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Eroe
Una bella parola. Non lo è davvero?
Ognuno di noi ha un eroe e ognuno di noi ne identifica uno a seconda delle fasi della vita che attraversiamo.
Da piccola il mio eroe era un omino piccolo che abitava sulla mia spalla. Lo vedevo solo io, il mio amico immaginario senza nome, non ne aveva bisogno. Parlava in continuazione, non smetteva mai e con lui facevo un sacco di discorsi, parlavo dei bambini intorno a me. Eravamo sempre d’accordo su tutto: questo bimbo mi sta simpatico, questo non sa giocare a palla, questo è cattivo, questo è carino e ha una bella stanza dei giochi. Non siamo mai stati in disaccordo. Mai. Poi io sono cresciuta e piano piano lui è andato via, quando fondamentalmente ho capito che la sua voce era solo la mia voce, che erano i miei pensieri. No, non stavo mai zitta. Anno dopo anno, piano piano, mi sono accorta di una dell’inevitabile: crescendo, il mio primo eroe mi aveva abbandonata.
Un altro eroe è stato un personaggio di un cartone animato che non ricordo più nemmeno quale fosse, di quei cartoni che passavano sulle reti locali e che risolveva tutti i misteri. Cavoli, lui si che era uno giusto, tutti lo stavano sempre a sentire e nessuno mai lo contraddiceva. Io volevo essere come lui.
Nel tempo gli eroi si sono succeduti, sono andati è venuto, altri li ho capiti dopo.
Tipo mio padre.
Lui è un vero eroe, e lo rimarrà sempre. L’ho visto andare a lavorare per tre figli e una moglie, l’ho visto tornare di sera quando io andavo a dormire, mai senza il suo bacio, l’ho visto studiare di notte per migliorare la sua e la nostra vita. Lo vedo prendersi cura di mia madre ogni giorno, con lo stesso amore negli occhi del loro primo incontro, riconfermando giorno per giorno la sua scelta, dandomi un grande esempio di cosa vuol dire davvero amarsi e stare insieme. Lui è l’eroe che non andrà mai via.
All’alba dei 36 c’è un altro piccolo eroe che si sta facendo a fatica spazio nella mia vita. È un eroe imperfetto, fallibile, che cade e cerca di rialzarsi, che cammina a testa alta a giorni alterni, che cerca di esserci per tutti anche se non sempre riesce, che sorride nonostante ci resti male per molto poco. È un eroe che ama, in silenzio, qualcuno che non potrà mai avere, accettando un ruolo stretto e faticoso che non ha cercato, ma che gli è scoppiato tra le mani. Il suo super potere è l’invisibilità. Ma non quella figa alla Harry Potter con il mantello, che va e viene, la sua è fissa. Un po’ una sfiga essere un eroe se nessuno ti vede.
Però per me questo eroe è davvero speciale. So che non andrà mai via, ci parlo tantissimo e insieme immaginiamo un sacco di cose e riusciamo anche ad essere felici quando la fantasia riesce ad arrivare dove la realtà fallisce.
E di fallimenti, insieme, ne abbiamo avuti tanti.
Il mio eroe, piano piano, sto diventando io. Perché sono l’unica persona che da me non andrà mai via, l’unica che mi prenderà a schiaffi quando serve e mi consolerà quando, inevitabilmente, ancora cadrò.
Ad ognuno il suo eroe, a me io.
I’m my fucking hero.
DanyaTheLantern™️
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Dialogo.
Fiato corto, troppo corto.
La testa. Che succede? la sento vuota, leggera.
Le gambe molli.
Il respiro più corto.
Gli occhi umidi, come se volessi piangere, ma perché? Che senso ha?
Aria, ho bisogno di aria.
-Sei tu?
-Ciao tesoro ti sono mancato?
-Per un cazzo, che vuoi?
-Solo ricordarti che io ci sono, che per quanto tu tenti di controllare tutto, nulla è sotto il tuo controllo.
-Perchè? Perché devi agitarmi così? Perché mi fai questo?
-Per ricordarti che cercare di affrontare tutto razionalmente non può essere la soluzione.
-Cosa ne sai tu di soluzioni? Tu sei qui solo per darmi problemi, bastardo.
-Anche Giuda era un traditore, eppure è stato utile alla causa. Tu mi odi, ma da te mi aspetto molto di più.
-Cosa cazzo vuoi, lasciami in pace!
-Dammi un ruolo.
-Cosa?
-Dammi un ruolo, ragiona, respira e rispondi.
-Come faccio a respirare se tu mi chiudi i polmoni?
-Colpa di mia sorella ansia, scusa. Provaci.
-Un ruolo?
-Non concentrarti su quello che io sono per te, concentrati su quello che io posso essere per te.
-Sei un cazzo di stronzo che quando tutto va bene, butta tutto sul tavolo e mi ribalta. Sei un figlio si puttana senza pietà né cuore.
-Anche il diavolo in principio era un angelo… pensa. Sorella cara, potresti allentare la tua morsa e lasciarle abbastanza ossigeno da permetterle di ragionare? Te ne sarei grato.
-Un ruolo…
-Ecco, le vedo quelle rotelle che girano.
-Arrivi sempre quando penso vada tutto bene.
-Lo pensi, ma è così?
-Sono in salute, ho tanti amici che mi vogliono bene, una casa, un lavoro, mi sto rimettendo in forma….cosa cazzo vuoi?
-E poi?
-…sei un bastardo.
-sono solo quello che decidi io sia. Qual è il mio dannato ruolo? Dimmelo!
-Non voglio…
-Dimmelo!!!
-…sei un campanello d’allarme.
-Ci sei. Di cosa ti sto avvisando?
-Di quello che non va
-Ritenta.
-Dimmelo tu…
-Sicura?
-No!
-Ti avviso di quando la ragione prende piede sull’emotività, di quando affronti tutto con freddezza, calcolo e la tua fottutissima, dannata, amatissima geometria e di quando diventi quella che non sei. Di quando devi fermarti, ricordarti di chi sei, di quello che non sei e che nemmeno io, il bastardo, voglio tu diventi. Io sono il tuo migliore amico. Io sono il Panico, e ti rimetto sulla retta via.
-…
-Ansia, lasciala stare, abbiamo finito qui, il bastardo toglie le tende.
-Aspetta… -Cosa?
-Io…io…grazie…
-Tornerò e non sarà piacevole, sarà necessario.
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Rapimenti.
Capita un giorno che con una scusa un amico ti venga a prendere alle dieci di sabato mattina e ti rapisca.
E non è da solo, sono in 7 a rapirti, praticamente un commando. Bonariamente si intende.
Capita che all’improvviso, senza sapere nulla, ti trovi su un’autostrada, mentre tutti intorno cercano di depistarti con mille cose: “ Speriamo di riuscire a prendere l’ultima funivia”, “Qualcuno ha preso il passaporto della Dani?“, “Raga ma la tuta da sci basterà, col freddo che c’è li?”.
E tu non capisci. Sei chiusa in te stessa, non sai dove stai andando, sei contenta perché quei sorrisi che ti circondano ti fanno scoppiare il cuore, ma ti senti impotente.
Felice e impotente: un mix letale.
L’autostrada scorre, il sole ti bacia, le montagne piano piano lasciano il posto ad un orizzonte più ampio.
Genova. I cartelli da seguire sono sempre quelli.
Cominci a capire, forse a sperare che davvero loro sappiano quanto il mare sia importante per te.
Alla fine lo vedi, alla fine di una montagna.
Stupendo, blu e dorato, che il sole, vanesio, non vedeva l’ora di specchiarcisi.
Rimani muta. Tutti ti chiedono perché, ma non sai spiegarglielo.
Camogli. Mai vista, ma già follemente pazza di questo borgo colorato.
La terrazza sul mare, gli altri amici che a sorpresa ti raggiungono li.
Tu persa, con lo sguardo al mare, ancora ammutolita dalla sua vastità e dalla tua insignificante presenza al suo cospetto.
In un’altra vita lontana forse eri la figlia di Poseidone, per questo ne senti forte il richiamo.
Il pranzo, il vino, le risate.
Le tue lacrime celate sotto un pesante paio di occhiali scuri.
Lascrime e sorriso.
Dopo pranzo, finalmente lì, ai suoi piedi.
Sembra parlarmi e dirmi allora? cosa c’è? dillo a me.
In silenzio metti i piedi in acqua, anche se è febbraio non senti il freddo, ma solo l’emozione che sale.
Ora che siete insieme potete parlare. Soli tra la gente.
E cominci, dentro, in silenzio, mentre lo guardi perdersi all’orizzonte e con lui, senti scivolare via qualsiasi costrutto problematico che ti lacera dentro.
La calma. La senti, la vedi, la respiri, entra dentro di te.
E tu la lasci fare.
Cosa c’è che non va dadà?
Mi conosce, sa per filo e per segno quello che ho, solo lui lo sa. Solo il mare, il suo profumo, il suo colore, il suo rumore: solo lui lo sa.
Parlo dentro e mi risponde, mi calma, mi accarezza la testa, mi ridimensiona.
É la città che ti rende tutto amplificato, quando sei con me va tutto bene. E tutto andrà bene.
Non hai motivo per non essere felice.
Un altro amore impossibile dadà? Quanti ne abbiamo superati insieme? Cosa ha di diverso questo?
Nessuna lacerazione, che l’acqua di mare, si sa, cicatrizza.
E la senti la serenità che ti invade e ti pervade, tutto è più piccolo, anche tu che ti sentivi così grande, così vecchia, così spacciata.
Per lui sarò sempre piccola.
Ora, mi dice, guardati intorno: cosa vedi?
I sorrisi di chi è li per te.
E allora cosa vuoi vada male?
Andrà tutto bene.
Grazie papà.
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Io, tu, Tea, il tailleur.
35 anni sono tanti. Non troppi, quello mai. Ma son tantissimi.
Quando ero piccola e immaginavo la mia vita a trent’anni mi vedevo sposata e con due figli, mentre in tailleur, bellissima, li accompagnavo a scuola prima di andare a lavoro. Quando ero piccola avevo le idee molto chiare.
Ne ho 35, non ho due figli, odio il tailleur e non so nemmeno come sarà la mia vita domani mattina. Di idee chiare, adesso, nemmeno l’ombra. So che voglio diventare una manager e credo di essere sulla strada giusta ma dannatamente in ritardo.
Festeggio il mio compleanno sempre allo stesso modo. Festeggio il fatto di essere in salute, di avere i miei genitori innamorati, i miei fratelli vicini e presenti anche se a distanza, gli amici su cui so di poter sempre contare e che aumentano di anno in anno, lasciando si qualcuno indietro ma senza nessun dramma, solo per decorso naturale delle cose. Da due anni festeggio anche il fatto di avere la fortuna di essere proprietaria di casa mia. E niente altro.
Direte voi: e non sei contenta? Si, da un lato si. Dall’altro mi sento in un loop senza via di fuga. Festeggio sempre le stesse cose da quando avevo 23 anni. Dodici anni per cui ringrazio un altro anno passato bene, anche se non privo di difficoltà eh ( che gli ultimi 4 sono stati veramente duri) e accolgo l’anno dopo con grandi speranze.
Ogni Natale, ogni Capodanno mi dico sempre la stessa cosa: questo sarà l’ultimo così, il prossimo sarà sensibilmente diverso. Quest’anno non l’ho detto e siamo a Febbario, ma non vedo molte chance nemmeno per questo neonato 2019.
Per la prima volta in trentacinque anni, non ho voglia di festeggiare. Non ho voglia di essere al centro di una serata in cui sono tutti li per te, tutti a dirti che bella sei, come te li porti bene gli anni. Chissà in quanti, poi, ci credono davvero. Quest’anno, oltre il solito e regolare e ciclico corso delle cose, non ho, di nuovo, nulla da festeggiare.
L’unica novità è che sono a dieta. Evviva.
Sono combattuta dal fatto di farlo comunque, come tutti i miei amici chiedono e so che già son partiti con le chat “compleanno dany”.
I regali.
Ogni anno penso a cosa potrebbero regalarmi. Ogni anno mi sorprendono. Fortunata io.
Quest’anno è tutto diverso. Sono diversa anche io. Non ho più una certezza, anche se nascosta, di qualcuno che mi voglia bene e che, in fin dei conti, mi faceva sentire protetta. Non ho più consapevolezza di me, non sono sicura che il sorriso che mostro serva a mascherare davvero le mie paure.
Sono più consapevole, invece, di quello che oramai non sarà.
Non ci sarà quel tailleur, non ci sarà Tea (e quante volte ti ho immaginata, amore mio), non ci sarà un lui a cui raccontare le mie paure, con cui condividere le mie gioie e i miei traguardi e con il quale fare progetti a breve o lungo termine. Non ci sarà nulla di quello che, insomma, sognavo quando ero piccola.
Non so, dicevo, se ho voglia di festeggiare. non voglio regali.
Ma stamattina, stranamente, mi sono svegliata con quello che per me sarebbe il regalo perfetto: un bacio.
Un bacio strutturato però, uno di quelli lenti, caldi, che ti fanno venire i brividi, quelli con le labbra che si lasciano e si riprendono perché già si mancano dopo mezzo secondo, uno di quello in cui attorno tutto è silenzio, non esiste nulla, tutto si smaterializza tipo matrix e restate solo voi due, uno attaccato all’altro, concentrati sul bene che vi volete, su quel bacio di venti minuti che sembrano due anni. Ce li avete presente? Dio mio, quanto sono meravigliosi?
Ecco, vorrei questo, vorrei quel bacio. E lo vorrei da una persona che tiene a me e a me sola, che mi sapesse trasmettere tutto il suo affetto in quel bacio infinito, trascinandomi fuori dalle mie paure, dai miei blocchi, dalle mie tristezze.
Ma io sono sempre quella degli amori impossibili, quindi figuriamoci se i regali che desidero, di conseguenza, non sono impossibili essi stessi.
Quindi anche quest’anno, festeggiamento o meno, non avrò quello che desidero: quel bacio che non mi farebbe più pensare a quel tailleur a trent’anni, a Tea che non esiste, al compagno che non si sveglia con me tutte le mattine.
Quel bacio che mi porterebbe via da me, almeno per un giorno.
DanyTheLantern™
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Gli amori impossibili.
Sembra che impossibile sia una parola inesistente. Sembra che nulla a questo mondo sia impossibile. Quando vuoi fare qualcosa con tutta te stessa, ma sei dubbiosa, hai orde di amici, parenti, conoscenti, vicini di casa, portinaie, spazzini e quelli che ti propinano gli sconti delle palestre almeno tre volte al giorno che ti dicono che nulla è impossibile, che se vuoi ce la fai, che gli unici ostacoli che potresti trovare nella tua vita sono quelli che ti imponi, in un meccanismo di autosabotaggio. Addirittura ci siamo inventati i motivatori, che in America vanno più del fenicottero nel 2017. E lì partono anche tutte le supercazzole di psicologia for dummies, in cui tutti si sentono Freud o Dio a seconda se sono empirici o bigotti.
L’impossibilità esiste eccome. Partiamo da questo concetto, fissato come un assioma, altrimenti tutti noi saremmo piloti di F35, astronauti o modelle di Victoria Secret.
Di contro, c’è da dire che gli estremismi non mi sono mai piaciuti. Quindi abbassiamo i toni, come diceva spesso l’emerito presidente della repubblica, e diciamo che spesso i nostri limiti sono superabili alla grande.
C’è solo una cosa che, data la sua natura mutevole e sociale, è allo stesso tempo possibile e impossibile: l’amore, o meglio gli amori.
Esitono gli amori possibili, le bellissime (ma anche no) storie d’amore tra due esseri umani che ad un certo punto della loro vita si incontrano, si piacciono (o anche no), si conoscono a fondo (ma anche no), si fidanzano, si sposano (ma anche no), mettono su famiglia (o comprano solo un gatto insieme a cui dire “vai da papà”, “guarda la mamma cosa ti ha comprato”…vi prego, davvero, anche no!) e via andare, sempre così. Le persone colpite da questa bellissima infezione sono la quasi totalità della popolazione mondiale. Esclusa me, ovviamente.
Io sono quella degli amori impossibili.
Gli amori impossibili si caratterizzano per il fatto che per te sono perfetti, sono uomini della tua vita che non sanno ancora di esserlo. E questo secondo il tuo insindacabile giudizio.
Perché il tuo giudizio è insindacabile, è ovvio. La verità abita nella tua tasca destra e non incontra mai il dubbio, che magari abita semplicemente nella tua tasca sinistra, tra le sigarette e gli spiccioli che ti dimentichi sempre di avere (e che prima o poi si accumulano talmente tanto da poter coprire il PIL del Congo).
Gli amori impossibili, dicevamo, sono quelli in cui uno ci crede, l’altro manco ci pensa, e se ci pensa è solo per farsi una risata.
Perché tu sarai anche perfetta per lui, nella tua testa e nella testa di chiunque si avvicini a voi, ma nella sua testa tu sei troppo o troppo poco, ovviamente sempre in negativo, mentre lui nella tua è troppo o troppo poco, sempre in positivo. Incredibile.
Gli amori impossibili sono davvero una roba assurda, bastarda, malvagia, dolorosa, dilaniante soprattutto quando li scopri. Perché prima di scoprirli sono bellissimi.
Provi tutte quelle sensazioni per cui uno sguardo incrociato, una risata insieme, una serata sul divano, sono belle, sono diverse, sono…più: più di una risata normale, più di solo uno sguardo, più.
E allora? Come si sopravvive a tutto questo? Come facciamo a non farci risucchiare, ammantare, avvolgere e sconvolgere da qualcosa che pensiamo sia perfetto per noi, ma solo per noi?
Io questo non lo so. Non l’ho mai saputo, ma ho incontrato “uomini della mia vita” che, puntualmente, si rivelavano uomini anche della vita di qualcun altro.
Ho respirato. Ho respirato tanto e profondamente, che quasi mi gira la testa per quanta area ho incamerato, come in alta quota quando l’aria diventa rarefatta.
Finché sono svenuta, metaforicamente si intende.
Ho cominciato a incrociare sempre meno sguardi, a lasciare più spazio, a stare meno su quel divano, a sorridere di meno. Finchè tutto è diventato solamente quello che realmente, tristemente e banalmente è.
Lo so è triste, ma in qualche modo bisogna reagire, altrimenti è un attimo che diventiamo il surrogato di fidanzata di qualcuno, o è un attimo che Spike Lee ti chiama chiedendoti i diritti del film che ti stai facendo.
Perché diventa poi impossibile vivere senza quegli occhi, quella risata, quel divano.
Guardare e non toccare.
Non te lo puoi permettere.
Ed è li che ti rendi conto poi che l’impossibile esiste davvero, ed è li davanti ai tuoi occhi.
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Eravamo io Freddy e Brian.
Quindi ho preso le mie cuffie, il mio cellulare, il mio Spotify e ho fatto partire il live dei Queen a Wembley. Così io, Freddy, Brian, Roger e John siamo usciti dall’ufficio e abbiamo cominciato a camminare insieme. Freddy ha iniziato con we will rock you, il mio passo è a tempo con la sua voce.
Ma sapeva perché stavo camminando, all’una, sotto un bel sole, ancora indeciso se essere uno scampolo di estate o un inizio di autunno. Anche Brian sapeva perché stavo camminando, perciò ha deciso di rallentare il mio passo con un assolo di chitarra della durata di circa 16 infiniti, interminabili, meravigliosi e immensi minuti. Li ho assecondati.
Il problema è che loro sapevano perché io stavo camminando. E dove stavo andando. La fine della strada solita, gira a destra e vai dritta fin quando non arrivi a quel magnifico monumento che sembra un vecchietto al mare che odia i bambini: attorno a lui non vuole nessuno, ma ha paura della solitudine, non vuole stare solo. Quindi va bene, venite pure da me, ma a distanza.
Gira a sinistra. L’inganno degli occhi che vogliono vedere qualcosa che non è più lì da tempo.
Entra li dentro, perditi tra il rumore dei sassi.
E intanto Brian rallenta la corsa delle sue dita sulle corde.
Lui sa perché io sono lì.
- Una coca zero per favore
-2€
Continuiamo a camminare, Freddy sparisce ma so che tornerà. Brian rallenta fino all’applauso finale della platea.
É soddisfatto, la sua chitarra lo è, il pubblico lo è. Lo sono anche io.
Esco, niente più ciottoli, ora solo la panchina di fronte a quel posto meraviglioso dove tutto iniziava con un sorriso. Vuoto.
All’improvviso il silenzio. I ragazzi prendono una pausa, si stanno consultando.
Loro sanno perché io sono lì.
Li sento. Brian rompe gli indugi e quello che prima era un suono elettrico ora diventa acustico. É già il momento?
Loro sanno perché io sono lì.
Mi volto di scatto, a sinistra, dove c’è Brian, quasi a volerlo fermare.
Brian ti prego no.
Non faccio nemmeno in tempo a realizzare che Freddy è già alla mia destra, con la mano sulla spalla, inizia con la voce soffiata, quasi un sussurro.
Freddy... ti prego... non sono pronta.
Le loro voci sulla mia spalla.
É ora Dani, andrà tutto bene. Lascia andare.
Tutti e tre su un muretto, in penombra, quasi a schivare l’indecisione del sole e della calura.
É ora, lasciale andare. Lasciati andare.
Love of my life. Struggente meraviglia.
É ora. Con il viso bagnato e un sorriso che a fatica, piano, abbandona la sua reticenza e spunta, timido, incosciente.
É tutto passato. Respira. Goditi un attimo di silenzio. Respira. Ancora uno.
Riportatemi a casa adesso.
Scelgono la colonna sonora più adatta che possono, per loro nulla è difficile.
I want to break free.
DanyTheLantern
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Che fine ho fatto?
Dopo “ei siamo qui”, “la tua dashboard sente la tua mancanza”, stamattina tumblr mi chiede che fine ho fatto. Stremato. E un po’ lo ammetto mi ha fatto tenerezza, come un fidanzato dilaniato lasciato dalla sua donna. Sono qui Tumblr ma giuro, non sono mai andata da nessuna parte. Vuoi spere cosa è successo? Spiacente di deluderti ma davvero nulla di che. Vediamo.
Continua la mia attività da crocerossina che raccoglie amici a pezzi, li ospita a casa e cerca di ricomporne almeno un bel quadro di lontananza (come si dice a Napoli, un quadro in lontananza è qualcosa che, appunto, da lontano è perfetto, da vicino è decisamente orribile, ndr). Devo lavorare un po’ sulla mia empatia, troppo elevata per cui sento i cazzotti nello stom aco che ricevono loro, ma mi hanno detto, in questi anni, di essere meno sentimentale e più razionale. Piano piano ci sto arrivando, riuscirò a farmi scivolare addosso il dolore altrui. Ma non credo mi piacerà questa versione di me.
Il lavoro. Divento quasi un capo. Incredibile ma vero solo dopo 5 anni mi danno una promozione che oramai aveva la stessa credibilità scientifica di Nessy nel lago di Lochness. E invece, come quando hai il calo di fede e cominci a chiederti se Dio esista davvero, ecco la statua della Madonna che piange e tu torni a crederci, quantomeno a sperarci.
In questo turbinio di cambiamenti, tranquillo tumblr, una certezza te la lascio sempre: la mia vita sentimentale continua rovinosamente a fare schifo, e non solo da lontano, ma anche da vicino. Ho allontanato da me tutto quello che mi faceva stare bene per due giorni, per una settimana o anche solo per un’ora per permettimi di ritrovare un equilibrio. E indovina, Tumblr? La mia vita adesso fa schifo un’ora, una settimana, un giorno e tutti i giorni. Ma ehi, è un percorso, non ci lamentiamo, tiriamo ogni tanto su con il naso (per le lacrime, non siamo ancora passati alla cocaina, tranquillo) e tiriamo avanti. Tanto niente cambia mai, niente cambierà. So, let’s go.
Gli amici, meno male che ci sono. Quelli sono l’unica roccaforte su cui posso sempre contare per uno sfogo, un consiglio una sanissima cazziata, una sbronza terapeutica. E meno male.
Quindi come vedi caro Tumbrl, “nulla si crea, nulla si dirugge, tutto cambia forma”. E io con lui.
Move on.
D.
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E mi son rotta di dire che va tutto bene, che tutto passa, che finché c'è la salute c'è tutto. Io mi sono rotta di sopportare colpi, di incassare e mai ricevere, di aspettare qualcosa che non arriva, di accettare situazioni che non ho cercato ma solo subito, di essere anche quella che non sono per essere accettata, voluta, di essere quella che cerca il confronto. Io voglio urlare, voglio piangere, voglio spaccare tutto, voglio incazzarmi, voglio guardare negli occhi le persone e dirgli che sono stufa, voglio avere il diritto di star male, voglio smettere di sorridere sempre e comunque, di guardare la vita da un angolo, di spiare le vite degli altri, di preoccuparmi di chi di me non si cura che a parole, di tirare uno schiaffo lungo anni, di dire quello che mi va, di dirlo come mi va. E poi, dimenticare.
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Adorabili disastri.
Ho pensato. Molte volte. E questo, direte voi, è già un primo scoop.
Ho pensato molte volte a come dovrebbe essere il mio uomo ideale. Che domande: come quello di tutte! Alto, moro e con gli occhi verdi, bello come il sole, che quando è abbronzato è la fine del mondo e quando non lo è, hai costantemente la sensazione di essere una miracolata che, per tutte le mattine della sua vita, quando apre gli occhi ha una visione tra il sacro e il profano, tra il mistico e l’erotico (che a volte si mischia, ma questo è un altro discorso!). Per forza è così: si chiama uomo I D E A L E. Ideale non è reale. Un ideale è qualcosa di alto, che spesso si scontra con quello che siamo costretti o solo abituati a vivere. Idealmente io sono la donna perfetta, realmente, se avete 8 giorni, una buona dose di pazienza, un taccuino e molta birra vi elenco tutti i miei difetti in ordine alfabetico e cronologico.
L’uomo ideale lo abbiamo tutte. E diciamolo: siamo parecchio banali, divise in due fazioni (che noi donne unite non lo siamo mai!), schierate manco fossimo hooligan allo stadio tra biondo moro, occhi azzurri vs occhi verdi (che poi gli occhi castani e gli occhi neri ma che v’hanno fatto?), tra fisicati che sull’addominale ci puoi lavare le camicie e lo sportivo, che “le magliette le lava le lavatrice, non ho bisogno del lavatoio umano io!”, che tante volte, fidatevi, suona davvero come la vecchia storia della volpe e l’uva. “PER ME” deve essere laureato, che io con un muratore che ci faccio? “PER ME” deve amare i viaggi, la filosofia, la fisica quantistica e lo shopping, Ammettiamolo: abbiamo tutte sparato una cazzata del genere quando abbiamo descritto il nostro uomo ideale.
Ma come vorreste che fosse il vostro uomo reale? Davvero, quello calato nella realtà di tutti i giorni, quello tra lavoro e bollette, quello che si sveglia accanto a voi la mattina e davvero, di Adone non ha nulla, quello che di notte russa talmente tanto che in confronto la musica di marilyn manson è la ninna nanna più dolce che abbiate mai sentito, quello che lascia la tavoletta alzata in bagno. Insomma come vorreste che fosse?
Ci ho pensato molto. Io vorrei che il mio uomo reale fosse fisicamente così com’è, perché se è il mio uomo vuol dire che mi piace, anche se ha la pancia o non è perfetto. Vorrei fosse gentile, con me certo, con le persone che amo, ovvio, ma vorrei fosse gentile con le persone che non conosce, con il turista che chiede informazioni, con il vecchietto che chiede la carità, con il bambino che gli tira per sbaglio la sabbia sul telo in spiaggia. Vorrei che le distanze, per lui, non fossero mai un problema, vorrei che se siamo in macchina e qualcuno abita dall’altro lato della città, alle due di notte, dopo una serata, fosse lui a dire “ei, ti accompagniamo noi, non prendere un taxi”. Vorrei che se ci fosse un problema, me ne parlasse sempre, vorrei che si fidasse di me e che la nostra storia fosse un continuo scambio di vedute. Vorrei dimenticasse ogni anniversario, ogni primo bacio, ogni primo appuntamento, perchè così litigheremmo e passeremmo la sera a discutere e a fare pace. E avremmo dei nuovi anniversari ogni volta da ricordare e da festeggiare, uno per ogni lite che abbiamo risolto. Insieme. Vorrei fosse sempre in ritardo la mattina, vorrei prendere con lui il caffè al mio risveglio, ma sempre di corsa. Vorrei non avere mai il bagno tutto per me. Vorrei che il dentifricio fosse spremuto dal mezzo, perché odio quando è così, ma sarebbe un segno inevitabile che lui c’è, sempre, con me. Vorrei avere la casa sempre piena di amici, vorrei cucinare insieme a lui, e vorrei dire alla fine di ogni serata, stanchi e mentre puliamo tutto “mai più”, per poi organizzare un’altra serata subito dopo. Vorrei fosse un disastro totale, proprio come lo sono io. Vorrei fosse fiero di camminarmi accanto. Vorrei non avere mai una foto seria insieme, vorrei non averne mai una sui social con i cuoricini sotto, vorrei che mi prendesse costantemente in giro. Vorrei fosse permaloso, come a volte lo sono io, ma solo per potergli dire che lo è, farlo arrabbiare, poi ridere insieme. Vorrei sottolineasse ogni mio singolo difetto. Vorrei che mi dicesse sempre quando sbaglio e mai quando faccio bene. Vorrei non mi dovesse mai dimostrare qualcosa, perché è li sotto il mio naso. Vorrei che prima dell’anello, mi regalasse uno spazzolino, per dirmi che casa sua è anche mia. Vorrei non fosse smielato, ma non vorrei mai dovergli chiedere un bacio.
Direi che il mio uomo reale non ha niente a che vedere con quello reale. Credo che insieme saremmo un felice inevitabile disastro. E sinceramente, credo che sarebbe un adorabile disastro.
DanyTheLantern.
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Cantuccini.
Sono del sud, si sa. E lavoro a Milano, anche questo si sa.
Oggi ho la brillantissima idea di portare a lavoro dei dolci che la tradizione napoletana vuole siano d’uso a Natale. Si tratta dei Roccocò, “biscotti” (scusa papà!) dalla forma rotonda, la cui caratteristica è essere tanto duri quanto buoni, con le mandorle e molto speziati. Le spezie dei Roccocò sono una sorta di polvere magica, denominata Pisto: un mix di non so bene quante spezie, di sicuro c’è la cannella, magari i chiodi di garofano, chissà forse l’anice? Non ne ho idea. So solo che papà va a prenderle in una pasticceria a Napoli, e sempre la stessa, da più di trent’anni, e forse anche quaranta.
Dunque porto il famigerato dolce in ufficio. Come al solito, le cavallette non si fanno attendere. Alla domanda “Cos’è?” rispondo con le informazioni sufficienti quel tanto che basta a far si che la calca alzi un gran polverone, accanendosi sul povero e inerte roccocò. In questa calca, più o meno verso le 16, anche collega I. si appresta a prenderne uno, arrotolandolo nel tovagliolo come solo un’anziana signora farebbe (a dispetto della sua giovane età, ndr) e dicendomi “lo mangio dopo”. Fin qui tutto bene.
Intorno alle sei il rito si compie.
I. scarta il fagottino, rivelando il piccolo tesoro di zuccheri complessi, si fa un caffè alla macchinetta e torna al suo posto.
E qui inizia il dramma:
Lei: Come si chiamano?
Io: Roccocò (ma l’ho detto due ore fa.... ma ok...). Attenta che sono duri.
Lei: (pucciando il biscotto nel caffè) Bhe, non è poi così duro!
Io: Grazie, lo hai pucciato mezz’ora nel caffè....
Lei: Aaaaah! Ma sono cantuccini!!!!
Io: Eh? No, sono totalmente diversi, la pasta è diversa, e poi le spezie....
Lei: (mordendolo) Vedi? c’è la mandorla! Proprio come i cantuccini!
Io: (la pazienza vacilla) Si, c’è la mandorla ma non sono cantuccini...
Lei: Mmmm, si hai ragione ci sono le spezie.
Io: Si lo so, c’è un mix di spezie che si chiama PISTO, è un mix della tradizione ma non so bene quanti e quali spezie ci siano, sicuramente la cannella, i chiodi di garofano ma non so bene....è sempre un po’ un mistero.
Lei: É vero, nei cantuccini però non ci sono le spezie.
Io: (ok ho finito la pazienza...) Certo, perchè questi NON sono cantuccini...
Lei: E c’è l’anice?
Io: Non lo so come ti dicevo non so cosa ci sia nel MIx....
Lei: E la vaniglia? C’è la vaniglia?
Io: I. NON LO SO, BASTA!!!!!!! (e si, la pazienza l’avevo finita già due domande fa, ndr)
Silenzio.
Dopo qualche secondo, quando la mia rabbia si sta placando,
Lei: Si comunque sono diversi dai cantuccini.
E allora sei meglio te! L’anno prossimo, giuro, porto i cantuccini, anche se sono toscani e con Natale non c’entrano una fava.
Tutte a me.
DanyTheLantern
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Generazioni contraddittorie.
É risaputo: siamo la generazione dei precari. Precari nel lavoro, nei sentimenti, nelle amicizie. Siamo quelli indecisi, siamo quelli che non sanno mai che fare, che provano qualsiasi cosa, in cerca della loro strada. Siamo quelli che studiano fino ai 26 anni, tra lauree, magistrali e master (perché 5 anni di università non ci hanno dato gli strumenti necessari per approcciare il mondo del lavoro... tralasciamo). Siamo la generazione che si sposa tardi, che fa i figli tardi (nonostante qualcuno dall’altro ci tenga a ricordarci, costantemente, che per fare figli c’è un tempo, come se fossimo buste di latte fresco a scadenza ravvicinata), che compra casa solo se ci sono mamma e papà a darci una mano. Siamo quelli che non ci capiscono nulla di TFR, di contributi, di burocrazia. Insomma, siamo quelli che hanno un’opinione su tutto e quelli che, allo stesso tempo, hanno un “non lo so” grosso quanto una casa che impera sulle nostre teste.
Fino ad un certo punto però.
All’improvviso diventate (perdonatemi se non mi includo nella cerchia, ma io resto fedele al mio enorme NON LO SO) esperti di tutto. E questo da quando cominciate una nuova esperienza, qualunque essa sia.
Ho viste persone che voi umani... ehm volevo dire, ho visto persone single da una vita perché non se l’è filate mai nessuno, diventare espertissime della vita di coppia dopo due ore (DUE) di frequentazione (manco fidanzamento). Le ho sentite dire “Eh ma sai adesso è cambiato tutto, sono cambiate le priorità, è cambiata la prospettiva”. Sicuro (credo) nella vita di coppia tante cose cambiano, ma dopo DUE ORE mi sembra davvero esagerato.
Altra categoria: quelli alla prima esperienza di lavoro. Sono già stanchi dopo la prima settimana, hanno già capito che il capo è uno stronzo incompetente, che se vuoi fare carriera lì dentro c’è solo un modo, che quello ha fatto cose con quell’altro e che se fosse al comando le cose sarebbero diverse. Amico rilassati: dovrai lavorare fino a 80 anni, avrai tempo e modo per dimostrare le tue grandissime doti, già note a te e ai tuoi dai primi 5 giorni di lavoro.
Ultime, ma solo per elenco: le neomamme. Scusate, la maternità è una cosa meravigliosa, uno spettacolo, un miracolo che si ripete dalla notte dei tempi. Non vediamo l’ora di avere quel fagottino tra le mani, di vedere il suo viso, di giocare con i suoi piedini e di crescere insieme a lui. Almeno questa è la mia idea di maternità, che forse non arriverà mai. Ma nessuna neomamma da social network ha mai paura. No, loro sanno tutto, hanno già tutto sotto controllo, nessuna paura, nessuna angoscia. Sanno cosa va fatto, quando va fatto, ne sanno di pannolini, di creme, di gocce per le colichette. E non c’è nulla di male. Il problema è che lo sanno alla 3° settimana di gravidanza. Soprattutto non vedono l’ora di farcelo sapere, di raccontarci in formato breaking news le nausee del mattino, i post in cui professano che non c’è amore più grande di quello per un figlio, che dio è stato grande per avergli mandato il dono, che tutto è cambiato, tutto ha un’altra prospettiva e che non possono più fare la vita di prima, che sono indecise per il colore della cameretta, per il primo-secondo-quindicesimo nome (che nessuna può più chiamarsi giulia, francesca, sara, ma tutte devono chiamarsi noemi, chanel, ocean e chissà cos’altro), che sono sempre stanche perchè “sai...il bambino!”: tutto alla terza settimana! Credo sia giusto arrivare preparate ad una esperienza del genere che SI ti cambia la vita (non subito per la miseria!) ma sarà anche bello imparare in corsa, dare un ruolo a quel povero compagno che vi sta accanto invece di voler fare tutto e di avere sempre la risposta giusta?
Insomma siamo la generazione che non sa nulla, ma che all’improvviso sa tutto di tutto.
É evidente, allora, che io sia la più precaria della mia generazione, l’ho capito stasera. Sono quella che non sa ancora come va il mondo del lavoro, quella che non sa come si costruisce una relazione, quella che “sono grassa, non sono incinta, tranquilli!”.
Sono quella che ancora si dà la possibilità di imparare cosa voglia dire amare una persona, che con paura affronterebbe la responsabilità di un figlio, sono quella che sbaglierebbe il biberon, le pappette, la misura dei pannolini.
Sono quella che sbaglierà, che litigherà con il suo compagno per chi doveva accendere il babymonitor e non lo ha fatto, che litigherà con il capo e (prima o poi) si farà licenziare, sono quella che sbaglierà ancora, ancora e ancora.
E andrà bene così. E questa, signori, è davvero l’unica cosa che so.
DanyTheLantern.
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La signora Rho.
Torno a casa e trovo un biglietto sotto la porta: citofonare signora Rho (fino alle 22.30). Strano, penso. La signora Rho è la mia vicina di casa alla quale ho chiesto solo una volta delle chiavi delle cantina, cosa può volere da me? Esco ai citofoni e premo il pulsante. -chi è? - signora scusi l'orario, sono l'inquilina del piano terra, ho trovato un biglietto sotto al mia porta e... -ah sì sì, salga pure, secondo piano! A parte dare per scontato che io abbia voglia di farmi due piani a piedi dopo una splendida pizza di Sorbillo, ma vabhe, percorre le rampe che mi separano da lei chiedendomi cosa diavolo vorrà da me. Magari è arrivata una raccomandata e ha firmato per me. No, non è la portinaia, è solo un'impicciona. Ma poi penso che lo scorso mese mi è arrivata una raccomandata e la tenera vecchina l'ha rimandata indietro, precisamente a Londra, ma questa è un'altra storia. Dunque arrivo, timidamente suono al campanello, che ovvio lei non apre la porta anche se mi sta aspettando, e lei finalmente è lì. -salve signora (salve, son terrona lo so) mi cercava? -oh bene, non sapevo a che ora arrivasse. Dunque domattina alle 8 devono passare quelli che controllano i riscaldamenti per una verifica all'impianto del condominio. Lo so che lei esce alle 8.15 ma alcune mattine esce prima. Voleva avvisarla di non andarsene. Rimango basita: perché cavolo mi spia la vecchia? E da dove vede che esco alle 6?? -veramente (le dico molto intimorita) domattina dovrei uscire molto presto... -eh no! Ci sono quelli dei riscaldamenti! -si ma io... -senta in palestra ci va un altro giorno!!!! Pure?????? Ora voi l'avreste contraddetta? Ergo domani non vado in palestra e stasera chiudo la porta a doppia mandata, pure tripla. Tutte a me.
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Giochi senza frontiere.
Primo Luglio. Per tutti i milanesi (ma in realtà per tutti quelli che in città hanno un abbonamento ai mezzi pubblici) oggi è giornata di rinnovo. E io, da figlia, sorella, nipote e cugina di ferrovieri (si, la mia è una grande famiglia) non posso concepire di salire su un mezzo pubblico senza pagare il biglietto. Così vado al tabacchi, per rinnovare la mia tessera:
- posso ricaricare qui l’abbonamento?
-si certo, ma solo se ha contanti, sa, non prendiamo bancomat.
Accidenti, non ho una lira bucata in tasca.! Ringrazio, sottovoce bestemmio dicendo echecacchio, siamo nel 2015 non avete ancora il bancomat! e me ne vado. Prendo abusivamente il tram (e già penso a mio padre che mi urla dietro in caso di multa!) e scendo dopo poche fermate per andare in metro. E ok, penso, oggi cambio percorso, perchè no? Cambiare non fa mai male (e questo me lo dovrei ripetere più spesso, ndr). Vado lì, penso, ci sono sia l’edicola che le macchinette, forse arriverò un pochino tardi a lavoro ma devo necessariamente fare l’abbonamento.
È il primo luglio per me e per altre migliaia di persone che devono come me rinnovare sta cavolo di tesserina. Mi metto diciplinatamente in fila. La macchinetta prende il bancomat. Penso milleuno modi per prendere il giornale gratuito in metro, inganno l’attesa, ma non posso lasciare la fila, quindi desisto. Mi accorgo, quasi arrivata al mio turno, che la macchinetta non funziona. Aribestemmio inside e cambio fila. Dopo altri dieci minuti nella seconda coda, sorpresa!!! Questa macchinetta non prende il bancomat, o meglio, ha il pos rotto. La mia pazienza ha davvero un limite, ma ok, respio e mi metto in coda (l’ennesima!!!!) all’edicola. E dopo circa una coda (tre, quattro se contiamo anche il tabacchi del 1952 senza pos!) complessiva di circa 40 minuti l’edicolante mi dice:
- Sa, noi non prendiamo il bancomat!
- e dirlo prima?
- Eh...
A questo punto voi non avreste nell’ordine:
- spaccato le macchinette
- picchiato l’edicolante
-tornati indietro a picchiare il tabaccaio?
E invece no.
Sono tornata su, ho preso il tram ABUSIVAMENTE, con aria di sfida, dicendo: Se mi fanno la multa picchio il controllore, spiegandogli che, rispetto a rinnovare l’abbonamento, giochi senza frontiere era di gran lunga più semplice.
Tutte a me.
DanyTheLantern
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Acqua di gio e salame.
Ricevi un regalo inaspettato in ufficio, dei fiori. Un tempo ti avrebbero fatto molto più piacere, ma oggi sorridi malinconica e pensi “che carino”. Lo inviti a cena, per contraccambiare un gesto che tutti pensano di uno spasimante e invece così non è. È solo il gesto di un amico che ti vuole bene. Ma non importa, ti vesti a festa, ti fai la doccia, ti prepari carina, ti rifai il trucco, i capelli, metti il profumo, che sai che a lui piace. Apparecchi la tavola con i doppi bicchieri, che oramai sei grande (hai comprato i bicchieri da vino, finalmente). Metti i suoi fiori in tavola, prepari dei piccoli stuzzichini: un po’ di insalata russa in una ciotola, una robiolina in un piattino da caffè, in un altro del salame. Metti un tovagliolo attorno alle posate, come si fa nei ristoranti belli. Direzioni la luce sulla tavola, in modo che i vetri riflettano degli sbrilluccichii qui è là, che si sa, impreziosiscono il tutto. Prepari la carne, sei dubbiosa se fare l’insalatina con le noci ma poi ricordi che lui non mangia cose verdi, quindi desisti. Sei pronta, aspetti. Un’altra passata di profumo, che non si sa mai. Arriva, con un po’ di ritardo, si scusa, vi abbracciate. Sei contenta sia li con te, si vede, sorridi con gli occhi. Posa tutta la sua roba in camera, e mentre scosti i capelli, senti il tuo profumo: bene si sente ancora, pensi. D’improvviso dall’altra sala senti: profumi di salame! Ecco, due ore per preparare, 8 secondi netti per distruggere tutto. Ti versi dell’alcool, butti giù e pensi: bene, sono la solita camionista. Tutte a me.
DanyTheLantern
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Sorrisi al pane
Quando ancora abitavo in Porta Venezia (si mi sono spostata dall'altro lato della città da circa 4 mesi), ero solita andare a fare la mia spesa (veloce, dato che odio fare la spesa!) sempre nello stesso supermercato. Oramai conoscevo il posto di tutto quello che mi occorreva, quindi la cosa era sempre rapida e indolore. Quella sera, di ritorno stanca dal lavoro, ero rallentatissima. Quindi prendo il pane ai cereali e ci metto un quarto d'ora solo per passare nella seconda corsia. Lì un ragazzo, di quelli belli belli che ti viene voglia di dire "complimenti alla mamma", mi guarda e mi sorride. Penso: ok devo avere una faccia orribilmente devastata dalla giornata da infondere tenerezza in un perfetto bellissimo sconosciuto. Rispondo al sorriso e vado avanti. Prendo la robiola, qualche insaccato nella stessa corsia e mi dirigo verso la zona colazione. E lì ancora lui, che nuovamente mi guarda e mi sorride. Ok rispondo ancora al sorriso, ma se due indizi fanno una prova, vuoi vedere che il bello di mamma ci sta provando? Risorrido e vado avanti, reparto casalinghi, senza farmi troppe illusioni (autostima ne abbiamo eh?). Mentre scelgo il detersivo per lavare il bagno (wow, che visione romantica!), torna lui, a guardarmi e sorridere. Eh no, dai che è la mia serata, dai che la giornata finisce bene. Lentamente, arrivo alla cassa, e lui dietro di me. Comincio a passare i prodotti sul nastro e, finalmente sento la sua voce, bella, profonda, calda... "Scusami"
"Dici a me?"
"Si scusami, non vorrei disturbarti, ma è da tanto che ti guardo e volevo farti una domanda..."
(E in testa parte il NO non sono fidanzata, si andiamo a bere, facciamo quattro figli con i miei occhi e il tuo sorriso, andiamo a vivere in montagna anche se la odio ma tanto ci sei tu chi se ne frega, già ti amo!)
Timidamente, un po' rossa (si, non si direbbe ma sono dannatamente timida!) gli dico "dimmi pure", sorridendo come una scolaretta al suo primo appuntamento.
" Mi diresti dove hai preso il pane ai cereali che lo cerco da quando sono entrato?"
(e in un attimo si rompe tutto il film mentale, che a me Spielberg mi spiccia casa!)
"...prima corsia, appena entri sulla destra"
"Grazie mille, gentilissima"
...gentilissima un cazzo!
Poi dici, tutte a me.
DanyTheLantern
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Fobie e superstizioni
Si comincia sempre con un "a che serve?". Domanda lecita. Perchè uno dovrebbe seguire il mio tumblr? Rispondere è cortesia: non serve a niente. A farci due risate sulle mille disavventure, divertenti, della mia vita. Ne volete una? Eccovi serviti:
Ho la fobia di volatili e piccioni in particolare, Non mi fanno schifo, come alla maggior parte delle persone. Ho proprio paura. È irrazionale, non a caso è una fobia.
Dunque esco da casa per andare a lavorare, giro l'angolo per raggiungere il tram più lento del mondo e, comodamente in mezzo al marciapiede a farsi i beati cavoli suoi, una maestosa cornacchia. Bene, penso, da qui non mi muovo. Ma le cose le faccio per bene, per cui lo dico ad alta voce, esclamando:
"Ah bhe, finchè tu non ti muovi di lì, io non passo!"
Nel frattempo mi raggiunge un simpatico vecchietto milanese, di quelli che hanno sempre da dire e che non riescono a star zitti, di quelli che hanno sempre la verità in tasca e devono prima o poi sputartela addosso.
"Guardi che lei - mi fa- è 100 volte più grande, se passa la cornacchia vola!", in un tipico accento milanese convinto, di quelli da "son sette generazioni che son qui, terrona!" (btw, si sono fieramente terronica).
Leggermente infastidita, ma con la cortesia che mi contraddistingue, fosse anche solo per rispetto all'età (70 minimo), rispondo:
" Lei è 200 volte più grande dell'uccello (nessuna battuta please, ndr), passi lei, io ho paura!", confessando la mia fobia per il mondo dei volatili (aridaglie con le battute, ndr).
Tomo tomo, placido, quasi insultandomi discretamente con lo sguardo, mi dice:
"Eh ma io son superstizioso, non passo, si sa che le cornacchie portano sfiga" (e da quando?ndr)
Resto muta, lo guardo scettica, giuardiamo insieme la cornacchia che, pensando "Sti due non stanno bene, fammene andare"., spicca il volo sulle nostre teste.
Poi dici perchè Tutte a me.
DanyeTheLantern
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