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La seconda Repubblica
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I segreti più intimi dei protagonisti degli anni Novanta. WARNING: alcuni racconti sono più lunghi di due righe,
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andre-otty83-blog · 8 years ago
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In quel preciso momento, Ruud capì che non amava più sua moglie.
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andre-otty83-blog · 8 years ago
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È  il 1998 e Giulio Andreotti sta pensando che l’incerata che il suo barbiere (Antonio, siciliano, tre figli, una moglie brutta, dice che ha sempre votato DC, ma Giulio Andreotti lo sa che è socialista) gli ha legato attorno al collo gli prude molto. Le altre volte non è mai successo, ma oggi è come se quel lenzuolino di plastica fosse diverso dal solito. Quando Antonio glielo ha sistemato, i giornalisti erano già arrivati e lì per lì non ci  ha fatto caso. Ma piano piano quel fastidioso tocco della plastica ha come cominciato a vivere di vita propria e a sfregargli la pelle (sempre troppo delicata) del collo. Giulio Andreotti non ha sentito la domanda del giornalista (CorSera? Repubblica? O di un giornale di Berlusconi? Le risposte cambiano a seconda della testata) e forse darà una delle risposte sempre uguali che il giorno dopo i suoi elettori si aspettano. “La crisi”, dice “si supera. Tutto si supera. Tranne me”. Ecco, bravo, pensa Giulio Andreotti, la tua solita battutina, fai divertire questi qui, fatti vedere forte. Tutti ridono, infatti. Il prossimo giornalista, ancora con la bocca macchiata dalla risata di prima, Giulio Andreotti lo conosce, ma è come se stesse solo muovendo le labbra, perché lui sta pensando solo alla sensazione di tatto freddo e allo stesso tempo tagliente dell’incerata. Giulio Andreotti pensa che magari Antonio glielo ha legato troppo stretto. Cerca di concentrarsi, per capire qual è il problema. E se l’incerata fosse stata usata per un cliente prima di lui e Antonio non l’avesse pulita per bene e adesso tra la plastica e la pelle (fragile, caduca) del suo collo ci fossero dei capelli di chissà chi? Giulio Andreotti fa una smorfia che pensa sia impercettibile, ma si accorge che no, non lo è stata; nota negli occhi del giornalista che gli sta chiedendo chissà cosa (le prossime elezioni? la Roma? Gheddafi?) uno smarrimento, un’esitazione sottile quanto potente, un fulmine beige: il poverino avrà sicuramente interpretato quella sua smorfia come disappunto per la sua domanda e adesso si starà chiedendo, mentre la sta ancora formulando (ma quanto è lunga?) se sia una domanda brutta o mal posta, perché se uno come Giulio Andreotti ti giudica un cattivo giornalista poi puoi dire addio alla carriera, perché Giulio Andreotti starà pensando di lui che è un pennivendolo da quattro soldi? E invece Giulio Andreotti prova rimorso per il povero giornalista (deve controllarsi di più, sempre di più, come gli hanno insegnato a scuola) e non vede l’ora che tutto finisca. Cerca con gli occhi Antonio, ma si sarà fatto da parte per lasciare spazio alla stampa, il maledetto socialista, sarà andato a prendere un caffè. Giulio Andreotti vuole andare a casa; adesso, seduto di fronte a tutti, con quell’enorme bavaglino, si sente un cattivo bambino, si sente sporco, comincia ad agitarsi. Vorrebbe grattarsi il collo, ma si trattiene (trattenersi, trattenersi), mentre muove la punta piede su e giù dal predellino della sua sedia, e con il mignolo della mano destra incide impercettibili richieste d’aiuto sulla similpelle del bracciolo. Dallo sterno di Giulio Andreotti comincia a spandersi un calore tenue in tutto il petto, come i cerchi di un lago in cui un bambino triste (ha la sua faccia, il bambino triste) ha gettato un sasso, mentre dall’ombelico cresce uno stelo gelato che sale sale fino a ricongiungersi al fiore tiepido del petto. Caldo e freddo si uniscono ma non si mischiano, vorticano adesso nel diaframma di Giulio Andreotti, e la plastica dell’incerata gli sega piano piano la pelle (pergamena antichissima e deteriorabile) del collo, e Giulio Andreotti adesso può avvertire distintamente i capelli tagliati al precedente cliente, incastrati in quello stretto spazio e costretti a impastarsi con il suo sudore. A chi appartengono adesso, quei capelli? Perché tutti sembrano essersi accorti della sua situazione? Perché allora fanno finta di niente? Il giornalista continua con la sua domanda, ma adesso gli è chiaro: lo stanno tutti giudicando. Giulio Andreotti vorrebbe essere a casa sua, vorrebbe che Antonio lo venisse a salvare, vuol piangere, vuole urlare che non ha fatto nulla, perché nessuno fa nulla, perché nessuno prende le sue difese, è stanco, è così stanco (trattieniti, trattieniti).
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