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10 Marzo 2020
L’altro giorno leggevo un articolo di i-D che suggeriva 100 cose da fare in queste lunghe giornate di quarantena forzata. Una di queste era scrivere un diario di questi giorni vuoti e lenti, da rileggere poi tra molto tempo.
Trovo che sia, oltre ad un esercizio per impegnare il tempo, anche un modo per sfatare le ansie che si annidano nel nostro cervello in questo periodo. Mettere nero su bianco quello che ci passa per la testa, un po’ quando eravamo degli adolescenti introversi e scrivevamo in un quaderno le cotte impossibili per il ragazzo bello (ed etero) della 3A.
Vivo a Milano, epicentro della bellavita, degli aperitivi e dalle mille opportunità. Ora sembra che qualcuno abbia improvvisamente abbassato il volume: pochissime persone in giro, negozi, bar e ristoranti chiusi, mezzi di trasporto stranamente vuoti. Tutti si guardano con sospetto e se incroci qualcuno sul marciapiede smetti inconsapevolmente di respirare.
Ma non voglio parlare di cosa (non c’è) là fuori, piuttosto cercherò di mettere ordine nei pensieri che mi girano per la testa. Partiamo dal qui e ora.
Mi trovo a casa del mio ragazzo - vive da solo, a differenza mia che divido la casa con altre persone che ora sono in smart working - e abbiamo deciso di passare più tempo da lui rispetto che da me. Ora ci troviamo entrambi sul divano, con i nostri Mac sulle ginocchia e Alexa che riempie la stanza con una musica di sottofondo. Tra una video chiamata con i suoi genitori (che vivono poco distante), un tè caldo e una sigaretta fumata alla finestra, anche la giornata di oggi volge al termine.
È martedì 10 Marzo 2020. Tra una settimana esatta è il mio trentesimo compleanno. Avevo organizzato una cena con diversi amici in un bellissimo ristorante di Milano, cena che ho dovuto ovviamente annullare. Non mi dispiace tanto per la cena in sé, ma per una volta che avevo deciso di riunire amici e affetti (alcuni non vivono a Milano e avevano prenotato voli, treni e bb per l’occasione), un cazzo di virus ha preso il sopravvento paralizzando il paese. Mi dico “ok, è solo una cena. Rimandiamo tutto quando sarà passata la bufera”, eppure…
Sono una persona che deve avere sempre tutto sotto controllo e questo periodo in cui qualcosa più grande di noi ha preso il controllo e ci fa stare a casa e cambiare le nostre abitudini mi ha un po’ destabilizzato, devo essere sincero. Ma passati i primi giorni di straniamento, ora mi trovo a riflettere in maniera più calma e ponderata su tantissime cose. Tipo: il bene che provo per le persone che fanno parte della mia vita da tanti anni (vedi gli amici che avevo invitato alla cena e i miei famigliari che vivono in altre città) o a quelle che ne fanno parte relativamente da meno tempo (come la famiglia del mio ragazzo). Penso anche alla continua e incessante smania di fare cose, uscire, comprare, vedere che si comprende solo nel momento in cui siamo obbligati a fermarci. Penso inoltre alle “brutte abitudini” che abbiamo iniziato ad avere in queste giornate a casa: come controllare con troppa frequenza i siti di informazione (non abbiamo la tv) che ovviamente proclamano a gran voce bollettini di guerra e contagi fuori controllo. Voglio impormi di controllare questi siti solamente una volta al giorno, così da non intasare il mio cervello di informazioni che creano solo ansia.
Una cosa per�� non cambia né per me, né per tutti gli italiani fermi a casa: cosa prepariamo da mangiare?
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