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Si stava meglio quando si stava peggio
Dopo 56 giorni di confinamento ufficiale, quasi due mesi di quarantena solitaria, più di 300 km corsi, devo iniziare a trarre una riflessione su questa esperienza inattesa. Oggi siamo al giorno 6 del déconfinement, posso iniziare a fare un bilancio dell’esperienza che ho vissuto.

Ho retto fisicamente e psicologicamente, non sono crollato, ciononostante ne esco affaticato e profondamente cambiato. Non mi sento più sicuro di essere capace a gestire interazione umane in modo sano. Sento di avere i nervi a fior di pelle. Le mie reazioni di fronte ai comportamenti degli altri possono essere brusche e ruvide. Ho bisogno di interagire con persone amiche, persone che sento vicine, verso le quali nutro fiducia e stima, perché ho perso fiducia e pazienza nei confronti del genere umano. Voglio vedere e sentire gli amici che sono stati presenti in questi in questi mesi difficili di solitudine, brothers in arms, come dicono gli americani, fratelli in guerra. Senza per forza scomodare la retorica bellica, vorrei semplicemente sentire chi, come e con me, ha affrontato questa situazione con coraggio e senza mollare. Chi mi ha chiamato in un momento di scoraggiamento e chi ho chiamato per sentirmi meno solo. Voglio sentire e vedere chi c’era e chi c’è stato quando c’era da esserci. Loro si, che vorrei vederli e sentirli al più presto. Loro mi hanno fatto capire che non ero solo e per loro sento una profonda amicizia e un affetto sincero. Provo invece un profondo rancore e risentimento per chi è scomparso, chi credevo amico e amica, ma che alla prova dei fatti si è dimostrato latitante. Provo rabbia per chi poteva esserci e poteva manifestarsi anche solo con una chiamata, ma che invece ha preferito scomparire e dare per scontato il mio benessere.

Sono forse diventato un sociopatico? Non lo so. So solo che ne esco a pezzi e affaticato. Ho pero’ imparato qualcosa : ho imparato a correre con rigore e regolarità. Non mi era permesso fare altro e non aspettavo un’occasione migliore per potermi dedicare all'attività fisica all'aria aperta. La corsa mi ha insegnato a sentire il mio corpo e il mio respiro. La corsa mi ha insegnato a sentire piedi e gambe. Ho la fatica, quella sana e fisica, quella che ti rincorre il giorno dopo fino al mattino dopo. Non sono diventato un atleta, non mi piace la definizione di runner, ho solo imparato a correre con una certa regolarità, e l’ho fatto non per senso del dovere, ma per puro piacere personale. La città, vuota e calma, mi ha aiutato molto : mi si è svelata in tutta la sua bellezza sensuale e sincera. I suoi viali alberati sono diventati piste serene che scorrevano placide fino alle piazze che marcano la storia laica del paese. Boulevard Voltaire fino a Place de la République, poi di nuovo a est lungo il borghesissimo Boulevard Beaumarchais fino alla Place de la Bastile, passando con una piccola deviazione verso la superba Place des Vosges, noblesse oblige. Poi dritti verso la Senna lungo il Canal de l’Arsenal, un sguardo fugace all’Île de Saint Louis e di nuovo a sfiorare la Bastille per scivolare sul manto appena asfaltato del Boulevard Saint Antoine. Ultima tappa del percorso i negozianti, i profumi e i colori popolani del Marché d’Aligre, ultimo bastione popolare della città, prima di rientrare mestamente a casa. Dieci chilometri che fanno di me un parigino d’adozione ma che può rivendicare appartenenza e attaccamento ai pilastri della città.

Leggo le parole di Michel Houellebecq su questa situazione e mi sento rincuorato. Il suo cinismo e la sua lucidità mi fanno capire che forse non sono solo e che non sono l’unico a provare un profondo risentimento per un’umanità che non sembra aver imparato nulla.
“Un virus banale, imparentato in modo poco prestigioso a misconosciuti virus influenzali, dalle condizioni di sopravvivenza scarsamente note, dalle caratteristiche vaghe, a volte benigno a volte mortale, neppure sessualmente trasmissibile: insomma, un virus senza qualità. Questa epidemia, anche se fa migliaia di morti tutti i giorni nel mondo, produceva ugualmente la curiosa impressione di essere un non evento”
Saremo uguali soltanto un po’ peggiori, La Repubblica 5 maggio 2020
Siamo ormai al sesto giorno di un nuovo inizio, alla ricerca di una disperata normalità. Il mio palazzo è tornato a riempirsi dei suoi inquilini, dopo che per quasi due mesi sono rimasto solo al mio sesto piano. Gli unici superstiti con i quali ho condiviso l’immobile sono stati la famiglia di indiani del terzo piano e loquacissima signora marocchina del secondo. Sto veramente diventato vecchio. Non riesco a smettere di pensare che forse si stava meglio quando si stava peggio. Sto veramente diventato vecchio. Parigi si riempita di nuovo di i suoi parigini fieramente doc, prontamente fuggiti ai primi segnali di una chiusura totale, e ora di ritorno in città, sono pronti a sfoggiare le loro mascherine cool brandizzate con orgoglio Made in France: nuovo marcatore sociale di fierezza e di stile.
La città si riempie, torna ad essere sporca, rumorosa e insopportabile. Dopo quasi due mesi ho di nuovo sentito i colpi di clacson delle auto in attesa ai semafori. Le corse lungo i viali alberati e i canali non sono più un fluido scivolare tra i palazzi haussmaniani. Sono tornate ad essere una faticosa corsa ad ostacoli per evitare folle di pascolanti passeggiatori. Comincio a rimpiangere la città confinata: placida e assorta come in un sonno tranquillo. Parigi è stata bellissima, l’ho sentita dolce e vicina per una volta, quasi materna, protettiva eppure così esposta all'incertezza e al caos.

6 giorni di ritorno alla normalità. I bar e i ristoranti sono chiusi, ma anche i parchi sono inaccessibili. La folla si ammassa lungo i Quais della Senna e il Canale St Martin, alla ricerca di sole e di una vitalità sociale trascurata. La polizia prova inizialmente a sgomberare i canali per evitare gli assembramenti, ma il flusso è continuo e inarrestabile. Indifferenti alle più elementari prescrizioni sanitarie la folla di giovani e meno giovani si ammassa al sole. Parigi è tornata quella di prima: snob e cool, affannata e affamata
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Lunedi 27 aprile - Giorno 42 di confinamento
Pensiero positivo: non mi sto perdendo nessun evento mondano epico immancabile. Non mi sto perdendo nessuna mostra, nessun film, nessuna festa, nessun date intrigante che non si stanno perdendo tutti quanti. Quell'orribile ansia da prestazione sociale che vuole che ogni weekend sia degnamente vissuto solo se si è fatto qualcosa di interessante e stimolante è svanita. Quell'insopportabile e ineffabile ricerca della coolness a tutti i costi (letteralmente!) che ci spingeva alla ricerca degli eventi più ruffiani e cialtroni che l’edonismo metropolitano globale puo’ produrre si è esaurita. Non corriamo più a vernissage, concerti e eventi main-stream o off. Le nostre storie su Instagram oramai non superano vanno oltre i qualche presunto exploit in cucina. Ci avventuriamo al massimo sul balcone, appena oltre il soglio di casa per fotografare strade vuote o indisciplinati corridori solitari, ma poi rientrano subito a casa a fare aperitivi davanti allo schermo. Addio stress da vita sociale.
Pensiero negativo mi sto perdendo la primavera, mi sono perso il 25 aprile, che celebravo ogni anno andando in montagna con gli amici, scarpinando sui sentieri storici dei partigiani delle valli intorno a casa mia. Oggi non posso farlo, non potrò cantare e camminare, non potrò vedere i miei compagni. Potrò invece leggere le parole che Beppe Fenoglio usa per descrivere i sentimenti del partigiano Johnny dopo l’armistizio dell’8 settembre, dopo lo sfaldamento del Regio Esercito e lo sbandamento. Sono le parole con inizia il suo racconto.
“Johnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s’era precipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo imprevisto, insperato rientro dalla lontana tragica Roma fra le settemplici maglie tedesche”
Non riesco a non vederci qualcosa di mio e della mia situazione in quella ben più drammatica circostanza d’incertezza e di riparo tra le mura domestiche.

Certo qui non c’è la guerra, anche se molti ne hanno usato a sproposito la retorica. Qui non c’è un esercito avversario, ma il sentimento di incertezza forse è un po’ simile.
Certo io ho ancora il mio lavoro e non sono in mezzo a una strada. Internet ci aiutata a lavorare da casa, in spazi adibiti per altre funzioni. Ma riusciamo a lavorare. Io svolgo le mie mansioni da insegnante in mondo molto più leggero, più efficace e sereno che in passato, senza l’ansia di dover pensare al mio domani lavorativo. Questa condizione mi trasmette un senso di sicurezza maggiore rispetto a molti amici autonomi che si trovano a guardare il futuro con preoccupazione. Continuo a lavorare e a assicurare la continuité pédagogique secondo le indicazioni impartite dal Ministero dell’Education Nationale e ho inquadrato tutte le mie dodici classi su Google Classroom, una piattaforma online, e assegno loro un piccolo compito da eseguire a casa settimanalmente. Con qualche ora di lavoro quotidiana dove preparo, coordino e correggo tutte le attività delle mie classi in modo piuttosto efficace.
Alleggerito da ogni ansia di vita sociale e professionale, mi ritrovo nella condizione ideale per dedicarmi a curare il mio corpo. Cercando di rallentarne l’inevitabile decadenza. Ho iniziato a praticare quotidianamente esercizi di pilates per rinforzare la schiena e esercizi addominali per cercare di smaltire il flaccidume che si consolida sui miei fianchi. Ma la regolarità è dura da mantenere. In parallelo ho provato a correre, l’unica attività che possiamo svolgere all'aria aperta. Ho iniziato a consumare le scarpe con cadenze sempre più serrate: prima 3 o 4 volte a settimana, poi quotidianamente e ora mi succede di correre per qualche chilometro la mattina e riprendere la corsa prima di cena. Nelle ultime tre settimane, dall'inizio di aprile sino ad oggi, sono riuscito a infrangere la soglia simbolica dei 130 km di corsa a piedi. L’ho fatto cercando di restare nei vincoli imposti dal decreto del Governo che regola le attività fisiche all’aria aperta, non oltre il km di raggio rispetto al proprio domicilio e per non più di un’ora, e e in accordo con le direttive della Mairie di Parigi: prima delle 10 del mattino e dopo le 7 di sera.
In questi 41 giorni di confinamento ho trasformato i miei 24m2 del mio appartamento detentivo in un intimo rifugio di saggezza, un eremo di sicurezza e di privati piaceri letterari. Ispirato dagli esempi di prigionieri politici celebri, mi sono fatto violenza e mi sono imposto un regime di autocontrollo e di rigore fatto di rituali quotidiani e di una salvifica routine settimanale. Forse questo mi salverà dall'impazzire. In Cuore di tenebra (Heart of Darkness) di Joseph Conrad, il protagonista, Marlow, deve risalire il fiume Congo con un piccolo battello a vapore. Siamo agli inizi del Novecento, il Congo è una colonia belga ancora inesplorata e "The horror!", l’orrore, di cui è testimone Marlow rende folle l’equipaggio della barca e tutte anime europee che sprofondano in un inferno oscuro e incomprensibile. Marlow, sbircia l’abisso che si staglia davanti a lui, ma riesce a ritrarsi senza precipitarvi dentro perché la sua mente si concentra sulle incombenze quotidiane della navigazione fluviale. Il lavoro e la sua etica protestante lo tengono al riparo dall'indolenza e dalla follia che essa l’abisso e il vuoto producono. La routine salva Marlow dall'abisso dell’horror vacui.
Io continuo a vacillare
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Il primo evento storico mondiale
13 aprile 2020, Pasquetta
28 giorno di confinamento ufficiale in Francia, più sette giorni extra per me che ho anticipato tutti i francesi di un paio di settimane.
Secondo un articolo pubblicato qualche giorno fa da Business Insider un terzo della popolazione mondiale si trova a condividere con me l'impossibilità di muoversi liberamente e le proprie attività sono state limitate, in misure diverse, dai relativi governi.

Con l’introduzione delle prime misure restrittive in India alla fine marzo il conteggio è arrivato a 3 miliardi 239 milioni di persone mondo che condividono la mia stessa sorte.
Questo confinamento globale è di fatto divenuto il primo evento globale della storia dell’umanità. E’ un evento che rimarrà nei libri di storia e che avrà un impatto globale e duraturo nei destini di paesi e persone per i prossimi decenni.
La prima persona che mi ha fatto riflettere sulla storicità di questo evento è stata mia madre. La sua riflessione è stata semplice, ma illuminante “Questa cosa rimarrà nei libri di storia vero?” mi chiese con candore materno per telefono all'inizio di questo confinamento, quasi un mese fa. E le io risposi di sì, perché allora mi stavo rendendo conto della gravità della pandemia di COVID-19 ed iniziavo a immaginare il possibile impatto che tutto ciò avrebbe potuto avere sul sistema di produzione globale. In quei giorni il virus stava colpendo con violenza l’Italia mentre gli altri paesi europei sembravano ancora sottovalutarne la minaccia. Eravamo all'inizio di marzo, il 9, quasi un mese fa, l’Italia stava per estendere le misure restrittive a tutto il paese. Le misure apparivano estreme agli altri paesi europei, solo due giorni prima Macron e sua moglie andavo a teatro e incitavano i francesi a fare altrettanto. Negli Stati Uniti, Donald Trump ironizzava sull'effettiva pericolosità della malattia.
Oggi, un mese dopo, sembra trascorsa un’eternità, le cose sono profondamente cambiate.
Secondo il sito Worldmeters.com che quotidianamente tiene il conto e aggiorna i dati globali, i contagiati ufficiali nel mondo sono 1.862.028, i decessi da Covid sono 114.980 e le persone ricoverate 432.613.
Qualche giorno fa stavo ascoltando un intervento di Alessandro Barbero su YouTube, dove il professore comparava l’attuale pandemia con le epidemie del passato, monstrandone analogie nei comportamenti e differenze nelle possibilità di reazione. Le parole del professore hanno confermato le mie impressioni sulla storicità di questi giorni.
youtube
La diffusione del virus COVID-19 passerà alla Storia con la S maiuscola, quella dei grandi eventi, come il primo grande evento storico globale che coinvolgerà miliardi di persone allo stesso momento e allo stesso modo, a migliaia di km di distanza con un impatto quotidiano percepibile da chiunque.
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Un altro mondo è possibile?
Esiste un universo parallelo dove il Covid-19 è rimasto confinato in Cina, dove ha decimato la popolazione di Wuhan e della regione del Hubei. In quel universo ci siamo noi europei, colti, raffinanti e insopportabilmente snob, che osserviamo con un misto di disprezzo e di sarcasmo quello che succede in Cina e ci spertichiamo le meningi per trovare spiegazioni razionali al disastro sanitario che si sta producendo. In quel mondo, noi europei facciamo progetti e organizziamo viaggi futuri con sicumera e precisione, senza preoccuparci troppo del resto mondo. Lo facciamo perché quello è il mondo globalizzato in cui siamo cresciuti: è un mondo sicuro dove viaggiare è facilissimo e poco costoso, dove tutto è prevedibile e organizzabile con mesi di anticipo e dove l’imprevisto è quasi inesistente.
In quel universo io oggi sono in vacanza. O meglio, ufficialmente il mio ultimo giorno di lavoro prima della pausa pasquale sarebbe dovuto essere venerdì, ma in realtà io sono già partito da Parigi il giorno prima. Giovedì ho preso il primo treno per Torino con un gruppo ristretto di ex allievi e ora li sto accompagnando per un progetto di viaggio scolastico organizzato da loro nella mia città. Voglio per fargli scoprire le bellezze ancora poco conosciute in Francia di Torino e del Piemonte.
Sono giorni molto intensi per me che devo guidare il gruppo. Ieri mattina siamo andati al mercato di Porta Palazzo, abbiamo passeggiato tra le bancarelle, ci siamo gustati un caffè in terrazza e abbiamo fatto la spesa insieme a un vero cuoco. Poi siamo andati nella sua cucina professionale e, tutti insieme, abbiamo realizzato un menù piemontese completo, dall'antipasto al dolce. L’esperienza è piaciuta moltissimo ai ragazzi, tutti degli aspiranti chef che presto finiranno la loro formazione professionale. Oggi andremo a fare un giro nelle Langhe per visitare un paio di cantine e degustare vini del territorio. Loro sono entusiasti perché hanno scoperto una nuova e inedita declinazione della cucina italiana e io sono contento perché sono settimane che metto a punto i dettagli di questa esperienza turistico gastronomica. Sto facendo moltissime di foto, dettagli e panoramiche raffinatissime per mio nuovo profilo Instagram professionale. L’idea è fare di questo viaggio scolastico un test per valutare le possibilità e le criticità turistiche di quello che potrebbe un giorno diventare il mio nuovo lavoro.
Sono contento perché per il momento il progetto è un successo.
Nel mondo parallelo in cui sono immerso il dramma di Wuhan occupa un posto importante soltanto nella pagina degli esteri dei siti di notizie. La Pasqua è alle porte, il Governo vacilla dietro le continue bordate che arrivano a mezzo stampa da Renzi e da Salvini, mentre la Juventus, nonostante qualche difficoltà, è ancora in testa al campionato. Ma io ho la testa altrove. I ragazzi partiranno questa sera per fare ritorno a Parigi. Io invece resterò a Torino, passerò da casa. Ho previsto un paio di giorni in famiglia per stare un po' con i miei prima di prendere un volo da Bergamo, diretto per la Russia. Sono settimane che scalpitano irrequieto all'idea di godermi l'atmosfera della Pasqua ortodossa sotto le mura del Cremlino.
Le mie vacanze primaverili sono state organizzate da mesi. Ho incastrato ogni singolo viaggio con una precisione chirurgica, inanellando prenotazioni aeree e spostamenti in treno in una sequenza praticamente perfetta: TGV Parigi - Torino, regionale veloce Torino - Milano Centrale e autobus fino all'aeroporto di Bergamo Orio al Serio, da qui volo diretto per Aeroporto di Mosca-Vnukovo, rientro su Parigi il 18 aprile.
Potrò finalmente rivederti Penso Anche in questo universo parallelo non posso non pensare a te. Non vedo l’ora di farmi una passeggiata per Mosca. Ti scriverò appena mi sistemo nell’ostello che ho già prenotato. Tu esiterai, ma alla fine accatterai di vederci. Ci prenderemo un caffè in un bar italiano di Arbat, tu mi racconterai dei tuoi cugini che hanno un appartamento da queste parti. Io, per un volta in silenzio, mi farò accompagnare da te per fino al Gorky Park. Ti inviterò a cena in un bel ristorantino georgiano, dove potrei ostentare tutte le mie conoscenze sulle tradizioni dei Caucaso apprese questa estate. Cercherei di sedurti ancora una volta, facendoti ridere mentre mangi un khinkali, guardandoti negli occhi mentre bevi il tuo vino rosso. Ti accompagnerei fin sotto casa tua, solo per sperare in un piccolo bacio. Sarò felice di rientrare al mio ostello con il taxi che tu hai prenotato per me. Perché è così che fai tu. Ma ora sono io a condurre il gioco: lasciati sedurre, perché ti devo abbandonare.
Devo continuare il mio vagabondaggio slavo. Ho un diario geopolitico sentimentale della Russia da scrivere, ho delle foto da scattare e molti km da percorre. Per fare questo ho un uno sferragliante treno che data della belle époque di Breznev che mi aspetta alla stazione Yaroslavskiy per domani mattina. Ho 190 km da percorrere per arrivare sino a Vladimir. Voglio vedere le città dell’Anello d’oro, quelle che sarebbero potute essere la capitali dei rus, ma che non lo sono mai diventate. Ho altri Cremlini e molti magici monasteri da esplorare, mentre mi perdo nella meravigliosamente squallida provincia russa che ha il profumo dell’aneto.
Invece no. Invece sono tuta felpata da più di un mese, confinato in un appartamento che è diventato la mia cella privata. Ho la barba lunga e mi lavo svogliatamente. Fantastico di mondi lontani e di peripezie nomadi da affrontare di petto, ma posso uscire solo previa autocertificazione e non posso allontanarmi per più di un’ora e per meno di un km dal mio domicilio.
Sto già dissociando la realtà dal sogno.
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La lezione di Hannah
Giorno n°16 del confinamento
Il mondo di oggi è assolutamente irriconoscibile se comparato a quello che conoscevamo e vivevamo solo poche settimane fa. In meno di un mese e dopo pochi decreti abbiamo accettato di sottometterci all'autorità del potere e abbiamo rinunciato alla più elementari libertà di cui abbiamo sempre goduto.
Abbiamo imparato più in fretta di quanto potessimo immaginare a rinunciare alla nostra libertà di movimento. Blindati in casa come reclusi, usciamo di casa solo se muniti di un giustificativo valido per le autorità, ma pieni di sensi di colpa, rientriamo subito dopo aver fatto il pieno di pasta e carta igienica.
Abbiamo rinunciato alla libertà di esprimere un’opinione contraria, non dico critica, ma almeno diversa rispetto a quella diffusa della narrazione dominante. Rinchiusi in casa trascorriamo giornate intere, identiche a se stesse, davanti a schermi che, con la pretesa di tenerci informati, ci terrorizzano e ci angosciano con un flusso incessante e mastodontico di informazioni ingestibili per chiunque.
Abbiamo rinunciato alla nostra libertà di associazione e alla possibilità di ritrovarci ed esprimere la nostra socialità attraverso insalubri ma necessarie interazioni umane a base di alcool e sigarette. Neanche il lavoro ci salva. Immobili davanti a quegli stessi schermi luminosi cerchiamo inutilmente di lavorare, distratti senza sosta dalle notifiche di almeno tre social network attivi contemporaneamente, poi cerchiamo di mantenere una parvenza di socialità con i nostri amici e i parenti, vicini eppure lontanissimi. Infine, mettiamo in scena tristi aperitivi davanti ai PC o inquietanti flashmob sui balconi, prima di ordinare le nostre cene online su UberEat e alcolizzarci mestamente su divani ormai informi.
Abbiamo saputo mettere da parte tutti i nostri valori e il nostro modo di vivere a tempo indeterminato senza opporre nessuna vera resistenza, senza opporci, senza obiettare. Premier, Ministri, sindaci ci hanno imposto di stare a casa, sportivi, attori e cantanti ci hanno ricordato quanto è importante rinchiuderci nella nostra intimità domestica per impedire la propagazione di un virus letale e noi abbiamo obbedito, La stragrande maggioranza degli italiani sta continuando a rispettare le restrizioni, da un articolo de Il Post.
Docili e mansueti siamo diventati massa amorfa nei confronti delle inevitabili circostanze che un virus ha imposto alla nostra vita quotidiana. Siamo diventati una massa sfiduciata nei confronti del sistema politico dei suoi partiti tradizionali. Ma ci siamo scoperti obbedienti alle indicazioni del potere politico, scevri ad ogni spirito critico e atomizzati nelle nostre prigioni domestiche. Abbiamo accettato placidamente decisioni che precludono le nostre libertà vitali. Il totalitarismo necessita di masse senza la scintilla dell'individualità, ci ricorda Hannah Arendt nel suo Le origini del totalitarismo, pubblicato nel 1948.

Allora mi domando Che aspetto avrebbe un regime totalitario oggi ? Sapremmo riconoscerlo se dovesse prendere piede nelle nostre vite quotidiane?
Timothy D. Snyder è uno storico americano, insegna all’università di Yale, ed è specialista della tragica storia dell’Europa centrale e dell’est et dell’Olocausto. Nel 2017, subito dopo l’elezione di Donald Trump, ha pubblicato un illuminate pamphlet di 128 pagine intitolato On tyranny, Sulla tirannia. Il testo è stato concepito per essere una sorta di prontuario di resistenza umana e culturale destinato ai cittadini delle cosiddette democrazie evolute dell’Occidente, intorpidite da un decennio di crisi economica e sedotte dai populismi emergevano nel panorama politico mondiale. Venti capitoli, venti lezioni di storia provenienti direttamente dalla storia del secolo più violento e feroce che l’umanità abbia mai conosciuto, il Ventesimo. Credo di utile ricordarci quanto sia facile scivolare verso qualcosa che non è la libertà, ma è qualcosa di diverso
Non obbedire in anticipo alle pretese del potere.
Difendi tutte le istituzioni.
Opponiti al monopartitismo.
Prenditi la responsabilità dell’aspetto che ha il mondo (“Se noti svastiche e altri simboli di odio cancellali”).
Ricorda l’importanza dell’etica professionale.
Tieni d’occhio i paramilitari.
Usa la testa se per lavoro vai in giro armato.
Non aver paura di distinguerti (“Può sembrare strano dire o fare qualcosa di diverso” dalla massa, “ma senza quel disagio non c’è libertà”).
Tratta bene la tua lingua (“Evita le frasi che usano tutti. Fa’ uno sforzo per staccarti da internet. Leggi i libri”).
Credi nella verità (“Se niente è vero, allora nessuno può criticare il potere, perché non c’è una base su cui farlo”).
Indaga (“Dedica più tempo agli articoli lunghi e di approfondimento. Abbonati ai giornali di carta”).
Guarda le persone negli occhi e parlagli.
Fa’ politica con il corpo (“Esci di casa. Porta il tuo corpo in luoghi sconosciuti e tra gente sconosciuta”).
Difendi la tua vita privata.
Sostieni economicamente le cause giuste.
Impara dalle persone che vivono in altri paesi.
Fa’ attenzione alle parole pericolose, “come estremismo e terrorismo, emergenza ed eccezione”.
Mantieni la calma quando succede l’impensabile.
Cerca di essere patriottico, “che non vuol dire essere nazionalista”.
Cerca di essere il più coraggioso possibile.
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Sarebbe folle escludere la possibilità della follia
Una volte lessi un reportage sulla prigione di Bastoy, in Norvegia. Un carcere modello senza sbarre e senza celle che che si trova su un’isola a sud di Oslo. Scelsi di non vedere le foto che accompagnano l’articolo e decisi di immaginare magnifici cottage scandinavi immersi nel verde. Immaginavo piccoli monolocali, infilati uno dietro l’altro e tenuti insieme dalla austera e sobria architettura scandinava. Iniziai a immaginarmi detenuto per qualche reato grave in quel magnifico paradiso nordico dove non esiste ergastolo. In Norvegia, civilissimo paese che può vantare il più alto livello di sviluppo umano misurabile dai criteri dell’ONU, 0,954 di ISU, la pena massima di detenzione è di 21 anni. Ma essa viene attribuita soltanto a chi ha commesso reati gravissimi ,come per esempio una strage terrorista aggravata da motivi razziali senza pentirsene.

Immaginai dunque la mia reclusione a Bastoy come uno splendido ritiro, un ripiegamento in me stesso, al riparo dal mondo nella mia cella accogliente, immerso nella natura della Norvegia. Recluso in un nido di legno affacciato su qualche meraviglioso fiordo nel Mare del nord. In questo paradiso segregazionale, e solo qui, avrei potuto finalmente liberarmi da tutte le incombenze economiche e mentali che vent'anni di capitalismo post-industriale et lavorista avevano oramai instillato nella mio immaginario sociale. In questo eremo coatto avrei potuto dedicarmi alla lettura, alla scrittura, alla meditazione e alla contemplazione del creato. In questo meraviglioso confino dalla libertà avrei potuto coltivare il culto del corpo e della mente, ma soprattutto lo avrei potuto fare a spese del contribuente norvegese. Al grido di Viva la galera, Abbasso la libertà (di sentirsi sempre in dovere di avere una vita sociale) avrei riscoperto una nuova pace. O almeno questo era quello che godevo a raccontare a amici e conoscenti. Poi un giorno segregato mi si sono ritrovato per davvero.

La mia nuova vita ai domiciliari è fatta di piccole routine quotidiane. Essenziale par garantirsi uno straccio di equilibrio fisico e mentale è l’attività fisica. Gli esercizi mattutini e le ristrette dimensioni del mio appartamento parigino danno alla mia nuova e inattesa condizione la parvenza di una detenzione da film americano. Faccio gli addominali e le flessioni dietro il letto, mi allungo e mi piego tra le strette pareti di del cucinino. Peggio (ho forse meglio) di un qualsiasi recluso americano, io qui non ho compagni di cella. Passeranno giorni in cui non avrò un’interazione umana reale.

Dopo gli esercizi mattutini mi dedico per un paio di due ore alla gestione della corrispondenza e alla programmazione della didattica a distanza, resto pur sempre un prof retribuito dal Ministero dell’Educazione francese.
Finita questa prima parte della mattinata mi concedo una mezz'ora d’aria. Infilo i collant invernali ultra aderenti, maglietta sportiva e felpone grigio topo che non riesce a celare l'inquietante rilassamento addominale del mio ventre. Le scarpe: brutte, vecchie, sporche e per nulla cool, non sono per niente adatte alla corsa, ma non ho voglia di investire un centesimo di più in questa farsa. La mia fisiocinesiterapista mi aveva già ammonito: correre non è una buona idea, gli shock della corsa danneggiano schiena e articolazioni, ma il mio corso di pilates è fermo dalla settimana scorsa.

Controllo le estremità del mio corpo: i piedi sono abbastanza isolati dai calzettoni, le mani sono protette dai guanti. La testa e il volto sono coperti da un improbabile cappellino di lana verde, e il viso è celato dietro uno scalda collo nerissimo. Solo gli occhi sono rimasti esposti all'infetto ambiente esterno. Mi guardo allo specchio del bagno, sono inquietante. E’ una tenuta da jihadista pronto a immolarsi per la causa dello Stato islamico. Se nell'inverno del 2015 me ne fossi andato in giro a correre così conciato per Parigi mi avrebbero sbattuto in cella dopo pochi metri. Ma oggi questa è l’unica tenuta sportiva che mi permette di uscire di casa e prendere la mia boccata d’aria fresca evitando il contatto con il prossimo e la contaminazione con il COVID-19.
Mi concedo una mezz’ora d’aria e corro da casa mia fino a Place de la République, ritorno a casa passando per Bastille: 4,5 km. Rientrato verso casa passo per il Marché d'Aligre.

Tutti a casa, non si esce se non per gravi motivi personali o per specifiche necessità personali, eccezion fatta per i mercati rionali, autorizzati fino a ieri dal Ministero della Salute e dell'agricoltura francese. La scena è surreale. Le bancarelle della frutta e verdura sono protette da muri invisibili, delimitati dalla presenza di cassette di legno per terra che indicano ai clienti fin dove è consentito stare in attesa del proprio turno. Una cintura di fuoco, foglia di fico, che protegge i commercianti e l'acquirente dall'inevitabile promiscuità che il mercato rionale inesorabilmente produce. La cosa è ancora più evidente con i pescivendoli e i macellai, l’aristocrazia del commercio di prossimità. Questi ultimi disponendo di ingenti mezzi economici si sono riparati dietro un impenetrabile film di cellophane trasparente che crea un ‘invalicabile protezione contro i temibili sputacchi e starnuti dei clienti. La scena è ovviamente grottesca perché la magia del rispetto delle norme igieniche salta nel momento stesso in cui i realizza l’essenza stessa del commercio: lo scambio. La merce scivola attraverso una fessura solo dopo che il sudicio contante ha oltrepassato la barrire trasparente per la stessa fessura. A sorvegliare questa pagliacciata igienico sanitaria ci sono soldati e gendarmerie in tenuta da guerra. Parigi occupata.

Rientro a casa con le gambe dolenti. Stretching e pausa pranzo leggera. Mi concedo un’oretta di letture maledette nel primo pomeriggio, prima di rimettersi al lavoro e finire di pianificare le attività per la settimana. Finisco la giornata con altri esercizi come addominali e una corsetta defaticante per cambiare aria prima di una cena leggera. Infine trascorro il resto della mia serata solitaria a giocare a Risiko on-line con amici a Bruxelles, Torino e Rivalta. Finito la lotta per la supremazia mondiale a distanza, si scrive qualche pensiero sparso e si va a dormire leggendo qualche pagina.
Sarebbe folle escludere la possibilità della follia
Comincio ad apprezzare questo strano regime di detenzione carceraria retribuito dell'Education nationale privo dei quei sgradevoli fastidi che le pene detentive spesso comportano come le violenze sessuali nelle docce comuni o gli accoltellamenti tra bande rivali su base etnico-razziale.
Ma mi ritrovo a condurre una strana esistenza a metà strada tra uno zek russo e uno otaku giapponese.
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Dammi la tua voce

Ground Control to Major Tom Ground Control to Major Tom
Ti scrivo confinato nei 24m2 del mio appartamento parigino, divenuto la prigione privata, il nido intimo in cui mi sono isolato. Non vedo nessuno, non ho interazioni umane da giorni e sono lontano centinaia di km dalla mia famiglia che non posso raggiungere.
This is Major Tom to Ground Control I'm stepping through the door And I'm floating in a most peculiar way And the stars look very different today
La città si è svuotata, chi ha potuto è fuggito; il mondo che ne è rimasto è un’umanità impaurita in coda al super mercato, nascosta dietro una mascherina medica. E io? Entro e esco da una situazione d’isolamento da più di tre settimane oramai, ma ora il confinamento si fa duro e siamo solo all'inizio. Il governo minaccia di inasprire le misure di confinamento personale.
Though I'm past one hundred thousand miles I'm feeling very still And I think my spaceship knows which way to go Tell my wife I love her very much she knows
Sto cercando di non impazzire tenendo impegnata la mia mente e il mio corpo. Ma ho bisogno di un po’ di sostegno morale, altrimenti cado. Altrimenti non ce la faccio a resistere. Non è facile non lasciarsi andare e resistere. Inizio a preoccuparmi. Provo a guardarmi dentro per sentire una profonda solitudine.
Can you hear me, Major Tom? Can you hear me, Major Tom?
Ho bisogno di sentire la presenza delle persone a cui voglio bene. Dammi la tua voce, ho bisogno di sentire il suono delle parole che pronunci. Dammi la tua voce e fammi sentire che non sei cosi crudele come vuoi farmi credere. Dammi la tua voce perché sei migliore di come dici di essere.
Dammi la tua voce e io non sarò più solo in questo giorno di primavera.
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Fuck la quarantaine
Giorno n°8 della quarantena
Stare a casa, non lavorare ed essere comunque pagati può sembrare bello e divertente, ma non lo è. Premessa necessaria : il virus del lavorismo non ha mai attecchito in me. Ho sempre pensato che nella vita ci sono cose molto più importanti da fare piuttosto che lavorare. Tuttavia il lavoro resta una necessità fondamentale per alimentare il mio dispendioso vivere parigino. Secondo anni di educazione sabauda hanno talmente inciso nel mio super io che ora non riesco a evitare un fastidioso senso di colpa ogni qualvolta mi sbraco pigramente sul divano. Lavorare è una piccola tragedia quotidiana, di cui non possiamo fare a meno. Infatti detesto inerzia, l’ozio gratuito e prolungato mi da agitazione e insofferenza. Io amo fare cose, tante cose. Amo cambiare e fare cose diverse e varie, per cui per tornare all'inizio di questa riflessione che mi sta portando lontano, potrei dire che il lavoro sia una piccola tragedia, si ma non lavorare del tutto è molto peggio.
Conclusa la premessa, capirete che chiuso in casa, io non resisto. Ad aggravare la situazione di soffocamento ci sono il 24 metri quadri del mio appartamento. Impazzirei anche in uno splendido appartamento haussmaniano, ma ci vorrebbe più tempo. Come occupare il tempo concessomi da queste peculiare quanto inaspettata situazione diventa la mia ossessione quotidiana. Non ho Netflix, ho disattivato il conto più di un anno fa. Non sopporto più l’idea di passare il mio tempo a vedere interminabili stagioni di serie tv fabbricate in serie dopo attenti studi di mercato che hanno il solo scopo di tenermi incollato allo schermo per giorni interi.

Per cui decido di darmi al più sacro dei passatempi: la lettura. Parigi rigurgita di librerie. Bellissime, sterminate, profumate, colorate, ricche e sensuali librerie che adornano questa urbe moribonda e mefitica. Perciò decido di sfidare il confinamento impostomi dalla burocrazia scolasti nella speranza di dare pace al mio animo irrequieto. La mia iniziativa, infatti, si scontra con l’inevitabile definizione di quarantena: è un isolamento forzato, solitamente utilizzato per limitare la diffusione di uno stato pericoloso (spesso una malattia) fonte Wikipedia. Secondo questa definizione io non potrei uscire da casa, ma io non sono in quarantena. O meglio, io sono in quarantena preventiva asintomatica, basata su un pregiudizio discriminatorio, in quanto ho confessato di aver trascorso alcune ore a Milano dieci giorni fa. In più, non mi è stata data nessuna indicazione chiara circa le cose che potevo e che non potevo fare durante la mia esclusione dal lavoro. Non ci sono indicazioni sul sito del provveditorato né sul sito del Ministero. E per finire non ho sintomi, io mi sento bene. Io sono sano, per Dio! Per cui esco.
La prima tappa del mio pellegrinaggio letterario è LA LIBRAIRIE VOYAGEURS, al 48 di rue Saint-Anne, nel pieno del triangolo nippocoreano di Parigi, tra ramen e kimono. La libreria fa parte di una bellissima agenzia di viaggi che si trova giusto davanti alla vetrina ed è specializzata in viaggi. Qui trovo tutto ciò che mi provoca fibrillazioni erotico culturali: guide di viaggio storiche, percorsi linguistico-culinari; carte, mappe e cartine di ogni angolo del pianeta; racconti e grandi reportage di esploratori da ogni parte del mondo. Ne esco eccitatissimo con in tasca Un roman russe, di Emmanuel Carrère. Giusto cosi, per sollazzare la mia sconsiderata e irragionevole attrazione la Russia.
Tappa numero due, Comme un roman, la mia libreria preferita del marais. A due passi dal Marché des Enfants Rouges, dove trovo lo spazio e il respiro di una libreria storica. Due piani di romanzi di grandi classici del pensiero moderno e contemporaneo. Sempre affollatissima, questa libreria resta uno di quei pochi posti dove mi sento sempre a mio agio. Cerco un bel saggio, me ne esco con Hannah Arendt, Les Origines du totalitarisme, notevole tometto che mi permetterà di avere strumenti per riflettere sugli orrori del Novecento mentre mi crogiolo tra le mura domestiche in attesa dell’apocalisse virale.
Concludo il mio vagabondare irrequieto con l’ultima della mie tane letterarie: Librairie du Globe, 67 Boulevard Beaumarchais. Melanconica libreria russa dove sguazzo languidamente nei momenti di più intensa tristezza slavofila, tra saggi sulla geopolitica russa, samizdat e raccolte di poesie di Anna Akhmatova. Mi lascio consigliare dalla dolcissima libraia moscovita in stage sulle ultime raccolte sulla storia e la geografia del più grande paese del mondo, ma alla fine sprofondo nella poltrona che dà le spalle alla vetrina. Comprerei tutto. Esco a mani vuote, ma inebriato di libri che ho visto e che ho sognato di leggere, ma soprattutto di Russia.
Sono le cinque e mezza, non è ancora l’ora dell’aperitivo, ho tempo per un caffè. M’infilo in un bar. Le Cannibale Café è perfetto. Impaziente di divorare un po’ del mio bottino quotidiano, mi piazzo nella sala interna, arredata con gusto tutto parigino, dove c’è un’atmosfera perfetta per leggere in santa pace. Sfilo il romanzo di Carrère dalla tasca e mi lancio. Dopo due pagine mi fermo. Voglio immortalare questo momento di piacere solitario. Vorrei condividerlo con i miei amici, ma in verità sto cedendo alla pulsione nefasta dell’autocompiacimento social. Sto cedendo a quella insana voglia di voler condividere tutto e sempre con gli altri, anche quando non dovrei, soprattutto perché sarei in quarantena. Non pago rincaro la dose. Decido di fare una storia su Instagram, dove oltre a vedersi il mio libro e lo sfondo del bar, aggiungo la posizione e una bella frase di sfida Fuck la quarantaine!

La risposta è una fucilata.
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Riflessioni a freddo, sempre asintomatico.
Giorno n°3 della quarantena.
Riflessione n°1 niente panico

Alcuni colleghi (pochi a dire il vero) mi hanno chiamato per accertarsi circa le mie condizioni di salute. Mi hanno confermato ciò che già sospettavo: la caccia all'untore è iniziata. Pare che il preside della scuola dove lavoro abbia deciso di applicare la circolare ministeriale alla lettera. Vincent, professore di francese, individuato dal dispositivo di sicurezza come possibile propagatore del morbo asiatico, ha subito il mio stesso trattamento: bloccato in classe, convocato dal dirigente scolastico e spedito subitamente a casa. I miei informatori mi hanno confermato che il povero collega di francese avrebbe confessato di aver trascorso alcuni giorni nel nord dell’Italia durante il periodo di vacanze invernali appena concluso. La notizia mi ha fatto subito sorridere. Proprio rientrando a Parigi, giovedì sera, ho incrociato per pura coincidenza Vincent a Gare de Lyon: Tiens! Toi aussi tu rentres d’Italie?
Il treno partito da Milano con cui sono rientrato a Parigi infatti era carico di francesini. Un convoglio di almeno cinque vagoni di terza classe più la prima. Ed era solo uno dei tre treni quotidiani che fanno la spola tra il nord d’Italia e la capitale francese ogni giorno. Senza contare gli aerei. Milano è ormai diventata una destinazione cool per i parigini branché. Chissà quanti studenti della mia scuola avranno passeggiato via Montenapoleone e in Bovisa durante queste maledette vacanze?
Blindato in casa, assaporo da lontano il clima di paranoia e sospetto che si propaga tra colleghi e ragazzi, tutti terrorizzati all'idea di aver confessato a qualcuno di aver trascorso qualche giorno in Italia.
Vedo le delazioni anonime scivolare discretamente sotto la porta della direzione. Immagino le riunioni improvvisate in urgenza da preside e i suoi sbirri per organizzare il rastrellamento dei soggetti segnalati. Certo due settimane di arresti domiciliari non equivalgono alla deportazione in Polonia, ma per molti colleghi un assenza di due settimane può precludere il percorso didattico e il programma scolastico. Per i ragazzi, soprattutto quelli seri dell’ultimo anno, significa perdere lezioni importanti e valutazioni in un momento cruciale del loro anno scolastico.
Riflessione n° 2 di questo zibaldone infettivo. Il clima di panico e l’assenza di procedure chiare e indicazioni precise stanno amplificando la sensazione di stress e di incertezza di tutti. Il Ministero della Salute francese non aiuta nessuno pubblicando una lista di raccomandazioni rivolte a tutte le persone di ritorno da zone come l’Asia del sud-est, la Lombardia e il Veneto. Oltre alle prescrizioni mediche di base di buon senso non ci sono indicazioni chiare su come comportarsi in assenza dei sintomi della malattia.
“Les enfants, collégiens, lycéens ne doivent pas être envoyés à la crèche, à l’école, au collège ou au lycée, compte tenu de la difficulté à porter un masque toute la journée.
En cas de signes d’infection respiratoire (fièvre ou sensation de fièvre, toux, difficultés respiratoires) dans les 14 jours suivant le retour d’une zone où circule le virus”
Riflessione n° 3. Le preoccupazione del Ministero dell’Educazione, della Salute e del Governo francese in generale sono cercare di dare l’impressione di riuscire a tenere la situazione sotto controllo. C’è il bisogna comunque fare dichiarazioni forti rassicurando tutti e mostrando che non si sta sottovalutando il rischio che questa malattia comporta. Oggi il Presidente si è affrettato a dichiarare « On a devant nous une épidémie ». Evitare la proliferazione di un virus oggi è tuttavia impossibile. Bloccare aeroporti, treni e autostrade, impedire a persone e merci di muoversi liberamente attraverso paesi e continenti è oggi irrealizzabile e nefasto. La giostra della globalizzazione non si può fermare, altrimenti smette di funzionare.
Riflession n°3. I cambianti climatici minacciano la sopravvivenza per milioni di persone nel mondo nei prossimi anni ma noi ce ne battiamo le palle. Noi corriamo a fare incetta di mascherine e ci riempiamo le mani di soluzioni alcoliche disinfettanti come fosse acqua di Lourdes. Noi blocchiamo aeroporti e stazioni, noi mettiamo in quarantena scuole e ospedali per combattere una malattia che non ha fatto più vittime di una qualsiasi influenza stagionale.
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La discriminazione bussa alla porta
Giorno n°1 della quarantena
La tragedia inizia sempre come una farsa. Sono sufficienti qualche battuta in sala mensa di fronte ai tuoi superiori per mettere in moto un macchinario di sospetti e paure. Il dramma prosegue l’indomani con una convocazione ufficiale da parte della direzione e si conclude con un confinamento precauzionale.
Antefatto. Lunedì mattina, ripresa scolastica dalle vacanze d’inverno. Ho tre ore di lezione con tre classi simpatiche e gradevoli che ho piacere di rivedere. Sono di buon umore e dispenso battute a colleghi e allievi circa la possibilità di essere stato contagiato da COVID-19 durante la mia visita di qualche ora a Milano. Ancora una volta pago la mia pessima abitudine di fare del sarcasmo in pubblico. Rilancio la battuta alla mensa dei professori, dove per una infausta circostanza si trovano a consumare i loro insipidi pasti francesi preside e vicepreside, i quali sorridono alle mie sventurate parole.
Le notizie dall'Italia cominciano a farsi piuttosto serie in serata, quando appare sul sito de LaRepubblica.it un articolo inquietante Coronavirus, Francia: Chi è di ritorno da Veneto e Lombardia resti in quarantena per 14 giorni: “A Parigi, come in altre parti della Francia, le scuole riaprono oggi dopo le vacanze invernali. Ma a sorpresa non potrà tornare in classe chi è stato nel nord Italia”. I siti francesi rilanciano contemporaneamente la stessa notizia e a quel punto capisco che sono fottuto.
Non sono Anna Frank, non sono Primo Levi o Liliana Segre. Sono una persona che vive per la prima volta l’esperienza di un trattamento discriminatorio sulla base di una provenienza o di un’appartenenza. La prima impressione spiacevole circa questa mia nuova condizione che mi viene da fare è che la discriminazione non si presenta alla tua porta in divisa, con stivali e mostrine militari. La discriminazione bussa gentilmente alla porta della tua aula alle 8.30 mentre stai finendo l’appello e ti prepari a massacrare i ritardatari prima di iniziare lezione. La discriminazione si presenta alla porta con il viso conosciuto e gentile di una segretaria che ti invita cortesemente, ma senza preavviso, a renderti al più presto nell'ufficio del preside senza darti altre spiegazioni.
Mi presento all'ufficio del dirigente scolastico e, saltando i convenevoli, annuncio che sono al corrente del motivo della mia convocazione. La discriminazione ora ha il viso contratto in uno spasmo di imbarazzo. La persona davanti a me esista a stringermi la mano, ma si lancia nel suo consueto soliloquio, accennando alla necessità dell'Istituto scolastico di garantire la salute e la sicurezza degli allievi e dei loro genitori (paganti). La discriminazione si cela dietro il gergo burocratico e farnetica di direttive ministeriali che impongono delle procedure straordinarie ma assolutamente vaghe. La sensazione è molto sgradevole. Non riesco a capire se devo giustificarmi in qualche modo per quello che ho fatto (4 ore di permanenza a Milano durante le mie vacanze per cercare di vedere la Fondazione Prada che ho comunque trovato chiusa) o se devo avere un’espressione scandalizzata per discriminazione che sto subendo. Il comportamento del preside non mi aiuta affatto. E’ evidente che la preoccupazione dello zelante dirigente è quella di pararsi prosaicamente il culo da ogni possibile denuncia per mancato adempimento delle procedure di sicurezza che possa provenire dai genitori degli alunni. L’uomo si agita davanti al PC in attesa di far emergere dalla casella di posta elettronica la comunicazione ufficiale del provveditorato di Parigi. Eccola:
Mesdames, Messieurs,
Les autorités sanitaires françaises, la Direction Générale de la Santé (DGS) au niveau national et l’Agence Régional de Santé (ARS) au niveau territorial, ont émis des préconisations que le Recteur nous demande d’appliquer dans les établissements scolaires de l’Académie.
Aussi, je demande à toutes les personnes qui ont séjourné, ces derniers temps, en Chine (Chine continentale, Hong Kong, Macao), à Singapour, en Corée du Sud ou dans les régions de Lombardie et de Vénétie en Italie, de bien vouloir se signaler à l’infirmerie pour que nous puissions mettre en place les recommandations de la DGS et de l’ARS, pour le bien de tous et la santé de chacun.
Bien cordialement
Si alza e va a cercare conferma delle sue convinzioni dalla segretaria. Il suo viso è sempre più agitato. Io non so come occupare lo spazio intorno a me. Inizio a preoccuparmi, mi alzo dalla sedia, vado seguo il preside, torno a sedermi. Nella mia mente iniziano a farsi strada le immagini degli ebrei convocati dalla questura di Parigi nell'estate del 1942 per quella che doveva essere un controllo documenti, ma che passerà tristemente alla storia come il Rastrellamento del Velodromo d'Inverno.
Il preside continua a farneticare di procedure per garantire (a se stesso) il buon adempimento di tutte le misure prescritte, senza tuttavia trasmettere uno straccio di empatia nei confronti miei e della mia situazione. Le necessità didattiche che il mio lavoro comporta non vengono nemmeno menzionate. Scompaiono di fronte a questa peculiare situazione di incertezza. Vengo rassicurato a riguardo dell’assenza di conseguenze salariali per quello che inizia a concretizzarsi come una messa in quarantena del sottoscritto. Già mi vedo caricato su un treno speciale, vagone blindatissimo, in direzione di Drancy.
L’attitudine del burocrate si fa più accondiscendente, ma a me ricorda sempre più quella di del collaborazionista per bene: il diligente burocrate che per quieto vivere denuncia gli ebrei presenti tra i suoi dipendenti ai nazisti prima che siano gli ufficiali delle SS a richiederglielo. Propongo di andare in infermeria e farmi prendere la temperatura, nel tentativo duplice di tranquillizzare l’uomo e guadagnare tempo. Al mio ritorno lo ritrovo sullo stipite della porta, fogli alla mano, che mi invita a fornire celermente alla segreteria tutta la documentazione che possa provare la mia presenza a Milano durante le vacanze d’inverno. Sto già cucendo una stella di Davide gialla sulla mia giacca per farmi riconoscere.
L’ultima immagine della scuola che rimane è quella dei colleghi nella sala insegnati. Volti seri, che trasudano tanto imbarazzo, e poca empatia. Volti pieni di un sentimento poco chiaro. Volti che ieri mi sorridevano, ma che oggi mi guardano con sospetto. La discriminazione sono quei volti che non si avvicinano più per salutarmi ma che hanno fretta di rivolgersi altrove, salvo poi diffondere come un morbo, questo si, la storia di un collega messo alla porta.
Buongiorno Francia
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Tu sei il diavolo

A passo svelto e impaziente mi dirigo deciso verso la biblioteca della scuola. Ho un appuntamento con il peccato che non è segnato sulla mia agenda. Apro discretamente la porta e lancio uno sguardo complice alla collega seduta alla scrivania. Lei sorride e fa cenno di sì con la testa. La settimana prima, quando ne avevamo discusso con passione, mi aveva parlato un’edizione originale in suo possesso, persa da qualche parte a casa sua. Mi aveva persino promesso che l’avrebbe cercata e me l’avrebbe prestata per dare sfogo alla mia morbosa curiosità.
Mi avvicino rapido per salutarla mentre lei sfila, con un gesto rapido, il testo maledetto dalla borsa per passarmelo. E’ una bella vecchia edizione Poche folio, ben tenuta, con la copertina un po’ ingiallita, ma in perfette condizioni. Il viso di una bambola coperto a metà dalla foto in bianco e nero di una donna in copertina. Ivre du vin perdu, non è certo il romanzo più celebre ma per me è sufficiente per farmi un’idea di cosa poteva scrivere. Soppeso il feticcio cartaceo tra le mani. Ringrazio la collega per la complicità e, senza nemmeno sfogliarlo, lo infilo nel fondo del mio zaino. Due parole di commiato e sono fuori dalla biblioteca, alla ricerca di un angolo, nascosto, silenzioso e discreto per leggere quelle parole maledette.
Gabriel Matzneff è ormai all’indice. Il suo nome è stato condannato. La prestigiosa casa di edizione Gallimard ha deciso di ritirare dal mercato tutti libri dell’autore che ha pubblicato dal 1979 al 1992. La causa è il romanzo autobiografico Le consentement di Vanessa Springora, dove l’autrice denuncia le conseguenze psicologiche dovute alla sua relazione con Matzneff avvenuta quando lei aveva solo 14 anni, una relazione che oggi non avremmo difficoltà.
L’autore celebrato dalle élites colte e progressiste francesi come un campione dello spirito libertino libidinoso post sessantottino che oggi si ritrova ad essere additato come orco dalle stesse élites e dallo stesso conformismo non mi interessa. Mi interessa il libro proibito e le sue parole indecenti, mi interessa il piacere per un autore ormai impronunciabile, messo al bando in un paese che si celebra campione della libertà d’opinione e nemico di ogni censura.

Ebbro di una libidine tutta biblioerotica, trovo rifugio in una aula vuota. Chiudo la porta dietro di me e, circospetto inizio a sfogliare il mio tesoro, il mio piccolo samizdat osceno. Mazneff, il diavolo eretico, l’orco seduttore di adolescenti: chi è costui? Cosa scriveva? Come scriveva? Sono queste le domande che mi pongo mentre scorro le righe. Eccitato all'idea di farmi scoprire da un allievo, o peggio da un collega, a leggere l’illeggibile. Cerco con la mente di costruire spiegazioni plausibili da poter fornire alle autorità competenti in caso di flagranza di reato. Come Adelmo da Otranto, ne Il nome della rosa, scorro le pagine avidamente sperando di non trovare la morte per ingordigia di conoscenza. Anche oggi la Francia mi ha salvato, mi ha ricordato il gusto adolescente per la letteratura proibita e immorale, mi ha fatto amare il libri e mi ha fatto lottare per loro.
Anche oggi Parigi è salva.
#Libri#matzneff#samizdat#Parigi#gallimard#erotismo#liberta#Proibito#Francia#Peccato#Censura#leconsentement#Vanessa#Springora
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Kalos kagathos, ovvero come salvare la città
Questa sera mi sono, ancora una volta, riconciliato con Parigi.
Sono appena rientrato da una bella conferenza al Pavillon de l’Arsenal, uno splendido spazio consacrato all'architettura a pochi passi da casa mia. Ospite d’onore della serata, nientepopodimeno che Renzo Piano, la prima Archistar, il mito vivente dell’architettura contemporanea. Colui che ho iniziato a venerare e a seguire con passione dai tempi del liceo. Certo il disegno, soprattutto a mano e tecnico, per me è sempre stata una bestia nera. Non è un caso se non sono diventato un architetto. Ma ho iniziato a subire il fascino di questa disciplina a metà strada tra l’arte e l’ingegneria ai tempi del liceo, quando ho capito che si trattava di qualcosa di più che fare palazzi e edifici, parlava di spazio e di luce.
Io ho sempre disegnato male, ma male forte. Le mie mani non sono fatte per la gentile arte del tratto grafico, non sono neanche state fatte per modellare la creta o tagliare la carne. I miei prof di disegno tecnico me lo hanno sempre fatto notare, già dai tempi delle medie, con voti piuttosto mediocri, nonostante tutti i miei sforzi. Con il liceo le cose sono cambiate. Ricordo le serate intere trascorse chino sul tecnigrafo prestatomi dai miei cugini ricchi, nel vano tentativo di fare delle tavole che potessero essere considerate decenti dal mio ferocissimo e temutissimo professor Picco. L’odiatissimo docente è stato una delle mie fonti di ispirazione perché, nonostante mi avesse massacrato durante tutto il biennio del liceo con votazioni umilianti (ricordo ancora un 3 - - -), ha saputo trasmettermi la passione per l’architettura e la riflessione sullo spazio e sull’abitare. In terza liceo, infatti, abbiamo mollato il disegno tecnico per passare allo studio dell’architettura. Addio tavole e proiezioni ortogonali, ora si disegnava con autocad e i primi software 3d, adesso si studiavano i templi greci e il Rinascimento del Brunelleschi, ora si ragionava! I voti sono diventati molto più interessanti, fino ad eccellere. Chiusi l’anno di quarta, ultimo anno di architettura con un impressionante nove, di cui ancora oggi vado fierissimo! Merito di questa metamorfosi fu ancora lui, Picco, ieratico prof sabaudo che dava quasi ironicamente del Lei a timorati studenti di liceo. Mi ricordo che un giorno il prof ci disse una cosa che mi rimase impressa: “voi siete qui per riflettere. Io voglio che fra dieci, vent’anni, indipendentemente dal vostro percorso professionale, voi possiate ancora guardare una rivista di architettura o un servizio di urbanistica con interesse”. L’ho fatto oggi, andando ad ascoltare le parole ispiratissime, del vecchio e veneratissimo maestro Piano. In una sala stracolma di giovani, anziani, curiosi, ad ascoltare il senatore a vita c’era tutto il gotha dell’architettura contemporanea: Jean Nouvel, Nicolas Michelin e altri fenomeni del cemento e del vetro.
Che gioia Piano parlare dei suoi progetti più famosi: il primo e mitico Centre Pompidou, o come lo chiama lui, il Beaubourg, l’aeroporto di Osaka, l'Auditorium Parco della Musica di Roma o la sede del NYTimes. Che gioia vedere le foto dei suoi cantieri. Mi sono reso conto di conoscerli praticamente tutti, di averne letto e di averli persino visitati. Piano ci ha parlato della bellezza del lavoro di un cantiere e ci ha ricordato, commuovendomi anche un po’ (devo confessarlo), che bellezza è un mezzo di catarsi, fondamentale per salvarci e renderci la vita migliore. Ci ha ricordato che le cose devono ispirarsi al principio greco del Kalos kagathos, cioé le cose devono essere belle e buone allo stesso tempo. Allora si, ho ancora pensato al mio veneratissimo e temutissimo professore di disegno tecnico e di architettura, che mi ha insegnato il senso del bello.
Anche oggi Parigi è salva.
Buona serata
#Renzo Piano#Parigi#Paris#architettura#Archistar#Pompidou#Disegno#Bello#professori#insegnanti#prof#confessione#bellezza#vita
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Giorno 13 della Grève - Piccola riflessione personale
2017 Élection présidentielle française. Emmanuel Macron, l’enfant prodige della politica francese, ex ministro dell’economia dell’ultimo governo Hollande, crea dal nulla un nuovo partito En Marche e a 39 anni si candida alle elezioni presidenziali. Promette di fare della Francia una Start-up nation et di uberizzare il lavoro.Il programma elettorale alla voce riforma delle pensioni é abbastanza ambiguo, ma l’intenzione di trasformare il sistema alla radice è chiarissima : “Notre projet, ce n'est pas de changer encore une fois tel ou tel paramètre du système de retraites. Il n'est pas de sortir de la répartition [...] Il est de clarifier et de stabiliser les règles du jeu, une fois pour toutes, en mettant en place un système universel, juste, transparent et fiable, dans lequel chacun bénéficie exactement des mêmes droits”.
Gennaio 2017, côté gauche. Le elezioni primarie organizzate dal Partito socialista francese eleggono Benoît Hamon candidato alla Presidenza dopo il catastrofico quinquennato Hollande. 2 milioni di francesi scelgono il candidato della sinistra ecologista all’ex ministro dell’Interno, Valls, il quale poco dopo sceglierà di sostenere pubblicamente il fenomeno Macron. Il suicidio della sinistra francese è servito. Il programma di Hamon è molto ambizioso, propone di una tassa sulla ricchezza prodotta dai robot e le intelligenze artificiali per finanziare un fondo di aiuto all’impiego e il reddito di cittadinanza.
Conclusione
Hamon arriva quinto al primo turno delle Elezioni presidenziali con il 6,36 % dei voti.
Macron arriva in testa al primo turno con il 24,01 % dei voti e vince il secondo turno con il 66% e più di 10 milioni di voti dei francesi. Macron diventa il presidente giupieriano.
Poche settimane dopo, il neonato e prodigioso partito start-up macroniano En Marche stravince le elezioni legislative con il 49% dei voti al secondo turno e 350 deputati all’Assemblée nationale. Una solida maggioranza capace di permettere al nuovo Presidente di realizzare il suo programma di riforme economiche.
Ora mi domando, perché manifestare contro un Presidente e il suo governo che fanno esattamente ciò che hanno detto che avrebbero fatto? Per giunta dopo quattro votazioni in cui i francesi si sono chiaramente espressi?
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Ti aspetterei con un'ansia insopportabile
Ho invitato a cena Laurenne, una giovane francese. Le ho preparato una deliziosa cena autunnale. Una battuta al coltello di carne di manzo condita con funghi porcini freschi appena scottati in padella. La cena continuava con uno splendido risotto ai funghi porcini, sfumato con una delicata birra bionda d’abbazia. Sono rimasto a parlare per ore vantandomi delle mie doti di cuoco. Ma poi ho detto a Laurenne che era tardi e che mi sarei dovuto alzare presto l’indomani. L’ho accompagnata alla porta e l’ho salutata.
Ho finito la serata bevendo il vino che era rimasto nei bicchieri, fumando una sigaretta alla finestra ti sarebbe piaciuta la mia cena, quasi perfetta. Era l’unica cosa che mi interessava.
Sono uscito con Natalia, una ragazza russa che vive a Parigi. E’ bella e giovane, ma mi sono subito reso conto che volevo uscire con lei solo perché in qualche modo mi ricordava te. Volevo sentirla parlare, sentire il suo accento russo e ricordarmi di te. Mi si è stretto il cuore. Siamo andati a prendere un caffè e siamo andati a passeggiare lungo il canale. Avrei potuto provare a sedurla tentando un approccio maldestro. Invece ho iniziato a parlarle di come mi sono innamorato di te. Le ho raccontato che ci siamo baciati sui canali di San Pietroburgo e che tu non mi hai lasciato entrare in casa tua. Le ho detto che ero talmente innamorato che ho preso un nuovo volo solo per rivederti. Il mio cuore si è ancora una volta riempito di tristezza. L’ho riaccompagnata alla metro e ci siamo salutati.
Non riesco a interessarmi a nessuna altra donna che non sia tu. Ogni volta che sogno ci sei tu accanto a me. Non sono un pazzo maniaco, non sono un folle ossessionato, non sono un manipolatore. Ho provato a dimenticarti e a cercare di continuare la mia vita senza di te. Non ci sono riuscito.
Quando rientro a casa la notte tardi e cammino svelto sotto la pioggia, i miei pensieri volano veloci e lontano. I miei amici mi credono un folle perché sono ossessionato con la Russia. Ma la mia passione per la Russia non è soltanto una stupida passione intellettuale. Ciò che mi manca sei tu. Vorrei vederti ancora una volta prima di perderti per sempre. Non posso immaginare di averti lasciato andare via dalla mia vita per sempre all'aeroporto cinque stagioni fa. Non sei nel mio passato, sei nel mio presente; non riesco a smettere di pensare a te. Senza di te ho dimenticato il gusto fare una battuta politicamente scorretta. Senza di te ho perso il piacere di cucinare un risotto ai funghi porcini. Senza di te non riesco più a godermi una passeggiata notturna per i vicoli di un città che non conosco. Le notti sono fredde, le mattine sono buie, le estati sono tristi.
Non buttarmi via. Non riesco a credere che non ti manco e che non mi pensi. Non riesco a credere che tu non voglia mai più vedermi.
Non so più che parole scrivere per dirtelo. Potrei inventare mille parole da usare per dirti quanto mi manca il tuo sorriso triste, il tuo sguardo arrabbiato e le tue risate gustose. Per una tua risata mollerei tutto, sfiderei i chilometri che ci separano, scavalcherei monti, attraverserei pianure infinite, attraverserei aeroporti e stazioni nel cuore della notte, discuterei per ore con gli ufficiali della dogana affinché mi lascino passare.
Vorrei raggiungerti a Mosca, d’inverno, magari a febbraio quando avrò le vacanze d'inverno. Verrei a Mosca mentre una neve pesante cade dal cielo, quando le strade sono piene di auto e fa un freddo insopportabile. Vorrei vederti e prendere un caffè insieme a te.
Vorrei arrivare a Mosca, prendere un taxi per il centro e scivolare tra la gente che corre a casa. Vorrei infilarmi in un cafe. Vorrei sedermi con calma, gustandomi ogni singolo istante di quella benefica sensazione che da il calore degli interni russi in pieno inverno. Mi siederei in un tavolino appartato, ma vicino alla finestra per poter guardare lo spettacolo della vita moscovita che scorre davanti a me. Pieno di eccitazione, con le mani tremanti per l’emozione bofonchierei qualcosa in inglese alla cameriera e ti aspetterei varcare la porta d’ingresso cercando di trattenere le lacrime. Ho temuto che non ti avrei mai più rivisto nella mia vita. Ho temuto di averti perso per sempre Penserei. Gli Dei sono stati generosi con me, mi hanno permesso di rivederti ancora una volta.
Ti aspetterei con un'ansia insopportabile, devastato da pensieri e timori a malapena soffocanti.
E se non volessi venire, e se non volessi più vedermi, e se non sapessi cosa dire, e se tu dovessi essere in collera con me?
La mano mi tremerebbe, il caffè non avrebbe nessun gusto, la gente oltre la finestra sarebbe invisibile. Quell'ansia maledetta, che mi porto dentro da tutta una vita prenderebbe la forma del calore avvolgente che mi impedisce di respirare, soffocandomi. Lo stomaco mi si contorcerebbe dallo spasmo fino a contrarsi in un sussulto. Invano cercherei di mantenere la calma e il controllo di me. Mi odio quando le emozioni mi fanno perdere il controllo. Poi però entri tu e io non ho più il fiato. Ti avevo lasciata che eri bionda, ora sei mora.
Non so dove sei in questo momento, non so nulla e non so se hai qualcuno nella tua vita. Non so se tu avrai voglia di vedermi. Non so se potrai o se vorrai prendere un caffè con me. Io correrò da te solo se tu vorrai vedermi.
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Amore disperato
Triste è il destino di chi, con il cuore fragile, ha conosciuto solo l’amore non corrisposto nei suoi anni più delicati. Costui si porta nel cuore una ferita che non si può rimarginare. Costui, l’amore potrà soltanto rincorrerlo per il resto della vita, con ansia, maldestramente, sbagliando tutti i passi.
Per questo disgraziato, l’amore farà paura e dovrà lottare ogni giorno per il sorriso di chi ama, senza aspettarsi mai niente in cambio. Il suo amore sarà disperato e affannato, perché saprà di non avere nessuna speranza di poter avere indietro l’amore che ha versato.
Beato è colui che ha conosciuto solo l’amore non corrisposto perché per costui l’amore sarà sempre il bene più prezioso. Il suo amore sarà un patrimonio di felicità strappato al dolore della vita quotidiana. Il suo amore sarà un nido da difendere e proteggere. Il suo amore sarà un cieco dare, senza voler niente in cambio. Sarà solido e incrollabile. Il suo amore non sarà mai sereno, sarà agitato dall’ansia impetuosa.
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Immersi nella macchia di pini, dove il profumo del mirto selvatico è più forte, ci lasceremo guidare dallo sciabordio delle onde sugli scogli per trovare la spiaggia di Porto Ferro
Saliremo sui sentieri che ci portano a Capo Caccia, e li, lontani da tutti, non udremo più parole umane, ma solo il rumore lontano della pioggia che scroscia sulle foglie. Pioverà sui pini e sui mirti, sulle ginestre e sui ginepri, pioverà sui nostri volti selvaggi.
Vieni con me a sentire il forte profumo del pecorino stagionato che i pastori portano dal cuore del monte Gennargentu. Vieni con me ad assaggiare la bottarga che rende inebrianti i frutti del mare. Trascorreremo i pigri pomeriggi di fine ottobre a passeggiare tra i pascoli degli asini selvatici dell’Asinara.
La nostra vita è tutto ciò che ci appartiene, usiamo il tempo che ci è stato concesso per riempire i nostri occhi di luce e il nostri nasi di profumi. Questa è l’unica libertà che abbiamo fino in fondo. Viviamola insieme. Non ignorare le mie parole, non le dimenticare, leggile e tienile per te. In fondo al cuore. Vieni con me, fidati di me, lasciati guidare oltre il bosco, vieni con me dove c'è il mare.
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La Madonna di Parigi
L’emozione è stata potente e improvvisa.
La visione di quella giovane madre, piena di grazia, che si copre il ventre gravido di vita con lo splendido pudore di un’adolescente mi ha spinto alle lacrime con una tale violenza dal cercare un riparo.
Il suo sguardo è timido e sfuggente, il suo sorriso è dolce e gentile. Lei viene da lontano, da una terra silenziosa che molti faticano a trovare su una carta del mondo. Lei è sbarcata nella chiassosa capitale dell’egoismo. Eccola li, al centro del cortile interno, sola, circondata dal varcame adolescenziale parigino. Le sue labbra si muovono, non riesco a sentirne il suono. Non riesco a immaginare chi ci possa essere all’altro capo dell’auricolare. Il suo viso è dolce e sereno. E’ il viso di una giovane madre. L’ho avuta in classe due anni fa, appena arrivata in Francia. Discreta e diligente, forse un po’ solitaria, era più grande dei suoi compagni di classe, preferiva rimanere in disparte. Io le parlavo in russo, pronunciavo le due parole che conosco solo per vederla sorridere. Lei sorrideva e scompariva.
Oggi la osservo da lontano, come rapito, sembra così sicura eppure mi sembra così fragile, la vedo sorprendentemente bellissima. Avrà poco più di vent’anni, i suoi compagni di classe si preoccupano esclusivamente di coltivare la loro reputazione dentro e fuori i social network, lei è alla sua seconda gravidanza. Nel suo paese si diventa adulti presto, i bambini si fanno senza troppi problemi.
Esitante, il passo incerto e tremante, mi avvicino. Vorrei parlarle, vorrei dirle qualcosa di rassicurante e gentile. Vorrei dirle con discrezione che ho notato la sua gravidanza e che le faccio i miei auguri affinché possa essere un evento di gioia per lei. Vorrei strapparle un sorriso e testimoniarle la mia vicinanza. Bofonchio qualcosa di appena comprensibile, impacciato come in ogni momento importante della mia vita. Lei interrompe il suo parlare e mi ringrazia rapidamente, prima di ritornare alla tua telefonata. Mi allontano frastornato dalle emozioni che hanno paralizzato. Di nascosto, ripiego in un angolo, al riparo dagli sguardi degli altri studenti, continuo a scrutarla con gli occhi carichi di lacrime. Accanto a me appaiono due allievi che notano il mio viso stravolto e mi chiedono il perché delle mie lacrime. Bofonchio ancora una volta una scusa per sfuggire a qualsiasi spiegazione razionale e mi allontano rapidissimamente su per le scale dell’edificio.
Non sono riuscito a smettere di pensare quella visione celestiale. Sconvolto, ho continuato a visualizzare nella mia mente quella bellezza religiosa dagli occhi d’oriente, quel volto pieno di grazia materna, quel corpo dolce e morbido pudicamente coperto. L’educazione cattolica che mi è stata somministrata in dosi massicce sin dalla più tenera età e la mia passione per le madonne del Rinascimento hanno fatto il resto.
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