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Tra moglie e marito,non mettere il ...telefonino.
Questo è un dialogo inventato e scritto nel 2016.
Sono stato testimone di una scenetta: Esterno, giorno. Due panchine di un giardino pubblico, l'una di fronte all'altra. Io sto guardando la mia pagina di FB sul mio piccolo cell. e, di fronte, un uomo guarda stancamente il suo smartphone. Poi lo mette in tasca. Dalla mia destra arriva a passo veloce una donna: alta, capelli scuri, vestito chiaro, leggero e privo di trasparenze: sembra molto contrariata. Si piazza di fronte a lui, dandomi le spalle. Donna: Hai lasciato come al solito lo smart? Io (dentro di me): Anche tu, fratello della dimenticanza.... Uomo: la fissa in silenzio con sguardo, poi: "Non lo so, forse. Come mai? D. (si siede arrabbiata alla destra del’uomo con la borsa tra di loro) Ti ho chiamato e non mi hai risposto, dove c....o eri? U. in ufficio, forse l'avrò lasciato là In quel momento lo smart suona, l'uomo si stupisce e comincia a cercare nel borsello: lo trova. U. "aspetta un momento" e risponde alla chiamata. D. si siede con faccia scocciata, Apre la borsa e prende il suo smart. U. chiude la chiamata e si rivolge alla donna. "Amore, mi dici cosa è successo?" D. (arrabbiata) Mi stai prendendo in giro? Ti ho chiamato U. (perplesso): Davvero? Questa è la prima chiamata che ricevo da ore. Ora guardo le chiamate. D. Inutile che tu mi mostri le chiamate ricevute: tu le hai cancellate. U. (Duro). Io non ti sto prendendo in giro, guarda! D. (lei allontana lo smart dell'uomo, con un gesto del dorso della mano senza parlare.) Sui due cala il silenzio, io alzo gli occhi e vedo il viso contrariato della donna. L’uomo chiude gli occhi, pensieroso) U (spalancando gli occhi) Mi vuoi chiamare? D. Non sono mica stupida U. Lo so che non losi , però prova; se il mio suona, hai ragione. Altrimenti... D. (Lo chiama. Non si sente alcun suono. I due tengono vicini i propri telefoni). Ma cosa succede? Mi cade la linea, eppure ho campo. U. (sorride) Prova ancora. D. (incredula, guarda gli schermi dei due smartphones) Ti sto chiamando, ma il tuo (pausa) non risponde, eppure ho credito. Quindi....(guarda l'uomo con incredulità mista a stupore). U. (con espressione divertita) ".....non mi hai detto una bugia". Perchè ti dovrei dire una bugia? (Voce serena) Ti avevo detto che il tuo operatore non valeva nulla, però vuoi sempre fare di testa tua. Sei bravissima, ci prendi sempre, però questa volta........(si interrompe. Gli smartphones vengono posti nelle rispettive borse e lui accarezza il viso della donna). D. (con sguardo torvo e deluso) Ho toppato. U. (la abbraccia e la bacia sul collo). Capita a tutti: anche al genio di casa. D. (felice). Caffè? U. Certo, poi torno in Ufficio. (I due si alzano e si allontanano. L'uomo la stringe dandole una pacca nel sedere, lei sposta la sua mano, sorridendo) Io: li guardo andare via, sorridendo. Mi alzo dalla panchina e me ne vado dalla parte opposta. FINE
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La vendita della Lombardia p.7°
Nella stanza scese un silenzio spettrale: la prima e la terza carica dello Stato si guardarono dritti negli occhi, mentre le persone presenti guardavano i due con sentimenti diversi: il segretario alla Presidenza allungò la mano verso un tasto posto sotto il ripiano della scrivania: premendolo un segnale stabilito, avrebbe fatto scattare l’allarme con l’arrivo immediato dei corazzieri; il ministro si era allontanato verso un bagno, in preda ad una crisi “nervosa”. «Signor Presidente - il Cavaliere ruppe il silenzio - ammetto di essere diventato un vecchio rimbecillito: mi sono fatto infinocchiare da chi è sempre alla ricerca di soldi», lo sguardo si pose sullo spaesatissimo ministro dell’economia che stava per avere un collasso nervoso. «Ammetto di aver trascurato le conseguenze politiche e sociali di questa bozza e, sinceramente, ignoravo che ci fossero queste conseguenze penali così pesanti; così non avevo pensato anche alle conseguenze riguardanti la mia persona, e mi riferisco a ciò che il segretario ha così efficacemente e sinteticamente raffigurato: Lei ha ragione: LA COSA NON SI PUÒ FARE.»
Appoggiando la carpetta sulla scrivania, il Cavaliere salutò il Presidente, uscendo dalla stanza, insieme al suo seguito.
«Grazie a Dio, anche se ci credo poco, abbiamo evitato un bel guaio - il presidente si rivolse sollevato verso il segretario - me la ero vista brutta, mi sembrava di trovarmi ad una riunione della segreteria del mio defunto partito, ove abbiamo rischiato più volte di darcele di santa ragione, per poi giungere ad un accordo. Sinceramente non avevo pensato al lato personale; è proprio vero che bisogna toccare la gente sul proprio denaro per far capire quali siano le conseguenze dei propri atti. Vado a casa, sono troppo stanco; chiami l’ambasciatore svizzero per le carpette». Tornato a Palazzo Chigi, Il Cavaliere ordinò l’interruzione delle trattative e, successivamente, ne parlò ai figli che guidavano la sua società: mi fu detto, in confidenza, che i figli andarono su tutte le furie: “Spero che tu non l’abbia l’Alzheimer” gli urlò il figlio maschio. Le carpette tornarono all’ambasciata svizzera, ove, d’accordo con il Consiglio Federale, l’ambasciatore ne distrusse il contenuto, affinchè nulla restasse a perpetuam rei memoriam.
Fine.
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La vendita della Lombardia p.6°
«Provi ad immaginare - proseguì il Capo dello Stato - se lei non fosse stato un membro del Parlamento». «Quindi, signor Presidente - così il Cavaliere ruppe il suo silenzio - lei ritiene che questo accordo avrebbe queste conseguenze assai gravi per la stabilità delle istituzioni?» Il presidente annuì, il Cavaliere: «Credo che il mio partito sarebbe compatto ad appoggiare....». Il Presidente alzò la mano destra: «Lei si dimentica due cose: 1) nel suo partito c’è la parte ex AN che non rimarrebbe zitta, ma potrebbe riunirsi insieme alle altre anime della destra, fino ai neofascisti, poichè la accuserebbero di “alto tradimento”; e non sarebbero soli, perchè si accoderebbe anche il partito da cui provengo; in questo modo la sua messa in stato di accusa sarebbe poco più che una formalità!». Il Cavaliere prese la carpetta, riponendola nella borsa: «Sarebbe stata una cosa da vedere, però....vedremo».
Dicendo questo, il Cavaliere si alzò e si stupì che rifiutandosi di stringergli la mano, il Presidente gli disse: «Qui non è solo in gioco l’unità nazionale, ma l’esistenza del nostro paese».
Il presidente del Consiglio era arrivato alla porta dello studio: «Cavaliere, aspetti un momento - il segretario generale del Quirinale era rimasto in silenzio - lei ha la residenza a Macherio, in provincia di Monza e la sede del suo impero si trova a Cologno Monzese; se la cosa andasse a buon fine, lei si troverebbe in una situazione piuttosto particolare. Fininvest e Mediaset diventerebbero svizzere e Mediaset perderebbe la possibilità di trasmettere in Italia, a meno che non trasferisca la sede in Italia, però il centro di produzione di Cologno Monzese andrebbe perduto, dato che gran parte della produzione avviene lì. In più lei dovrebbe scegliere tra le due cittadinanze, ben sapendo che, scegliendo la cittadinanza elvetica, lei dovrebbe dimettersi immediatamente dal parlamento e di governo». Sentendo questo, scuro in volto, il Cavaliere ritornò in silenzio verso il Capo dello Stato. [continua]
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La vendita della Lombardia p.5°
«Già, Cavaliere - proseguì il Presidente della Repubblica - lei deve ringraziare l’immunità parlamentare, perché un Primo Ministro non parlamentare sarebbe uscito da questo ufficio con le manette; si ricorda come fu seguito il processo Lockheed davanti alla Corte Costituzionale, o il Processo Cusani?» Ormai i due esponenti del Governo sudavano freddo, soprattutto la citazione del processo trasmesso in mondovisione fece sbiancare il Presidente del Consiglio, ricordando bene chi fosse il Pubblico ministero. Il Capo dello Stato capì che la tensione toccava livelli altissimi, così cercò di allentare la cappa calata nella stanza.
«Voglio essere chiaro: ho sempre affrontato i problemi senza fare chiasso e voglio continuare a farlo, quindi ascoltatemi bene; se non sono chiaro, potete interrompermi.» Il Presidente confermò che l’ambasciatore elvetico aveva portato la carpetta, perchè egli aveva pensato che il contenuto così esplosivo dell’accordo doveva essere presentato alla sua attenzione, aggiungendo che, personalmente, riteneva questa bozza di accordo assolutamente sconclusionata e che, a situazione capovolta, lui la avrebbe intesa come un atto ostile nei confronti della sua Nazione.
«Bene: comincio, ricordandole, caro Cavaliere, che l’articolo 5 definisce la Repubblica come “una ed indivisibile” e solo con questo riferimento, potrei anche sbatterla fuori, poichè questa bozza fa a cazzotti con la nostra Carta Costituzionale; ma rendere pubblica questa bozza potrebbe provocare l’innescare di scenari molto inquietanti: pensi che a Napoli ci sono ancora dei nostalgici dei Borboni. Come le ho detto, due miei predecessori avrebbero reagito piuttosto pesantemente, non soltanto a parole, perchè a complicare la situazione sua e del governo, c’è anche un risvolto penale». A queste parole il Cavaliere rimase perplesso: «Già - riprese il Presidente prendendo un foglio - esiste una parte del Codice Penale, il titolo I° del libro secondo si intitola: “ DEI DELITTI CONTRO LA PERSONALITÀ DELLO STATO“; proprio il primo articolo di questo titolo copre questo caso, glielo leggo:” «Art. 241 (Attentati contro l'integrità, l'indipendenza e l'unita' dello Stato). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza o l'unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni. La pena è aggravata se il fatto è commesso con violazione dei doveri inerenti l'esercizio di funzioni pubbliche».” Si figuri che nella formulazione originale era prevista la pena di morte», mentre diceva queste parole, il Presidente passò un dito lungo il collo. «Per giunta, - il Capo dello Stato spostò altri fogli - per questo reato è previsto l’arresto in flagranza; si rende conto, caro Cavaliere, che Pertini e Scalfaro non ci avrebbero pensato due volte a chiamare i carabinieri e farvi uscire dal Quirinale in manette, come le avevo detto poco fa.» [continua]
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La vendita della Lombardia p.4°
Il Capo dello Stato ricevette poi il Presidente del Consiglio, ma l’argomento non venne fuori, né in quella occasione, nemmeno nelle successive: sembrava sparito in qualche cassetto; però un bel giorno, il Presidente del Consiglio decise il grande passo: preparò un bel discorsetto sulla crisi del paese, sulla assoluta necessità di accettare la domanda, ma che avrebbe accettato anche un rifiuto da parte della popolazione lombarda che avrebbe detto l’ultima parola con un referendum. Accompagnato dal fido Ministro dell’economia, il Primo Ministro si presentò all’udienza presidenziale; purtroppo lui ignorava non solo che il Capo dello Stato fosse al corrente della proposta. Si presentò al cospetto dell’inquilino del Quirinale con una faccia più sorridente del solito; gli presentò i documenti per la firma, poi fece il colpo di teatro: «Signor Presidente, vorrei presentarle questa proposta portatami dal Governo Svizzero»; così dicendo, tirò fuori la carpetta ove compariva la croce bianca in campo rosso. Il Presidente guardò prima la carpetta, poi fissò il viso trionfante del Cavaliere e per ultimo, il sorriso trionfante del ministro.
Con sguardo apparentemente svagato, il vecchio mestierante della politica allungò la mano verso un cassetto: «Ah! Davvero? Cosa ne pensa di questa?» Dal cassetto comparve una carpetta identica, con lo stesso stemma. Il sorriso si spense nei visi dei politici. «Come è possibile? Chi le ha portato la cartella?» Il Presidente del Consiglio era infuriato: il Ministro farfugliava parole quasi incomprensibili. «Signori, vi prego: tacete.» La voce del Capo dello Stato si era alzata: «Non c’è nessun tradimento; l’ambasciatore elvetico mi ha molto rispettosamente presentato questa carpetta, quattro mesi fa». La mano alzata imponeva il silenzio. «Io ed il mio staff abbiamo avuto tutto il tempo per esaminare questo testo, fin alle virgole delle note». Nello studio si sentiva solo il suono dell’orologio posto sulla consolle. «Caro Cavaliere, lei deve ringraziare che ci sia io, al Quirinale; nella mia lunga carriera ho imparato ad affrontare le situazioni più delicate, senza andare oltre le righe. Se lei lo avesse presentato al presidente Scalfaro o peggio, a Pertini, lei sarebbe stato cacciato fuori, con diversi insulti e Pertini avrebbe chiamato i Carabinieri denunciando lei alla Procura della Repubblica. [continua]
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La vendita della Lombardia p. 3°
Il ricavo sarebbe stato piuttosto cospicuo ed avrebbe largamente compensato la perdita della “Capitale morale”. Secondo il Cavaliere, in questo ruolo, Torino poteva largamente sostituire Milano, così sarebbero stati contenti i suoi amici, i proprietari della squadra di calcio più popolare e della famosa casa automobilistica. Si sentiva euforico, così come lo era il suo ministro dell’Economia che pensava alle strategie di riduzione del debito, in modo tale da evitare l’aumento delle imposte e tasse.
Sicuramente entrambi non sarebbero stati molto contenti, se avessero visto l’udienza concessa al capogruppo al senato del partito di maggioranza: lo scopo era la conferma della data dell’udienza del presidente del Consiglio; il Presidente lanciò con noncuranza il sasso: “Carissimo, ieri sera mia moglie diceva che Napoleone non avrebbe la sua fama, se la Corsica non fosse stata venduta alla Francia”. “Non lo so, Presidente - disse con imbarazzo - ci sono stati molti italiani che hanno successo con potenze estere, come il Principe Eugenio”. «È vero - convenne il Presidente - l’Italia non esisteva proprio, politicamente parlando; però mia moglie si chiedeva quanto fosse ridotto male uno Stato da essere costretto a vendere una parte del territorio nazionale». «Non sono capace di esprimermi in punta di fioretto, le dirò che la Repubblica di Genova era solo un ammasso di ......». Il seguito del discorso non è molto riferibile: estrapolando gli insulti, secondo il senatore, la Repubblica di Genova era ormai vicina al collasso, se non allo sbando; secondo lui, se questa azione venisse proposta in Italia, avrebbe conseguito un solo effetto: «Presidente, per me se un governo italiano tentasse di presentare una proposta di questo genere, questo governo dovrebbe essere fucilato per Alto Tradimento». «Bene, caro senatore - riprese il Presidente - so che lei parla con una franchezza rara nella politica magari usando un linguaggio molto colorito, per questo la stimo, nonostante lei sia molto lontano da me, politicamente parlando: non ci sono problemi per l’udienza».
Il senatore uscì dallo studio alla Vetrata: il segretario generale era stato uno spettatore silente durante il colorito monologo e più volte il Presidente lo aveva zittito con il palmo della mano. Avuta la conferma dell’uscita del Senatore dal Palazzo, il Presidente si rivolse al suo collaboratore: «Il senatore c’è cascato in pieno: lui non ci penserebbe due volte ad aggredire il suo “amato Presidente” ed i commessi farebbero molta fatica a calmare le acque: e non solo all’interno del Parlamento.» [continua]
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La vendita della Lombardia parte 2°
I contatti avvenivano attraverso un suo rappresentante scelto in Azienda tra il personale più discreto; in realtà egli fungeva da corriere, facendo la spola tra Berna e Macherio. Nella Capitale della Confederazione, egli incontrava la contro parte in luoghi diversi, oppure in località diverse dalla capitale; vi era soltanto un divieto: stabilire incontri all’interno del Palazzo Federale.
Il Sole romano del primo mattino riempiva di luce la cucina dell’abitazione privata del Capo dello Stato. “Marito mio - cominciò la consorte - non credo proprio che questa cosa sia fattibile e tu lo sai bene”. Il Presidente alzò lo sguardo: “Lo so benissimo, comunque voglio discuterne con lo staff; però hai ragione: la cosa è macchinosa e tu sai che una cosa contorta e complessa è sempre facile da scardinare. La moglie rispose: “L’Italia, una ed indivisibile”. Con un bacio, salutò la moglie per cominciare una lunga giornata, al Quirinale.
Quando il Capo dello Stato entrò nello suo studio, vide tutti i suoi collaboratori: il Segretario Generale aveva convocato tutti i Consiglieri responsabili degli uffici della Presidenza: si trattava di un autentico “governo ombra” che verificava gli atti del governo e che dava al Presidente informazioni e consigli, in caso di dubbi o di perplessità.
Il presidente andò a sedersi alla scrivania e, dopo averli fatto accomodare, iniziò a delineare la situazione: “Signori, spero di non farvi perdere troppo tempo, però ritengo che ciò che sto per dirvi non debba essere preso sotto gamba”. Mentre il Presidente enunciava il contenuto della bozza d’accordo, il Segretario distribuiva a ciascuno una carpetta chiusa con una parola scritta in modo evidente: “RISERVATISSIMO”. “Signori, - conclude il Presidente - personalmente ho già maturato un parere su questo documento, però ho assolutamente bisogno dei vostri pareri e delle vostre osservazioni, poichè sono sicuro che il Presidente del Consiglio me lo presenterà a brevissimo termine! Avrete 36 ore di tempo, quindi tornate nei vostri uffici: non serve ricordare che tutto ciò ha la PRECEDENZA sulle vostre attività!” La riunione si scioglie nel silenzio, rotto dalle sedie spostate. “Sarò un po’ tonto, - il segretario ruppe il silenzio - però mi chiedo perchè non citare solo l’inizio dell’articolo 5 della costituzione?” “Lei non è tonto, assolutamente! - rispose il Presidente - l’osservazione è assolutamente fondata, però al Cavaliere - mentre diceva questa parola, lui faceva il gesto delle virgolette - bisogna dare una risposta tagliente, decisa, da rendere muti lui ed i suoi rimorchi”: con questo termine egli indicava tutti coloro che si lasciavano andare ad elogi sperticati nei confronti del Cavaliere. Come un altro suo precedessore ex magistrato, il Presidente non aveva molta considerazione degli stretti collaboratori del Primo Ministro, però aveva sempre preferito esprimere direttamente il suo parere, lontano dalle orecchie dei giornalisti quirinalisti, cioè dei rappresentanti della carta stampata e delle Tv che stazionavano nella sala stampa del Quirinale
Intanto il Presidente del Consiglio prepara i documenti da portare alla firma del Capo dello Stato. “Cribbio, dove è la cartella svizzera?” “Eccola” risponde il segretario con una voce tremolante. “Questo è un grande colpo - riprende il primo ministro - così la fisima secessionista va a puttane, altro che il sole delle alpi.” È veramente su di giri: pensa che l’idea della cessione possa essere un successo, da lasciare a bocca aperta le opposizioni e gli alleati. All’inizio, lui non ne era assolutamente convinto: di primo acchito questa idea sembrava una vera sciocchezza, se non una vera sconcezza. Il suo stretto entourage, quello aziendale, non ne voleva sentir parlare, però il partito si era dimostrato entusiasta: a dire il vero, il partito accoglieva entusiasticamente ed acriticamente qualunque proposta del Capo. Lentamente il Capo era passato dal sospetto alla accoglienza più totale:[continua]
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La vendita della Lombardia parte 1°
http://www.tvsvizzera.it/attualita/Operazione-Lombardia-1362715.html
Ho visto questo sceneggiato realizzato dalla R.T.S.I. su una ipotetica cessione della Lombardia alla Svizzera ed ho immaginato come la parte italiana sia stata costretta a rinunciare.
Sono presenti personaggi realmente esistenti, ma la storia è completamente inventata e frutto della mia fantasia.
La scena si svolge al Quirinale, nello studio privato “alla Vetrata”.
Il Presidente della Repubblica appoggiò la carpetta sulla scrivania e cominciò a fissare gli affreschi dello Studio. La sua vita politica e personale era stata più che intensa, dapprima all’interno del PCI, poi nelle istituzioni come Presidente della Camera e poi come Ministro dell’Interno. La carpetta era decorata con una croce bianca su campo rosso con la scritta in quattro lingue: L’ambasciatore della Confederazione Elvetica. Qualche giorno prima, l’ambasciatore della Confederazione era salito al Colle, presentando, come gesto di rispetto, un progetto che la Confederazione ed il Governo Italiano stavano portando avanti nel massimo riserbo: la cessione della Lombardia alla Svizzera: un progetto anomalo ma grandioso, secondo la Confederazione; una cosa stupefacente, secondo l’Italia.
Abituato al dialogo con esponenti di vario genere, il Presidente aveva manifestato all’interlocutore la irritualità della procedura, però aveva ringraziato con molta cordialità il suo interlocutore.
Una volta congedato l’ambasciatore, il Presidente aveva iniziato a leggere i fogli contenuti nella carpetta: stupore, rabbia, incredulità erano i sentimenti che uscivano dalla lettura: il governo aveva intrapreso una trattativa assolutamente anomala, mai vista: una cessione a titolo oneroso di parte del territorio nazionale ad uno stato estero era una anomalia, perché la storia aveva visto territori passati di mano soltanto a seguito di trattati di pace che chiudevano le guerre. Nella storia l’unico precedente era stata la cessione della Corsica alla Francia, da parte della Repubblica di Genova, nella seconda metà del XVIII secolo: “siamo ridotti così male, da vendere a pezzi il territorio nazionale? Non credo e non voglio crederci”: preso da un cassetto un blocco note, il presidente riprese la lettura dei fogli. L’esame del testo fu molto accurato e solo la chiamata della consorte lo spinse ad interrompere la lettura: bisognava assolutamente tornare a casa, ove era la amata consorte a dettare le regole, soprattutto per i pasti. Uscendo dallo studio, lui incontra il Segretario Generale della Presidenza: “Domani, tutti nel mio studio alle 9: bisogna affrontare un problema molto grosso; disdire ogni impegno ed ogni incontro: dirò tutto domani mattina.” . Lasciamo andare a casa i nostri personaggi e vediamo cosa ha fatto arrabbiare il Capo dello Stato. La Svizzera aveva lanciato una proposta piuttosto strana: per 390 miliardi di Euro l’Italia avrebbe ceduto la sovranità della Lombardia alla Svizzera. La regione sarebbe stata gradualmente divisa in cantoni aventi le dimensioni delle attuali province e l’accordo sarebbe stato valido, dopo lo svolgimento di un referendum, che sarebbe privo di quorum di partecipazione, come nei referendum abrogativi; l’esito positivo o negativo sarebbe stato ritenuto valido se il risultato avesse avuto i 3/4 dei voti validi.
L’accordo prevedeva le varie fasi della transizione ed il trasferimento dei poteri sia a livello nazionale che a livello locale. La Regione Lombardia avrebbe coordinato l’intera operazione e sarebbe stata l’ultima amministrazione italiana a cessare l’attività: in qual momento sarebbero state ammainate le bandiere nazionale italiana e regionale lombarda e sarebbe stata issata in tutti gli uffici pubblici la bandiera rossocrociata e dei nuovi cantoni. Nell’accordo era contemplata l’eventualità che sarebbero rimaste sotto sovranità italiana le zone confinarie che non avessero accettato la secessione,senza toccare l’importo dovuto dalla Svizzera.
L’ipotesi di accordo era stata presentata al Presidente del Consiglio, durante il Vertice Economico Mondiale a Davos; il nostro Capo del Governo era stato avvicinato dal capo del dipartimento di Giustizia e Polizia che, nella qualità di vice presidente della Confederazione, rendeva gli onori di casa. Sinceramente, il nostro capo del governo era stato piuttosto meravigliato dalla sfattataggine della proposta e ne aveva parlato con i suoi più stretti collaboratori, sia nel partito che nell’azienda, ricevendo pareri contrastanti: l’azienda era molto contraria, considerando l’accordo una autentica fregatura, mentre il partito ne era favorevole; entusiasta era il suo ministro dell’economia, a cui la somma ottenibile faceva molto comodo per le casse dello Stato. La trattativa sarebbe poi stata portata avanti al di fuori dei canali diplomatici, poichè lui immaginava che dalla sua coalizione sarebbero arrivati segnali molto contrastanti: in pratica, lui avrebbe scelto il suo negoziatore e lui solo avrebbe seguito il cammino.
(continua....)
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La partenza per le vacanze
"ALDO È TARDI" Paola mi ha svegliato suonando al campanello. Sono le 6.35, mi preparo. Riesco a prendere il treno? "Pensavo che tu fossi pronto", invece la mia sveglia interna non ha funzionato. "Stavolta lo perdo" penso rassegnato; invece lo scarso traffico e 4 semafori verdi mi fanno arrivare 1 minuto prima della partenza del treno. Nel quadro orario il treno ha 5 minuti di ritardo. Le indico il quadro con la felicità di un bimbo. Lei è stupita: "Visto che la mia fortuna funziona? Mi saluta con un bacio. Sorrido come un bambino: la mia solita fortuna non poteva abbandonare proprio oggi; difatti poi lei ha messo a Milano Centrale il treno per Tirano nel binario affianco al Freccia Rossa: meglio di così.......
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