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Manuale per gatti ribelli
In questo periodo di cambi stagionali le guide pratiche (per quanto nonsense) possono risultare indispensabili soprattutto per tornare a sorridere quando dopo aver tirato fuori l’intero guardaroba estivo torna il gelo polare e si ha di nuovo voglia di stare sotto le coperte con un tè caldo. È per occasioni come queste che consiglio alle amanti dei gatti che si prendono cura di un’intera colonia l’Enciclopedia Treggatti di Sketch & Breakfast, alias Simona Zulian e Andrea Ribaudo.

Un fumetto esilarante in grado di dispensare utili e ironici consigli seguendo le (dis)avventure di Felinia alle prese con i suoi gatti. Chiunque possieda, o abbia posseduto, un gatto non potrà non immedesimarsi in ogni singola pagina di questo volume che unisce ilarità ad un disegno di una bellezza davvero toccante.
Stefania.
Sketch & Breakfast, Felinia’s Enciclopedia Treggatti, sopravvivere al proprio gatto, volume 1, 2016
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Skylla
Non sempre viaggiare significa affrontare lunghi viaggi, chilometri, soggiorni, organizzarsi mentalmente e materialmente (e a questo proposito, vi rimando alla guida pratica di Stefania, per riuscire ad organizzarvi al meglio e lasciare nulla dimenticato). A volte basterebbe prendere un treno o salire sulla macchina, magari in compagnia, magari in solitudine e una macchina fotografica al collo, e scoprire meraviglie a pochi chilometri di distanza dalla propria città.

Un paesino che mi piace visitare di tanto in tanto, soprattutto in estate, è quello di Scilla. Un antico posticino sul mare, con strette stradine in pietra tutte in salita ed in discesa e le casupole di contorno, l’aria che sa di salsedine, i pescatori bruciati dal sole che tirano le reti, il castello Ruffo…

Il nome di Scilla risale alla mitologia greca, è quello di una ninfa che, per la sua bellezza, fece innamorare Glauco, figlio di Poseidone, ed ingelosire Circe.
“Glauco arriva ai colli erbosi e al palazzo di Circe, la figlia del Sole, gremito di bestie d'ogni specie. Appena la vede, rivolte e ricevute parole di saluto, le dice: “O dea, abbi pietà di un dio, ti prego: tu sei l'unica, se ti sembro degno, che possa alleviare l'amore mio. Quale potere abbiano le erbe, o figlia del Titano, nessuno lo sa meglio di me, che da un'erba fui mutato. Ma perché tu conosca la ragione della mia passione: sulla sponda d'Italia, di fronte alle mura di Messina, mi è apparsa Scilla. Mi vergogno troppo a riferirti le promesse, le suppliche, le lusinghe e le parole mie: tutto ha disprezzato. E tu, se qualche efficacia hanno gli incantesimi, pronuncia un incantesimo magico; o se per vincerla è più adatta un'erba, serviti di un'erba che abbia poteri di provato effetto.Non ti chiedo di curare e sanare la ferita mia: non voglio che tu me ne liberi, ma che Scilla bruci dello stesso fuoco” (Metamorfosi, Ovidio)
Così Glauco versò il filtro di Circe, creduto un filtro d’amore, nelle acque nelle quali Scilla era solita fare il bagno, quelle di Zancle, e, piuttosto che innamorarsi seduta stante di Glauco, mutò in un orribile ed enorme mostro: gambe serpentine, sei teste di cane ed il suo busto si allargò smisuratamente.

Un mito che, ogni qual volta ricordo, mi lascia un che di malinconico addosso.
In ogni caso, Scilla merita d’essere visitata, a qualsiasi ora del giorno e della notte, ma personalmente amo gustarmi il suo tramonto sul mare.

Serena.
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Foolnius!
Tra i miei libri preferiti è da menzionare assolutamente, la “trilogia in cinque parti” dell’autore britannico Douglas N. Adams, The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy, emblema di un particolare genere di humor contemporaneo. Si trova qui un nonsense che sfiora il più alto grado di stupidità ma, senza fraintendimenti, mi riferisco al senso positivo del termine: è quella stupidità che farebbe sorridere il lettore, lo lascerebbe, sì, perplesso, ma penserebbe anche qualcosa del tipo “È geniale!”. Il nonsense di Adams, tout court, altro non è che (permettetemi l’ossimoro) geniale stupidità, anzi per dirla con un portmanteau, come farebbe Carroll (senza pretendere d’immedesimarmi in uno scrittore d’un certo peso), “foolnius” (genius and foolishness). A tal proposito si potrebbe citare una qualsiasi parte di una qualsiasi pagina della “trilogia” per comprendere lo spirito che anima il romanzo, e così voglio fare, per gioco: aprire il libro e citarne qualche periodo scelto con pura casualità.

“La Guida Galattica per autostoppisti dice alcune cose sull’argomento asciugamani. L’asciugamano, dice, è forse l’oggetto più utile che l’autostoppista galattico possa avere. In parte perché è una cosa pratica: ve lo potete avvolgere intorno perché vi tenga caldo quando vi apprestate ad attraversare i freddi satelliti di Jaglan Beta; potete sdraiarvici sopra quando vi trovate sulle spiagge della brillante sabbia di marmo di Santraginus V a inalare gli inebrianti vapori del suo mare; ci potete dormire sotto sul mondo deserto di Kakrafoon, con le sue stelle che splendono rossastre; potete usarlo potete usarlo come vela di una minizattera allorché vi accingete a seguire il lento corso del pigro fiume Falena; potete bagnarlo per usarlo in un combattimento corpo a corpo […] inoltre potete usare il vostro asciugamano per fare segnalazioni in caso di emergenza e, se è ancora abbastanza pulito, per asciugarvi, naturalmente.”
Si potrebbe continuare così all’infinito, anzi, lo farei per un gusto mio, personale, che mi porta ad apprezzare largamente questo libro, ma semplicemente mi limito ad invitare chiunque, o almeno chi è amante del genere, alla lettura di questo romanzo. È comunque un non-senso che ha, a suo modo, pienamente senso. Inoltre Adams dà sempre mostra della propria capacità di saper mescolare scrittura, humor e scienza in un’unica soluzione:
“È noto che esiste un numero infinito di mondi, per il semplice fatto che esiste uno spazio infinito atto a ospitarli. Non tutti però sono abitati. È chiaro quindi che il numero dei pianeti abitati è finito. Qualsiasi numero finito diviso per l'infinito dà un quoto così vicino a zero, da essere praticamente zero, perciò la popolazione media di tutti i pianeti dell'universo è praticamente inesistente. Il discorso che vale per la popolazione media vale anche per la popolazione in assoluto, per cui è lecito affermare che qualsiasi persona si incontri, di tanto in tanto, è solo il frutto di un'immaginazione malata”
Con quest’ultima chicca, cari lettori, chiudo qui il mio intervento, il mio infuso di polvere di stelle m’attende fumante.
Serena.
Guida Galattica per gli Autostoppisti, Douglas Adams, Oscar Mondadori, Traduzione di Laura Serra
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Lilia pallido folio
Questa sera vorrei lasciarvi, cari lettori, con un estratto dalla tragedia di Fedra di Lucio Anneo Seneca che riguarda la bellezza, quella esteriore, che il tempo, fugace e cinico, porta via. Non voglio né sento di dover aggiungere altro, concorderete con me che classici siffatti non abbisognano di commenti né introduzioni, ma d’una semplice lettura immediata e diretta. Nella speranza che la traduzione possa essere il più fedele e, al contempo, aggraziata possibile, vi lascio alla sua lettura.

“Bellezza, bene incerto per gli uomini, breve dono del tempo fugace, come fuggi veloce con rapidi passi! Non così frettolosamente i caldi aneliti estivi, quando, al solstizio, il mezzogiorno è fuoco e le notti abbreviano la loro corsa, spogliano i rigogliosi prati primaverili. Languono i pallidi petali dei gigli, sfioriscono le rose gradite tra i capelli: così, in un momento, è strappato quel fulgido incarnato che splende sulle tenere guance, e non c’è alcun giorno che non trascini via con sé qualcosa dal corpo bello e forte. È cosa effimera la bellezza: quale saggio confiderebbe in un bene così fragile? Finché puoi fanne uso, sì, ma il tempo, tacito, ti consuma e l’ora presente è sempre peggiore di quella passata. ”
Traduzione semi-libera
Ora la mia tisana di petali di rose m’attende e, con la speme che questo estratto vi abbia incuriositi tanto da desiderare una lettura integrale della tragedia, vi auguro una buonanotte.
Serena.
Lucio Anneo Seneca, Fedra
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Bisogna sapere viaggiare
Nei miei anni di vagabondaggio ho capito una cosa fondamentale: bisogna sapere viaggiare. Da qui la necessità di scrivere una guida pratica per viaggiatori bevendo un infuso di ibisco e rosa. Un vademecum frutto della mia personale esperienza che spero possa essere utile per rendere più piacevole qualunque tipo di viaggio, schematizzato ed arricchito di aneddoti affinché la lettura risulti scorrevole, chiara e piacevole.

• Ricordarsi che per quanto tutto possa essere organizzato gli imprevisti capitano e bisogna affrontarli senza mai scoraggiarsi o demoralizzarsi. Spesso un piano di riserva è indispensabile (ricordo ancora i vari biglietti di ingresso di mostre ed esposizioni fatte on line di cui ho portato, per un eccesso di zelo, sia la versione cartacea che quella digitale) ma la cosa migliore è saper improvvisare quando possibile, modificando velocemente i nostri piani iniziali in base alle necessità. • Cercare di avere un bagaglio leggero: se ci sono dubbi meglio una cosa in meno che in più, in questi anni mi sono resa che nella maggior parte dei casi portavo con me cose inutili, di cui non ne avevo bisogno. Una felpa o un maglione anche in estate va bene per ogni imprevisto, portarsi dietro l’intero guardaroba invernale è un’esagerazione. In ogni caso se qualcosa dovesse servire si può sempre acquistare sul luogo, nel mio ultimo viaggio a causa di giornate particolarmente calde ne ho approfittato per comprare qualche maglietta nuova (tra l’altro tutte ispirate a “la Bella e la Bestia”). • Scegliere il bagaglio giusto in base a dove si deve andare, a quali mezzi si devono prendere e soprattutto in base a cosa ci si porta dietro. Io ho un intero kit viaggio di Carpisa regalatomi anni fa dalla mia migliore amica composto da trolley grande, beauty-case, trolley piccola e borsone, un regalo che negli anni si è rivelato utilissimo permettendomi di scegliere il bagaglio migliore in base alle necessità del momento, a questi vanno aggiunti la mia borsa da viaggio, sempre di Carpisa, regalo invece di mio padre per il mio primo viaggio da sola ed il mio zaino Eastpak che è con me dai tempi del liceo. Discorso a parte sono poi le borse per reflex e pc o per attrezzature particolari. Nel primo caso ho optato per una tracolla imbottita presa da Amazon che in genere diventa la borsa in cui tengo tutti gli apparecchi elettronici: cellulare, tablet, pendrive, memory card, power bank, carica batterie e cavi vari, e ovviamente la reflex. Nel secondo caso invece la cosa migliore è uno zaino imbottito, a causa del peso del computer, infatti, la tracolla risulta scomoda soprattutto se si dovrà camminare parecchio a piedi (cosa che imparai a mie spese durante gli anni universitari, la borsa fu una pessima scelta). • Controllare sempre prima di partire che il vostro bagaglio rispetti sempre le dimensioni ed il peso che la compagnia con cui avete scelto di partire vi consente di portare, eviterete così spiacevoli inconvenienti come il dover pagare in più per il vostro bagaglio. • Consultare sempre una guida locale prima di partire per sapere cosa si può o non si può portare (Samantha Jones docet) in modo da rispettare sempre i luoghi che visitate. • Discorso a parte va fatto per il beauty-case, croce e delizia di molti viaggiatori. Anche qua vige la regola del viaggiare leggero, il mio è composto davvero da poche cose e si riduce al kit per i liquidi preso sempre da Carpisa, e a pochi altri accessori. In particolare trovo indispensabile avere con me una crema solare, un sapone neutro, un buon deodorante, dell’aloe, del burro di karité, uno shampoo, un balsamo, le lacrime artificiali, un dentifricio, uno spazzolino, la Tangle Teezer compact, un pettine a denti larghi, una pinzetta, uno struccante, una bb cream leggera, un balsamo labbra, una matita e un mascara. In passato avevo anche un piccolo kit unghie ma optando per lo smalto semi-permanente è diventato del tutto superfluo. Quando possibile, ma non sempre, e mi concedo il lusso di portare qualcosa in più, aggiungo delle matite labbra e occhi e una palette Pupa che contiene un po’ di tutto oltre a qualche crema in più come l’anticellulite o quella all’ossido di zinco. Un altro modo per rendere il bagaglio più leggero è quello di usare dei campioncini oppure accessori usa e getta, che in linea generale non mi fanno impazzire perché trovo che inquinino troppo per i miei gusti ma ammetto che in alcuni casi possano essere una salvezza. Valida poi l’alternativa proposta da molte aziende cosmetiche ovvero quella di creare delle mini taglie dei vari prodotti che sono al di sotto dei 100 ml e, per chi è affetto da shopping compulsivo come me, sono pure un modo per provare prodotti diversi. • Dividere portafogli e portadocumenti può facilitare notevolmente le partenze soprattutto in aeroporto quando il controllo di carta d’identità e carta d’imbarco avviene ad ogni step, in più è una sorta di piano b, pensate di riuscire a perdere o a farvi rubare sia portafogli che portadocumenti? Improbabile quindi per ogni eventualità meglio tenere sempre comunque un documento (nel mio caso è la patente) nel portafogli e pochi spicchi comunque in borsa, per le emergenze. Comoda pure l’opzione agenda e portadocumenti per chi, ancora, usa il cartaceo, io oramai tendo a fare tutto con il tablet, quindi, per me, sarebbe un peso in più inutile. • Durante il viaggio cerchiamo di stare comodi, utile, quando possibile, vestire casual: capelli legati, niente trucco e tenuta sportiva, portando con me un piccolo cuscino ed una sciarpa di grandi dimensioni che può diventare un piccolo lenzuolo in caso di necessità. Se il viaggio dura poi parecchie ore è utile ogni tanto alzarsi per sgranchire le gambe. • Infine avere un passatempo durante il viaggio è sempre di aiuto per non annoiarsi, io spesso leggo ma si può tranquillamente vedere un film, ascoltare musica, disegnare, giocare con vari dispositivi elettronici, insomma sono diverse le attività da potere fare.
Detto ciò godetevi appieno ogni esperienza, non abbiate mai paura dell’ignoto perché ogni viaggio è un’avventura che ci potrà solo arricchire.
Stefania.
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La ragazza del treno
Quando ero piccola avevo l’innato istinto di salutare ogni treno che vedevo passare. Non ricordo se la prima volta era stato un tentativo da parte di mia madre di farmi stare buona, non ho memoria di ciò, ma quei vagoni erano per me un luogo familiare ed il mio intento era salutare i suoi passeggeri immaginando che prima o poi ci sarebbe stato qualcuno che conoscevo o comunque bisognoso del mio affetto. Quindi, quando Paula Hawkins scrisse di Rachel e del suo bisogno di guardare fuori dal finestrino e di immaginare storie sulle vite di coloro che osserva, vidi una certa somiglianza. Ma le nostre analogie finiscono qua perché io ero una bambina di pochi anni che viaggiando di continuo riteneva il treno una seconda casa, mentre la protagonista de La ragazza del treno è una donna distrutta che si sente una fallita, è depressa e alcolizzata, e si crede responsabile di tutto ciò che di brutto le sia successo, dal divorzio al non poter avere figli sino alla perdita della casa e del lavoro. La maternità diviene un modo per colpevolizzare le protagoniste, ma Rachel si autocommisera di continuo, non ha la forza di affrontare la vita e sempre più spesso l’alcool è il suo unico confidente. Non riesce però ad ammettere questa sua dipendenza ed è convinta di poter tenere sotto controllo il problema. La sua isola felice è il momento in cui con treno passa dal civico numero 15: i suoi coinquilini sono particolarmente interessanti per Rachel, li considera una coppia perfetta e in sintonia, che le permettono per alcuni istanti di non pensare alla sua misera vita. Un giorno però Megan scompare e si scopre che la relazione con il marito Scott era tutto tranne che perfetta. Nonostante ciò le indagini sulla scomparsa della donna non portano a niente, nessuno sa se sia morta o se sia scappata di casa ed il motivo di tale scelta, ma Rachel non si arrende, ha un bisogno morboso di sapere cosa sia successo e ciò le dà una nuova ragione di vita. Il lettore stesso inizia ad apprezzare Rachel, se all’inizio la compativa ora vuole vederne la rinascita e vuole risolvere l’enigma che ruota intorno a Megan. Ogni personaggio ha, poi, una svolta inattesa, quelle che sembrano vite perfette in realtà non lo sono ma, anzi, sono il frutto di compromessi che spesso logorano l’individuo. Il finale pur essendo un po’ scontato non delude, diventa, anzi una sorta di riscatto per Rachel e per le altre protagoniste. Il libro ha poi il merito di analizzare il concetto di violenza sotto diversi aspetti, c’è una violenza più esplicita, prettamente fisica, ed una più velata ed inquietante perché tocca le sfere più intime di ognuno. Tutto ciò viene condannato ma allo stesso tempo normalizzato infatti l’atteggiamento costante è di fare finta di nulla finché qualcosa non cambia e Rachel nel tentativo di aiutare quella donna che in realtà vorrebbe essere aiuta se stessa.

Stefania.
P.S. Nonostante il film manchi di alcuni dettagli a mio avviso importanti, che qui non menziono onde evitare spoiler, merita di essere visto accompagnato da un infuso di arancia e limone e da dei biscotti al miele.
Paula Hawkins, La ragazza del treno
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Metamorphoseon
Per motivi di studio, che ultimamente trovo più un diletto che un dovere, sto attualmente dedicandomi alle “Metamorphoseon” o “Asinus aureus” di Apuleio, in particolare ai tre celeberrimi libri centrali dedicati alla favola di Amore e Psiche. Il libro in questione lo lessi già tempo fa nella sua versione tradotta ma, questo confronto diretto con la versione latina originaria (comunque frutto di un lavoro filologico e, in alcuni punti, ricostruita/interpretata), mi ha dato la conferma che, per meglio assaporare la favola in sé, così come succede per la poesia o per qualsivoglia altro testo letterario o, ancora, per le opere cinematografiche, è consigliabile, anzi, necessario, reperire l’opera nella sua forma originaria. Ora, se fossimo tutti poliglotti sic et sempliciter, ciò sarebbe in ogni caso meravigliosamente possibile, ma -ahimè- comprendo che così non è e non può essere, perciò il mio modesto consiglio è: se conoscete una lingua, qualsiasi essa sia, sfruttate al meglio questa conoscenza.
Digressioni a parte, il motivo di questo post nasce dall’esigenza di condividere coi nostri attuali e futuri lettori, un estratto di questa favola che, per la grazia delle parole minuziosamente selezionate e l’eleganza con la quale è stato reso questo cruciale momento, mi è rimasto particolarmente a cuore.
Ora, non sto qui a riassumere il racconto tutto, ma si tratta tout court del momento in cui Psiche vede per la prima volta l’amato coniuge creduto fino a poco prima, a causa dei moniti delle sorelle invidiose, un orribile mostro.

“[…] ma non appena la luce rischiarò i segreti del suo talamo, ecco che vide la bestia più dolce e mite di tutte, Cupido in persona, il dolce dio che graziosamente dormiva. Psiche tremante, con incontrollabile animo, abbandonata in un appassito pallore, cadde in ginocchio […] sfinita, quasi vicina a morire, fissava la bellezza del volto divino […] E scrutava la nobile chioma aurea madida d’ambrosia, le spalle bianche come il latte, le guance purpuree attraversate da riccioli inanellati armoniosamente fin sul petto. E, sugli omeri dell’aligero dio, le rugiadose ali piumate brillavano di fulgido splendore e, benché quiete, le piccole piume, tenere e delicate, sulle estremità, vacillanti si abbandonavano ad un inquieto tremore. Il resto del corpo era liscio e splendente, tale che Venere non dovette pentirsi d’averlo partorito.”
(traduzione semi-libera, ho cercato di mantenere fedelmente il senso dell’insieme e du alcune parole in particolare secondo me significative)
E, qui, vi lascio sorseggiando il mio tè nero.
Serena.
Apuleio, le Metamorfosi o L’asino d’Oro
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Senza vedere l’orizzonte
Imparate a girare senza meta, a perdervi per pochi minuti nei vicoli nascosti delle città. Potreste scoprire tesori rari che meritano la vostra attenzione. Gli edifici più interessanti di autori sconosciuti li ho scoperti così: nessuna mappa, niente iPhone, nessuna meta, solo tanta curiosità e voglia di camminare.

Ho scoperto facciate multicolori e paesaggi mozzafiato ma anche zone degradate con edifici fatiscenti, luoghi in cui regnava il caos ed il disordine, rischio che si corre in questo genere di escursioni.

In tutto questo girovagare ho persino trovato un piccolo locale che ricordava il paese delle meraviglie in cui fare una breve pausa con una bevanda calda ed una torta salata, sentendomi una moderna Alice che partecipa alla festa di non compleanno con il Cappellaio Matto, il Leprotto Bisestile ed il Toperchio.
Stefania.
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You sea!
Questo tiepido sole che anticipa l’arrivo della primavera evoca una certa nostalgia di quelle spensierate giornate estive, calde, afose… Nostalgia di mare cristallino, sereno. Se chiudo gli occhi riesco a figurarmi il suono delle sue onde che lentamente accarezzano la battigia, sensazione che mi riporta alla mente una poesia a me cara di Walt Whitman, della raccolta Foglie d’erba. Così, nell’attesa che il mio infuso di fragole s’intiepidisca, sfilo dalla mia libreria la raccolta, la sfoglio, ne sniffo le pagine (è una sorta di rito d’iniziazione: mai iniziare una lettura senza aver prima odorato il profumo delle sue pagine), la trovo: la ventiduesima poesia.

“Mare! Anche a te mi abbandono —indovino ciò che vuoi dire, Osservo dalla spiagga le tue dita ricurve che invitano; E so che non vuoi allontanarti senza avermi toccato; Dobbiamo fare un giro, noi due insieme —mi spoglio— portami in fretta lontano dalla vista della terra; Fammi da molle cuscino, cullami in un'ondosa sonnolenza, Spruzzami di pioggia amorosa —saprò ripagarti. Mare dalle lunghe risacche! Mare alitante ampi e convulsi respiri! Salmastro mare di vita! Mare di non scavate tombe sempre pronte! Agitatore e ululatore di tempeste! capriccioso e delicato mare! Sono parte di te —sono anch'io d'una fase e di tutte le fasi. Partecipo a influssi e emanazioni —esalto l'odio e la concordia; Celebro l'amicizia e gli amanti che dormono abbracciati.” _____________________________________________
“You sea! I resign myself to you also—I guess what you mean; I behold from the beach your crooked inviting fingers; I believe you refuse to go back without feeling of me; We must have a turn together—I undress—hurry me out of sight of the land; Cushion me soft, rock me in billowy drowse; Dash me with amorous wet—I can repay you. Sea of stretch’d ground-swells! Sea breathing broad and convulsive breaths! Sea of the brine of life! sea of unshovell’d yet always-ready graves! Howler and scooper of storms! capricious and dainty sea! I am integral with you—I too am of one phase, and of all phases. Partaker of influx and efflux I—extoller of hate and conciliation; Extoller of amies, and those that sleep in each others’ arms.”
Serena.
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“We should all be feminist”
Sono qui, nella caffetteria di una piccola università del sud Italia che attendo il mio turno per leggere un brano che mi sta particolarmente a cuore Dovremmo essere tutti femministi (We should all be feminist nella versione originaria) di Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana che nel 2012 ci delizia con questo bellissimo discorso sul femminismo al TED talk e che, in seguito, diverrà un libro, una piccola perla che dovrebbe essere tra gli scaffali di ogni lettore. In occasione della Giornata Internazionale della Donna non credo ci sia nulla di più adatto e di cui non voglio dir nulla ma solo riportarvelo per intero affinché vi faccia riflettere come per me è stato .
“Dunque, mi piacerebbe iniziare parlandovi di uno dei miei più grandi amici, Okuloma Mmaduewesi. Okuloma viveva nella mia strada e si prendeva cura di me come un fratello maggiore. Se mi piaceva un ragazzo, chiedevo l’opinione di Okuloma. Okuloma è morto nel tristemente noto incidente aereo di Sosoliso, in Nigeria, nel dicembre del 2005. Esattamente quasi sette anni fa. Okuloma era una persona con cui potevo discutere, ridere e parlare apertamente. È stata anche la prima persona a chiamarmi femminista. Avevo circa quattordici anni, eravamo in casa sua, discutevamo. Entrambi infervorati con informazioni a metà prese dai libri che avevamo letto. Non mi ricordo su cosa vertesse questa discussione in particolare, ma ricordo che mentre continuavo ad argomentare, Okuloma mi guardò e disse: “Sai, tu sei una femminista.” Non era un complimento. Potevo capirlo dal suo tono, lo stesso tono che si usa per dire cose del tipo “Sei una sostenitrice del terrorismo.” Non sapevo esattamente cosa questa parola “femminista” significasse e non volevo che Okuloma capisse che non ne avevo idea. Allora l'ho messa da parte e ho continuato a discutere. E la prima cosa che avevo intenzione di fare, quando sono tornata a casa, era di cercare la parola “femminista” nel dizionario.
Ora, andando velocemente avanti, arriviamo a qualche anno più tardi. Ho scritto un romanzo su un uomo che, tra le altre cose, picchia la moglie e la cui storia non finisce molto bene. Mentre stavo promuovendo il romanzo in Nigeria, un giornalista, un uomo gentile, ben intenzionato, mi ha detto che voleva darmi un consiglio. E, mi rivolgo ai nigeriani qui, sono sicura che abbiamo tutti familiarità con la velocità con cui le persone forniscono consigli non richiesti. Mi disse che la gente riteneva che il mio romanzo fosse femminista e il suo consiglio per me - e stava scuotendo la testa tristemente mentre parlava - era che non mi sarei mai dovuta definire una femminista, perché le femministe sono donne infelici che non riescono a trovare marito. Così ho deciso di definirmi una “femminista felice.” Poi una docente, una donna nigeriana, mi disse che il femminismo non era la nostra cultura, che il femminismo non era l'Africa e che mi definivo una femminista perché ero stata corrotta dai libri “occidentali.” E mi ha divertito, perché un sacco della mie prime letture erano decisamente non-femministe. Penso di aver letto ogni singolo romanzo rosa della Mills & Boon prima ancora di avere sedici anni. E ogni volta che provo a leggere quei libri chiamati “classici femministi”, mi annoio e faccio davvero fatica a finirli. Ma ad ogni modo, dal momento in cui il femminismo era non-africano, ho deciso che mi sarei definita una “felice femminista africana.” Ad un certo punto ero una felice femminista africana che non odiava gli uomini, che amava i lucidalabbra e che indossava i tacchi alti per se stessa, ma non per gli uomini. Naturalmente molte di quelle cose erano ironiche, ma la parola “femminista” ha un bagaglio così pesante, un bagaglio negativo. Odiate gli uomini, odiate i reggiseni, odiate la cultura africana, quel genere di cose.
Ora, eccovi una storia della mia infanzia. Quando ero alle elementari, la mia insegnante disse all'inizio del quadrimestre che avrebbe dato alla classe un test, e chi avrebbe realizzato il punteggio più alto sarebbe diventato capoclasse. Bene, essere capoclasse era una cosa importante. Se diventavi capoclasse, dovevi scrivere i nomi di chi faceva rumore, e già soltanto questo dava un grande potere. Ma la mia insegnante dava anche un bastone da tenere in mano mentre si camminava in giro e si controllava la classe da chi faceva rumore. Ecco, naturalmente non era permesso usare il bastone, ma era una prospettiva entusiasmante per la bambina di nove anni che ero. Volevo così tanto essere capoclasse, e ottenni il punteggio più alto nel test. Poi, con mia sorpresa, la mia insegnante disse che il capoclasse doveva essere un ragazzo. Si era dimenticata di fare prima questa precisazione perché riteneva fosse ovvio. Un ragazzo aveva avuto il secondo punteggio più alto nel test e lui sarebbe diventato capoclasse. La cosa ancora più interessante di questa faccenda è che il ragazzo aveva uno spirito dolce e gentile e non aveva alcun interesse nel pattugliare la classe con un bastone. Mentre io, ero piena di ambizioni per farlo. Ma ero femmina e lui era maschio, e così divenne il capoclasse. E non ho mai dimenticato quell'episodio.
Mi capita spesso di fare l'errore di pensare che se qualcosa che è ovvio per me, lo è altrettanto per chiunque altro. Ora, prendete il mio caro amico Louis, ad esempio. Louis è brillante uomo progressista, e facevamo delle conversazioni in cui mi diceva: “Io non so cosa intendi quando dici che le cose sono diverse o più difficili per le donne. Forse in passato, ma non adesso.” E non capivo come Louis non riuscisse a vedere qualcosa che sembrava così evidente. Poi una sera, a Lagos, Louis ed io siamo usciti fuori con degli amici. E per le persone qui che non hanno familiarità con Lagos, ci sono quei meravigliosi soggetti tipici di Lagos, una manciata di uomini energici che si ritrovano fuori dagli edifici e molto platealmente vi “aiutano” a parcheggiare la vostra auto. Ero rimasta colpita dalla particolare teatralità dell’uomo che ci aveva trovato un posto auto quella sera. E così, mentre ce ne stavamo andando, ho deciso di lasciargli una mancia. Ho aperto la mia borsa, ho messo la mano dentro la mia borsa, tirato fuori i soldi che avevo guadagnato facendo il mio lavoro, e li ho dati all'uomo. E lui, quest'uomo molto riconoscente e molto felice, ha preso i soldi da me, ha guardato Louis e ha detto: “ Grazie, signore! ” Louis mi ha guardato sorpreso e ha chiesto: “Perché mi ringrazia? Non gli ho dato io i soldi”. Poi ho visto che Louis stava cominciando a rendersi conto. L'uomo credeva che, qualsiasi soldi avessi, in fin dei conti provenissero da Louis, perché Louis è un uomo.
Ora, gli uomini e le donne sono diversi. Abbiamo ormoni diversi, abbiamo diversi organi sessuali, abbiamo diverse abilità biologiche; le donne possono avere bambini, gli uomini non possono. Almeno, non ancora. Gli uomini hanno il testosterone, e sono in genere fisicamente più forti delle donne. Ci sono leggermente più donne che uomini nel mondo. Circa il 52% della popolazione mondiale è di sesso femminile. Ma la maggior parte delle posizioni di potere e prestigio sono occupate da uomini. La Premio Nobel per la Pace, recentemente scomparsa, Wangari Maathai, lo ha descritto in termini semplici e efficaci quando ha detto:
“Più alto si va, meno donne ci sono.”
Nelle recenti elezioni americane abbiamo sentito più volte della legge Lilly Ledbetter. E se andiamo oltre il bel nome allitterativo di questa legge, vedremmo che trattava di un uomo e una donna che fanno lo stesso lavoro, ugualmente qualificato e dove l'uomo viene pagato di più perché è un uomo. Così, in modo letterale, gli uomini governano il mondo. E questo aveva senso migliaia di anni fa. Perché gli esseri umani vivevano allora in un mondo in cui la forza fisica era l'attributo più importante per la sopravvivenza. La persona fisicamente più forte era la più adatta a comandare. E gli uomini in generale sono fisicamente più forti; naturalmente, ci sono molte eccezioni. Ma oggi viviamo in un mondo molto diverso. La persona con più probabilità di comandare non è la persona fisicamente più forte, è la persona più creativa, la persona più intelligente, la persona più innovativa, e non ci sono ormoni per questi attributi. Un uomo ha le stesse probabilità di una donna di essere intelligente, di essere creativo, di essere innovativo. Ci siamo evoluti, ma mi sembra che le nostre idee sul genere non si siano evolute.
Qualche settimana fa sono entrata nella hall di uno dei migliori alberghi nigeriani. Ho pensato di dire il nome dell'hotel, ma probabilmente non dovrei. E un guardiano all'ingresso mi ha fermato e mi ha rivolto delle domande irritanti. Poiché si suppone automaticamente che se una donna nigeriana cammina in un albergo da sola, allora è una prostituta. E, a proposito, perché questi hotel si concentrano sull’apparente offerta, piuttosto che sulla domanda, di prostitute? A Lagos, non posso andare da sola in molti bar rinomati e nei club. Semplicemente non ti lasciano entrare se sei una donna sola. Devi essere accompagnata da un uomo. Ogni volta che entro in un ristorante nigeriano con un uomo, il cameriere saluta l'uomo e ignora me. E qui qualche donna avrà detto: “Sì, anch'io l'ho pensato!” I camerieri sono prodotti di una società che ha insegnato loro che gli uomini sono più importanti rispetto alle donne. E so che i camerieri non intendono fare uno sgarbo, ma una cosa è saperlo razionalmente, e un'altra è sentirlo emotivamente. Ogni volta che mi ignorano, mi sento invisibile. Mi sento turbata. Voglio dire loro che sono tanto umana quanto un maschio, che sono altrettanto meritevole di riconoscimento. Queste sono piccole cose, ma a volte sono le piccole cose che pungono di più.
Non molto tempo fa ho scritto un articolo su cosa significa essere una giovane ragazza a Lagos e un conoscente mi ha detto: “Era così rabbioso.” Certo che era rabbioso. Io sono arrabbiata. Il genere, per come funziona oggi, è una grave ingiustizia. Noi tutti dovremmo essere arrabbiati. La rabbia ha una lunga storia nell’apportare un cambiamento positivo, ma oltre ad essere arrabbiata, io sono anche fiduciosa perché credo profondamente nella capacità degli esseri umani nel rinnovare se stessi per il meglio.
Il genere conta ovunque nel mondo, ma voglio concentrarmi sulla Nigeria e sull'Africa in generale, perché la conosco e perché è dove sta il mio cuore. E vorrei chiedere di cominciare adesso a fare sogni e progetti per un mondo diverso. Un mondo più giusto. Un mondo di uomini più felici e donne più felici, più onesti verso se stessi. Ed è così che bisogna iniziare. Dobbiamo crescere le nostre figlie in modo diverso. Dobbiamo crescere anche i nostri figli in modo diverso. Facciamo un pessimo lavoro con i ragazzi, nel modo in cui noi li alleviamo. Noi soffochiamo l'umanità dei ragazzi. Definiamo la virilità in modo molto limitato. La virilità diventa questa piccola gabbia rigida e noi mettiamo i ragazzi dentro la gabbia. Insegniamo ai ragazzi ad essere spaventati dalla paura. Insegniamo ai ragazzi ad essere spaventati dalla debolezza, dalla vulnerabilità. Noi gli insegniamo a mascherare la loro vera essenza, perché devono essere, come dicono in Nigeria, “ uomini duri!”. Alle scuole superiori, se un ragazzo e una ragazza, entrambi adolescenti, entrambi con la stessa quantità di soldi, uscissero fuori, ci si aspetta che sia sempre il ragazzo a pagare, per dimostrare la sua virilità. E ancora ci chiediamo perché i ragazzi sono più propensi a rubare i soldi dai loro genitori. Che cosa accadrebbe se sia i ragazzi che le ragazze venissero educati a non collegare la virilità con i soldi? Cosa succederebbe se l'atteggiamento non fosse: “Il ragazzo deve pagare ”, ma piuttosto: “Chi ha di più, dovrebbe pagare.” Ora, naturalmente a causa del vantaggio storico, sono quasi sempre gli uomini ad averne di più oggi. Ma se cominciamo a crescere i figli in modo diverso, allora in cinquant'anni, in un centinaio di anni, i ragazzi non sentiranno più la pressione di dover dimostrare questa virilità.
Ma la cosa di gran lunga peggiore che facciamo ai maschi, facendo intendere che devono essere duri, è che li lasciamo con degli ego molto fragili. Più un uomo sente di dover essere un “uomo duro”, più è debole il suo ego. E poi facciamo un lavoro anche peggior con le ragazze, perché le educhiamo a soddisfare i fragili ego degli uomini. Insegniamo alle ragazze come farsi da parte, come farsi più piccole. Diciamo alle ragazze, “Puoi avere ambizione, ma non troppa. Dovresti puntare ad avere successo, ma non troppo successo, altrimenti potresti minacciare l'uomo.” Se in una relazione con un uomo sei tu a portare il pane a casa, devi far finta che non sia così. Soprattutto in pubblico. Altrimenti lo stai castrando. Ma se mettessimo in discussione la premessa stessa? Perché il successo di una donna deve essere una minaccia per un uomo? Che cosa succede se decidiamo di sbarazzarci semplicemente di quella parola, e non credo ci sia una parola inglese che mi piaccia meno di "castrazione”.
Un conoscente nigeriano una volta mi ha chiesto se fossi preoccupata dal fatto che avrei potuto intimidire gli uomini. Non ero preoccupata affatto. Infatti non mi è mai accaduto di essere preoccupata perché un uomo che si lascia intimidire da me è esattamente il tipo di uomo che non mi suscita alcun interesse. Ciononostante, ero rimasta davvero colpita da questa cosa. Perché sono femmina, ci si aspetta che aspiri al matrimonio. Ci si aspetta che faccia le mie scelte di vita tenendo sempre a mente che il matrimonio è la cosa più importante. Ora, il matrimonio può essere una buona cosa. Può essere una fonte di gioia, di amore e di sostegno reciproco, ma perché dobbiamo insegnare alle ragazze ad aspirare al matrimonio e non insegniamo ai ragazzi la stessa cosa?
Conosco una donna che ha deciso di vendere la sua casa perché non voleva intimidire un uomo che avrebbe potuto sposarla. Conosco una donna non sposata in Nigeria che, quando va a dei convegni, indossa un anello nuziale. Perché, dice lei, vuole che tutti i partecipanti alla conferenza le portino rispetto. Conosco giovani donne che sono così pressate da parte della famiglia, degli amici, anche sul posto di lavoro, per il matrimonio, e che vengono spinte a fare delle scelte terribili. Una donna che a una certa età non è sposata, la nostra società ci insegna a vederla come se avesse avuto un profondo fallimento personale. E di un uomo, che dopo una certa età non è ancora sposato, pensiamo semplicemente che non si sia mosso per fare la sua scelta.
È facile per noi dire: “Oh, ma le donne possono semplicemente dire “no” a tutto questo.” Ma la realtà è molto più difficile e molto più complessa. Siamo tutti esseri sociali. Noi interiorizziamo le idee dalla nostra socializzazione. Anche il linguaggio che usiamo nel parlare di matrimonio e relazioni dimostra questo. Il linguaggio del matrimonio è spesso il linguaggio della proprietà, più che il linguaggio della collaborazione. Usiamo la parola “rispetto” per intendere qualcosa che le donne mostrano ad un uomo, ma che di frequente un uomo non mostra una donna.
Sia gli uomini che le donne in Nigeria diranno - e questa è un'espressione che mi diverte molto - “L'ho fatto per la pace del mio matrimonio ” Ecco, quando lo dicono gli uomini, di solito riguarda qualcosa che comunque non dovrebbero fare. A volte lo dicono ai loro amici, è qualcosa che dicono ai loro amici in modo affettuosamente esasperato. Capite, qualcosa che alla fine dimostri quanto siano virili, quanto voluti, quanto amati. “Oh, mia moglie ha detto che non posso andare al club ogni notte, così, per la pace del mio matrimonio, ci vado solo nei fine settimana. ” Ora, quando una donna dice: “L'ho fatto per la pace del mio matrimonio”, di solito si riferisce all’aver abbandonato un lavoro, un sogno, una carriera. Noi insegniamo alle ragazze che, nei rapporti, il compromesso è quello che fanno le donne. Cresciamo le ragazze per guardare alle altre come concorrenti, non per lavoro, o per degli obiettivi - che credo possa essere una buona cosa - ma per l'attenzione degli uomini. Insegniamo alle ragazze che non possono vivere la sessualità nel modo in cui lo fanno i ragazzi. Se abbiamo figli maschi, non ci interessa essere al corrente delle loro fidanzate. Ma dei fidanzati delle nostre figlie, Dio ce ne scampi! Ma naturalmente, quando arriva il momento giusto, ci aspettiamo che queste ragazze trovino l'uomo perfetto che diventi loro marito. Noi sorvegliamo le ragazze Lodiamo le ragazze per la verginità, ma non lodiamo i ragazzi per la verginità. E mi ha fatto sempre pensare a come tutta questa storia dovesse funzionare, perché… Voglio dire, la perdita della verginità di solito è un processo che coinvolge due persone.
Recentemente una giovane donna ha subito una violenza di gruppo in un’università in Nigeria. E la reazione di molti giovani nigeriani, sia uomini che donne, era qualcosa sulla falsariga di questo: “Sì, lo stupro è sbagliato. Ma che cosa ci fa una ragazza in una stanza con quattro ragazzi? ” Ora, se possiamo dimenticare l’orribile disumanità di tale risposta, questi nigeriani sono portati a pensare alle donne come intrinsecamente colpevoli. E sono stati educati ad aspettarsi così poco dagli uomini che l'idea degli uomini come esseri selvaggi senza alcun controllo è in qualche modo accettabile. Insegniamo alle ragazze la vergogna. “ Chiudi le gambe”, “Copriti.” Le facciamo sentire come se nascere femmine le rendesse già colpevoli di qualcosa. E così, le ragazze crescono fino ad essere donne che non possono dire di avere desideri. Crescono per essere donne che si zittiscono da sole. Crescono per essere donne che non possono dire quello che realmente pensano. E crescono - e questa è la cosa peggiore che facciamo alle ragazze - crescono per essere delle donne che hanno trasformato il dover fingere in una forma d'arte.
Conosco una donna che odia il lavoro domestico. Semplicemente lo odia. Ma finge che le piaccia. Perché li è stato insegnato che per diventare “buona materia da matrimonio”, deve essere - per usare una parola nigeriana - molto “casalinga”. E poi si è sposata, e dopo un po’ la famiglia del marito ha cominciato a lamentarsi che fosse cambiata. In realtà, lei non era cambiata. Si era solo stancata di fingere.
Il problema con il genere è che prescrive come dovremmo essere, piuttosto che riconoscere come siamo.
Ora, immaginate quanto saremmo stati più felici, quanto più liberi di vivere le nostre vere individualità, se non avessimo avuto il peso delle aspettative di genere. Ragazzi e ragazze sono innegabilmente diversi, biologicamente. Ma la socializzazione esagera le differenze, e allora diventa un circolo che si alimenta da solo.
Prendete la cucina, per esempio. Oggi è più probabile che siano in generale le donne a fare i lavori di casa rispetto agli uomini, cucinando e pulendo. Ma perché è così? È forse perché le donne nascono con un gene della cucina? O perché nel corso degli anni la società le ha portate a vedere la cucina come il loro ruolo? A dire il vero, avrei risposto che forse le donne nascono con il gene della cucina, fino a quando mi sono ricordata che la maggior parte dei cuochi famosi nel mondo, ai quali diamo il vistoso titolo di “chef “, sono uomini.
Ho sempre avuto rispetto per mia nonna, che era una donna davvero brillante, e mi chiedo come sarebbe stata se avesse avuto le stesse opportunità degli uomini quando stava crescendo. Oggigiorno ci sono molte più opportunità per le donne rispetto ai tempi di mia nonna, grazie ai cambiamenti nella politica, ai cambiamenti nella legislazione, tutti quanti molto importanti. Ma ciò che conta ancora di più è il nostro atteggiamento, la nostra mentalità, ciò in cui crediamo e il valore che diamo al genere.
Cosa accadrebbe se, nell'educazione dei figli, ci concentrassimo sulle capacità, invece che sul genere? Che cosa accadrebbe se, nell'educazione dei figli, ci concentrassimo sull’interesse, invece che sul genere? Conosco una famiglia con un figlio e una figlia, entrambi brillanti a scuola, due bambini davvero meravigliosi e adorabili. Quando il ragazzo ha fame, i genitori dicono alla ragazza, "Va’ a preparare degli spaghetti Indomie per tuo fratello.” Ora, alla ragazza non piace particolarmente cucinare degli spaghetti Indomie, ma è una ragazza, e quindi lo deve fare. Che cosa sarebbe accaduto se i genitori, fin dall'inizio, avessero insegnato, sia al ragazzo che alla ragazza, a cucinare gli spaghetti? Cucinare, tra l'altro, è una capacità molto utile da possedere per un ragazzo. Non ho mai pensato che avesse senso lasciare una cosa così importante, la capacità di nutrire se stessi, nelle mani di altri.
Conosco una donna che ha la stessa laurea e lo stesso lavoro di suo marito. Quando tornano dal lavoro, lei fa la maggior parte dei lavori di casa, e penso sia così per molti matrimoni. Ma quello che mi ha colpito di loro è che ogni volta che il marito cambiava il pannolino del bambino, lei diceva “grazie” a lui. Ora, cosa accadrebbe se lei vedesse come perfettamente normale e naturale il fatto che lui debba, a tutti gli effetti, occuparsi di suo figlio?
Sto cercando di disimparare molte delle lezioni di genere che ho interiorizzato quando ero piccola. Ma a volte mi sento ancora molto vulnerabile di fronte alle aspettative di genere. La prima volta che ho tenuto un corso di scrittura in una facoltà specialistica, ero preoccupata. Non ero preoccupata per le cose che avrei insegnato, perché ero ben preparata e stavo andando ad insegnare quello che mi piaceva. Invece, ero preoccupata per quello che avrei indossato. Volevo essere presa sul serio. Dato che ero una femmina, pensavo di dover automaticamente dimostrare il mio valore. Ed avevo paura che, se fossi apparsa troppo femminile, non sarei stata presa sul serio. Volevo davvero mettere il mio lucidalabbra brillante e la mia gonna femminile, ma ho deciso di no. Invece, ho indossato un vestito molto serio, molto maschile e molto brutto. Perché la triste verità è che quando si tratta di apparenza, cominciamo col prendere gli uomini come standard, come la norma. Se un uomo si sta preparando per un incontro d'affari, non si preoccupa di apparire troppo virile, e quindi non essere preso seriamente.. Se una donna si sta preparando per un incontro d'affari, deve preoccuparsi dell'apparire troppo femminile, di quello che dice, e se verrà presa sul serio oppure no. Vorrei non aver indossato quel brutto vestito quella volta. A dirla tutta l’ho bandito dal mio armadio. Se avessi avuto la fiducia che ho ora, nell’essere me stessa, i miei studenti avrebbero beneficiato ancora di più del mio insegnamento, perché sarei stata molto più a mio agio, e più profondamente e sinceramente me stessa.
Ho scelto di non dovermi più scusare per il mio essere donna e per la mia femminilità. E voglio essere rispettata in tutta la mia femminilità, perché lo merito.
Il genere non è un argomento di facile discussione. Sia per gli uomini che per le donne, quando si parla di genere a volte si incontra una resistenza quasi immediata. Posso immaginare ci siano delle persone qui che stanno pensando: “Donne sincere con se stesse?” Alcuni tra gli uomini qui presenti potrebbero pensare, “ Ok, tutto questo è interessante, ma non la vedo così.” E questo fa parte del problema. Che molti uomini non pensino attivamente al genere o non notino il genere, è parte del problema di genere. Che molti uomini dicano, come il mio amico Louis, “Ma tutto va bene ora.” E che molti uomini non facciano nulla per cambiarlo. Se sei un uomo ed entri in un ristorante con una donna e il cameriere saluta solo te, ti viene in mente di chiedere al cameriere: “Perché non l'ha salutata?”
Poiché il genere può essere un argomento molto scomodo da discutere, ci sono modi molto semplici per chiuderla, per chiudere la conversazione. Alcune persone tireranno fuori la biologia evolutiva e le scimmie, e come le femmine delle scimmie si inchinino davanti ai maschi e cose del genere. Ma il punto è che noi non siamo scimmie. Inoltre le scimmie vivono sugli alberi, mangiano lombrichi a colazione, ma noi non lo facciamo.
Alcune persone diranno, “Beh, anche i poveri uomini hanno dei momenti difficili. ” E questo è vero. Ma non è di questo che tratta la conversazione. Genere e classe sono forme diverse di oppressione. In effetti ho imparato un bel po’ di cose sui sistemi di oppressione e in che modo siano ciechi l'uno verso l'altro, parlando con uomini neri. Una volta stavo parlando del genere con un nero e mi ha detto: “Perché devi dire ‘la mia esperienza di donna’? Perché non può essere la tua esperienza 'come essere umano ’?” Bene, questo era lo stesso uomo che si riferiva spesso alla sua esperienza da nero.
Il genere conta. Uomini e donne sperimentano il mondo in modo diverso. Il genere influenza il modo in cui viviamo il mondo. Ma possiamo cambiare la situazione. Alcune persone diranno: “Oh, ma le donne hanno il potere reale, il "bottom power”. E per i non nigeriani, “bottom power” è un'espressione che suppongo significhi qualcosa per intendere una donna che usa la sua sessualità per ottenere favori dagli uomini. Ma il “bottom power” non è affatto un potere. “Bottom power” significa che una donna ha semplicemente una buona base dove attingere, di tanto in tanto, al potere di qualcun altro. E poi, naturalmente, dobbiamo chiederci quando questo qualcun altro è di cattivo umore, o malato o impotente.
Alcune persone diranno che una donna subordinata a un uomo è la nostra cultura. Ma la cultura è in continua evoluzione. Ho due bellissimi nipoti gemelli di 15 anni che vivono a Lagos. Se fossero nati cento anni fa, sarebbero stati portati via e uccisi perché era la nostra cultura, era nella cultura Ibo uccidere i gemelli. Quindi, qual è il punto della cultura? Voglio dire, c'è l’elemento pittoresco - la danza, ad esempio - ma la cultura riguarda anche la conservazione e la continuità di un popolo. Nella mia famiglia, io sono la figlia più interessata alla storia di chi siamo nelle nostre tradizioni e alla conoscenza delle terre ancestrali. I miei fratelli non sono così interessati come me, però io non posso partecipare. Non posso andare ai loro incontri. Non posso avere voce in capitolo, perché sono femmina.
La cultura non crea un popolo. Il popolo crea una cultura.
Quindi, se è effettivamente vero che la piena umanità delle donne non è la nostra cultura, allora dobbiamo renderla la nostra cultura.
Penso molto spesso al mio caro amico Okuloma Mmaduewesi. Possano lui e gli altri che sono morti nell’incidente di Sosoliso continuare a riposare in pace. Egli sarà sempre ricordato da quelli di noi che lo amavano. E aveva ragione, quel giorno, molti anni fa, quando mi ha chiamata femminista. Io sono una femminista. E quando ho cercato la parola nel dizionario quel giorno, questo è quello che diceva: femminista: una persona che crede nell'uguaglianza sociale, politica ed economica tra i sessi.
La mia bisnonna, dalle storie che ho sentito, era una femminista. Scappò dalla casa di un uomo che non voleva sposare e finì per sposare l'uomo che aveva scelto. Si rifiutava, protestava, alzava la voce, ogni volta che sentiva di essere privata dell'accesso, dello spazio, quel genere di cose. La mia bisnonna non conosceva quella parola, “ femminista. Ma non vuol dire che non lo fosse. Molti più di noi dovrebbero rivendicare quella parola.
La mia definizione di femminista è:
femminista è un uomo o una donna che dice: "Sì, c'è un problema di genere oggi come oggi, e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio.”
Il miglior femminista che conosco è mio fratello Kene. Lui è anche un uomo gentile, bello e adorabile. Ed è molto virile.
Grazie.”
Inoltre nell’attesa, sorseggiando di tanto in tanto il mio tè alla menta, tiro le somme della giornata di oggi e mi sento alquanto soddisfatta. Al di là di quello che ognuno di voi possa pensare di questa ricorrenza, personalmente ne ho approfittato per passare una giornata all’insegna dello studio grazie anche all’iniziativa voluta dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo che ha permesso alle donne interessate di visitare gratuitamente tutti i musei e i luoghi di cultura statali. Non credo ci sia nulla di più adatto in certe ricorrenze.
Ricordatevi: siate curiosi, siate avventurosi, siate folli, non accontentatevi mai perché solo così potrete fare la differenza.
Stefania.
Fonti/Bibliografia Chimamanda Ngozi Adichie, Dovremmo essere tutti femministi, Torino, Einaudi, 2015; http://www.einaudi.it/libri/libro/chimamanda-ngozi-adichie/dovremmo-essere-tutti-femministi/978880622708 http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_1606243085.html http://www.bossy.it/8-marzo-perche-celebriamo-le-donne.html http://www.bossy.it/dovremmo-essere-tutti-femministi-il-libro-di-chimamanda-ngozi-adichie.html https://www.youtube.com/watch?v=fatxKGoFtzk&t=6s
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Swan Lake by Shinichiro Saka Via Flickr: 山中湖 大池 白鳥 2017:03:03 06:59:01
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Ma esiste un girone all’inferno per coloro i quali dichiarano di voler andare votare, sì, per il referendum costituzionale, ma con l’unico scopo di disegnare pisellini sulla scheda elettorale?
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