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I'm a simple bitch. i believe the purpose of government should be to improve the lives of its citizens and protect its most vulnerable members. unfortunately i live in a day and age where this gets me labeled an enemy of the state
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Comunque direi che i due grandi sconfitti di queste elezioni sono i democratici e di riflesso dunque il partito repubblicano.
I primi perché hanno effettivamente perso le elezioni, perso tutti i progressi fatti in Texas, perso gli stati che Biden aveva flippato nel 2020 (quanto mancherà Joe). Ora ai dem non rimane che leccarsi le ferite, scannarsi tra loro e trovare un nuovo leader e preparare le midterm. Ma questo processo deve iniziare domani, non tra un anno. Serve un leadership in grado di fare gruppo e tenere il partito unito come fece Biden alle midterm 2022, ma in generale durante tutto il suo mandato.
Il partito repubblicano è il secondo grande sconfitto perché di fatto non esiste più, ma è diventato il partito di Trump. Dove prima c'erano personaggi di centro-destra, moderati, conservatori e i gli schizzati erano isolati. Oggi il partito repubblicano è il partito degli schizzati MAGA: è il partito della famiglia di Trump e infatti i figli e parenti di Trump sono dentro la dirigenza del partito e decidono loro come e dove spendere i soldi.
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Alla vigilia delle elezioni USA 2024 penso di poter dire la mia non sulle elezioni, ma sulla politica estera di Biden.
Biden è stato l'ultimo presidente rappresentante di quel filone politico nato con Wilson che per anni ha dominato il campo politico USA sia democratico che repubblicano. Il ruolo americano nel mondo si sta modificando e non è più pensabile una gestione delle relazioni internazionali come era prima del primo, e si spera unico, mandato Trump. Se la guerra in Ucraina ha ridato importanza alla NATO e alla proiezione americana in Europa, la guerra di Israele ha palesato a tutti i limiti dell'influenza americana, che nonostante tutto i suoi sforzi non è riuscita a limitare o bloccare Israele.
In conclusione nei prossimi anni, indifferentemente alla vittoria di Trump o della Harris, vedremo una rimodulazione del ruolo USA nel mondo. Probabilmente vedremo un maggiore disimpegno diretto degli USA e un prestare maggiore attenzione alla situazione economica interna. Ma questo non vorrà dire un disimpegno assoluto e un ritorno all'isolazionismo ma invece un approccio più simile a quello adottato in Ucraina: leading from behind.
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Prima di iniziare devo fare un piccolo mea culpa perché ho sopravvalutato l'antipatia personale tra Biden e Netanyahu e la pressione elettorale americana sull'amministrazione: mi sarei aspettato azioni più decise. Nonostante, bisogna sottolinearlo, le relazioni tra USA e Israele siano ben al di sotto dei minimi storici, avrei voluto vedere più sanzioni e meno armamenti venduti.
Il "dibattito" sulla guerra in atto in Palestina mi sempre più sclerotizzato: siamo passati dagli scambi di slogan, agli scambi di insulti e ora siamo arrivati ai meri rutti. Il tutto sulla pella di migliaia di persone che si meriterebbe un discorso serio, ma comunque accorato, un discorso capace di mettere in luce tutta la realtà dei fatti e non solamente quella piccola parte che fa comodo alla nostra opinione.
Io non sono contrario alle occupazioni e alle proteste ma vorrei vedere della sostanza che sia più degli slogan "Palestina libera", che per altro condivido. Come dall'altra parte trovo assolutamente miope l'incapacità di condannare le azioni del governo Netanyahu. Benché, io comprenda perché molti ebrei fanno così tanta fatica a esprimere questa condanna. Comprendo, ma non concordo.
Manca da entrambi i lati dello schieramento la capacità di fermarsi, di riflettere e di spostare la mano dalla coscienza alla Storia. Quest' ultimo passaggio è forse il più difficile: studiare stanca, è costo (diciamocelo) e non è immediato come scrivere un post sui social. Forse è questo uno dei problemi della sclerosi del dibattito pubblico internazionale: ci sono sempre meno voci che hanno avuto la saggezza di fermarsi a studiare e a capire l'altro e sempre più voci che urlano vuote.
Io non penso sinceramente di essere né tra le prime né tra le seconde, sono troppo pigro lo ammetto. Ma mi muore il cuore a vedere persone che sono intelligenti, che si impegnano e che riesco anche a ottenere qualcosa (organizzare proteste, occupazioni, etc...) vivere tutte queste esperienze senza contenuti, ma semplicemente passando dagli slogan agli insulti e ora al rutto, che è la mera emissione di aria senza contenuto.
Ecco, per riassumere: se qualcuno vi presenta la realtà come meramente un gioco binario "noi buoni e voi cattivi" state pur certi che questa persona sta solamente ruttando. (Come sempre ci sono delle eccezioni a questa regola)
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Mi sembra che lo schiaffo tirato dagli US a Israele, facendo passare la risoluzione sul cessate il fuoco, sia passato un po' troppo sotto traccia. Ma ormai è palese a chiunque abbia un minimo conoscenze storiche che le relazioni US-Israele siano ai minimi dai tempi della crisi di Suez. Questo vuol anche dire che l'influenza che gli US hanno su Israele si è notevolmente ridotta, purtroppo.
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Non conosci veramente qualcuno finché non ci fai un lavoro di gruppo insieme
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Di recente ho iniziato a leggere una serie di paper del 2018 sulla metodologia di ricerca della storia internazionale (grazie professoressa che spacci letture). Tutti questi saggi affrontano il tema della global turn negli studi storici, in soldoni questa svolta si concreta con lo studio non solo delle fonti occidentali ma anche delle fonti del resto del momento. Quindi di unire in sostanza le storie ad area con la storia internazionale, poiché queste due discipline sono strettamente intrecciate.
Questo è importante perché permette di prendere coscienza di una cosa che non dovremmo mai dimenticare: il mondo non è tutto bianco, etero, cis e preferibilmente cristiano. Il mondo è più vario e complesso di quanto certe scuole di pensiero vogliano farci credere *realismo coff coff*. Nello specifico gli storici che utilizzano questo nuovo metodo si sono concentrati sullo studio della Guerra fredda per scoprire che: in primo luogo la così detta lunga pace garantita dalla Guerra fredda è vera solo se si guarda all'Europa. Il resto del mondo avrebbe da ridire... (Etiopia, Angola, Nicaragua, Congo, e molti altri). In secondo luogo la stessa idea di un mondo bipolare non era condivisa globalmente ma quanto più dagli attori sovietici e atlantisti. Il resto del mondo era più su posizioni sicuramente meno manichee.
Questo ultimo punto mi pare molto interessante in questo periodo storico dove analisti di cartapesta si presentano in televisione a sproloquiare di una nuova Guerra fredda o del ritorno del bipolarismo. Queste previsioni sono sbagliate per due ragioni fondamentali.
La prima è quello che ho detto prima sulle nuove tendenze storiografiche: il bipolarismo forse non è mai esistito come lo intendiamo noi. La lettura che diamo tutt'oggi della Guerra fredda è legato al nostro milieu culturale e soprattutto dalle fonti che abbiamo consultato (ovviamente sempre a praticamente solo quelle degli stati occidentali). Quindi ha veramente senso di ritornare a qualcosa che è esisto solo nella nostra la percezione? Sì, perché io sono costruttivista, ma bisogna tenere a mente che è solo una delle possibili interpretazioni.
Il secondo motivo è che quella esperienza è passata e noi l'abbiamo interiorizzata, elaborata e razionalizzata. Quindi aspettarsi che si ritorni a un evento che noi abbiamo già razionalizzato non ha senso: poiché non ripeterebbe ma anzi noi oggi siamo già in grado di agire avendo presente una situazione simile. (poi, va bè, io mi chiedo dove stiano le similitudini tra oggi e la situazione della Guerra fredda perché sinceramente non ne vedo.) Anche perché questa visione della storia ciclica è una baggianata, e non ho altro da dire a riguardo.
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Una delle cose più frustranti di studiare relazioni internazionali, ma scienze politiche in generale, è il totale qualunquismo che si legge non solo sui giornali e telegiornali ma anche sui social: non è mai possibile ridurre i fatti internazionali a meri scontri tra il bene assoluto e il male assoluto. Questa costantemente semplificazione binaria è figlia a mio parere sia di una totale e cieca ignoranza della storia sia di una incapacità di cogliere la complessità della realtà ovvero di uscire dalla propria cultura e rendersi conto che noi non siamo il centro del mondo, che esistono altri modi di vedere e leggere la realtà e che per quanto diversi dai nostri questi modi meritano la stessa dignità che noi attribuiamo al nostro metodo.
Questo si vede nei commenti della guerra a Gaza: commenti che sembrano usciti da partite di calcio, commenti che ignorano più di 70 anni di storia, commenti che insultano e basta. Non si tratta più di capire cosa stia succedendo (perché Israele si comporta così? Perché Hamas si comporta così? Perché Iran e USA si comportano così? La risposta è che ognuno si comporta così per il proprio portato culturale e identitario), ma dai commenti che ci sono in giro si tratta semplicemente di prendere una posizione di fare vedere quanto si è (poco) preparati e quanto si urla forte. Si cerca costantemente di imporre la propria visione del mondo, si cerca costantemente e con arroganza intellettuale di assumere che la propria verità sia quella di tutti, che noi siamo sempre e costantemente nella ragione; quando lo stesso concetto di ragione e di razionalità sono tutti relativi alle culture, e quindi non universali (l'unica cosa universale è l'ignoranza).
Quando e se mai ci si renderà conto che al mondo non esiste una verità ma esistono molte verità tutte altrettanto valide (riprendendo le riflessioni di Panikkar) si spera non sia troppo tardi. Il mondo non è bianco/nero e sicuramente non è buono/cattivo. Il mondo è quello che è: inconoscibile e complesso in cui la nostra verità viene costantemente messa in discussione da altre verità, in cui la nostra morale non sempre è nel giusto e mai è universale.
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Una breve riflessione sul comportamento degli USA in questa ennesima guerra in Medio Oriente.
Gli USA stanno facendo quello che viene definito "gioco a due livelli", il perché è molto intuitivo. Se ad un primo livello continuano a cercare di coprire le spalle a Israele e supportarlo (e.g. i veti nel consiglio di sicurezza ONU), comportandosi quindi come sempre; ad un secondo livello invece fanno pressioni su Israele affinché o finisca velocemente questa carneficina oppure la smetta definitivamente. Questo gioco a due livelli permette che Israele non si senta complemento isolata e quindi vada in "berserker" e serve anche come deterrente contro le milizie come Herzbolla per evitare un ingrandimento del conflitto. Questo guardando al primo livello, mentre per quanto riguarda il secondo livello lo si vede nei viaggi e nella postura di Blinken che ha interloquito più con i paese islamici (Qatar in testa) per cercare una soluzione pacifica che con gli alleati come l'Europa o la NATO per fornire supporto a Israele.
Ma in questi giorni stiamo arrivando alla rottura definitiva di questo gioco a due livelli perché la pressione internazionale è così elevata che ora il primo livello del gioco sta vendendo meno e lo si è visto con il botta e risposta tra Biden e Netanyahu (tra ricordiamocelo bene non scorre per niente buon sangue visto che l'ultimo dei ha sempre sostenuto Trump). Questo è rilevante perché Netanyahu e la sua colazione di estrema destra non ha alcuna intenzione di fermarsi ora e sta cercando di addossare la colpa del suo fallimento a Biden, così quanto la pressione internazionale, finalmente, avrà la meglio su Israele e questi si fermerà Netanyahu potrà dire che non ha raggiunto il suo obiettivo per colpa di Biden e non per colpa della sua totale incapacità.
Tutto questo per dire che:
1. Il comportamento di Israele in questa guerra non è degno di una democrazia, ma d'altronde la maggioranza governativa ci ha ben abituati a questo genere di azioni totalmente illegali (penso ai coloni);
2. Gli USA stanno percorrendo un sentiero molto sottile che serve per il mantenere il conflitto geograficamente limitato a Gaza, ma al contempo stanno perdendo sia il consenso internazionale che interno (questo costerà caro a Biden nella prossime elezioni? Può essere). Ma una condanna diretta degli USA contro Israele sarebbe controproducente. Ciò non toglie che dovrebbero fare più pressione sul governo israeliano per arrivare a un cessate il fuoco (magari anche ritardando la vendita di determinati armamenti);
3. A livello di politica interna Netanyahu è praticamente morto e sta cercando di prepararsi a gestire una difficile transizione verso le nuove elezioni (appena finita la guerra) cercando di addossare la colpa del fallimento di questa invasione a Biden;
4. Il piano internazionale di arrivare a una soluzione due popoli due stati sta vendendo minato sia da Netanyahu stesso che non vuole unire Gaza al resto della Palestina sia dalla mancanza di un interlocutore forte in Palestina dove Hamas è quello che è (terroristi) e l'OLP totalmente screditato agli occhi dei palestinesi stessi;
Io sono sempre più convinto che l'unica soluzione non posso che venire dalla società civile israeliana e palestinese e non da qualche consesso internazionale. Serve più supporto ad associazioni come Break the Silence o Standing Together
#non sequitur#conflitto israelo-palestinese#politica internazionale#abbassoilrealismovivailcostruttivismo
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Un paio di brevi pensieri su quanto sta succedendo in questi giorni in Italia.
Se in un primo momento non ci sono state grandi riflessioni sulle origini effettive di questa violenza adesso mi pare che qualche riflessione sul ruolo maschile in una società patriarcale e maschilista come la nostra si stia facendo. Ed era anche ora. Quello che però mi ha profondamente infastidito è la totale mancanza di una cultura giuridica condivisa a livello popolare. Questa ignoranza, perché di questo si tratta, si mostra in due modalità: la prima è la nascita del processo mediatico quindi il popolo dei social si erge ad investigatore, giudice, giuria e boia. Sulla base di una ipotetica superiorità morale, sulla necessità di escludere "il mostro" dai noi "gente per bene" così da autoassolverci e caricare "il mostro" con la nostra paura di essere come lui. Quindi il primo punto è il linciaggio mediatico, noi in base a quello che i giornali ci raccontano decidiamo chi è colpevole e chi no. Senza ricordare che lo scopo dei giornali è guadagnare, quindi le nostre informazioni sono impacchettare e raccolte con il fine di vendere. E quale metodo più veloce di vendere se non quello di suscitare qualche emozione? Meglio se negativa. In secondo luogo l'assenza di una forte cultura giuridica ci porta a chiedere pene sempre più aspre per il reato di turno. C'è questa errata convinzione che con un diritto penale più rigido, più draconiano allora non ci saranno più reati. Ma non è così, altrimenti qualcuno mi deve spiegare perché dove l'omicidio è punito con la pena capitale ci sono ancora omicidi. Allora, la questione non è più la deterrenza ma è l'essenza stessa della nostra giustizia. La nostra costituzione vuole una pena rieducativa, ove possibile. Mentre i nostri social vogliono una giustizia retribuitiva perché il crimine commesso sarebbe un debito contratto con la società. Ma dove sta l'umanità in questa concezione di giustizia? Dove le pene dovrebbero essere brutali per ogni crimine commesso (senza principio di proporzionalità) e dove un criminale non è altro che uno scarto della società e che quindi deve pagare il suo danno. Che giustizia è questa? Forse prima di invocare pena di morte, ergastolo a vita, castrazione chimica o peggio bisognerebbe iniziare a riflettere se noi vogliamo una giustizia che esclude o una giustizia che include, se vogliamo una società tribale e tirannica o una democrazia libera. Perché il livello di progresso e civiltà di una nazione è indicato da come i più poveri e i più deboli vengono trattati, e i carcerati sono sempre tra i più deboli.
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Ma la gente che passa tutta la mostra d'arte a farsi foto o a fare foto ad ogni quadro si gode la mostra? Perché a me sembra che l'uomo del nostro secolo ha solamente paura di dimenticare e quindi si affida a supporti digitali. Ma dimenticare fa parte dell'esperienza, anzi spesso è necessario dimenticare qualcosa per poi poterla riscoprire più in là e attribuirle un valore. Ma noi viviamo in un mondo in cui nulla può essere dimenticato, tutto è accuratamente registrato e catalogato nel web, nei nostri account e smartphone. Un esempio è nella music dove tornano di moda canzoni che negli anni '60 furono flop assurdi, eppure grazie a Spotify/Deezer, etc... È possibile recuperare tutto; e lo stesso stiamo facendo con le nostre vite: non possiamo più essere nel presente perché abbiamo paura di scordare il presente, quindi il presente va vissuto come momento di catalogazione per il futuro. Oppure si vive il presente come sfondo alla nostra vita e quindi la mostra non è altro che un nuovo filtro da applicare alla nostra foto, e non una esperienza.
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