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e finché in me respiro ci sarà, io scriverò di te.
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Quanta violenza sotto questo cielo.
-Martina
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Ho appeso le lacrime al sole sperando di smettere, sperando che qualcosa sarebbe cambiato, che da un giorno all'altro quei piccoli rumori causati dal dolore sarebbero cessati.
Ho appeso sicurezze, cercato l'ordine delle singole cose, delle singole emozioni, sicurezze che però in un secondo possono tagliarti in due, possono smettere di farti credere che qualcosa c'è e non è sbagliato provarlo. Come può qualcosa di così forte, farti sentire sbagliato? Farti smettere di credere che quei pezzi ritorneranno. E ti senti impotente, disteso su un prato di spine e non puoi alzarti, non puoi fare assolutamente niente, lo prendi per mano quel piccolo dolore e ti inchiodi a lui, lo tieni stretto perché pensi sia l'unica cosa che ti fa restare vivo, perché finché lo senti sei ancora qui, un po' meno, un po' perso ma continui ad esserci.
Ho appeso malinconia incompresa, quella che non condividi con nessuno, che te la tieni stretta, di cui ne sei quasi gelosa, forse anche troppo. La metti là, in tasca e ti rassicura quando cerchi qualcosa per distrarti, per farti smettere almeno per un secondo di credere che sei solo, anche se sei circondato da anime, forse un po' troppo vuote per te.
Ho appeso qualcosa che non vedo, ma sento fin troppo, nelle vene, come se fosse sangue che scorre, poi però a un certo punto si ferma, si ferma e non riesci a controllarlo, ti annega in maniera incontrollabile, non puoi farla smettere e di nuovo ti ritrovi inchiodata a qualcosa che non puoi controllare.
E questo che ci blocca, il non riuscire a controllare le cose a non aver sempre tutto sotto controllo, a sentirsi troppo scoperti.
Perché la verità, l'unica, è che abbiamo paura di ciò che non riusciamo a controllare, di ciò che ci destabilizza, è quel bruciore che ti mangia vivo. Ma cos'è che fa perdere il controllo? Forse il dolore, forse la rabbia o forse entrambe, come una corda trasparente, non la vedi, nessuno la vede ma senti che ti stringe piano piano, e sempre piano piano ti toglie anche il controllo.
Ho appeso silenzi, insieme a rumori soffocanti, che ti tengono svegli e ti ricordano di ricordare.
Ho appeso un filo rosso, che sembra anche lui sentire un po' questa tristezza che c'è nell'aria, un filo rosso per ricordare che sarai sempre legata a qualcosa, e finché lo sei, dolore, malinconia o qualsiasi essa sia, sei vivo e non ti lascia, invisibile forse, ma legato al mignolo della mano sinistra, che ci lega a qualcuno. E ancora una volta sei inchiodato a qualcuno, o a qualsiasi cosa essa sia e sarai solo tu a decidere se spezzarlo o tenerlo su.
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Ci si abitua, piano piano,
Alle mancanze, alle assenze,
Alle persone che prima c'erano e dopo non ci sono più.
Piano Piano, ci si abitua agli abbandoni, ai "per sempre", che alla fine durano sempre poco.
Ci si abitua ai "non ti lascerò mai" che poi ti lasciano sempre.
-R.T.
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Era da tanto che non appoggiavo la testa sul tavolo e mi lasciavo andare al dolore e all'ansia.
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quando i pensieri ti divorano, cosa fai?
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“La tristezza, quando non viene ascoltata, ti rimane dentro.”
—
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Ho sempre odiato febbraio, è uno di quei mesi freddi, che ti tengono sveglia più del solito, ma non freddo in senso letterale, uno di quei freddi che ho sempre odiato e non ho mai mandato giù.
Febbraio sa di mancanze, di parole mai dette e di fuochi accesi, di libri mai finiti e di lacrime che cadono sul pavimento in queste notti in cui l'unica cosa che ti salva è quel senso di qualcosa sulle tue guance.
Sa di quelle canzoni che non riesci mai ad ascoltare per intere, che non riesci proprio a goderti quel ultimo pezzo e allora torni sempre indietro, anche per dieci volte.
Ha quel odore di malinconia, ma non quella che c'è sempre, una malinconia diversa dal solito, quasi che ti inchioda al terreno e non riesci ad alzarti, non riesci a dire nulla, una malinconia che sa di silenzio.
Ha quel odore di voler fare qualcosa, dire qualcosa, spiegare alla gente che non tutto deve avere un senso, che aspettare qualcosa non ha senso, che nulla è ciò che sembra e se quella felicità continui a cercarla non arriverà mai.
Febbraio è un po' me, meno triste e con più speranze.
Febbraio è uno di quei mesi in cui tutto sembra non sembrare, in cui tutto è lontano, ma lontano poi non esiste, dove tutto si spegne, e la voce si abbassa piano piano fino a sentire un sussurro che sembra quasi uno di quei urli che ti spezzano un po' il cuore quando passi davanti casa sua.
Febbraio è un po' così, o non lo è affatto, ma mi piace pensarlo, è un po' novembre, con meno foglie e meno tristezza, ma pieno di piccoli dolori che si tengono per mano, e che si promettono amore.
Piccoli dolori che crescono e che Marzo piano piano ucciderà, ma nel mentre febbraio non finisce e tutto ciò sembra non finire.
Febbraio ha quella linea sottile che se la spezzi, lei spezza te.
Senza ma e forse, e senza cercare di ribaltare tutto e niente.
Perché febbraio non ti perdona, ti inchioda, e tu taci, mentre abbracci qualcosa che non tornerà, che non deve tornare, perché se ci ricadi sei fuori dal circolo.
Febbraio è quel mese che non puoi dimenticare e che non ti dimentica facilmente, ma ti ricorda che sei un po' fuori, un po' fuori di più.
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Cosa c'è di peggio di una mente che annega? Ma che annega letteralmente, nel vero senso della parola.
Cosa c'è di peggio di una mente che di sano non ha niente? Che se le fai male ti chiede scusa, e fa la stupida poi in pubblico.
Cosa c'è di peggio di una mente che ti soffoca, mentalmente e fisicamente, come una bolla che piano piano ti imprigiona e non ti lascia nemmeno un respiro in più.
Cosa c'è di peggio di una mente sballata, che non ti lascia mai decidere di scatto, ma che ti porta su strade di cui non sapevi l'esistenza, strade che via d'uscita non hanno.
Cosa c'è di peggio di una mente chiusa, chiusa con il lucchetto, che non ha mai trovato la chiave giusta, che chiave giusta non ha mai avuto.
Cosa c'è di peggio di quei dieci stupidi motivi che avvolte riesce a salvarla, che la tiene a galla per quei pochi giorni di pace, per poi far tornare quella stronza malinconia.
Quei dieci stupidi motivi, che si perdono un po' anche loro, non tendendo conto di quanto lascia indietro.
Che ti lasci cullare da loro, la notte prima di andare a dormire, che ti fanno dormire almeno qualche ora, ti ricordano che puoi farcela, che grazie a loro puoi farcela e andare avanti, senza quei ma, forse o perché.
Che ti tengono a galla e non ti lasciano mai addormentare del tutto, ma ti ricordano di restare per terra, di non volare troppo, di non sbilanciarsi.
Ma cosa succede se questi motivi da dieci diventano cinque, e da cinque due o se si annullano completamente da un giorno all'altro? Succede che ritorna tutto, o che non ritorna niente, che quelle scarse emozioni che provavi per i successivi mesi si dimenticano di entrare in funzione, è lì entra in gioco il vuoto, il nulla più totale perché non senti nulla, niente ansia, niente nervosismo, niente.
Ed è questo il momento peggiore, quando qui dieci motivi, che ti tenevano su, ti spezzano.
Ti spezzano completamente, perché non c'è cosa peggiore di ritrovarsi un centinaio di fogli con quei stupidi numerini davanti e ricordarsi che c'erano e che fino a pochi giorni fa erano loro che ti tenevano in alto, che riuscivi ad andare avanti grazie a loro.
Come può qualcosa strangolati fino a questo punto?
Come possono dieci stupidi motivi spezzarti in due da un giorno all'altro?
Come possono farti bruciare fogli e fogli nella speranza che qualcosa bruci anche dentro di te, che bruci tutto.
Che ti faccia smettere di provare troppo, o troppo poco, e che quei motivi, scritti su pagine e pagine brucino fino ad entrarti nelle vene, che tutto prenda fuoco, oppure che spenga l'incendio.
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goi: Dreamboy @aron.piper looking smooth in our essentials.
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A tre passi dall'incanto💫
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