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Bored dandy
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“Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, – conclude – ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile.”(Palomar, Italo Calvino)
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bored-dandy · 3 days ago
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Stavo pensando all'odio, a come sia divenuto un tessuto sociale resistente, e sono giunta alla conclusione che sia un sintomo della fragilità.
L’odio che dilaga oggi non è nuovo, ma ha assunto nuovi forme, più virali, più visibili, più legittimate. È un odio “liquido”, per riprendere Bauman, perché non ha più bisogno di radici profonde: gli basta uno schermo, un sentito dire, una scintilla. È un fenomeno che si propaga velocemente non perché le persone siano oggi più malvagie, ma perché le condizioni per odiare sono diventate strutturalmente più favorevoli. Donskis avrebbe detto che viviamo in un’epoca “di amnesia morale”, dove la capacità di empatia è stata corrosa dalla velocità, dalla distrazione e dall’ipersemplificazione. L’odio prospera dove la complessità è percepita come minaccia, non come ricchezza.
In tempi di ansia diffusa, l’odio diventa una scorciatoia emotiva, una forma di semplificazione esistenziale. La sua proliferazione non testimonia necessariamente un aumento della cattiveria, ma rivela una crisi della tenuta psichica e culturale delle società democratiche. Zygmunt Bauman, nella sua analisi della “modernità liquida”, ha spiegato che nella società postmoderna le relazioni si fanno precarie, gli orizzonti incerti, le identità fluttuanti. In questo scenario, l’odio si presenta come una forza che ricostruisce confini netti: tra “noi” e “loro”, tra il giusto e l’ingiusto, tra il puro e l’impuro.
Leonidas Donskis, nel suo Power and Imagination, ci ricorda che l’odio non è solo una forza distruttiva, ma anche un rimpiazzo patologico della speranza. Quando non si riesce più a immaginare alternative politiche credibili o comunità solidali, ci si rifugia nella definizione dell’altro come colpevole. In questo senso, l’odio è la vendetta emotiva dell’impotenza.
Da dove si incendia
1. Incertezza esistenziale
Viviamo in quella che Alain Ehrenberg ha definito una “società della fatica di essere sé stessi” (La fatigue d’être soi). Le persone, costrette a costruirsi incessantemente, soffrono il peso dell’autosufficienza come imperativo. In questa cornice, l’instabilità psichica non è più marginale: è strutturale. Quando il soggetto fallisce nel compito di autolegittimarsi, allora la frustrazione si converte in aggressività.
La crisi delle narrazioni collettive (religiose, politiche, ideologiche) lascia l’individuo nudo davanti al caos del mondo, senza più strumenti per elaborare la paura, se non attraverso la rabbia. Byung-Chul Han, nel suo La società della stanchezza, parla di una transizione dal “virus” al “neurone”: non siamo più oppressi da un potere autoritario, ma da un eccesso di positività, di prestazione, di autovalutazione. La violenza, allora, esplode non come trasgressione, ma come effetto collaterale della pressione psicologica individualizzata. In parole spicce: le persone vivono un senso cronico di insicurezza — economica, identitaria, sociale — quando la paura prevale, si cercano capri espiatori. L’altro diventa bersaglio: l’immigrato, il diverso, il povero, il femminista, il gay, il colto, lo “strano”. Odiare diventa un modo per semplificare il mondo e sentirsi dalla parte giusta.
2. Infantilizzazione cognitiva
Yascha Mounk, nel suo The People vs. Democracy, sottolinea come la semplificazione dei dibattiti pubblici — favorita da algoritmi, media sensazionalisti e tribalismo digitale — contribuisca a un’erosione delle competenze democratiche. Non si tratta solo di ignoranza, ma di una ridefinizione strutturale della cultura del confronto, dove la complessità è considerata elitista e il dubbio un tradimento.
Come osserva Umberto Galimberti, viviamo in una società che ha sostituito la paideia (formazione dell’anima) con l’addestramento alla competizione. La scuola, la politica e i media tendono a formare consumatori e tifosi, non cittadini critici. E senza capacità di argomentazione, resta solo la pulsione.
C'è una regressione culturale favorita dal sistema mediatico e politico. L’opinione pubblica è spesso alimentata da slogan, meme, indignazione usa-e-getta. L’approfondimento è noioso, e quindi scartato. L’idiocrazia, come l’ha immaginata Mike Judge nel suo film, non è così distante: è una distopia fondata su una progressiva deresponsabilizzazione critica.
L’idiocrazia non è un fenomeno estremo, ma un processo pervasivo: è la trasformazione dell’opinione pubblica in un’arena di umori.
3. Polarizzazione incentivata
Il “dividi et impera” oggi non avviene solo per manipolazione politica, ma anche per architettura del consenso algoritmico. I social media premiano l’indignazione, perché è immediata, contagiosa, gratificante. La rabbia genera clic, condivisioni, visibilità. Un cittadino calmo e riflessivo non è interessante per le piattaforme.
Byung-Chul Han lo scrive con nettezza in Nello sciame:
“Il digitale non favorisce lo spazio pubblico della ragione, ma la tempesta delle emozioni.”
In questa tempesta, i poteri forti non devono più censurare. Basta che mantengano tutti occupati a combattersi a vicenda. I dibattiti sulle minoranze diventano così armi di distrazione di massa: questioni importanti, certo, ma strumentalizzate per distogliere l’attenzione da questioni sistemiche come la disuguaglianza economica, la concentrazione del potere, la crisi climatica. La rabbia fa vendere. Un popolo arrabbiato, ma diviso, non si organizza. Un popolo che litiga sui bagni gender o sulla carne vegana non mette in discussione la redistribuzione della ricchezza, la manipolazione del consenso, l’abuso dei dati. Come ha scritto Byung-Chul Han, oggi il potere non reprime: seduce e distrae.
Il cittadino esasperato e confuso diventa un soldato involontario di battaglie superficiali.
Siamo diventati intolleranti? O semplicemente fragili?
Intolleranza e fragilità vanno di pari passo. Laddove la fragilità non è accolta, elaborata, curata, essa si trasforma in aggressività. Umberto Galimberti, nel suo L’ospite inquietante, ci ha insegnato che il nichilismo giovanile non nasce dall’assenza di valori, ma dall’eccesso di valori vuoti, imposti senza interiorizzazione.
Oggi si parla molto di inclusione, ma si pratica poco l’ascolto radicale della differenza. La società dell’iperidentità (etnica, sessuale, religiosa, politica) ha finito per erigere barriere emotive e culturali sempre più difficili da valicare. Chi non aderisce perfettamente al codice del proprio “gruppo” viene espulso. La tolleranza è diventata una posa, non un esercizio di dubbio. Noi non siamo più intolleranti in senso assoluto. Ma siamo meno disposti a tollerare ciò che mette in discussione l’ego. La società dell’individuo performante — quella che ti dice che “sei speciale”, che devi sempre avere ragione, che ogni critica è un attacco — ha eroso la capacità di sostenere il dissenso. Il dialogo cede il passo allo scontro, perché la differenza non è più un’opportunità, ma una minaccia narcisistica.
E così, come ha osservato Donskis, l’empatia si è assottigliata. Non è che non esista, ma è intermittente, selettiva, performativa. Non è più un dovere umano, ma un hashtag.
Conclusione: che fare?
L’odio non si combatte con la retorica del buonsenso, ma con una cura della polis che parta dal riconoscimento della sofferenza psichica come fatto politico.
Donskis ci ha lasciato questo monito:
“La gentilezza è la più sottile forma di dissidenza in un’epoca disumana.”
Serve una contro-pedagogia dell’empatia, della complessità, della lentezza. Una riabilitazione del pensiero come forma di resistenza. Se vogliamo resistere all’idiocrazia e alla polarizzazione, dobbiamo creare una cultura della complessità, capace di riconoscere il dolore senza semplificarlo. In un mondo che urla, pensare è già un atto di pace.
O almeno questa è l'opinione a cui sono giunta. Per chiunque voglia posso inviare i pdf dei saggi a cui ho fatto riferimento, a scopo educativo, non è per far danno alle librerie et simila, quanto per migliorare il pensiero, innescare una scintilla, divulgare conoscenza. Temo che oggi più che mai ne abbiamo bisogno.
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bored-dandy · 6 days ago
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Jim Musil
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bored-dandy · 16 days ago
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van gogh, details.
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bored-dandy · 16 days ago
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Mi piacciono le persone riservate, perché se smettono di esserlo con te significa che ti hanno scelto.
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bored-dandy · 22 days ago
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Ricordo che avevi un sorriso che forse era strano, d’accordo e nemmeno poi troppo preciso ma dava al tuo viso qualcosa di unico e di delicato che neanche la forza tenace del tempo ti avrebbe levato.
Dove sei, Daniele Silvestri
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bored-dandy · 23 days ago
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bored-dandy · 24 days ago
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bored-dandy · 27 days ago
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Cuori scaduti.
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bored-dandy · 28 days ago
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“Tu sei stata la sensazione, durata una manciata di pensieri, di aver trovato ancora finalmente qualcuno per cui spendermi del tutto. Forse è poco eppure credevo non fosse possibile provarla mai più. Anche se oggi so con certezza che non sarebbe andata fra di noi, sento il desiderio di dirti grazie perché grazie a te oggi so che sarò capace di innamorarmi ancora. A me non importa niente che un amore duri per sempre. M’importa essere attraversato, trafitto, sorpreso. Arriva il momento in cui è necessario capire che si deve fare posto. È inutile ripensare a come sarebbe andata se… Domani arriverà anche senza noi.” Massimo Bisotti
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bored-dandy · 28 days ago
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“Ho provato, che dire, a farmi scegliere. Ho sperato.Dovevo. Era una possibilità, capisci? Come fare a metterla via, a dimenticarla. Forse aspettando, forse non era il momento. Forse io e te abbiamo un altro tempo. Sono sicuro che con qualche giorno in più, ora in più, ti avrei portato via con me. È l’idea che almeno una volta succeda, no? Hai presente? Quell’idea invasiva e sotterranea che si inabissa o si palesa e lo fa una volta sola per tutte e se l’avverti non puoi far finta di niente se hai un po’ di senno. Come un sibilo fluttuante e sinuoso. A me è successo questo: non sono riuscito a fare finta di niente, non volevo, in fondo. Non potevo far altro che cercare di portarti con me, dal profondo, per egoismo quasi, per farmi stare bene. Anche se sapevo di non potere. Anche se era rischioso. Anche se tu non vuoi, anche se, infine, la tua felicità non dipende da me. E non posso fare a meno di chiedertelo di nuovo. Solo per essere sicuro. Verresti?” Italo Calvino
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bored-dandy · 28 days ago
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“We often want it so badly that we ruin it before it begins. Overthinking. Fantasizing. Imagining. Expecting. Worrying. Doubting. Just let it naturally evolve.”
— Unknown
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bored-dandy · 28 days ago
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bored-dandy · 1 month ago
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Certi giorni fuggire dalla banalità delle cose è difficile.. ma è una fatica che scelgo di fare, una missione che porto avanti..
Non che ci sia niente di male nel rilassarsi un po’, nello staccare il cervello, nel dimenticare per un po’ il frastuono del mondo..
Ma il passo mi sembra breve, lo scivolare nelle cose scontate, quattro parole con gli amici, la superficialità..
Insomma oggi ho giocato un torneo di padel.. banale voi direte.. già.
E allora mi sono sforzato di ricordare David Foster Wallace:
“..il vero avversario, la frontiera che include, è il giocatore stesso. C'è sempre e solo l'io là fuori, sul campo, da incontrare, combattere, costringere a venire a patti. Il ragazzo dall'altro lato della rete: lui non è il nemico; è più il partner nella danza. Lui è il pretesto o l'occasione per incontrare l'io. E tu sei la sua occasione. Le infinite radici della bellezza del tennis sono autocompetitive. Si compete con i propri limiti per trascendere l'io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro al gioco: fai breccia nei tuoi limiti; trascendi; migliora; vinci. [...] Si cerca di sconfiggere e trascendere quell'io limitato i cui limiti stessi rendono il gioco possibile. È tragico e triste e caotico e delizioso. E tutta la vita è così, come cittadini dello Stato umano: i limiti che ci animano sono dentro di noi, devono essere uccisi e compianti, all'infinito”
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bored-dandy · 1 month ago
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“Lui è una parte di me. Potrebbe capire la mia vita intera. Metterei tutti i miei diari nelle sue mani. Non ho paura di lui”
— Anaïs Nin, “Henry & June”
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bored-dandy · 1 month ago
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Che sensazione di appagamento trattare gli altri con lo stesso pressappochismo con cui trattano te.
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bored-dandy · 1 month ago
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bored-dandy · 1 month ago
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Neige fondante
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