rock piuttosto oscuro e tenebroso. Ritornelli che ti tentano, ultra addittivi come il loro ultimo lavoro: una vera e propria droga pesante che non ti molla, già dal primo ascolto. Pezzi ipnotici che sono ormai anthems, con passaggi calibrati e con una ricetta d'insieme che risulta alquanto equilibrata. Innegabile è la sensibilità cinematografica del terzetto: la bassista, quando lascia le 4 corde, fa la regista e la loro musica sarebbe perfetta per dare nuova vita a vecchi film muti. Indie rock col cervello collegato, laddove il termine indie non ha bisogno di virgolette, di declinazioni o di giustificazioni strane, perchè la matrice indipendente è di sana e robusta costituzione e non è un vezzeggiativo da hipsters, per i Peter Kernel: e questa loro disattenzione per i trend modaioli del momento li rende a pelle assai amabili. Tanta gavetta, comunque - quella sicuro - e l'esperienza di aprire il tour europeo dei Wolf Parade lo scorso anno. Influenze? Ti dico solo con chi hanno condiviso il palco (tra i tanti): Mogwai, Trans Am, Cat Power, Enon, Blond Redhead, Notwist…in giro per i club e i festival di tutta Europa, la dimensione live fa esprimere compiutamente il loro potenziale bellico. Panico! Panico!!
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diggidiggitale · 10 years ago
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Jack Oblivian | sabato 26 novembre 2011 | Interzona
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Definirlo un artista degno di tutto il tuo rispetto è sicuramente limitante. Scende direttamente dall’ altarino dei nostri idoli personali e si materializza sul palco di Interzona. Per capirci ti sto parlando di uno dei paladini del suono più marcio e lo-fi. Negli anni 90, Jack “Oblivian” Yarber, ha rappresentato, con le sue band, la parte più sudicia, cruda e primitiva del punk-blues, quella sorta di goffa definizione che si usa quando ci si trova davanti a del materiale musicale che corrode come il vetriolo. Poi sarà il fatto che se fai punk-blues e vieni da Memphis un po’ di coordinate per muoverti a tuo agio nel rock'n'roll le trovi facilmente, sarà che con The Oblivians – certo - ma anche con The Compulsive Gamblers, il buon Jack si è ritagliato sulla scena il ruolo di promotore di un suono malato che ha costantemente portato avanti con fierezza negli anni... il discorso comunque non cambia: abbiamo a che fare una leggenda vivente! Due leggende, se conti che l'eccentrico cantautore di cronache disperate che lo accompagna (Harlan T Bobo!), è – tipo – quello che ha arrangiato "the Greatest" di Cat Power. I due fanno un impasto di crudità e minimalismo rock&roll, di country grezzo e r&b delle origini coniugato con liriche da storytellers stradaioli che raccontano di amori andati male, di omicidi, di sbornie pese e cattive abitudini in genere. Musica americana delle radici, attitudine da rigattiere nella composizione, chitarre primordiali e lavoraccio di batteria: l’urgenza espressiva di Jack Oblivian va a braccetto con la sua estetica da girovago e le sue linee di basso sfonda petto. Sempre sotto il segno di una sana saggezza punk.
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diggidiggitale · 10 years ago
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Dj Pony - Feel Good Productions | venerdì 25 novembre 2011 | Interzona
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Pony Montana (questo il moniker completo del dj e producer piemontese) ha la vibra giusta per fare il set definitivo shakera culi. Il suo djing super eclettico ha scosso la scena dance a fine '90 con quella favolosa anomalia che sono stati i Feel Good Productions. Ha indagato poi la musica etnica, i beats più nuovi delle metropoli meticce, la jungle, la drum'n'bass, alla costante ricerca di nuovi mirabolanti cuts da proporre alle feste. Alla fine ha preso la mappa dei generi e degli stili e l'ha buttata nel cesso: ha trovato la sua via, il suo stile e di tutti i suoni che ha scoperto - come un bravo speziale - ha scelto i più infettivi per scatenare i dancefloor. La sua sensibilità nello sfogliare rare grooves e raffinatezze exotiche sugli scaffali dei negozi di dischi non poteva non approdare a rave parties in cui riusciva a spinnare veramente di tutto: dal funk alla leftfield music, dal raggae con corredo di dubbate giamaicane ai mantra asiatici addizionati a psyco-beats afro. Il mitico global beat, anzi, come dice lui, "global eclectronica": eclettismo elettronico che ha per patria il mondo intero.
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diggidiggitale · 10 years ago
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Radio Zastava | venerdì 25 novembre 2011 | Interzona
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E' la mescolanza culturale friuliana - che ha la testa sulle alpi austriache, i piedi nell'adriatico e il cuore nei balcani - che ha partorito questo sanguigno eptetto. L'adrenalina e la follia delle feste popolari dell'est europa li ha fatti crescere e una buona dose di improvvisazione e teatralità li ha definitivamente consacrati sui palchi di mezzo continente. Che poi... sui palchi… quando hai a che fare con una brass band come i Radio Zastava, i palchi risultano piuttosto stretti e i live unplugged lasciano i nostri, spesso e volentieri, liberi di scorrazzare tra il pubblico con il loro carico di strumenti da robivecchi. La Zastava era la fabbrica statale serba di armi e automobili: qui più che in fabbrica sei in un bordello di danze, di alcol, di sudore e furore balacanico. I brani tradizionali delle peggio osterie slovene mischiati con funambolismi klezmer a braccetto con una sorta di folk alpino dal coinvolgente piglio swing.
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diggidiggitale · 10 years ago
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Shigeto | venerdì 18 novembre 2011 | Interzona
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C'è una nuova schiera di super produttori che scuote il globo come una scossa tellurica. Epicentro la cara vecchia West Coast. Daddy Kev, Gaslamp Killer, Shlomo, Flying Lotus: tutta gente che ha definito un vero e proprio rinascimento del suono West, adottando una maniera totalmente nuova di usare i campioni e di produrre pezzi che già al primo ascolto sono distruttivi. Shigeto è uno dei soldati di questa schiera. Scompone le canzoni facendone emergere un funk distorto, composito, dove ognuno trova i suoi riferimenti culturali e musicali. Spinge glitch-hop, instrumental hip hop di qualità, musica da ballare intellligente, guidata comunque da un beat bello grezzo: è incredibile sentire come il suono nero della California del sud, filtrato dalla lezione della uk bass music, generi un nuovo e riconoscibilissimo sound profondo e violento. Zach Saginaw è un musicista di formazione jazz, un affamato scartabellatore di vinili sin dalla giovane età. Si avverte questo suo background nei due ep’s e nell'album d'esordio droppato su etichetta Ghostly International, si tocca nel sub bass dilaniato della sua dubstep, si sente nell'eclettismo di certe sue melodie jazzate, si recepisce distintamente nella maniacale attenzione al dettaglio dei suoi suoni. Un act decisamente indicato per chi è attento alle devianze più fertili della musica elettronica, ma anche per chi vuole sudare ballando su beats davvero coinvolgenti.
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diggidiggitale · 10 years ago
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Wattican Punk Ballet + Piatcions | sabato 12 novembre 2011 | Interzona
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Loro sono in due sul palco. Due tecno freaks a loro agio sia con la strumentazione analogica che con gli orpelli digitali. Sono Gaya, che canta da dietro la batteria e da dietro i suoi occhialoni da nerd, e Karen, che si occupa dell'armamentario chitarristico ed elettronico. Fanno la dance-punk psichedelica che può fare chi ha radici armene e vive tra Mosca e Budapest: la mescolanza è sempre una ricchezza! Poi fanno Arutyunyan di cognome, sono fratelli e sanno stare sul palco come pochi altri nel loro dinamicissimo show. Un combo dall'evidente slancio teatrale che sa mettere d'accordo il funky beat e la grezza energia delle loro influenze caucasiche. Membri di una band armena di culto - i Deti Picasso - hanno fatto da opening act per i Depeche mode, i Massive Attack e The Verve, e suonato con Bobby McFerrin e Alex Hacke degli Einsturzende Neubauten. Un live potente, ma di un'energia raffinatissima.
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Aprono le danze i domesi Piatcions che spingono il loro sixty garage con onesta attitudine modernista. Un ipnotico e compatto nu gaze che sarà attentamente sorvegliato dalla chitarra di Robert Toher degli spaziali APSE, leggendaria band di fantasmi shoegazers del New England, davvero seminale nel loro paranoico suono space-tribale.
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diggidiggitale · 10 years ago
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Factory Floor | 5 novembre 2011 | Interzona
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Ci sono delle label dalla credibilità così affermata che solo a nominarle riassumono qualsiasi elogio che si possa fare a un gruppo. Se ti dico quindi che il prossimo 12 pollici dei Factory Floor è in uscita per DFA penso di averti agevolato di molto la scelta su dove andare la sera del 5 novembre. Ti piacciono le definizioni facili? Beh, potresti allora definire il loro sound "post industrial": meglio definirli però la colonna sonore post apocalisse di una disco sotterranea (ehi non la virgoletto ma l'ho rubata a una recensione di NME, sia chiaro!). Di sicuro l'ipnotismo punk-funk più malato c'è, di sicuro ci sono anche parecchie tentazioni tecnoidi, c'è l'eco della italo disco e ci sono i vocoderismi incastrati alla perfezione, nei pezzi-bomba dei Factory Floor: si aggiunga un set up bastardo di strumenti e robba diggitale e un cantato sciamanico ossessivo alla Liars e la miscela è preparata. Spie sempre in rosso, derive rumoristiche noise, casse dritte e distorte che te la fanno credere come due zoccole al porto, bleep ultrasonici e pattern di batteria extraterrestri. La grezzura dell'attitudine è quella punk e si percepisce che gli ascolti dei tre FF siano stati tutto ciò che è anti easy-listening. I droni di tastiere primitive se la giocano con i sintetizzatori metallici: un suono feroce che raggiunge livelli sublimi anche nei remix di lusso (quello di Stephen Morris su tutti). Realmente originali, concretamente nichilisti. We don't need a gold chain/ We just want a wooden box/ Dig a hole in the ground/ Throw us in and let us rot.
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diggidiggitale · 10 years ago
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A Classic Education | sabato 29 ottobre 2011 | Interzona
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Impossibile non ospitare tra i primi concerti della nuova stagione di IZ gli A Classic Education, il gruppo bolognese che la scorsa estate si è imposto col botto nel panorama indie mondiale. E non crediate che sia un'esagerazione scomodare il pianeta terra per definire l'orizzonte di una band che passa con disinvoltura dal palco del Primavera Sound (a detta di tutti uno dei festival europei più freschi di quest'anno) agli innumerevoli palchi dell'infinito tour in Nord America e Canada in apertura dei British Sea Power.��Osannati più volte dalla webzine Pitchfork, il 25 ottobre esce per "La Tempesta" il loro nuovo lavoro, "Call It Blazing", prodotto da Jarvis Taveniere dei "Woods". C'è chi non riesce a non metterli sullo scaffale dei dischi accanto agli Arcade Fire (sarà per gli archi?) e chi non riesce a dimenticare che due di loro sono anche in formazione coi Settlefish: ma a ridurre gli A Classic Education a un paragone con il già sentito si fa loro decisamente un torto, la loro educazione è "classica" ma il loro sound è assolutamente personale. Passionali, conviviali, eleganti, hanno trovato un alchimia musicale speciale che è ricercata senza essere ruffiana, morbida e curatissima senza risultare pettinata. Una indie band che ti ricorda il senso più originario del termine emo: emozionali!
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diggidiggitale · 10 years ago
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Das Rascist + Astio & N-Sample | sabato 21 maggio 2011 | Interzona
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Se sei nel rap game e ti etichettano come joke-rap non è che duri molto di solito: una classificazione che mina la tua credibilità e limita di molto le tue potenzialità. Pensa quindi quanti skills hanno i Das Racist che si portano addosso questo pseudo-marchio e che di street credibility ne hanno un vagone, visto che loro, il joke rap, non se lo vivono da clown senza cervello, ma lo hanno trasformato in vera e propria satira e commento sociale: rap maturo dietro le sembianze da hipsters. Si sprecano i riferimenti alla cultura pop più bassa e agli show televisivi più trash, che fanno coppia con riferimenti musicali poco ortodossi, di gente che mischia il rap più classico all'indie rock alla Grizzly Bear e che non ha paura a campionare Enigma (Return to innocence) o the Doors (People are strange). Sicuramente la next big thing dell'hip hop mondiale, Das Racist - straight outta Brooklyn - fanno il botto nel 2010 con una combo di mixtapes in free download (Shut up, dude e Sit down, man - uscite col contributo della Mad Decent records e di Мишка NYC) che squarciano la scena: decostruzioni e ripetizioni sonore ossessive, dadaismi lirici e ossimori assurdi, le rime dei tre sono spinte nel segno dell'ironia ma sono pesanti cazzotti contro l'omologazione perbenista... Sarà il loro essere sempre e comunque minoranza della minoranza, saranno le radici indiane e afro-cubano-italiane nei loro alberi genealogici che li spingono a deridere il razzismo idota (a partire dal loro illogico e contradditorio moniker) e a coniugare il funk grezzo con le citazioni ultra colte, senza per questo avere la spocchia di insegnarti la vita o dimostrarti qualcosa: beats e rime parlano da soli e sono l'unica e concreta referenza dei Das Racist. Le loro collaborazioni lasciano a bocca aperta: ti basti pensare a El-P e Diplo, solo per rimanere sull'ultima release, o al fatto che Dan Deacon ha inserito una loro traccia del 2009 (Combination Pizza Hut and Taco Bell) nella classifica dei suoi masterpiece immortali. Uno dei migliori rap act in circolazione: what good is all your money if your style is still tasteless?
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Il magazzino 22 sarà inoltre riscaldato dal warm up di Astio con gli N-Sample.
Anche l'mc veronese supportato da 7 musicisti e da produzioni rigorosamente live prosegue sulla tortuosa strada della credibilità: i beats diventano più caldi, groovy e spessi, le liriche non tradiscono la profondità e il legame a doppio filo con la realtà...gente dalla solida e consapevole cultura hip hop che sa far andare d'accordo J Dilla con Lucio Battisti.
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diggidiggitale · 10 years ago
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Franz & Shape | sabato 14 maggio 2011 | Interzona
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Francesco Spazzoli e Chris Shape, partners in crime dagli albori del terzo terzo millennio, fanno da sempre parte della schiera di chi si occupa molto della qualità della musica che produce e che suona e gran poco dei fronzoli di quello che ci gira intorno. Fidatevi che questa attitudine vecchia scuola, nell'ambito della musica elettronica, è rara come la più preziosa delle gemme. Sperimentatori dietro la consolle dal giorno zero, amati alla follia dai dancefloors più ricettivi e residents nel più iconico dei club dello stivale - quel Cocoricò che ha trasformato un tratto di riviera romagnola in una mecca di riferimento per il clubbing europeo - Franz & Shape coniugano la consapevolezza delle sonorità degli anni ottanta con l'electro più sapida: manate italo disco e ceffoni new wave. Collaborazioni di stralusso per i due forlivesi: Chelonis R. Jones, David Carretta, Mount Sims e Tomas Barford (Tomboy/Who Made Who). Presenza di spicco nelle compile incediarie dei 2 Many DJs, remixati da Yuksek e remixatori di matrice robotnikiana, perennemente in tour nei locali più fighi di mezzo mondo, se vi perdete queste due teste techno vi perdete un pezzo di definitiva importanza per la musica elettronica di questo primo decennio del 2000...
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diggidiggitale · 10 years ago
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Giant Sand | sabato 7 maggio 2011 | Interzona
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Pochi gruppi possono essere considerati così seminali come i Giant Sand. Partoriti dalla mente di Howe Gelb nel 1985 a Tucson, sono i capostipiti e gli inventori di quel mega genere che è il desert rock. Figli degeneri della stagione più acida della psichedelica californiana, tornano a Interzona da vecchi amici, con la loro carovana di ballad rockabilly, swing western e canzoni ottime per essere suonate sull'autoradio di una Chevy Impala a tavoletta su una torrida highway dell'Arizona... perchè l'immaginario che i Giant Sand sono stati in grado di portare di peso nell'alternative rock è quello: il mito della frontiera, i mariachi e i grani grossi della sabbia tra i denti, il Messico, così vicino a Tucson quando il vento tira da sud... Gelb, sciamano col physique du rôle dello sciamano, è rimasto nel gruppo a testimoniare e a far progredire l'esperienza Giant Sand (dei quali facevano parte John Convertino e Peter Burns, meglio noti oggi come Calexico) che nel 2010 ci ha regalato il maturo "Blurry Blue Mountain". Canzoni border line, che ci parlano ancora una volta di frontiera, ma di quella interiore, che separa la veglia dal sonno, atmosfere oniriche sul filo del flusso di coscienza e il nume tutelare di Leonard Cohen a sorvegliare tutto l'impasto country. Di nuovo gran cartucce nella bandoliera del buon Gelb: le vere radici del suono del deserto!
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diggidiggitale · 10 years ago
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The Books | sabato 30 aprile 2011 | Interzona
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Il combo americano-olandese formato a New York nel 1999 da Nick "Zammuto" Willscher e Paul de Jong è decisamente uno di quei gruppi che spiazza e rimescola le carte del gioco con cui siamo soliti dare una misura e una definizione della musica che stiamo ascoltando: folktronici - se ami i neologismi - perchè The Books sono cultori della più tradizionale folk music americana e del bluegrass, ma sono anche post moderni manipolatori di beats ed effetti digitali. Gli unici due dictat di un chitarrista e di un violoncellista, che più che musicisti sembrano due ninja della musica sperimentale, sono una cultura del copia e incolla selvaggio e un'ossessiva ricerca dei campionamenti più lisergici. Fanno a pezzi tutto e poi ricostruiscono con quello che rimane, generando una specie di perversa caccia al tesoro ad uso di chi ascolta. Dalla marea di bleep, ronzii e telecronache e vecchi programmi televisivi mutilati emerge la solida struttura di chitarra voce e violino, condita da una buona dose di humor e impregnata di una vera e propria estetica del collage: quando ascolti The Way Out - il loro ultimo lavoro uscito per Temporary Residence - vieni travolto dal caos organizzato dei ritmi ossessivi, da impressionanti (de)costruzioni sonore, da una radicale devozione al loop. Pionieri di un nuovo cantautorato glitch, dalle trame dei loro pezzi escono le loro ossessioni soniche: brandelli di lounge music imbastardita con ironici giri di basi hip hop, strumentazioni da modernariato analogico a braccetto con la più sintetica laptop music. Simon e Glitchfunkle, come amano definirsi, custodiscono la formula alchemica per ingabbiare il vortice esplosivo dei loro suoni. Sicuramente una delle uscite discografiche più sorprendenti del 2010, sicuramente uno dei concerti più interessanti dell'anno.
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diggidiggitale · 10 years ago
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The Banditi | venerdì 15 aprile 2011 | Interzona
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Achtung banditi! Come scrivevano sui muri i nazifascisti durante la Resistenza per indicare i luoghi caldi per il rischio di agguati dei partigiani, e "Achtung!" è il nuovo lavoro di The Banditi che vanta collaborazioni importanti (una proprio con Jevdevic dei Kultur Shock) e segna un salto di qualità per gli ex Jacinto Canek, in rotta dalla Valpolicella a Roma, con il loro bagaglio di metal-punk balcanico ed elettronica. Fieri nel loro spirito partigiano e con la consapevolezza di non muoversi in un film di Lizzani, ma nel triste orizzonte cafone dell'Italia del 2011, The Banditi stanno portando con prepotenza sui palchi di tutta Europa il loro show multiculturale che non dimentica la ricca tradizione folk italiana, condendola di una sana rabbia rivoluzionaria.
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