Non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stata che sarebbe sembrato loro essere altro.
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Capitolo 90 - Da Malcolm a Ginevra
La mattina del 4 maggio 2017 vengono recapitati a Ginevra un girasole ed una foto.

Sul retro della foto, è scritto a mano:
Un giorno pure noi migreremo amore, ce ne andremo da qui, te lo prometto, migreremo e cambieremo bosco, e magari un giorno quando moriremo avremo una tomba comune e forse potremmo persino essere amici, e avere radici comuni - amore che non sai di esserlo per me - amore io te lo prometto, un giorno cambieremo bosco e cresceremo di nuovo, e cresceremo più forti.
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Capitolo 89 - Da Malcolm a Ginevra
La mattina del 3 maggio 2017 a Ginevra sono stati recapitati un girasole e la seguente foto:

Sul retro della foto è scritto a mano:
Tu cui spetta vivere in primavere eterne, ove il giorno perdura e non conosce l'ombra; perché, serafino, l'ala vagabonda ti ha spinto qui a stringerti al suo pianto? [...] A lui ora non manca l'angelo protettore: ora non tema più la fortuna nemica: forte è il Destino, ma più forte è Amore e più insonne dell'angelo che veglia. Emily Brontë
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Capitolo 88 - Da Malcolm a Ginevra
La mattina del 2 maggio 2017 vengono recapitati a Ginevra un girasole e una foto.

Sul retro della foto è scritto:
La scelta ultima di un uomo quando è portato a trascendere se stesso è creare o distruggere, amare o odiare.
Erich Fromm
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Capitolo 87 - Da Malcolm a Ginevra
La mattina dell’ 1 maggio 2017, a Ginevra vengono recapitati un girasole ed una foto.

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Capitolo 86 - Coffee Pet Restaurant
Ginevra
E’ seduta alla panchina all'esterno della libreria. I capelli raccolti nel solito chignon di fortuna, trattenuto con una matita. Ha l'aria di chi si è appena svegliata o quasi, in realtà è già più di un'ora che è seduta lì a far qualcosa che pochi hanno capito. Tiene una gamba ripiegata, con piede sulla panchina e la circonda col braccio, la mano è poco visibile. Nell'altra mano ha la tazza con il caffè. Indossa la divisa sportiva estiva di Yale ed è a piedi nudi. Sta guardando il via vai delle strada e occasionalmente, quando passa qualche ragazzino del quartiere, il braccio che circonda la gamba si sposta per rivelare la mano che nasconde una pistola ad acqua, con la quale fa due/tre spruzzi verso il malcapitato per poi rimettere la mano verso l'interno della gamba con aria vaga, la tazza di caffè che va alle labbra e lo sguardo sui passanti. La porta della libreria è spalancata, ci sono diversi clienti e Korinne se ne sta occupando
Malcolm
Ha raccolto tutta la roba che Ginevra aveva in casa, l’ha stirata, piegata e disposta in perfetto ordine, maniacale al solito, dentro due borsoni abbastanza grandi. Ma non ci ha pensato neanche per un momento a recapitarglieli. Glieli porta di persona, raggiungendo la libreria a piedi lungo il marciapiede e non aspettandosi in realtà di trovarla all’esterno. Bilanciata fra i due borsoni, la figura del giornalista, con addosso un completo grigio ed una camicia azzurrina abbottonata fino al collo, avanza a passo lento e misurato, in volto un’espressione seria e stanca – anche se gli occhiali da sole coprono i segni di una (?) notte in bianco - ma neutra. Riesce forse a vedere, più da lontano, l’utilizzo della pistola ad acqua che no, non riesce ad interessarlo, forse in un altro momento sorriderebbe alla scena ma non ora. Cerca di raggiungerla, facendosi forza, e senza mostrare alcun disagio o esitazione – almeno in apparenza – si pianta là vicino a lei, posando momentaneamente i due borsoni per terra e prendendo la parola: «Buongiorno. Ho raccolto la tua roba come avevi chiesto. Non avevo la minima intenzione di recapitartela però. Non è un dispetto, non è niente se non che voglio vederti – voglio sempre vederti – mi manchi, mi manca tutto di te, mi manca fare l’amore con te, portarti la colazione, dedicarti citazioni ogni giorno, mi manca abbracciarti, baciarti, condividere tutto con te. Non importa se non ci credi, davvero non importa. Lo so che ti ho lasciata, ma non è certo così che volevo finisse. Anzi, non volevo che finisse invero» scuote il capo imponendosi di non perdersi nel discorso, che si è allenato a fare senza crollare, un discorso che davanti allo specchio ha avuto tante forme diverse per poi assumerne ora una anche inedita. «Mi hai aiutato ad essere una persona migliore, più… più normale ecco. Mi dispiace così tanto non avercela fatta, anche se ce l’ho messa tutta. Ma ho fatto tesoro di quello che mi hai insegnato.» annuisce e tace per un momento. «I borsoni li porto dentro..» dice a metà fra un’affermazione e una domanda.
Ginevra
Sta puntando un paio di ragazzine, con le sguardo fisso su di loro e la tazza vicina alle lebbra per bere un sorso di caffè, muove la mano per il solito agguato, i soliti spruzzi e la mano torna a nascondersi mentre le due alzano le sguardo per controllare se, per caso, sta iniziando a piovere. Sghignazza tra se e se e non si accorge dell'arrivo di Malcolm, non fino a che lui non parla. Gira il capo verso di lui, guardandolo dal basso. Dischiude le lebbra per rispondere al buongiorno, ma non ha alcuno spazio per farlo, perché segue una valanga di parole che ascolta con le labbra ancora dischiuse e la tazza di caffè sospesa. Il ginocchio è sbucciato e la gambe un po’ sgrattuggiata, e il giornalista conosce quel tipo di ferite, per averle già viste in una precedente caduta con la bicicletta. Quando lui termina, chiude le labbra e riporta lo sguardo sulla strada con espressione incupita «si, grazie» si riferisce ai borsoni, non aggiunge altro per ora almeno. D'altra parte lui se ne sta lì con due borsoni anche abbastanza grandi ed è bene liberarsene. Dei borsoni, s'intende.
Malcolm
Da dietro le lenti degli occhiali da sole, ha notato di certo le ferite alle gambe e non se ne cura troppo al momento perché è giusto così, sono entrambi feriti. Nota anche le reazioni di Ginevra alle sue parole, pregne di una fatica che risulta invisibile, e di un dolore lacerante e bruciante che si nasconde dietro quell’apparenza granitica, spigolosa, non dissimile da ciò che era prima di conoscerla. E che in fondo è sempre stato, nel pubblico, anche se solo a Ginevra ha permesso di vedere oltre. Vorrebbe tanto tornare indietro e fare le cose bene o non farle per niente, vorrebbe proprio essere un altro uomo. Il “sì, grazie” lo ghiaccia, ma oggi ha deciso di essere contro natura, ha deciso di essere invadente, di risultare – dal suo punto di vista, per i suoi standard – prepotente. «Non è la risposta corretta.» precisa, con tono austero ma in qualche modo determinato. «Nessuno di noi due vuole davvero che io porti i borsoni dentro, e lo sappiamo bene entrambi.» indugia ancora un momento in piedi e poi, a meno di allontanamenti forzati, andrebbe a prendere posto accanto a Ginevra, sulla panchina. Le tende una mano, come per avere una stretta a mo’ di saluto: «Buongiorno, sono Malcolm Barnes, ho un divorzio devastante alle spalle ma ho capito che posso ricominciare, e per giunta dovrei farlo per il mio bene. E dal momento che c’è qui accanto una giovane donna che, per una ragione quasi assurda, amo, è il caso che io faccia le cose per bene, come le fanno le brave e normali persone del mondo. Non badare alla fede al dito, ho promesso di rimetterla quando sarebbe diventata solo un ricordo.» la mano ovviamente ancora tesa, un’intraprendenza inaudita per lui, fuori dai suoi schemi e dalla sua indole chiusa e remissiva.
Ginevra
Serra le labbra tra loro a quel primo appunto sulla risposta non corretta. Ovviamente lascia che si sieda di fianco a lei, in realtà non batte ciglio alla cosa, come se lui non si fosse nemmeno mosso. Le dita si serranno sul calcio della pistola ad acqua e l'espressione del viso si fa più tirata anche quando lo sguardo si abbassa su quella mano tesa, in quella presentazione che suona come l'incipit di qualcosa di nuovo. Stringe ancora di più la pistola di plastica e lo sguardo torna sulla strada, mentre la mano destra avvicina la tazza alle labbra per un sorso di caffè, cercando di ignorare quella mano tesa. «Quindi siamo sempre allo stesso punto» commenta seguendo con lo sguardo il cameriere di Rose Nicaud che passa con un vassoio di caffè già consumati, di ritorno da una delle consegne mattuttine alle attività della strada. Gira il capo per riportare lo sguardo su Malcolm «io che devo tornare a vivere alla casa sul lago» inclina appena la testa di lato «non voglio farlo» a voce leggermente più bassa, ma scandito «non volevo prima che tu mi lasciassi, perché pensi che io voglia ora?»
Malcolm
Le reazioni e le parole di Ginevra che di certo nota gli fanno male, indubbiamente, motivo per cui, anche se resta impassibile, tace per vari secondi, incassando il dolore che si somma ai tanti precedenti per formare un grumo che sta cercando di superare e che dovrà sciogliersi. La mano però è sempre lì, in attesa di essere stretta. Gli occhi sono nascosti dalle lenti scure, anche se è intuibile che puntano al viso di Ginevra, le labbra dell’uomo si piegano inevitabilmente un po’ verso il basso, ma solo di poco, un cambiamento appena percettibile, inevitabile malgrado tutta la preparazione, tutto il controllo, tutto il rigore che si impone. Espira leggermente, dal naso, e riprende dopo quel silenzio un po’ più lungo del normale: «Torna quando sarai pronta, se vorrai.» concede, per quanto sia di certo difficile. E poco dopo aggiunge: «Inoltre mi impegno a dire, a chiunque, quando sarà necessario, che sei la mia compagna ed io il tuo compagno.» promette esplicitamente, nonostante sia qualcosa che ha sempre tentato di fare, ma senza mai riuscirvi a causa delle sue ansie, del passato, della mancanza di fiducia verso gli altri e della sua indole. La voce gli trema un poco e così la schiarisce brevemente, ripristinando il controllo, e va quindi a smuovere la mano per ricordarle che è lì ad aspettare.
Ginevra
Uno sbuffo di risata amara e lo sguardo torna sulla strada «certo, ti impegni» annuisce lentamente «così poi potrai rinfacciarmi di aver dovuto subire anche questa imposizione da me» riporta lo sguardo su di lui e dopo qualche istante di silenzio «non funziona così, Malcolm» serra un istante le labbra «non funziona così!» scuote il capo «solo ieri mi hai rinfacciato di aver fatto cose dietro mia costrizione, pena che io l'andassi via» piega le labbra in una espressione di disgusto, è evidente che la cosa anche solo a nomirla le provoca fastidio, probabilmente a causa della sofferenza insita nella cosa. «e già… è falso di per sé, visto che sei sempre tu quello che è andato via quando qualcosa non gli stava bene, la prima e unica volta che sono stata io a fare quello che tu hai sempre fatto» allarga le braccia, la tazza di caffp in una mano, la pistola ad acqua nell'altra «ci ha portato a questo punto» riabbassa le braccia «ma» fa una pausa e annuisce «tu hai accusato me, ripetutamente, di averti imposto regole che dovevi rispettare» espira dal naso «tipo togliere la fede, tipo fare sesso, tipo non amare un'altra donna» annuisce lentamente di nuovo «mi rendo conto, richieste assurde. Davvero assurde» Lo guarda, resta solo qualche momento in silenzio «l'assurdità è che io abbia dovuto chiedere, l'assurdità è che io debba sentirmi uno schifo per aver avuto, da parte tua, la gentile concessione di accettare di fare sesso con me» alza le mani e il tono si fa sarcastisco «che pretesa da parte mia! Forse dovrei scusarmi per averti costretto a una tale tortura» espira dal naso e abbassa lo sguardo, si sente davvero uno schifo, è evidente. Riprende a parlare a tono più basso «credi che basti venire qui e…» scuote il capo «cosa sarebbe cambiato da ieri? Mi hai esplicitamente detto che ognuna di quelle cose l'hai fatta solo perché io non andassi via e non perché tu volevi farla» lascia la pistola ad acqua sulla panchina, tra le gambe e porta la mano alla fronte chiudendo gli occhi «perché mai dovrei crederti? Nonostante tutto, nonostante tutto» ripete «io sarei tornata con te» l'espressione è amara, con se stessa «pensavo di poter superare ogni cosa, per il solo fatto che ti amo, ma…» riporta lo sguardo su di lui «non posso superare di sentirmi così, non posso» prende un profondo respiro «non posso andare oltre il fatto che ho avuto persino il dubbio che non fossero richieste normali e legittime, di essermi sentita… di sentirmi… qualcosa di mostruoso. In questi mesi non hai fatto un solo passo avanti, hai fatto cose perché costretto, o almeno così ti sentivi, e adesso sei qui…» lo indica «nuove promesse» si stringe nelle spalle «ma già in passato quante volte mi hai detto che volevi quelle cose, per poi venire a rinfacciarmi di averle fatte solo per me» scuote il capo «perchP dovrei pensare che ora è diverso? Perchè?»
Malcolm
Abbassa la mano tesa quando Ginevra inizia a rispondergli in quel modo, abbassa anche lo sguardo e la testa, dandole il profilo. Incassa in silenzio, posa entrambe le mani sulle gambe e muove le dita, in modo lento e ripetitivo, come a grattare sulla stoffa dei pantaloni. Sta in silenzio per qualche secondo e intanto si toglie gli occhiali da sole, nonostante resti a testa bassa e di profilo, se li rigira fra le mani, alzando e abbassando le aste, in un rituale che lo aiuti a restare tranquillo e lucido. «Perché non… non voglio essere una cattiva persona. Non vorrei osare tanto ma.. non credo, neanche, di essere una cattiva persona. Non sono un egoista e un arido di cuore e, se mi sbaglio e sono davvero uno stronzo, non voglio esserlo. Tu credi che io sia così? Pensi che potrei riuscire a mettere la testa a posto?» domanda, con un tono basso e piuttosto timoroso. Chissà se questa è la risposta giusta; sicuramente è quella più sincera che si sente di dare.
Ginevra
Resta a bocca aperta qualche istante, guardandolo quando sente la risposta «questo è il perché ora sarebbe diverso da come è stato fino a ieri?» inclina la testa di lato, portando il busto in avanti come se volesse guardarlo in vico che lui tiene basso «non… non…» scuote il capo riportando lo sguardo in avanti «quindi il punto è quello che tu vuoi essere?» sembra esterrefatta «hai sentito una sola parola di quello che ho detto?»
Malcolm
Nell’avvertire la reazione di Ginevra, chiude gli occhi, espira e si rimette gli occhiali, stringendo le labbra. «Sì, ho sentito. Ma non so qual è la risposta giusta. Non so come dimostrarti che ti amo, non so a cosa riesci a credere di quello che dico e che faccio, ho l’impressione di aver sprecato tutte le occasioni. Te l’ho detto prima perché sono venuto, quando sono arrivato: perché ti amo e mi manchi, perché mi hai reso migliore, perché hai combattuto e mi hai reso felice quando pensavo di non potere più esserlo, perché sei bella, sai essere allegra, per tutto. Perché al contrario di me hai agito per il mio bene, e mi hai messo alle strette per delle buone ragioni, anche se io non me ne rendo mai conto in tempo. Ma non so cosa dire o fare affinché tu mi creda. Mi sono scusato mille volte in passato, ho fatto mille errori e mille volte gli stessi. Non lo so cosa è cambiato da ieri, ho sentito che era giusto venire perché lo so bene: il mostro, l’innaturale, sono io. E, come ho detto, non voglio esserlo, non voglio che tu creda che io lo sia.» si stringe nelle spalle, abbastanza affranto e arreso all’evidenza che forse ora non c’è più niente di irrimediabile. «Non riesco a capire perché ogni volta che apro bocca con le migliori intenzioni, qualcosa va per il verso storto. Ho paura che non ci sia, come dire… nulla da fare per questo. E non è una cosa recente.» prende un respiro e le getta un’occhiata, che si nota giusto perché si volta un po’ in sua direzione.
Ginevra
«Non c'è una risposta giusta!» esasperata quasi «non è un quiz!» scuote il capo «stai di nuovo cercando la cosa giusta da dire o da fare, come quando hai tolto la fede e non volevi, come quando si è trattato del sesso e non volevi, e così come tutto il resto» resta un momento in sielnzio lasciando trapelare l'espressione sofferente trattenuta fino ad ora, sta guardando verso la strada «mi hai rinfacciato ripetutamente tutte quelle cose» lo guarda «che cosa ora dovrebbe farmi pensare o credere che non succederà ancora?» ripropone la domanda «queste parole» lo indica, si riferisce a quelle appena udite «me le hai dette quante volte?» domanda retoricamente «ogni volta che è sorto qualche dubbio su quello che provavi per me» sospira «ogni volta e non capisco perché oggi è diverso? Che cosa sarebbe cambiato?» allarga le braccia e indica poi i borsoni che non sono stati portati dentro «io vedo solo che vuoi che io torni alla casa sul lago, con le stesse motivazioni di sempre» e subito aggiunge «che poi mi rinfaccerai, fregandotedene di come mi fai sentire» piega le labbra all'ingiù «continui a non darmi rispsote, ieri mi stavi rinfacciando cose, oggi sei qui a far finta di niente» si stringe nelle spalle e riporta lo sguardo in avanti. «Sei un giornalista, vuoi farmi credere che sbagli le parole? Come quando mi ha detto che stavo comprando il sesso con la casa?» espira dal naso profondamente «parole sbagliate, ma poi sei venuto comunque a rinfacciarmelo» Dopo qualche istante di silenzio «quando è stata l'ultima volta che mi ha sentita ridere?» la domanda non è retorica
Malcolm
«C’è una risposta giusta da dare, e una cosa giusta da fare. C’è sempre. Ci deve essere Ginevra, perché altrimenti non c’è speranza.» ribatte alle prime parole, aggiungendo anche: «Non volevo, ma era giusto farlo. Era giusto per te ed anche per me. Perché così fanno le persone normali, appunto.» . Ai suoi perché chiesti più e più volte, a tutto il discorso ascolta tristemente. «Ho detto che era assurdo. Che era as-sur-do. E’ solo la prima cosa assurda che mi era venuta in mente.» specifica riguardo a quella frase infelice che tanto ha creato scompiglio. «Ti ho chiesto scusa per quello.» precisa ancora. L’ultima domanda lo spiazza, non capisce dove vada a parare il discorso, ci pensa un momento e poi risponde: «Quando abbiamo fatto l’amore per la prima volta, mi pare. Quando hai riconosciuto Neruda.» su due piedi è l’ultima risata, o qualcosa del genere, che gli sia venuta in mente. «Quello che dovrebbe farti pensare o credere che non succederà ancora è che te lo prometto. Voglio ricominciare, so di aver sbagliato e voglio imparare dai miei errori. E se volessi solo che torni alla casa sul lago, non avrei preparato quei borsoni.» stringe un po’ le labbra, respira più profondamente e la voce gli si spezza: «Ti sto chiedendo un’altra possibilità. Vorrei fare pace con te, vorrei rimediare! Vorrei che tu fossi felice e vorrei essere felice anche io.» è esasperato anche lui.
Ginevra
Scuote appena il capo «non funziona così nella vita, c'è quello che si sente e quello che non si sente, quello che si vuole e quello che non si vuole. Non è un esame! Non è qualcosa che si decide a tavolino» piega le labbra «è quando non si dà più retta a quello che si sente o che si vuole che non c'è più speranza» Lo guarda, parla lentamente e a tonalità di voce bassa, stanca e sta per proseguire, ma si interrompe quando sente quell'ammissione. E’ istintivo richiamare le gambe verso il petto, poggiando i piedi sulla panchina, le circonda con le braccia quasi volesse nascondere le gambe nude e tutto il resto. Ci mette un po’ a parlare, facendo anche una certa fatica «le persone normali non fanno sesso perché è giusto farlo, lo fanno perché vogliono» tira su con il naso, mentre si fa più evidente estermanete quella battaglia interna tra quello che sente verso Malcolm e la razionalità della situazione «Si, hai chiesto scusa e poi sei venuto a rinfacciarmi di aver fatto sesso con me senza volerlo» piega appena le labbra «quindi la casa ha funzionato» espira dal naso «come mezzo per comprare» spiega cosa intende con una ironia solo appena accennata. Annuisce poi «circa un mese fa» corrugando appena la fronte per quel calcolo orientativo dei tempi «e come è?» domanda e poco dopo va a specificare la domanda «non sentirmi ridere, come è?» Ascolta poi il resto «ho già sentito le tue promesse» glielo ripete, senza soffermarsi a ripetere anche il resto. Le ultime parole la turbano, resta in silenzio diverso tempo, riflettendo «Non lo so…» corruga la fronte «non mi sento bene, ho paura, penso che prometti per portare avanti questa storia, come hai fatto nei mesi scorsi, e che saremo di nuovo nelle stessa situazione a un certo punto…» è combattuta e si percepisce dal tono di voce e dall'espressione. «Che cosa è successo in Canada?»
Malcolm
Ascolta attentamente le prime parole di Ginevra come se fosse qualcosa di nuovo da imparare e capire per lui, tant’è che si concentra nel comprendere quella risposta. Timidamente, dopo qualche istante, prova a chiedere: «E... e se… io funzionassi diversamente?» perché è sempre stato così, come se ci fosse un’incompatibilità di fabbrica rispetto alla vita. Glielo sta chiedendo come si chiede consiglio alla persona più cara e di fiducia e vergognandosi di vedere che le categorie della sua morale non sono quelle che secondo Ginevra sono alla base della vita. «Non è che non lo volessi. Lo ritenevo sbagliato, la mia coscienza diceva che era sbagliato. E’ stato bello, è bello. Ma mi ci è voluto del tempo per capire che… non c’è nulla di male.» confida con un tono basso, togliendosi nuovamente gli occhiali e giocherellando con le aste. Sul come è non sentirla ridere, si volta verso di lei e dato che ora gli occhi non sono protetti dalle lenti scure è facile vedere che non ha passato dei bei giorni neanche lui. «E’ triste, è devastante, lo è ogni volta che ti incupisci o che ti arrabbi.» dice senza esitare su questo punto. Alle ultime parole tace, non sapendo cosa dirle visto che nello stesso timore naviga anche lui. Tace per vari istanti infilando gli occhiali. «Ci ero andato perché tu mi avevi chiesto di farlo, ed anche perché ho sentito il bisogno di parlare con la persona che ha vissuto con me per trent’anni. Lucy ha sempre fatto, diciamo, da filtro fra il mondo e me. Ha amato anche quello che gli altri odiavano.» le spiega. «Si è risposata con un altro. Appena concluso il divorzio.» taglia corto sputando il rospo, prende un respiro: «E va bene così, quanto meno ho capito che… forse non esiste nulla di eterno e di assoluto. Me ne sono andato subito, sono stato quattro giorni in una baita in montagna.» sintetizza.
Ginevra
Piega le labbra «non è … biologico, non si può funzionare in un modo o nell'altro. Al massimo è psicologico, nasciamo tutti alla stessa maniera, il resto sono regole e sovrastrutture che si può scegliere di mantenere o meno» scuote il capo «non importa» mormora, ma poi si gira verso di lui «ma ti senti, ti contraddici di continuo nel tentativo di dire la … cosa giusta. Solo un attimo fa hai detto che non lo volevi, ma che lo hai fatto perché solo perché ti sembrava giusto e ieri invece avevo detto che lo hai fatto solo perché io te l'ho chiesto» espira dal naso «non ne usciremo mai, continuerai a cambiare versione cercando quello che pensi che io voglia sentire e …» la fronte si corruga in una espressione di sofferenza «pensare che ti sarebbe bastato sbattermi contro un muro; quando mi hai rivista dopo giorni e giorni, mi hai baciata perché io ho baciato te e lo hai fatto … come si farebbe tra adolescenti al primo bacio, quando dovevi solo avere voglia di me» scuote ancora il capo, con un sorriso amaro che si dipinge sulle labbra mentre ascolta il resto «ecco perchè è finita, perché l'hai trovata sposata con un altro.» Lo guarda «capisci la differenza tra il tuo racconto e se avessi raccontato “quando l'ho vista ho capito di non provare più niente per lei"» sospira «invece no, guardando lei risposata hai capito che non c'è nulla di eterno perché lei ha smesso di amarti» piega le labbra «mi hai detto quello che conta per te» si stringe nelle spalle «va bene, solo che non è anche quello che conta per me» riporta lo sguardo in avanti, sulla strada. Respira profondamente «Mi hai tolto ogni fiducia in me stessa» sembra quasi dirlo per ricordarlo a se stessa «mi hai tolto tutta l'allegria» ancora lo stesso tono. Non c'è nessuna accusa, sono constatazioni che ripete. Per lei non si tratta del malessere di qualche giorno, ma si riferisce a una condizione generale che ormai è così da mesi. Torna a guardarlo «tra quanto cambierai di nuovo versione? Non posso farcela… Non posso. Ho bisogno di … riprendermi me stessa, quello che sono sempre stata, nel bene e nel male» Resta in silenzio, diversi secondi, riflettendo su qualcosa «Ho incontrato un tizio» fa una pausa, perché sa come potrebbe sembrare detta così, ma ormai l'ha detta così, quindi può solo proseguire «mi fa ridere, ho riso più negli ultimi giorni che in tutti i mesi passati.»
Malcolm
«Non mi contraddico. Le due cose sono assolutamente vere. Ho scelto comunque di fare una cosa che ritenevo sbagliata, in quel momento, perché ho dato più valore ed importanza alla nostra relazione e a te. Perché ho scelto te e ho messo da parte le mie…» deglutisce e gli tremano le labbra nel dire quelle parole: «manie. E l’ho fatto perché non avevo scelta: quello o perderti. Mi hai reso migliore e più normale, seppur costringendomi. E se ti ho rinfacciato qualcosa, è perché non sopporto che questi cambiamenti non siano mai abbastanza, che non arrivino mai a dimostrare niente. Ero arrabbiato per questo, oggi non lo sono più. In quale modo questo è contraddittorio?» le chiede, mantenendosi calmo, quanto meno in apparenza. Quando Ginevra parla di “sbatterla contro un muro” e del suo modo di baciare, lui la guarda quasi stranito: «Io non ti sbatterei mai contro un muro. Non… non sono così. Sarebbe… invadente, arrogante…» e si stupisce che Ginevra volesse in realtà questo. Mica l’aveva capito, anche perché è totalmente fuori dalla sua natura, discreta e riservata. Le chiederebbe cento volte il permesso, piuttosto. Riguardo alla moglie non può far nient’altro che ascoltare e spiegare, con rassegnazione: «Ho pensato solo che, se anche lei ha rotto le sue promesse, per prima d’altronde, anche io avevo il diritto di farlo. Senza sentirmi in colpa. Ci siamo salutati e sono andato via. Non posso provare niente per una persona così importante nella mia vita. Come si fa a non provare niente? Posso solo decidere di cambiare pagina, non di cancellare il libro.» dice in tono pacato ma serissimo. Le seguenti parole sono coltellate. Gli fanno capire che davvero non c’è più speranza. Gli occhi gli si fanno lucidi di prepotenza, ma tanto ha gli occhiali e non si vede. Annuisce e borbotta: «Hai ragione. Hai.. totalmente … ragione.» sul fatto che gli abbia tolto tutto, come un parassita che si nutre della felicità altrui. L’unica soluzione è estirparlo. «Va bene così Ginevra.» commenta, deglutendo, a voce spezzata. «Davvero, va bene così.» abbozza anche un mezzo sorriso, che sembra più una smorfia di dolore, mentre si alza e cerca di chinarsi verso di lei per darle un bacio sulla guancia come un saluto.
Ginevra
«Quindi… che tu non voglia fare sesso con me, ma che lo faccia perchè io ti costringo, dovrebbe dismostrare…» allarga le braccia «cosa?» sta per mettersi a piangere «hai idea di come ci si senta a sentirsi dire una cosa simile? Avrei preferito che tu non lo avessi fatto, non che tu lo abbia fatto costretto. Credevo che lo volessi» abbassa il viso, quasi appoggiando la fronte alle ginocchia, sta ancora trattenendo le gambe con le braccia. Prende un profondo respiro «e dirmi ora che non è che non lo volessi, beh si contraddice abbastanza con tutto quello che hai detto e che continui a dire» Scuote solo il capo poi a quanto lui risponde sullo sbatterla contro un muro, con un che di rassegnato «quindi cos'hai fatto con tua moglie per ventinove anni? Hai atteso che lei ti dicesse che voleva fare l'amore con te?» perplessa e scettica su questa ricostruzione dei fatti che lei stessa propone. Sospira poi sentendo di Lucy «L'amore finisce Malcolm, finisce di continuo» lo guarda «ma non è finito per te. Hai rimesso la fede… mi hai detto prima che lo hai fatto perché… perché sei disposto ad andare avanti…» lo guarda con una espressione che potrebbe sembrare di supplica «non ti sarebbe nemmeno dovuta venire in mente» dice con tono affranto, sembra non riuscire proprio a trovare un modo per fidarsi un'altra volta delle sue parole. Lo avrebbe fatto, di certo, ma come sta ripetendogli da quando lui è arrivato, sentirsi rinfacciare tutte le cose che lui avrebbe fatto senza volerle, è qualcosa che lei non riesce a collocare in un posto nascosto e dimenticato; sono tutte cose che continuano a torlarle in mente, non solo ora, ma in ogni momento della giornata, come una spina nel fianco che non smette di fare male e di ricordare che è lì. Prende una profonda boccata d'aria che trattiene senza espirare, cosa che fa solo dopo qualche secondo «no, non va bene» gli risponde «ma non so come farlo andare diversamente» Resta seduta quando lui si alza, con lo sguardo verso la strada e le braccia che ancora circondano le gambe
Malcolm
Tace a tutto quello che Ginevra sviscera, perché una risposta non riesce a trovarla neanche lui: l’unica risposta che riceve è la risata beffarda sfoderata dall’odio verso se stesso, di cui ha tentato disperatamente di liberarsi. E’ lui a scuotere il capo quando Ginevra gli chiede cos’abbia fatto con la moglie. «Non c’è bisogno di sbattersi al muro se si vuole fare l’amore.»ma dubita c he Ginevra possa mai capire la profondità e la complicità che c’era con la moglie. Dubita che possa capire che in un matrimonio era, per lui, legittimo, fuori dal matrimonio l’equivalente di un tradimento. Poi fa di nuovo silenzio fino alla fine, quando in lacrime le risponde: «Non devi farlo andare. Sii felice. Non far caso a me, non lo merito.» la voce tremolante ed appena udibile per il pianto silenzioso che sta versando. Le dà il bacio sulla guancia, delicato, di saluto, di fine ormai del tutto palese per entrambi. «Ti porto dentro i borsoni.» la informa fugacemente, andando a prendere appunto i due pesi che ha lasciato lì e, se non fermato, entrerebbe nella libreria giusto il tempo per lasciare i bagagli nell’appartamento, se riesce, oppure in un angolo della libreria.
Ginevra
«Era figurativo» spiega, perché in fondo per lei si trattava solo che lui si facesse avanti dimostrando quel desiderio. E per fortuna che non può sapere la profondità e la complicità che c'era con Lucy, perché per lei sarebbe solo un'altra spina che sta lì, nel fianco, a ricordarle di non essere abbastanza desiderabile. Inaugurabile per alcuna donna. A capire la capirebbe, sa bene di cosa si tratta, ma saprebbe che con lei non c'è mai stata. Mentre i dubbi di lui sulla questione del legittimo/matrimonio, sono corretti, per lei quella è una distinzione che non esiste, non può contemplarla, contempla l'amore e naturale ciò che ne consegue, in entrambi i casi. Ma comprende anche dalla risposta che no, quella enorme distanza tra loro, su quel punto, non sembra colmabile. Non con le spiegazioni almeno. «Certo che farò caso a te…» gli risponde, quasi imbronciata nel tono per il fatto di doverlo dire, che non sia già noto «ti amo» conclude a spiegare perché non potrebbe non far caso a lui. Prende quel bacio sulla guancia socchiudendo gli occhi, ma continua a non muovearsi da quella posizione assunta. Annuisce debolmente alla sua indicazione sui borsoni. Korinne lo lascerà salire, ovviamente, non ritenendo che non possa, non avendo avuto alcuna indicazione da lei su una cosa simile. Quando lui entra in libreria lei mormora appena a se stessa «ma passerà, passa sempre tutto» e alza il viso ad osservare il tratto di cielo azzurro visibile da dove si trova
Malcolm
Annuisce al suo “ti amo” e vorrebbe dirle che la ama anche lui, che tutto questo è assurdo perché si amano, ma non è servito fino ad ora. E poi non ce la farebbe a parlare. Le porterà i borsoni fino all’appartamento, poi scenderà di nuovo non potendo uscire che da dove è entrato. Stavolta non si avvicina, ma prima di andarsene, se la trova ancora lì, le dirà a voce bassa e tremante: «Se … se mai dovessi, non so, cambiare idea… be’, non.. non venderò la casa sul lago. Resisterò a questo come posso.» afferma, dubbioso e impaurito, e dopo un altro istante, se non fermato andrà via, cercando di sparire il prima possibile dalla vista.
Ginevra
E’ ancora seduta lì e solleva il viso verso di lui, dopo aver passato su di esso le mani per asciugare le lacrime, annuisce alla sua indicazione «sono contenta che la terrai» annuisce ancora, è vero che ne è contenta perché sa che lui avrebbe comprato una casa sul lago se avesse potuto permettersela. «Ciao» aggiunge un attimo prima che lui si allontani, lo segue con lo sguardo finché resta visibile, poi torna ad osservare la strada, col mento posato sulle ginocchia, assorta
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Capitolo 85 - Strada, Voodoo Museum
Ginevra
E' appena uscita da casa di un cliente, quindi oltre la borsa, di pelle morbida rossa, a tracolla, ha nella mano sinistra i manici di una busta di carta abbastanza resistente e contenente un paio di vecchi libri. Indossa degli shorts verde scuro, e una t-shirt bianca, aderente, con i bordini rossi e stampata sul petto la celebre bocca rossa con la linguaccia, simbolo dei Rolling Stones. Ha i capelli raccolti dietro la nuca in uno chignon malfatto e bloccato con una matita. Ai piedi porta gli anfibi allacciati per metà e fischietta il motivetto di Sympathy For The Devil
Malcolm
Si trova con Buck nelle vicinanze del Voodoo Museum: sono appena usciti dallo studio del veterinario su Royal Street per un semplice vaccino a cui Malcolm tiene per la salute anche futura del cane. Insomma, stanno procedendo verso la macchina del giornalista, parcheggiata un po’ distante. Entrambi camminano lungo il marciapiede sul lato opposto della strada dove si trova anche Ginevra: Buck trotterella tranquillo a fianco dell’uomo che ha in mano il solito guinzaglio rosso. Malcolm indossa come al solito degli abiti eleganti, un completo blu scuro, una camicia bianca e la cravatta blu con le righe chiare in diagonale. E’ Buck, in realtà, a fiutare letteralmente Ginevra e a mettersi a tirare all’improvviso nella sua direzione, mentre Malcolm camminava sovrappensiero, attento alla strada ed ai passanti solo quanto necessario. «Ohi!» sussulta quasi, nel sentire lo strattone del guinzaglio che gli fa riportare l’attenzione al cucciolo, ormai di quasi sei mesi, bello cresciuto, con la fisionomia ben più adulta. Malcolm cerca di capire cosa può aver fatto reagire così il cane, motivo per cui, prima ancora di portare lo sguardo dall’altro lato della strada, cerca di decifrare il linguaggio del corpo del cane: teso, orecchie basse, coda fatta oscillare lentamente verso l’alto, non proprio a scodinzolare ma quasi. Definitivamente una persona amica che ha visto, o un altro cane. Quindi orienta lo sguardo verso il punto che Buck indica con tutto se stesso, e vede e riconosce prontamente Ginevra. Dà uno sguardo a Buck: «Vuoi andare a salutarla hm?» chiede molto seriamente, avendo in cambio quasi istantaneamente un’occhiata del cane parecchio esplicativa. «Hm, andiamo sì. Tanto di certo non è scontenta di te.» risponde a bassa voce, dando una pacca leggera sul pelo come a dargli il permesso di andare verso Ginevra, mentre anche lui fa lo stesso, in contemporanea.
Ginevra
Ovviamente non ha notato Malcolm e Buck nel via vai della strada, è diretta verso la propria bicicletta, che ha lasciato più avanti per percorrere a piedi la strada, cercando la casa del cliente. Solo quando ormai saranno entrambi nelle vicinanze, il guaire di saluto sorpreso e gioso di Buck richiama la sua attenzione, sul cane prima, che riconosce immediatamente suscitandole un sorriso spontaneo, che le fa comparire la fossetta sulla guancia sinistra «Buck!» Lo chiama mentra già sta piegando le ginocchia per accovacciarsi ad accoglierlo e lo sguardo si solleva verso Malcolm, solo un momento mentre si dedica al cane, che certamente ha un'irruenza che non permette che non agisca secondo queste priorità, «Bel lupacchiotto!» posa la busta tra i propri piedi e circonda il collo del cane con le braccia per vigorose carezze sul collo. Quando lui, Buck, avrà ritenuto che l'entusiasmo iniziale può placarsi, pur restando accovacciata e accarezzando il cane, lo sguardo si solleva verso Malcolm, di nuovo, senza però soffermarsi a lungo «Buongiorno»
Malcolm
Man mano che si avvicinano a Ginevra, Malcolm lascia il guinzaglio sempre più largo, in modo che Buck abbia la sua certa libertà di movimento. Il pelo del cane al momento è quello estivo, quindi non folto, ma corto anche se morbido. Lascia quindi che saluti Ginevra nel suo modo affettuoso e in effetti un po’ irruento, cerca pure di leccarla, ma il giornalista strattona un po’ il guinzaglio a ricordargli la regola che non deve leccare la gente, così Buck si limita a strofinare il muso. Il giornalista da parte sua si limita a restare in piedi e a guardare la scena: come sempre è ordinatissimo, un po’ rigido, teso per una buona dose di ansia e disagio che prova nello stare vicino alla donna che ha, suo malgrado, lasciato. Invidia la beata innocenza ed ignoranza di Buck. Viene come riportato alla realtà, da un silenzio lungo e pensieroso fatto solo di sguardi persistenti a Ginevra, dal saluto di lei a cui sgrana per un momento lo sguardo, lasciando andare quella sensazione di alienazione: «Buongiorno» replica, in tono basso e pacato, il volto è serio come l’espressione, ma d’altronde la ama e questo emerge chiaramente dal suo sguardo, pregno di malinconia. E’ stanco, ma non abbattuto, pare stia cercando di restare a galla in un modo o nell’altro. La fede d’oro è nuovamente all’anulare della mano sinistra. «L’ho portato dal veterinario per un vaccino.» dice, sentendosi momentaneamente a corto di argomenti e perciò deglutendo nervosamente. Ha notato le scarpe allacciate per metà, eccome se le ha notate, ha respirato a fondo e cerca di non pensarci, anche se… be’ una volta che le ha notate, non ci si può fare più niente e tra poco probabilmente non riuscirà più a trattenersi. Già di tanto in tanto lo sguardo cade sulle scarpe altrui e se ne distoglie immediatamente e le scarpe vengono palesemente evitate. «Come stai?» chiede molto a disagio.
Ginevra
«ooohhhh» facendo la faccia dispiaciuta verso Buck sentendo del vaccino «il dottore ti ha fatto la puntura, povero cucciolo, ci vorrebbe un premietto, te lo hanno dato un premietto, eh?» ovviamente fa la vocina buffa parlando al cane e continua a d accarezzarlo, quasi abbracciandolo. Si alza infine, mantenendo la busta con i libri posata a terra, e trattenuta tra i piedi, la mano sinistra ad accarezzare il muso del cane che si allunga a prendere quelle carezze «Io sono passata a prendere dei libri da un cliente» indicando la busta. Lo sguardo è su Malcolm ora, con espressione seria, a disagio forse. Non risponde alla sua domanda, ma prosegue per il suo filo dei pensieri «ti avrei chiamato tra qualche giorno...» fa una leggera pausa «dovrei passare a prendere delle cose da casa tua» vestiti soprattutto, lui può ben immaginarlo visto che Ginevra non ha effetti personali che si porta dietro
Malcolm
Osserva ed ascolta Ginevra che modula la voce parlando col cane, cosa che Malcolm non fa mai. Visto che Ginevra è abbassata, l’uomo nota anche lo chignon fatto male e la tentazione di essere lui stesso a rifarglielo per bene, toccando i suoi capelli, è forte, non meno che allacciarle le scarpe. Sospira, dimenticandosi di rispondere al posto del cane per la questione del premio. Annuisce pacatamente nel sentire cosa ci fa Ginevra qui in zona, la guarda anche lui, il disagio è reciproco. Si rende ovviamente conto che lei evita la domanda e dice a sé stesso, scuotendo leggermente il capo, che è stata decisamente stupida. «Sì, quando vuoi.» commenta con sicurezza ma indubbiamente in maniera piuttosto triste, quando la donna lo informa che verrà a prendere quanto è rimasto di suo a casa. Quindi, mentre qualche sguardo scappa insistentemente verso le scarpe di lei, aggiunge: «Resterò lì finché non saranno sistemati tutti i documenti. Poi credo che comprerò una roulotte e mi sistemerò da qualche parte vicino al lago, in periferia.» annuisce a sé stesso e a quella informazione che sembra annunciata quasi in modo asettico. «Posso…?» abbozza a quel punto, manifestando l’intenzione di allacciarle le scarpe, lui stesso.
Ginevra
Estrae dalla tasca degli Shorts lo smartphone che ha vibrato, legge il messaggio ricevuto su Whatsapp e solleva appena le sopracciglia, perplessa o forse, imbarazzata. Scrive una veloce risposta e mentre lo ripone in tasca «scusami...» dice a Malcolm per quella distrazione. Riporta lo sguardo su di lui è ovviamente non ha proprio notato gli sguardi allo chignon essendo presa dal cane. Annuisce poi all'indicazione che può andare in ogni momento «lascerò anche le chiavi, ovviamente» quasi a rassicurarlo, piega poi le labbra all'ingiù sentendo il resto e ne sembra piuttosto seccata «una roulotte, come i barboni» commenta con un leggero interrogativo e sta per aggiungere qualcosa quando lui le chiede quel permesso che solo perché indica verso il basso le fa abbassare lo sguardo sulle proprio scarpe. Dischiude le labbra sorpresa, ancora guardando giù, poi mentre rialza lo sguardo sul viso dell'uomo, con la fronte che si corruga «No!» e in quel no c'è tutta la perplessità sul fatto che qualcun altro le allaccci le scarpe
Malcolm
Le fa un cenno con la mano come a dirle di non preoccuparsi per il messaggio al cellulare, poi annuisce a quella specie di rassicurazione che in realtà vorrebbe fosse fatta di parole diverse, ma tant’è. Quindi, nel sentire l’accostamento ai barboni, dondola il capo: «Suppongo di no, visto che non lo sono.» non è povero, si intende. «Comunque sono persone anche loro, magari sarò più utile lì.» afferma con un’apparentemente tranquilla serietà. Vai a capire cosa intende fare della sua vita, darsi alla carità forse? «Valuterò ogni opzione in ogni caso.» aggiunge, a significare che non ha mica deciso, ma di certo propende per quella soluzione. Le chiede il permesso per allacciarle le scarpe, gli viene negato e perciò si trova a doverle chiedere, di nuovo vagamente: «Ok. Allora.. puoi..?» gesticola un momento, in difficoltà per il protrarsi di quella situazione per lui ansiogena: che sia lei o lui, l’importante è che quelle scarpe vengano allacciate per bene. Per evitare di innervosirsi ulteriormente però evita di guardarle. «Come va la libreria?» domanda per cambiare discorso.
Ginevra
«Allora perché mai dovresti comportartici» perplessa sul fatto di non essere un barbone «ah quindi non per conto tuo, proprio in una comunità di gente che vive in roulotte» quando lui palesa la possibilità di essere utile e annuisce «certo perché non andare a sbattere in faccia a gente che non ha altra possibilità e che vorrebbe solo poter permettersi una casa, che si hanno soldi per averla e ci si sputa sopra.» scuote il capo «non hai mai passato molto tempo in mezzo a quella gente immagino» piega le labbra «o sapresti come ragionano» scuote il capo poi a lasciar cadere il discorso anche perché avviene la richiesta per le scarpe e quando al rifiuto che le vengano allacciate, riceve l'ulteriore richiesta di farlo lei stessa, si china per allacciarle. Un legero mivimento della spalla fa capire a Buck che non si è chinata per dedicarsi a lui, il viso è ricolto verso le scarpe mentre afferra i lacci della sinistra per tirarli
Malcolm
«Non lo so se per conto mio o in una comunità.» ribatte, in maniera più secca ma non scortese, solo con serietà. Deve ancora pensarci bene. Quello che sente successivamente però gli fa aggrottare la fronte: «Smettila di criticare ogni singola cosa che faccio. E’ una mia scelta, vivere in un modo piuttosto che in un altro, fare delle mie risorse quello che voglio, d’accordo?» risponde con voce più dura stavolta. «Se sei arrabbiata perché vendo la casa che mi hai regalato, be’ mi dispiace.» aggiunge, allargando le braccia.
Ginevra
Ha quasi terminato di allacciare la scarpa quando arriva la sua risposta, le mani si fermano mentre lo sguardo si solleva su di lui, lo osserva a bocca aperta qualche istante, ma poi riabbassa lo sguardo e inizia a slacciare la scarpa, nervosamente «mi stai facendo allacciare le scarpe!» nervosa «e io sarei quella che critica ogni singola scealta che fai?» Si rialza «ma quando?!» alza la voce seccata, con gli occhi pieni di lacrime che iniziano subito a scendere non potendo essere contenute. Si indica le scarpe «come le regole che tu dovevi rispettare, vero?» retorica, si abbassa poi per riprendere la busta ancora a terra, tenuta dritta perché bloccata dai piedi «continui ad accusare me di tutto quello a cui tu» calcando il tu «hai obbligato me» si rialza con la busta nella mano sinistra «Hai persino rimesso la fede, piena convinzione delle tue decisioni , eh?» in un misto di sarcasmo e amarezza «facci quello che ti pare con la casa, eri tu che volevi una casa sul lago e non potevi permettertela, evidentemente anche quella era una cosa detta a caso» alza le spalle, sposta poi lo sguardo verso la strada mentre solleva la mano destra ad asciugare le guance «fai così, metti le mie cose in uno scatolone e fammele recapitare» e detto ciò, farebbe per avviarsi nella direzione che già stava tenendo
Malcolm
«Ti ho chiesto di allacciare le scarpe, è molto diverso.» sottolinea, restando a dire il vero distaccato da quella reazione che ritiene ingiusta, sproporzionata, come tante. «Ti ho obbligato a cosa esattamente? Cosa ti ho imposto? Quali regole non hai cambiato e scardinato? Per cosa, di tutto quello che mi hai chiesto, non ho fatto del mio meglio, per cambiare? Dall’anello, al sesso, al terapeuta, all’accettare il divorzio ed andare avanti, al ricontattare Lucy!» le elenca. «E non offrivi altra scelta, perché è più facile arrabbiarsi, prendere tuto sul personale, criticare e mettere in dubbio, che accettare che qualcuno ti ami davvero, solo in un modo diverso da quello che tu ti aspetti, e dire, quando è il momento, con calma, “va tutto bene”. Le volte che lo hai fatto, in ogni circostanza, è andato davvero tutto bene, un brutto momento è passato senza conseguenze. La verità è che non sono l’uomo giusto per te, pensavo che col tempo potessimo in qualche modo capirci, ma non credo più che sia così. Tu non hai bisogno di qualcuno che deve guarire, hai bisogno, come tutti d’altronde, di qualcuno che condivida le tue stesse visioni.» commenta, controllando rigidamente l’ansia e la tristezza, anche se gli occhi lucidi, il tono stanco ed infranto e una mano che va a picchiettare contro la gamba sono quanto meno inevitabili. Anche il cane, forse da un po’, è inquieto per la tensione di entrambi.
Ginevra
«Si, mi chiedi di cambiare me stessa per non urtare te, in cose che nulla hanno a che fare con l'amore!» lo guarda disgustata mentre ascolta il resto «perché a te sembra normale che una donna debba chiedere all'uomo che dice di amarla di togliere la fede che rappresenta l'amore per un'altra donna, che ami un'altra donna, che debba chiedergli persino di fare sesso o di andare da un terapeuta perché è un maniaco compulsivo e non abbastanza intelligente da capire da solo che esistono professionisti che possono aiutarlo...» a titolo di esempio in tutta evidenza, scuote il capo «non si tratta di amare in modo diverso, si tratta di non sapere nemmeno cosa significhi amare qualcun altro oltre te stesso e la sofferenza in cui ti crogioli senza soluzione o possibilità di uscirne» Piega le labbra all'ingiù «non sentirti superiore agli altri, non credere che quello che tu chiami amore, lo sia e ti renda superiore all'amore degli altri, perché non è così. Ti comporti come un bambino, che piange e si dispera perché il mondo lo ami per la sua sofferenza» scuote il capo «la verità è che non sei l'uomo giusto per me, perché non mi ami e non mi hai mai amata oppure non avrei dovuto chiedeare ciò che è naturale tra persone che si amano» ascolterà una eventuale risposta, alla quale però non farà seguire nulla, se non una espressione amareggiata e ferita, per poi allontanarsi, mettendosi a correre
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Capitolo 84 - Frenchmen Street
Ginevra
Esce dal panettiere con il suo sacchettino di mini cornetti salati. Indossa una tuta comoda, pantaloni bianchi ampi a vita bassa con sopra una canottiera rossa e una maglietta con zip e cappuccio lasciata aperta, nelle cui tasche tiene il necessario. Legge l'ultimo messaggio di Nora e sorride, poi legge quello di Joyce che invece la fa scurire in viso. Resta con la fronte corrugata e ripone lo smartphone mentre inizia a camminare lungo il marciapiede affollato per le compere mattutine. I capelli sono raccolti in una coda morbida e bassa che lascia sfuggire in avanti le ciocche più corte che quindi incorniciano il viso. Cammina con lo sguardo rivolto verso il basso e la fronte ancora corrugata a causa dei pensieri che la stanno attraversando. Di tanto in tanto espira dal naso lentamente, ma poi inizia a canticchiare tra se e se «But I would walk 500 miles and I would walk 500 more just to be the man who walked 1000 miles to fall down at your door» e questo le fa distendere la fronte e l'espressione si fa in qualche modo sorridente mentre canticchia e non riesce a trattenersi dal camminare a tempo
Malcolm
E’ passato in libreria ma Ginevra non c’era, così ha deciso di provare prima a rintracciarla lungo Frenchmen Street prima di arrendersi e chiamarla. Ha provato da principio al Café Rose Nicaud, ma neanche lì ha avuto fortuna, quindi ora cammina anche lui lungo il marciapiede guardandosi intorno nella speranza di trovarla. Ed infatti il presentimento non era errato. Poco dopo la vede camminare con lo sguardo basso fra la gente e cerca di raggiungerla, anche se con cautela, lentamente. Sarà che la vede un po’ sorridere e canticchiare e pensa che non vuole rovinare tutto. Forse farebbe meglio a starle lontano, dice fra sé e sé. Il cane per ora lo ha lasciato a casa, tanto conta di tornarci fra non molto. Indossa un completo blu scuro e una maglietta grigia. Non sa se Ginevra a questo punto lo abbia già visto magari, ma in ogni caso le si fa vicino. L’aria stanca e come al solito austera, quel modo quasi rigido di muoversi, la tensione che ad ogni passo verso di lei si fa sentire sempre di più – d’altro canto è da vari giorni che non si vedono né si sentono – e la scarica tamburellando le dita sulle gambe.
Ginevra
Continua a canticchiare «When I'm working, yes, I know I'm gonna be, I'm gonna be the man who's working hard for you, When I go out...» si interrompe quando vede Malcolm restando con le labbra dischiuse in un moto di stupore, lo fissa come se stesse guardando un fantasma e anche il sacchetto le cade dalle mani, ma ci mette qualche secondo a rendersene conto e solo a quel punto abbasserà lo sguardo «oh...» per chinarsi immediatamente a raccoglierlo, con la fronte nuovamente corrugata. E' stata colta di sorpresa, non si aspettava di vederlo e la cosa l'ha evidentemente messa in agitazione e in difficoltà.
Malcolm
A sua volta, nel constatare – visto che se la aspettava in fondo – una reazione “negativa”, si inchioda un momento anche lui, gli si stringe il cuore, deglutisce a fondo e vorrebbe pure affrettarsi a raccogliere quel sacchetto caduto, ma Ginevra è più scattante e veloce. Si fa forza e colma con prudenza quella breve distanza rimasta. Non sa da dove iniziare, sembra congelato in un’impasse difficile da sciogliere. Infila le mani nelle tasche dei pantaloni per frenare e nascondere le compulsioni che vengono automatiche e spontanee. «Scusa, non volevo spaventarti…» dice con un filo di voce cercando di osservandola, imponendosi proprio di mantenere il contatto visivo. «Ti cercavo.» si sforza di aggiungere, col cuore in gola e il respiro mozzato. «Pensavo che forse ti saresti convinta…» inizia a dire, con un discorso un po’ sconclusionato e molto molto agitato. «Sono tornato questa mattina comunque» aggiunge, affogando in un mare di disagio, eppure sembra che dia per scontato qualcosa che crede che Ginevra sappia, oppure sta delirando, a voi la scelta.
Ginevra
Mentre è chinata a raccogliere il sacchetto, Malcolm la raggiunge ed è ancora chinata quando risponde «non...non mi hai spaventata» risponde senza guardarlo «sono... solo sorpresa» annuisce e ripete «sorpresa». Si alza quindi con il sacchetto in mano e alza lo sguardo sul viso dell'uomo, lo ascolta osservandolo e restando in silenzio, almeno fin quando lui non sembra aver terminato quelle frasi sconnesse in cui trova poco senso al momento. A vederla si direbbe che non sappia cosa dire, e sta combattendo una sua personalissima battaglia tra ciò che le sembra ragionevole e il come si sente a rivederlo, con quella naturale attrazione che sente verso di lui «non mi hai risposto» dice semplicemente come se lui non avesse nemmeno parlato. Lo ha sentito di certo, ma in quella tempesta che si è prodotta nella sua testa nel vederlo, non ha davvero ascoltato.
Malcolm
Mugugna come a soppesare le parole della donna. «Sorpresa..» ripete fra sé e sé, con cento e uno domande che gli passano in testa. Sembra che voglia dire dell’altro in effetti, mentre la osserva, ma poi desiste. In viso c’è la stanchezza di chi dorme poco e male da un sacco di tempo, lo sguardo ha un che di rassegnato e confuso, mascherato di quella solita dignitosa ed inafferrabile serietà. Aggrotta un poco la fronte, nel sentire l’annotazione di Ginevra, fa un attimo mente locale. «Sì, l’ho fatto. Ti ho scritto due volte.» sospira, ma la cosa non sembra rivestire grande importanza per lui al momento, tanto che per quanto lo riguarda il discorso è già chiuso. Riprende subito dopo: «Vorrei..» si interrompe, forse decide che non è quello il modo, sospira, portando gli occhi al cielo e stringendo le labbra con una certa veemenza: «Mi manchi in modo indicibile.» le confida, con la voce un po’ incrinata e lo sguardo un po’ lucido. Sembra che trattenga a stento l’impulso di abbracciarla, per timidezza o per timore di non fare la cosa giusta secondo i desideri di lei. Ci sarebbero tante cose che vorrebbe dirle e che gli passano per la testa ma una domanda emerge più spontanea: «Sei ancora arrabbiata con me?» . Nella tensione generale cerca il suo sguardo, e in quella domanda sembra quasi esserci una sfumatura infantile, di chi non può accettare di non essere ricambiato da chi ama.
Ginevra
Corruga la fronte a quella risposta, sembra stia facendo mente locale, perché lei, insomma, un poco tra le nuvole lo è «no... non mi hai mai scritto» lo guarda perplessa e seria, resta poi qualche secondo in silenzio per reprimere l'istinto di dire e raccontare la tristezza che ha provato nei giorni passati, abbassa lo sguardo a puntarlo sulle proprie scarpe «lo so, è come se ti legassero le mani davanti a un tavolo pieno di fogli sparsi» annota quasi in un mormorio alla mancanza che lui esprime. Scuote poi appena il capo, ma senza alzare il viso «non si tratta di essere arrabbiati» sospira e alza lo sguardo su di lui «sei sparito, non sono venuta alla casa sul lago pensando che ...» si stringe nelle spalle nel cercare le parole per spiegarsi «che volevi startene per i fatti tuoi, sono rimasta ad aspettare giorno dopo giorno e...» rilassa le spalle e scuote il capo senza proseguire.
Malcolm
Ovviamente a lui la questione di non averle risposto non gli torna, ma in un primo momento – così convinto come è di averlo fatto – lascia perdere, sebbene con una certa perplessità che andrà a farsi comunque sempre più definita. Quando Ginevra se ne esce con quella metafora, lui piega un secondo il capo di lato, sbuffa una specie di risata amara, ad immaginarsi con le mani legate a non poter riordinare dei fogli sparsi su un tavolo. Sarebbe una vera e propria tortura. «Già» sembra condividere quella visione, annuendo col capo, in una spenta auto-ironia su quei difetti così odiati da lui e forse da tutti, anche dalla moglie, anche da Ginevra, a suo modo di vedere. Sono le ultime spiegazioni che lo lasciano però confuso e senza parole. «Ti ho avvisata che sarei andato da Lucy» la butta lì come se nulla fosse, ma solo perché nella sua mente è scontato che Ginevra sappia già di quella cosa. Non sta neanche a vedere la sua reazione ed estrae il cellulare dalla tasca, quel cellulare con cui in fondo ha sempre avuto un rapporto pessimo e minimale, del tutto pragmatico. Pronto a dimostrarle che quei messaggi li ha mandati. Cerca di recuperare anche gli occhiali da lettura che come sempre tiene nella tasca interna della giacca.
Ginevra
Annuisce con una espressione amara a quella conferma all'esempio fatto «già» ripete anche lei e sta per aggiungere qualcosa, ma resta a labbra dischiuse sentendo le sue parole successive «ah...» e sembra esserle appena passato dentro l'uragano Katrina, la notizia la lascia confusa, con pensieri che si affollano e lo guarda adesso mentre lui controlla il cellulare «bene» annuisce appena in questo commento a se stessa, sistema il sacchetto che ha in mano «si» annuisce ancora «capisco, mh...» sposta lo sguardo intorno come se cercasse aiuto nei passanti, un qualche modo per togliersi da quella situazione che al momento le produce solo l'istinto di andare a rinchiudersi da qualche parte.
Malcolm
Si affretta ad indossare gli occhiali, con gesti ansiosi e abbastanza nevrotici, e a controllare fra i messaggi inviati. Dove non trova quello che ha scritto e questo gli fa aggrottare la fronte, anche perché nel buio dei giorni passati le allucinazioni forse non sarebbero state poi così inverosimili. Infatti il primo istinto non è di controllare fra le bozze ma di guardarla come se la risposta dovesse averla lei scritta in faccia, sul volto di Malcolm un’aria confusa che non trova supporto nella reazione di Ginevra che sembra tutt’altro che compiaciuta dalla notizia. «Deve… deve esserci un errore…» mormora, terribilmente ansioso. «Pensavo che… pensavo che … insomma… ti avrebbe fatto piacere… mi hai sempre… mi hai sempre detto di contattarla, di parlare con lei… sono tornato da te, è finita, va bene così no?» si fa molto più agitato nel dire tutto questo, dapprima quasi ansimando, poi d’un fiato. E’ una pressione che non riesce a reggere, così torna a cercare compulsivamente e disperatamente i messaggi sul telefono, con le mani tremanti e il volto pallido. Ha paura di aver sbagliato tutto anche stavolta, come sempre. «Oh.. oh no.. no. No.» mormora, con gli occhi sullo schermo. Sprofondando in un’angoscia interiore, aggiunge: «Non li ha mandati. Non so perché. Guarda, ti avevo scritto…» rivolge lo schermo verso di lei con un urgenza, per mostrarle i messaggi rimasti tra le bozze e dimostrarle che è stato un errore non voluto.
Ginevra
«Era già finita!» gli risponde a quelle parole, accorata «era finita allora e lo è adesso perché lei è andata avanti con la sua vita» gli occhi fanno lucidi e solleva il sacchetto in un gesto di impazienza «non mi importa se me lo avevi scritto» tira su con il naso per evitare che le lacrime escano «il punto non è mai stato se fosse finita, ma solo che non è mai stata una tua decisione, ma solo qualcosa che subivi, che... subisci» si stringe di nuovo nelle spalle e abbassa lo sguardo, sembra quasi cercare una via di uscita «sei stato tu a dire ad Aeryn che i libri si trovano anche su internet?» se ne esce così dal nulla, come al suo solito, in quella domanda rimasta per lei senza risposta e che il cellulare che lui gira verso di lei le fa tornare in mente, in soccorso.
Malcolm
«E’ finita per me!» esclama, forse un po’ più a voce alta di quello che si aspettava, a dire che anche lui sta cercando di andare avanti con la sua vita, e sospira guardandosi un attimo attorno per vedere se qualcuno gli sta prestando attenzione a causa di quel tono di voce involontariamente più sonoro. «Per favore, non fare così.» scuote un po’ il capo. «Sto cercando di far andare le cose per il verso giusto.» commenta, stanco. «Non mi ricordo» risponde senza dare grande importanza alla questione di Aeryn, forse con un tono un po’ secco per la domanda assolutamente a sproposito in un discorso impegnativo «ho letto un paio di trascrizioni del libro su internet, giusto per capirci qualcosa.» spiega, ma cerca di tornare al discorso principale. D’altronde non è che può mettersi a parlare di quella storia lì in mezzo alla strada. Riprende con un tono cupo e inquieto, arrabbiato ma non di preciso con Ginevra: «Sai cosa ho capito? Che mi sento estraneo a me stesso, un abusivo in quella casa, mi sento ferito e del dolore di queste ferite nessuno vuole saperne nulla. Non ve ne faccio una colpa, dico davvero. Ma forse ho preso un abbaglio convincendomi di poter amare, quando non lo so fare. Per me non sei un’ossessione e sai perché lo so? Perché con le ossessioni non ci vuoi condividere la vita, non vuoi andarci insieme in Argentina. Venderò la casa se non vuoi tornare a viverci con me, perché… non ha alcun senso.» dice continuando in quel tono contrariato con sé stesso e con il mondo e alle ultime parole scuote il capo. Forse rivedere Lucy e parlare con lei non è stata poi un’idea così splendida. «Non riesco a vivere così. Posso almeno abbracciarti?» chiede come se nulla fosse, con gli occhi lucidi e un bisogno sincero di un contatto che lo faccia sentire meno indegno, meno solo.
Ginevra
Lo guarda con incertezza ora, come se volesse leggere dal suo viso se è davvero così, ma è una cosa che solo il tempo e l'esperienza potrà dirle «così come?» chiede allargando appena le braccia, sinceramente inconsapevole di cosa lui intenda con quel "non fare così", corruga poi la fronte ma non interviene lasciando che lui torni sul discorso di loro due «sei tu che non vuoi saperne nulla delle tue ferite, sei tu che non hai fatto nulla per curarle e alleviare il tuo dolore» scuote appena il capo come se avesse un carico emotivo enorme che si somma alla sua confusione «se non sono una ossessione per te, perché dovresti vendere la casa?» la domanda non è provocatoria o retorica, sembra essere qualcosa che davvero non capisce per il tono che usa. «Possiamo vivere in due case separate senza che questo sconvolga tutta la tua esistenza?» batte poi un piede a terra «vendo libri, potresti non ricordare alla gente che può comodamente trovarseli su internet?» chiudendo gli occhi, ha evidentemente bisogno di spazio nella testa per non essere sopraffatta da tutte le cose che ha nella testa «e perché mai avresti dovuto leggere quel libro quando ti avevo già detto quello che c'era da sapere?» piega le labbra cercando di riprendere il filo, prende un profondo respiro sperando che aiuti «perché me lo chiedi?» sull'ultima domanda «perché me lo chiedi?» richiede con un che di sconfitto nel tono «quando mai ho rifiutato che... mi toccassi... da generarti la necessità di chiedermelo?»
Malcolm
Scuote brevemente il capo alla prima domanda, come a dire di lasciar perdere perché non è nulla di così importante. «Sì lo so» commenta evasivo riguardo all’aver trascurato un possibile aiuto, ed abbassa lo sguardo tacendo per qualche secondo e chiudendo in ogni caso quel discorso, inghiottendo tutti i pensieri generati in automatico sull’argomento. «Perché per me quella casa ha un senso solo se la condividiamo. Ti sono grato per il regalo, ma non voglio vivere da solo lì.» chiarisce in modo breve e conciso, sincero, e alla domanda seguente risponde, tardando qualche attimo in cui riaffiorano lacrime ai suoi alla sola tristezza che gli suscita quella prospettiva: «Be’ sì possiamo. E non sarebbe desolante per entrambi?» allarga le braccia leggermente. Il suo volto è cupo e contratto mentre parla, ha pochissime variazioni, mentre più espressivi sono i suoi occhi, vecchi e chiari. Riguardo ai libri, annuisce: «Scusa, non intendevo dare quel suggerimento.» e ancora: «E’ stato anche prima che io ti dicessi qualcosa» si giustifica, ma per lui tutto il discorso ha una rilevanza decisamente irrisoria. Le ultime domande lo spiazzano: «Mai» risponde con sicurezza, ma aggiunge: «Te l’ho chiesto solo perché… be’ capita che a volte uno non ne ha voglia e basta, non c’è nulla di male. Nel chiedere e nel farselo chiedere.» ma comunque, spiegazione a parte, si avvicina a lei cercando e dando un abbraccio confortante, senza curarsi di chi li vede in mezzo alla strada. D’altronde da quel che ne sa la gente possono essere padre e figlia no?
Ginevra
Scuote il capo «ma io l'ho presa per te, non per noi» spiega ed espira dal naso, non è esasperata è solo incapace a spiegarsi «se non la vuoi vendila» afferra il labbro inferiore tra i denti per un momento «non l'ho comprata per vivere lì» abbassa quindi la voce «io amo il mio quartiere» in una confessione che poi troppo confessione non è, essendo quello un dato evidente e mai tenuto nascosto. Corruga la fronte alla questione dei libri, palesando la perplessità in quella risposta visto che lei effettivamente vende libri. Scuote il capo poi a lasciar cadere l'argomento per tornare su quello principale «Desolante? Cosa c'è di desolante nel passare insieme il tempo che si decide di passare insieme e non quello che deriva dal fatto di vivere nella stessa casa?» allarga le braccia «insomma Malcolm ...» scuote il capo non volendo evidentemente andare avanti e perdendosi nel rispondere alle sue ultime parole «non c'è nulla di male ...» ma si interrompe quando lui la abbraccia, resta qualche istante immobile, poi solleva le mani per appoggiarle alla sua schiena, tenendo ancora il sacchetto. Resta qualche istante con la fronte appoggiata al suo petto, con gli occhi chiusi, respirando profondamente in quell'abbraccio che per molto tempo è mancato. Si scosta appena poi, senza liberarsi, per alzare il viso a guardare quello di Malcolm e si solleva sulle punte dei piedi per avvicinare le proprie labbra a quelle del giornalista, chiudendo ancora gli occhi nell'intenzione di baciarlo.
Malcolm
«E io ero stato chiaro fin dal primo giorno sul volere che fosse nostra, di entrambi, e sul fatto che volevo condividerla.» gli pare proprio di ricordare quelle parole. Non lo dice come a farle pesare quella dichiarazione, ma per ricordarglielo. «Sì, lo so.» conferma nel sentire che lei ama il suo quartiere. «E io amo quella casa, è bellissima, ma… non voglio viverci senza di te. E’ già tanto avere con me Buck, anche lui era una scelta per noi due, non per me da solo.» confida con sincerità e Ginevra dovrebbe sapere, per via di come Malcolm se ne è preso cura dall’inizio, a parte quel periodo pessimo, che non lo dice per una questione di responsabilità da prendersi. Alle risposte di Ginevra, o meglio alle sue domande successive, si prende qualche secondo, come a riflettere su quello che intuisce sia fra le righe. Non risponde nulla per il momento, decide di dare e ricevere quell’abbraccio fino a che Ginevra non si scosta per guardare il viso di Malcolm, rigato al momento da silenziose lacrime che sono sgorgate poco prima. Si passa una mano nervosamente sul volto per asciugarle, un gesto rapidissimo visto che poi legge l’intenzione di Ginevra e si china lievemente per ricambiare il bacio, delicatamente. E’ piuttosto teso ma non si ritrae, né abbandona la delicatezza con cui la bacia. Solo alla fine, quando le loro labbra si staccheranno: «Perché non vuoi tornare a vivere insieme? E’ per via della casa sopra la libreria? E’ per causa mia? O cos’altro?» domanda con calma, anche se si sente ripetitivo. Eppure ha bisogno di saperlo, di trovare eventualmente conferma a quello che gli è sembrato un velato ma sicuro rifiuto. Di tanto in tanto occhieggia qua e là ai passanti, molto fugacemente.
Ginevra
Annuisce alle sue prime parole «si, e anche io lo ero stata sul fatto che la casa fosse tua e non condivisa e ...» scuote appena il capo «no che non lo sai» espira profondamente «Buck... come hai potuto abbandonarlo per giorni in quel posto?» gli domanda poi, ricordandosi ora del cane e corrugando appena la fronte immaginando che sia stato lasciato di nuovo al centro quando Malcolm è partito, ma poi si perde in quell'abbraccio e poi in quel bacio e mentre lui pone le ultime domande, si scosta da lui, lentamente, liberandolo dall'abbraccio, e scuote appena il capo nel rispondere «perché le parole non mi bastano» dice con estrema tranquillità e solo dopo abbassa lo sguardo a concentrarsi su quei pensieri, non si accorge quindi che Malcolm si guarda attorno «non so ancora se mi vuoi lì per una necessità o per un desiderio» spiega.
Malcolm
Lascia scivolare via tutte le prime parole, sulla casa e su Buck, su quanto non avesse neanche la forza di alzarsi dal letto a momenti, figuriamoci di scorrazzare in giro con il cane. Sa che probabilmente tutto questo è così fuori dalla portata di Ginevra che neanche vale la pena provare ad accennarlo. Alla fine, nel sentire le affermazioni di Ginevra, ci riflette un istante, prende un respiro, abbassa lo sguardo, infila le mani nelle tasche dei pantaloni. Annuisce lentamente. «E quindi mi metti alla prova.» conclude, di certo con tristezza e rassegnazione. Ne prende consapevolezza, anche se è qualcosa che sapeva già, diciamo che è una consapevolezza rinnovata. Dopo qualche istante, ancora a testa bassa, aggiunge: «Te ne ho date tante di prove. Mi chiedo quando sarò perfetto per te.» commenta, con tutta la sincerità possibile, il tono piatto e ancora una volta cupo e rassegnato. «La risposta giusta è forse che desiderio e necessità vanno di pari passo.» aggiunge con distacco, senza curarsi di seguire un perfetto filo logico in quelle frasi messe una di fronte all’altra. Quindi come se niente fosse, domanda: «Hai per caso il numero di quel terapista da cui volevi andare?» la butta lì, per sapere se ci stesse ancora pensando su.
Ginevra
«no!» esclama in risposta «non ti metto alla prova!» espira, quasi uno sbuffo incredulo «finora ogni cosa che hai fatto l'hai fatta solo per paura di perdermi, ma non perché non volevi perdere me» calca il me «ma solo perché questo sconvolge il tuo equilibrio» scuote il capo portando lo sguardo sulla strada amareggiata «No, non vanno di pari passo, la mia vita va avanti anche quando non ci sei, ho un lavoro, delle cose da fare» elenca ad esempio «cose che sono importanti per me, non mi sono mai sognata di starmene rinchiusa a disperarmi nemmeno quando...» fa una pausa «quando non mi volevi affatto» riporta lo sguardo su di lui «il tuo mondo invece crolla se non ci sono ed è questa la differenza tra la necessità e il desiderio, non sto con te perché ne ho necessità, ma perché lo desidero, non faccio delle cose per te al solo scopo di farti felice, ma perché desidero farle sapendo che ti faranno felice e c'è una sottile, ma importante, differenza» allarga le braccia «solo che tu non la vedi. E pensi di dover fare cose e le fai per trattenermi e non perché sono un tuo desiderio. Fai cose che non vuoi fare davvero, come...» scuote il capo e resta in silenzio.
Malcolm
La ascolta in assoluto silenzio fino alla fine, sta con lo sguardo basso e la testa bassa. «Ok» dice alla fine, decisamente lapidario, apparentemente distaccato e freddo. Si prende qualche istante ancora, espira, muove freneticamente le mani all’interno delle tasche che nascondono un po’ le sue compulsioni. «Be’, io non ti so amare diversamente. E tu…» scuote il capo, come se stesse inseguendo un’idea creatasi proprio in quel momento nel subconscio, tentando di focalizzarla assottigliando anche un po’ lo sguardo: «tu ami l’idea di un me perfetto per la tua concezione di amore e di relazione, tu ami il Malcolm che desideri, non quello reale. Non è una questione di fare cose col solo scopo di trattenerti, se non avessi avuto desiderio di te, ti avrei detto tanti di quei no che non saremmo arrivati a questo punto. Ma sono andato avanti, perché volevo che stessimo insieme, in pace, condividendo tempo e spazi, ma ogni volta che non rispettavo le TUE regole, ogni volta che dicevo no, venivo allontanato. L’unica alternativa che mi lasciavi era adeguarmi a questa estenuante corsa a ostacoli. Anche io ho il mio lavoro e delle cose da fare, le ho avute sempre e le avrò ancora. Quello che non avevo era la gioia di avere una persona che mi amasse nel profondo.» scuote il capo e si stringe nelle spalle. Prende un respiro. «Mi dispiace Ginevra. Io ci ho provato. Davvero. Ma non sarò mai … abbastanza.» allarga le braccia. «Buck mi aspetta a casa.» dice per provare a congedarsi e ad andarsene, se non trattenuto.
Ginevra
Resta basita da quello che sente, a labbra dischiuse per lo stupore «Tu pretendevi che io amassi qualcuno impossibilitato a dimenticare sua moglie, è chiedere la perfezione chiedere di non essere in tre? Ma davvero non ti rendi conto di cosa significa?» scuote il capo affranta «Erano le tue regole le uniche da rispettare per stare insieme in pace, i mille discorsi che non si possono fare per non farti perdere il tuo equilibrio che prevedeva che certi argomenti non si toccassero» piega le labbra all'ingiù «fai finta di non ricordare come hai reagito sapendo che Lucy è in Canada?» allarga le braccia «è chiedere la perfezione, aspettarsi che il proprio uomo non vada in tilt sapendo lontana un'altra?» tira su con il naso, con gli occhi che si riempiono di lacrime «Sei stato giorni chiuso in casa senza mangiare e senza dormire, non mi sembra che avessi delle cose da fare oltre il nulla in cui ti sei chiuso o che comunque non fossero così importanti da farle oltre che averle» Porta lo sguardo sulla strada «abbiamo vissuto in case diverse tre settimane e non c'è stata una sola volta che tu mi abbia desiderata» fa una pausa «anche adesso... » lo indica «la tua passione nei miei confronti è un dovere, una di quelle prove che io ti ho costretto a superare?» domanda retoricamente ed amareggiata. «Ma certo» annuisce «è che per me è importante solo il sesso, no?» si stringe nelle spalle accogliendo il suo congedo, non lo trattiene, ferita da quella serie di affermazioni che vive come accuse. «Devo liberare Korinne» e a sua volta fa per dirigersi verso la libreria
Malcolm
«Non sono andato in tilt» si oppone «Sono stato triste per qualche momento e tu l’hai presa sul personale, e lo fai ancora, perché nel tuo mondo la tristezza non è contemplata, tu pensi che il tuo modo di reagire alle avversità sia l’unico giusto e possibile. Io non ho mai preteso che mi amassi, l’hai scelto di tua spontanea volontà, io ti ho avvisata e tu sapevi, sapevi di mia moglie e di Rachel. Ti ho lasciata entrare nella mia vita e ti ho amata e ti amerò ancora, non importa quello che tu pensi sul mio amore. Ti ho desiderato ogni giorno e ogni notte, di quelle tre settimane, e la cosa che più mi fa rabbia e tristezza è che continui a non vedere, continui a valutare con le tue unità di misura.» respira ma si mantiene controllato, almeno in apparenza. «Niente è mai stato un dovere, Ginevra, ma una scelta al fine di stare con te, per amore. Non mi pento di quello che ho fatto con e per te. Di ogni singolo istante, non mi pento. Ma so che non posso andare avanti rincorrendo qualcosa che non arriverà mai.» si stringe nelle spalle e la sta lasciando ma con serenità, anzi il tono è incredibilmente pacato. Poi vai a capire se l’impressione è reale o meno. Comunque alla fine annuisce e se ne torna in direzione della macchina, che poi è vicina alla libreria, ma lui farà un altro giro con tutta probabilità.
Ginevra
«Sei stato triste per qualche momento?» allibita «stai scherzando?» sgrana gli occhi e scuote il capo poco dopo «ma ti senti?» piega le labbra «io non ho scelto di amarti, è successo e basta, sai le persone non programmano tutto!» allarga poi le braccia «va bene, va bene...» lo dice in tono provocatorio, è ferita «dai pure la colpa a me, ditti pure che sei tu che stai rincorrendo qualcosa» alza le spalle come se non le importasse, ma al di là della gestualità del corpo l'espressione del viso palesa che le importa eccome. Non risponde ad ogni colpo ricevuto, così almeno per lei quelle parole, supponendo che lui non comprenderebbe comunque quello che fino ad ora ha sempre cercato di spiegare. Attende a muoversi che lo faccia lui, lo segue con lo sguardo stringendo il sacchetto al petto ora. La fronte corrugata e l'espressione imbronciata come quella dei bambini appena messi in un punizione. Dopo qualche minuto da quando lui è diventato indistinguibile per la distanza e per i passanti, sempre numerosi in Frenchmen Street, si muove anche lei, verso la libreria, col viso di nuovo basso a guardare il terreno e l'espressione ancora incupita.
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Capitolo 83 - Domino Store Music, Frenchmen Street
Malcolm
Domino Store Music, un negozio obbligato per un amante dei vinili come lui che ne ha a decine in casa. Oltre che un punto importante della sua gioventù, chissà se ci sono ancora delle persone rimaste dai tempi in cui frequentava questo posto. Di certo, quando entra nel negozio, è un momento molto evocativo tant’è che resta per qualche momento sulla soglia, a guardarsi intorno, a verificare se c’è lo stesso odore che si respirava tanti anni fa o se qualcosa è cambiato. Motivo per cui sulle prime, con tutta probabilità, non si accorge di Skylar e di Ginevra. Poi forse non sono neanche a portata di sguardo. Come sempre molto elegante e maniacalmente ordinato, indossa un completo scuro, una camicia bianca ed una cravatta rosso cupo. Benché l’aspetto sia molto curato, il volto è piuttosto smunto e ci sono segni piuttosto chiari di stanchezza e malessere, ma d’altra parte la consueta austerità tendenzialmente fredda e rigida ha il pregio di dissimulare il tutto. Quella che sente – o che crede di sentire, non ne è più così sicuro – è la voce di Ginevra che proviene da qualche parte, lì nel negozio, accompagnata da un’altra voce femminile che gli pare familiare ma al momento passa in secondo piano. Cerca quindi di seguire la direzione della voce di Ginevra, con cautela, occhieggiando qua e là per rintracciare le due donne.
Ginevra
Accoglie il suo invito a procedere senza nemmeno rifletterci, si muove infatti con lei lungo il corridoio «beh, intanto ho un cane abituato ad uscire ogni mattina verso le quattro e mezza» sospira «se penso che fino a qualche settimana fa a quell'ora nemmeno ero tornata a casa» uno sbuffo leggero segue alle parole. Le mani si congiungono dietro la schiena «e poi...» sospira e scrolla le spalle «cose» sintetizza, probabilmente senza nemmeno rendersi conto che quella non è una sintesi, è un dire niente. «Oh...» sentendo del concerto «ci verrò sicuramente» annuisce, ma poi piega le labbra «mh... boh, veramente il Direttore mi aveva chiesto di scrivere un articolo con i pareri della gente sulla questione e...» corruga la fronte «risultati scoraggianti». I momentaneo silenzio di Skylar lo ha notato, ma in alcun modo lo lascia trapelare, l'argomento in fin dei conti è delicato per ogni donna in qualsiasi caso. «Speriamo comunque partecipino in tanto al concerto, soprattutto tra quelli senza posizione. Anche se...» fa una breve pausa «mi rendo conto che sarebbe da sperare che il processo prosegua e su quello non si sa nulla»
Skylar
Prende a camminare con la sua stoica sicurezza su quei tacchi alti che indossa ai piedi e, sinceramente al momento, neanche si accorge di Malcolm che è entrato alle loro spalle. Si addentrerà, invece, nel corridoio successivo, senza mai sbirciare nei nuovi vinili a disposizione, preferendo di gran lunga soffermarsi su quello che le racconta Ginevra e soffia via una mezza risata, alzando appena il viso verso il soffitto: «Io ho un fratello che mi sveglia alle quattro e mezza perché, dorme male.» si stringe nelle spalle «quindi, facciamo cambio? Un cane per un fratello?» ma, insomma lo dice per scherzo perché non lo farebbe mai. Eppure, è un modo come un altro per tentare di dissipare quelle nebbie nel cuore di Ginevra e ha capito benissimo che ci sia altro sulla questione con quel “cose” «tipo? Problemi d'amore?» arcua un sopracciglio, regalandole un mezzo sorriso affilato sulle labbra rosse: «E perché ora non torni a casa a quell'ora? Per me è impossibile tornarci prima, in realtà.» sarà che, tranne il lunedì e il martedì ha sempre da fare al ventuno e prima di quell'ora casa non riesce a vederla. Le braccia, poi tornano nuovamente sotto al seno, mentre il cellulare vibra nuovamente dentro la sua borsa ma, stavolta, non sembra proprio guardarlo o prenderlo in considerazione. «E cosa ti ferma?» alza le spalle, in un movimento rapido e elegante. «Voglio dire, anche i più scoraggianti sono sempre pareri e la gente, spesso, ha paura Ginevra.» e solo allora le darà una lunga occhiata, seguita da un sorriso amaro che, poco dopo, si trasforma nuovamente in un pensiero lontano come quello sguardo che viaggia verso la parete. «Perché non intervieni al concerto? Potrebbe essere anche una piazza politica. Infondo il Sindaco, sicuramente, vorrà pur dire qualcosa.» piccola pausa «spero per Trishelle che abbia giustizia.» ma anche lì, sembra chiudere la questione in maniera sbrigativa.
Malcolm
Si dirige verso quelle due voci e sembra quasi uno stalker nel farlo, anche perché gli capita appunto di seguirle alle spalle. Appena le vede comunque si ferma ad una certa distanza osservando la proprietaria della libreria con un misto di sorpresa, per averla trovata lì dove di certo non se la aspettava, e di qualcos’altro non ben identificabile, qualcosa di ombroso, un certo disagio. Per un primo momento ha occhi solo per Ginevra, poi realizza la presenza dell’altra donna con lei, e sì, la conosce. Comunque, se ancora non visto, diversi secondi dopo, vinta quella paralizzante indecisione su come comportarsi, decide di fare il giro opposto in modo da non “sorprenderle” alle spalle o ancora peggio trovarsi ad origliare. Così ci prova e se dovesse riuscirci, si sarebbe quindi portato proprio di fronte a loro, come un casuale avventore del negozio, cosa che in fondo è davvero, ma insomma c’è la pretesa di non averle in qualche modo seguite fra gli scaffali. Anzi, per incentivare l’impressione di incontro casuale, porta subito lo sguardo ai dischi, concentrandosi nel trattenere l’irrefrenabile istinto di allineare i vinili. Tanto per i suoi standard qualcosa da riordinare c’è di sicuro.
Ginevra
Corruga la fronte riflettendo su qualcosa «Moreau...» mormora e continuando a camminare si vola a guardare Skylar «ma tuo fratello, per caso, è l'avvocato?» inclina appena la testa di lato e slaccia le mani per allargare appena le braccia «se non rientro presto, non rientro più... e poi il cane chi lo porta fuori? E lasciamo stare che il gatto ormai vive nascosta nell'armadio a muro e poi» il tono si fa via via più sconfortato «quell'appartamento è troppo piccolo per un cucciolo di lupo cecoslovacco» scuote il capo e sospira di nuovo. Resta in silenzio qualche momento, poi, riflettendo su quelle parole riferite all'articolo «ma paura di cosa?» sbotta infine, come se fino a quel momento avesse cercato inutilmente una risposta «Trishelle allora cosa dovrebbe fare?» la domanda è retorica e decisamente perplessa. Sgrana lo sguardo «interve-che?» si indica «no, ma che ... sicuro poi dico le cose a caso» annuisce convinta, è certa che le cose andrebbero così «oh...» un po' smorzata nel tono «il sindaco...» annota semplicemente, e si comprende che non è certo una di quelle pronta a dargli il suo voto. E poi ecco che sbuca Malcolm poco più avanti, intento ad osservare i dischi «si, problemi d'amore» e fin qui il discorso lo aveva tenuto abbastanza sul giusto filo, fin qui, perché la risposta alla domanda di Skylar è decisamente tardiva.
Skylar
C'è un sorriso orgoglioso, pieno d'amore per Vincent, tanto che quello sguardo sempre cupo e privo di vita, sembra illuminarsi per un momento, girando il viso in direzione di Ginevra regalandoglielo proprio. «Sì, è mio fratello.» aggiunge con un sorriso morbido e sornione. «Siamo gemelli.» e abbasserà anche il viso verso quel braccio dove compare quel piccolo bracciale con le due mani che si stringono. «E lo appoggio in quello che sta facendo, insomma la storia di Trishelle.» ma c'è qualcosa che, poco dopo, torna come un'ombra ad oscurare appena la sua faccia. Muove anche la mano in aria come a dire di lasciar perdere quella questione ma, lì per lì, l'unico motivo per cui gli viene in mente quell'assonanza di cognome è dato proprio dalla storia della ragazza stuprata. «Mhn..» sospira «amo moltissimo i cani e sì, hai ragione, hanno bisogno di spazi aperti.» infondo è il simbolo per eccellenza del suo Loa, di quello che ha scelto per accompagnarla per tutta la sua vita fino alla morte. Soffia via una mezza risata un po' aspra quando si parla del gatto, ma scuote il capo divertita. Tuttavia quando si tocca l'argomento spino di Trishelle, lei gonfia solo il torace a quell'esplosione della domanda della mora al suo fianco e, solo allora, arresta il passo per raggiungere uno dei vari contenitori a caso e frugarci all'interno. «Della verità, la maggior parte delle volte.» deglutisce per un breve attimo «altre, trovano assurdo che una donna carina si lamenti per essere stata violentata. Nel migliore dei casi, però, c'è la gente che teme che dire la propria opinione li possa accomunare a un carro vincitore o all'altro.» muove il capo da destra a sinistra. «Trishelle...» un grosso respiro, abbassando le palpebre, che tremano appena come le dita della mancina che vengono subito chiuse «deve rifarsi una vita.» lo dice proprio perentoria, tirandosi praticamente su in maniera immediata, mentre la mascella viene stretta. «Nessuno potrà mai togliere via quello che ha passato, ci si convive Ginevra.» quindi non la guarderà, nuovamente annuendo alla questione dell'intervista: «Ti prepari un discorso.» la fa semplice lei, come se lo facesse ogni singolo giorno della sua vita. «io ho già l'esibizione d'apertura in mente.» si tamburella un dito sulla tempia « e so che farò alzare il culo a tutta la platea se necessario.» ed è per la prima volta che dalla bocca della Moreau si sentirà uscir fuori un francesismo. Solleva il viso rintracciato, praticamente subito, la figura del giornalista che la lascia perplessa per un istante, le palpebre vengono sbattute e il sorriso appare sulle sue labbra, prima di dedicarsi un secondo alla mora al suo fianco. «E cosa riguardano di preciso?» ma, in quel momento tornerà su Malcolm. «Barnes.» un cenno del capo e nient'altro, se non quel sorriso mellifluo sulle sue labbra, ma non invade il campo dell'altro.
Malcolm
Guarda i dischi, sì, ci mette anche le mani a dire il vero, le poggia delicatamente per provare a sistemarne qualcuno e non perché ce ne sia bisogno, ma alla fine, come un magnete attratto da una calamita, lo sguardo finisce su Ginevra, inquieto e fugace, quasi che non volesse che qualcuno se ne accorgesse. Difficile eh. Sembra richiamato alla realtà effettivamente quando Skylar lo saluta, quasi recependolo come un permesso di intervenire. Alza lo sguardo su entrambe le donne: «Buonasera» dice ad entrambe, riprendendo contezza delle buone maniere seppure con quella gentilezza distaccata. «Miss Moreau, è da parecchio tempo che non la incontro.» annota con cortesia. Prende un respiro più profondo, staccando la mano che ancora tiene poggiata con molta leggerezza sui dischi e la riporta sul fianco, nella postura quasi stereotipata. Cerca di avvicinarsi ma comunque si ferma ad una discreta distanza da loro: «Miss Durand come sta? Lieto di rivederla.» dice rivolto ovviamente a Ginevra e non c’è niente da fare, nonostante la formalità il tono è ben diverso da quello che riserva a Skylar. E’ verso di lei che si volta di nuovo: «A proposito, i miei complimenti per il suo nuovo lavoro.» fa anche un cenno col capo, a confermare la veridicità delle sue parole.
Ginevra
Annuisce sentendo la conferma di Skylar su Vincent «è anche il mio avvocato» lo dice coe se la cosa fosse in qualche modo all'averlo per gemello. Certo sa dei legami tra gemelli, ma è un sentito dire per lei e niente altro, in quanto figlia unica ha tutte le mancanze legate all'assenza di fratelli e sorelle con cui dover dividere le cose, gli affetti e via dicendo. Si ferma quando Skylar si ferma a guardare dei dischi «mh...» commenta poi accigliata «non è con la paura che è diventata grande l'America» e il tono è abbastanza severo per i suoi standard, resta comunque accigliata probabilmente riflettendo sui modi e sulle parole fin troppo precise di Skylar. Insomma in fin dei conti più di qualche serata nei comitati al college ce l'ha passata. Prende un profondo respiro prima di rispondere alla donna quasi in mormorio, come se le sembrasse un sacrilegio continuare a parlare «se trovi qualcun altro per intervenire è meglio, magari un uomo» si stringe nelle spalle «insomma sarebbe molto più importante il discorso di un uomo schierato contro la violenza sulle donne». LO sguardo intanto si è posato su Malcolm che ha fatto la sua comparsa e quasi le sembra che Skylar si sia risposta da sola all'ultima domanda «esatto» le dice infatti in risposta e a sua volta fa per salutare Malcolm, ma l'uso del lei da parte del giornalista le fa incastrare qualsiasi parola nella gola, ci mette quindi un po' a rispondere semplicemente «Signor Barnes...» e il tono è di saluto, ma leggermente piccato, cosa che non riesce in alcun modo a nascondere.
Skylar
«Bene!» sgrana le palpebre quando si parla di Vincent, stendendo il sorriso ben più sereno. «E' bravo, vero?» perché lei, chiaramente, non ha il minimo dubbio sull'altra parte della sua mela e si vede, lontano un miglio, di quanto sia morbosamente attaccata all'avvocato. Come se, tutti e due, fossero una cosa sola. «Già, ma ti dimentichi sempre in che secolo siamo e quanto, adesso, la Paura blocchi la gente.» conferma, nuovamente. Prima di tornare ai suoi dischi, spostandosi una ciocca che sembra essere scivolata da quella treccia che lascia scoperto il viso della mora. «Sicuramente, tenterò di dirlo a….» grosso respiro, in cui c'è un colpo di tosse appena percettibile e lo sguardo che viaggia su Ginevra «Vincent.» che, infondo, è anche l'avvocato della donna «ma non so se si possa fare, sai no, i diritti ste cose qua.» tentando anche di minimizzare il tutto perché lei può sapere il mondo in fatto di musica e affini, ma sulla legge è una vera pippa. Che abbia o meno notato lo sguardo di Malcolm diretto a Ginevra non ne fa parola, ma semplicemente inclina il capo in avanti, stringendo tra di loro le labbra quasi stesse trattenendo una piccola risata o un sorriso che sta cominciando a comparire sulla sua bocca. Quel sopracciglio si alza appena come a controllare i due e, le ci vuole poco, per capire (forse anche in maniera sbagliata) ma sicuramente annuisce per un breve istante. «La ringrazio.» piccola pausa «lo ha apprezzato?» c'è un velo di titubanza nelle parole, mentre le palpebre si socchiudono «a proposito...» piccola pausa «le porto i saluti di mio fratello, Vincent.» quindi inclina il capo in avanti in una mezza riverenza che, a quanto pare, addosso a lei sono eleganti quanto basta da sembrare persino raffinate. Si fa un passo indietro, però, appoggiando una mano sulla spalla della Durand. «Penso che vi dovrei lasciare da soli.» inclina il capo scusandosi con la ragazza «tanto ci vedremo e devo, appunto, venir a vedere la tua libreria.» non se l'è dimenticato.
Malcolm
Assorbe il tono del saluto di Ginevra ma fa finta di niente, tanto lo sa qual è il problema, o crede di saperlo, per cui si concentra su Skylar, annuendo anche se in modo vago. «Onestamente non è quella che reputo la sua migliore performance.» glielo dice con un tono serio ed educato, schietto ma senza aria di critica, è solo un commento personale il suo. Infatti precisa con un’apparente tranquillità: «Probabilmente è solo il mio essere nostalgico di un’altra epoca della musica, benché io creda di aver intuito certi rimandi più o meno impliciti al passato.» allarga un momento le braccia. Sì, l’ha preferita in quell’esibizione di cui ha anche scritto sul giornale. «Ma lo spirito e la causa sono ciò che più conta, non certo le singole preferenze personali degli ascoltatori.» si riferisce naturalmente alla stretta connessione fra quel brano e il caso di Trishelle Trigard. Quindi resta lì a sentire quella specie di congedo successivo, a cui non si oppone e che non incentiva. Semplicemente osserva.
Ginevra
Solleva le sopracciglia «così mi è sembrato» riferendosi alle qualità professionali di Vincent, ma poi anche lei, oltre quanto di dominio pubblico grazie a Law&Order, non si può dire che sia una esperta. «Già...» sospira «che tristezza rendersi conto che se si dovesse combattere lo schiavismo e la segregazione razziale, oggi, col cavolo che verrebbe fatto» scuote il capo sulle inettitudini delle persone. «Speriamo che si possa fare» far parlare Vincent «meglio lui che io e poi lui sarà abituato a tenere discorsi davanti a un pubblico» corruga la fronte «una giuria è come un pubblico, no?». I saluti con Malcolm poi interrompono questi discorsi e dopo aver rivolto il suo saluto all'uomo, non interviene nello scambio tra i due, ma quando Skylar decide di lasciarli soli e lo comunica la guarda con le labbra dischiuse, sembra voler obiettare qualcosa, ma non ha così confidenza con la donna da esprime a voce la preghiera di restare e così richiude le labbra e annuisce rassegnata «certo... così potrai conoscere anche le allegre bestiole che la abitano. E Korinne» corruga la fronte «ma lei non è una bestiola, è una ragazza. Una ragazza vera» come se poi ne esistessero di non vere.
Skylar
Scuote il capo abbozzando una risata «No, non credo.» appoggiando anche una mano sulla spalla di Ginevra quando si parla di Vincent di fronte ad un pubblico. «La giuria è lì per un motivo, il pubblico è la peggior cosa del mondo, è molto diverso.» annuisce lentamente a sua volta. «Vincent non ama particolarmente parlare di fronte a molte persone e non so, quindi, quanto sarà possibile» ma la chiude lì la questione, consapevole di dove voglia e possa arrivare suo fratello se solo lo volesse. Infine si rivolgerà verso Malcolm «Lo so.» che non è la sua miglior performance «ma bisogna andare avanti, non restare solo con il passato al quale io, personalmente, devo tutto.» perché la sua musica, persino la sua voce, hanno quella sorta di spirito black che ha contraddistinto la sua infanzia e i suoi, pochi, momenti di felicità. «Avrà modo di vedermi, però, al concerto di beneficenza e spero davvero che verrà.» quindi gli riserva quella piccola speranza, prima di allontanarsi di farsi quel passo indietro per mettersi al fianco di Ginevra alla quale dona una lunga occhiata: «Alle volte i problemi vanno affrontati parlandone.» e sì, questo si potrebbe in qualche modo mettere vicino al fattore di Trishelle e non solo. Sarà che quello sguardo è chiaro e si riferisca a quello che sta succedendo e l'ha capita quella muta richiesta. «Verrò presto, te lo prometto e ti porterò anche un regalo.» perché non ci si presenta mai a mani vuote, almeno nella sua tradizione. «Barnes.» un cenno del capo «Ginevra» e una leggera carezza per lei seguita da un sorriso incoraggiante, quasi a volergli infondere quel pizzico in più di sicurezza che possa servirle al momento. Da lì, poi, pagherà il suo disco e uscirà fuori pronta per condurre il suo sabato sera al ventuno.
Malcolm
La regia si è dimenticata dei saluti di Vincent, nel ricevere i quali Malcolm assente come a ricambiare per una qualche regola di buone maniere il cenno di riverenza di Skylar: «La ringrazio. Gli porti i miei, quando lo incontra. Spero di vederlo presto invero.» risponde, per poi ascoltare il resto. Assente: «Spero di riuscire a venire Miss Moreau» afferma con pacata e distaccata cortesia, di quelle che non sai mai quanto possa essere o meno sincera. Quindi dopo averla salutata con un educato: «Buona serata» aspetterà che sia andata via.
Ginevra
Annuisce non si sa bene a quali delle parole di Skylar in congedo, le sorride per quella carezza «Ti aspetterò...» annuendo appena. La segue con lo sguardo finché resta in vista poi la sua attenzione torna su Malcolm, lo osserva qualche istante, si schiarisce la voce poi e riavvia i capelli dietro l'orecchio, dove comunque non restano «Beh... Signor Barnes..» a mò di congedo, piuttosto rigida, imbarazzata forse e si muove per superarlo e procedere.
Malcolm
Già quando Skylar va via, lui non si sofferma più di tanto a guardarla, preferendo piuttosto portare il suo sguardo su Ginevra, per quel tempo relativamente lungo in cui l’artista sarà ancora visibile. Sta per dire qualcosa proprio quando Ginevra lo precede. «No, ti prego, aspetta.» cerca di fermare blandamente il suo tentativo di superarlo e andare via. Poi però resta in silenzio e a disagio per qualche momento, prima di dire in modo abbastanza titubante: «Scusa, non pensavo di trovarti qui» una specie di “scusa per il disturbo”, ma si rende conto che è meglio bruciare il discorso sul nascere. «Come stai?» chiede quindi, con sincero interesse, osservandola senza poter nascondere l’amore che prova per lei, nei suoi modi incomprensibili ed inaccettabili.
Ginevra
Fa giusto in tempo a superarlo, quando Malcolm la trattiene. Si volta verso di lui e inclina la testa di lato «ah...» solleva le sopracciglia «siamo tornati al tu?» domanda stizzita, Scuote poi il capo al resto «non mi chiedi come sta Buck? Il tuo senso di responsabilità verso un essere vivente non autosufficiente è commovente» è in tutta evidenza piccata per quanto accaduto prima, il modo in cui le si è rivolto, come se fosse un'estranea e anche per il resto, che lui già conosce.
Malcolm
Si volta anche lui un poco, deglutisce a quella prima domanda ma non dà alcuna risposta. Incassa la stoccata sul cane, facendosi più cupo in volto e sospirando lievemente. «Chiedo prima di te. Sei più importante del cane.» una questione di priorità evidentemente. Fa una breve pausa per poi aggiungere: «In realtà volevo venire a riprendermelo. Nonostante tutto.» la guarda e chissà perché, si aspetta già qualche nuova risposta contrariata.
Ginevra
Piega le labbra all'ingiù a sentire quella risposta «non provarci! Lo hai abbandonato! Non si tratta di cosa è più importante» espira dal naso «faresti bene a venire a riprenderlo, è depresso, pensa di essere stato abbandonato e...» allarga le braccia «ha anche ragione a pensarlo!» con le sopracciglia sollevate, ma poi alza l'indice «ma se devi venire a prenderlo per poi lasciarlo in un posto qualsiasi per passare qualche ora a fargli visita... beh risparmiati!» scuote il capo e aggiunge «nemmeno i bambini, con la crudeltà che hanno, trattano così un cane» ma sembra un pensiero ad alta voce, più che una annotazione rivolta a lui
Malcolm
«Già» commenta soltanto, meditabondo, riguardo a come si sente il cane. Probabilmente condivide lo stesso identico stato d’animo. «No, lo terrò con me.» commenta, restando apparentemente intoccato da quelle risposte. «Ti sto ancora aspettando» dice ancora, sebbene il tono sia cupo e triste, forse rassegnato al non vederla tornare più da lui perché è come è. «Buona Pasqua Ginevra» aggiunge infine e senza attendere una risposta, è lui che si allontana ed anche piuttosto frettolosamente, come se fosse arrivato il momento di non poter più reggere questo incontro.
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Capitolo 82 - Palafitta dei Sogni, Metairie & Lake View
Malcolm
Gli ultimi baluginii di luce solare stanno calando sul lago: dalla casa si può godere di albe e tramonti bellissimi. Malcolm si trova alla terrazza della casa, al primo piano. Sul tavolino di vimini è tutto perfettamente in ordine, i giornali, le altre carte, un paio di libri, il computer, la moleskina, la penna, i suoi dossier, gli occhiali, una bottiglia di scotch verso la fine. Sul divanetto di vimini c’è anche una coperta ben raccolta ed un cuscino sopra di essa, che sembrano aspettare l’ora di dormire. Malcolm se ne sta in piedi appoggiato al parapetto, evidentemente in un momento di pausa dal lavoro, a guardare il cielo assolutamente limpido che scolora quasi completamente verso il buio e le sagome terrestri degli alberi e della riva stagliarsi in una solidità nera. Sorseggia lo scotch da un bicchiere che tiene in mano e che a volte poggia sul parapetto. In giro non c’è nessuna traccia di Buck, a parte il suo posto al piano di sotto, vuoto, e le ciotole, vuote. Il giornalista indossa un maglione chiaro con sotto una camicia a quadri e dei pantaloni scuri, il viso sbarbato ma molto segnato dalla mancanza di sonno e dal fatto che ultimamente sta mangiando quel tanto che basta per non avere all’improvviso un crollo di glicemia, l’indispensabile per sopravvivere insomma.
Ginevra
E' arrivata in bicicletta, che ha lasciato al primo livello, ha chiamato Buck, senza che il cucciolo si facesse vedere. Immaginando di trovarlo al piano di sopra è salita. Ha bussato prima di usare le chiavi, giusto per non spaventare Malcolm. E' quindi entrata in casa guardandosi attorno. Indossa un paio di pantaloni a palazzo rosso scuro e un maglioncino leggero verde. A tracolla la borsa rossa. Avanza in casa e cerca con lo sguardo «Malcolm...? Buck...?» chiama mentre cammina, fin quando non raggiunge l'uscita sulla veranda e la supera. Individua Malcolm e sposta lo sguardo cercando il cane, che però... non vede. Riporta l'attenzione sul giornalista, dopo aver osservato anche il tavolo dove stava lavorando. «Ciao...» restando nei pressi della finestra per non spaventarlo arrivandogli alle spalle.
Malcolm
Sì, Buck non è in casa, non c’è alcun dubbio. Ovviamente sul tavolino, come in ogni altro centimetro della casa, è maniacalmente ordinato. Anche se l’ha sentita arrivare ed ha sentito i suoi richiami, non si volta. Abbassa la testa e trangugia un altro po’ di scotch, massaggiando nervosamente la fronte per qualche momento e andando subito dopo a picchiettare le dita sul parapetto. <Ciao> ricambia il saluto, con un tono basso e non espressivo, benché ci sia di fondo l’amore che prova per lei. “come stai?” o “sei tornata?” o “hai ricevuto le fotografie?” sono domande che inizialmente tiene per sé. Non si gira verso di lei, piuttosto pare nascondersi. <Stai bene?> chiede quindi, dopo un certo tempo di silenzio.
Ginevra
Annuisce alla sua domanda, ma poi se rende conto che il gesto è inutile essendo lui di spalle «Si, sto bene» fa una pausa «e tu?» aggiunge quasi subito «Grazie per le foto, le ho appese in libreria» si muove finalmente verso il parapetto per avvicinarsi «Buck?»
Malcolm
Annuisce e rispondo senza un vero e proprio tono, in modo piatto: <Anche io> e non è tanto il voler nascondere o negare l’evidenza, quando proprio la volontà di non far nascere proprio il discorso. Assente di nuovo col capo nel sentire che Ginevra ha appeso le foto in libreria, poco partecipe della notizia ma senz’altro gli fa piacere, almeno non le ha chiuse nel cassetto. Risponde con tutta tranquillità su Buck: <Lo sto lasciando al centro. Ogni tanto passo per andare a trovarlo.> il che significa che praticamente non lo sta tenendo più con sé, sta pagando affinché altri lo tengano al posto suo. <Perché sei qui?> chiede quindi, presupponendo che dopo due giorni di totale silenzio ed una decisione come quella che ha preso, non sia lì per tornare a stare con lui. Neanche glielo chiede.
Ginevra
Schiude le labbra sorpresa quando sente di Buck «lo hai abbandonato?» le sfugge via, le sopracciglia sollevate. Ha ormai raggiunto il parapetto e stava guardando Malcolm, ma si gira quasi di scatto verso il lago, come se non potesse prolungare lo sguardo che tiene su di lui. «Più tardi passo a prenderlo» quasi mormorato a denti stretti. Resta qualche momento in silenzio prima di rispondere alla sua domanda «devo prendere degli appunti e ... volevo ringraziarti per le foto» appoggia le mani al parapetto «su... su cosa stai lavorando?» un cenno del capo ad indicare il tavolo alle loro spalle.
Malcolm
<No> ribatte in modo molto secco, sull’averlo abbandonato, quasi a dire con sdegno che lui non fa questo genere di cose, ma non specifica altro. Si stringe nelle spalle quindi, quando Ginevra borbotta che andrà a prenderlo, e aggiunge: <Non lo portare qui, non me ne posso occupare.> chiarisce con una dura risolutezza. Non ha smesso intanto di picchiettare le dita sul parapetto, quando più, quando meno freneticamente. <Ok> risponde solo, con calma ma in modo monotono nel sapere per quale motivo Ginevra si trova qui. Si volta verso il tavolo alla sua ultima domanda: <Il solito caso, dell’arciere.> precisa a voce tendenzialmente spenta, guardando a lungo le carte con aria pensierosa e cupa <Ma non riesco a concentrarmi.> confessa fugacemente, muovendosi verso il tavolino per riempirsi di nuovo il bicchiere.
Ginevra
Scuote il capo alle parole sul cane «non preoccuparti, lo terrò in libreria» ma sembra seccata, non di doverlo tenere in libreria ovviamente, quanto più di lui che sembra non prendere sul serio l'impegno del cane che essendo stato preso al canile, ora deve pensare di essere stato abbandonato di nuovo. «Non ci sono novità?» riferendosi al caso, infatti si gira verso il tavolo.
Malcolm
<Bene> commenta soltanto, telegrafico, riguardo al cane. All’ulteriore domanda di Ginevra invece risponde, mentre si versa lo scotch nel bicchiere: <Qualcuna.> resta sul generico e dal modo in cui lo dice non sembra che siano novità sostanziali. <Forse ti contatteranno a breve per una conferma> su cosa non lo dice, ma comunque la avvisa. <Tu hai novità?> chiede in modo disattento e generico, andando a bere un generoso sorso di alcolico: forse si riferisce al caso, ma forse anche a tutto il resto, al terapeuta che dovevano vedere – scelta che ora sembra ancora più senza senso a Malcolm – , alla decisione di Ginevra di dare una lezione al giornalista.
Ginevra
Corruga la fronte «una conferma per cosa?» perplessa, poi alza le spalle «oltre la questione della piccola chiave, che novità potrei avere?» lo domanda sinceramente, non sembra evidentemente sapere o pensare che Malcolm possa non conoscere il significato del simbolo e non sembra nemmeno associare quella domanda ad altro. Lo guarda mentre parla e allaccia le mani tra loro, torcendo appena le dita.
Malcolm
Tendenzialmente tiene quasi sempre lo sguardo basso, poche volte e poco tempo alza gli occhi sul volto di Ginevra, sembra essere sfuggente o volersi nascondere. <Il volto di quell’altro uomo che hai visto in libreria e al Café du Monde> le spiega in maniera laconica. <Ricorda che tu ed io non abbiamo parlato del caso, né del giudice, né del veleno, né del simbolo.> annota, con un tono di improvvisa e fugace preoccupazione, sia mai che si lasciasse sfuggire qualcosa per sbaglio. Alla domanda di Ginevra si stringe nelle spalle, mentre beve: <Che ne so? Magari hai cambiato idea. Cosa hai sulla Piccola Chiave?> chiede ovviamente, chiudendo unilateralmente quell’accenno al cambiare idea.
Ginevra
Annuisce «capisco.. lo hanno identificato?» riferendosi all'uomo in libreria, allarga poi le braccia «lo so, non sono mica stupida» con un leggero broncio, lo mette su ogni volta che deve dire a qualcuno di non essere stupida, scuote il capo e si avvicina al divano, dove si siede. «Nessun cambiamento di idea» risponde senza fronzoli, come stesse parlando della scelta per la cena «E' sempre te che voglio» conclude il pensiero, poi si stringe sulle spalle «a parte il significato?» e si riferisce ora al simbolo.
Malcolm
Nega con un cenno: <Non ancora, ma hanno un’immagine.> spiega brevemente. <Lo so che non sei stupida, ma a volte può sfuggire involontariamente.> commenta, perché in fondo è paranoico no? Stringe le labbra alla sua risposta sul cambiare idea, come a trattenere violentemente qualcosa che soffoca bevendo un altro po’ di scotch. Evidentemente non è affatto d’accordo su quella visione. <Dimmi quello che sai d’accordo? Ti ho detto che non riesco a concentrarmi.> le ricorda, chiedendole di dirgli tutto quello che ha sulla Piccola Chiave, senza tante specifiche. Prende anche la moleskina e la penna per poter appuntare qualcosa se necessario.
Ginevra
Appoggia la schiena al divano e sembra concentrarsi completamente sulle ultime parole «Abbiamo detto che è un simbolo esoterico che serve a imprigionare i demoni e quindi proteggere l'evocatore» a fare un riassunto delle puntate precedenti «il demone, o lo spirito, evocato non potrà muoversi nell'ambiente ma sarà costretto nel simbolo» lo guarda come a cercare di capire se la sta seguendo «ora, questo specifico simbolo presenta cinque sigilli ed è mancante dell'ultimo, non è tracciato completamente. Al centro dovrebbe esserci un'altra parola che non c'è» sposta lo sguardo sul tavolo facendo avanti il busto, cercando carta e penna.
Malcolm
La ascolta con tutta l’attenzione che riesce a metterci ed annuisce, concordando su quanto hanno detto in precedenza riguardo al sigillo. Poi ovviamente contrae leggermente la fronte nel sentire quell’approfondimento, forse perché non gli quadra qualcosa se ripensa a qualche particolare del caso. Mentre lei cerca carta e penna, che Malcolm va subito a porgerle insieme alla moleskina stessa così che possa scrivere lì, chiede: <Sei riuscita a decifrare quei sigilli?> perché anche questo era un punto importante.
Ginevra
«Grazie» prendendo la Moleskina e la penna, inizia a disegnare il simbolo e a riempirlo così come quello che Malcolm gli aveva abbozzato, lo disegna con abbastanza cura, riportando i simboli e dei nomi di fianco ad ogni simbolo «Abdia, Ballaton, Bellony, Halliy Halizza» gli indica i rispettivi simboli «sono presenti nei dizionari esoterici e indicati come angeli, qui al centro dovrebbe esserci il sigillo di Soluzen, ma almeno da quanto mi hai mostrato, è mancante... ma veniamo al significato...» alza lo sguardo su di lui.
Malcolm
Quando le passa la moleskina e la penna cerca un contatto rapido con lei, quasi come fosse casuale benché non lo sia davvero. Ma la lascia subito e le fa disegnare di nuovo il simbolo con i cinque segni. Annuisce, pensando che poi, se ce ne sarà bisogno, farà lui stesso ricerche su quei nomi. Non dice niente, perché come è suo solito, resta ad ascoltarla in silenzio, con sguardo attento posato ora su di lei, nonostante l’aria cupa e stanca.
Ginevra
Riprende la spiegazione, da cui sembra completamente assorbita «al di là del fatto che siano nomi associati a figure angeliche, ognuno di questi nomi può essere elaborato, numericamente, secondo i dettami della Kabbalà e quello che ne viene fuori è l'invocazione che suona più o meno così» Indica Abdia «Io ti scongiuro in segreto, o spirito» indica Bellaton «Vieni fuori dalla tua dimora e parla chiaramente nella mia lingua» indica Bellony «stendi le tue forze e dischiudi dentro di me la conoscenza e il potere nella tua custodia» indica Halliy «Rispondi nel silenzio della mia anima a tutte le mie domande, senza errore» indica Halizza «Assumi e mostra davanti a me la forma della divina perfezione» indica il centro in cui non c'è nulla «Soluzen... che qui manca, conclude l'invocazione con.. Aprimi la porta segreta e soddisfa le mie richieste, o il mio scopo» sospira.
Malcolm
Sente tutte quelle nuove informazioni e cerca di prendere nuovamente la moleskina appena Ginevra ha finito, per scriversi quelle parole che ha appena ascoltato. Quindi ci mette vari secondi a farlo e nel frattempo riflette, con la fronte aggrottata nel tentativo di comprendere. <E’ strano che non abbia completato il simbolo, perché tecnicamente avrebbe avuto tutto il tempo e la conoscenza per farlo. Bisogna capire perché questo sigillo manca> dice, chiudendo la moleskina e strofinandosi la fronte. <Resti con me?> le chiede quindi di punto in bianco, in un tono triste e stanco, rivolto verso di lei ma con lo sguardo basso.
Ginevra
Scrolla le spalle «non lo so, se non ho capito male, il nome al centro dovrebbe essere quello invocato, ma non sono certa di questo, in qualsiasi caso, ognuno di questi...» indicando i diversi nomi «serve a dare un comando che veicola il demone o spirito che sia che è obbligato dal sigillo» indicando il simbolo nella sua tonalità «ad obbedire senza poter nemmeno fuggire» lascia che chiuda la moleskina e alla sua domanda «io...» resta però in silenzio senza proseguire.
Malcolm
Ascolta quello che Ginevra gli dice ed annuisce, rimandando ad un altro momento, a domani, tutte le ricerche a riguardo. Pur avendo prestato attenzione alle informazioni utili per le indagini, al giornalista interessa ora una cosa ben diversa. <Ti prego> la implora a voce bassa, cercando di allungare la propria mano verso quella di Ginevra, con tutto il timore di essere rifiutato ancora una volta.
Ginevra
Non ritrae la mano e abbassa lo sguardo su di essa quando Malcolm la prende <non pregarmi> gli risponde appena udibile. Fa poi per alzarsi <per quale motivo dovrei restare?> domanda retoricamente <per poi ricominciare da capo al prossimo accenno a tua moglie o a Rachel o a dio solo sa cosa?> scuote appena il capo <credi che non senta il tuo tono piatto?> corruga appena la fronte <sei depresso e davvero... > espira dal naso <te l'ho già detto, non voglio essere una tua ossessione e non intendo far nulla per alimentare la cosa> piega appena le labbra all'ingiù.
La mattina dell’11 aprile è stata fatta recapitare a Ginevra una nuova foto

Sul retro è riportata a mano questa poesia E lasciare che invecchino questi rami protesi alla luce e di bianco si tingano le ore in cui di te non so niente. Questo tuo rifiutare ogni offerta d"amore mi ricorda le vecchie storie di pirati che audaci e ubriachi seppellivano fortune su isole ignote e lontane per poi andarsene via solcando la schiuma delle onde ancora più tristi e feroci. Così, inquieto, rabbrividisce nel buio ciò che nacque per te e abbandonato da te si consuma.
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Capitolo 81 - Da Malcolm a Ginevra
La mattina del 10 aprile è stata fatta recapitare a Ginevra, in libreria, una busta bianca con dentro queste foto

Dietro la prima, è scritto a mano:
Non ti chiedo miracoli o visioni, ma la forza di affrontare il quotidiano. Preservami dal timore di poter perdere qualcosa della vita. Non darmi ciò che desidero ma ciò di cui ho bisogno. Insegnami l’arte dei piccoli passi. Antoine de Saint-Exupery

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Capitolo 80 - Messaggio da Malcolm a Ginevra
SMS spedito a Ginevra alle 6:30 del 6 aprile
So poco della notte ma la notte sembra sapere di me [...] Forse la notte è niente e le congetture sopra di lei niente e gli esseri che la vivono niente. Forse le parole sono l"unica cosa che esiste nell"enorme vuoto dei secoli che ci graffiano l"anima con i loro ricordi. Ma la notte deve conoscere la miseria che beve dal nostro sangue e dalle nostre idee. Deve scaraventare odio sui nostri sguardi sapendoli pieni di interessi, di non incontri. Ma accade che ascolto la notte piangere nelle mie ossa. La sua lacrima immensa delira e grida che qualcosa se n"è andato per sempre. Un giorno torneremo ad essere. Alejandra Pizarnik
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Chapter 79 - Appartamento Ginevra, Coffee Pet Restaurant
Ginevra
Ha svuotato una scatola di libri arrivati in mattinata e ora sono tutti impilati sul bancone. E' seduta sullo sgabello e indossa occhiali da lettura, mentre controlla i libri uno ad uno. I capelli sono raccolti dietro la nuca in una morbida coda bassa che lascia sfuggire qualche ciuffo ai lati del viso. Indossa un paio di jeans chiari e un maglioncino leggero, verde. Cleo dorme sul divano e un paio di tavoli sono occupati da clienti che stanno consultando dei libri e bevendo un caffè. Anche lei ha una tazza di caffé posata sul bancone.
Malcolm
Meglio non dire come ha trascorso questi giorni, no, meglio non dirlo. La barba incolta sul volto dovrebbe essere comunque un indizio eloquente, insieme agli occhi stanchi e arrossati, con occhiaie profonde, lo sguardo basso, l’aspetto piuttosto smunto e stropicciato. Nel momento in cui compare alla porta della libreria indossa una giacca grigia su dei pantaloni scuri, e una maglietta grigia stirata alla bell’e meglio. In realtà inizialmente indossa degli occhiali da sole che però toglie appena entra dentro, senza cane al seguito, evitando lo sguardo di chiunque. Si guarda intorno giusto il minimo indispensabile per notare che ci sono clienti e per vedere dove si trova Ginevra. Si avvicina al bancone, camminando lentamente, con un passo un po’ trascinato e insicuro, ma senza esitazioni sulla direzione da prendere.
Ginevra
Alza lo sguardo verso la porta quando si accorge dell'ingresso di qualcuno, il capo resta comunque chinato sul libro che sta controllando. Osserva Malcolm, scrutandolo e resta a guardarlo in tutto il tragitto che compie, osservandone non solo l'aspetto, ma anche le movenze. Non dice nulla, solo lo osserva anche quando sarà arrivato al bancone, momento in cui chiude il libro che ha davanti e si solleva. Espira dal naso con le labbra che si piegano leggermente serrandosi.
Malcolm
Si avvicina al bancone senza mai alzare lo sguardo e una volta arrivato lì le dice, dopo qualche istante: «Ciao. Possiamo parlare di sopra?» il tono basso e piatto, abbastanza rauco, gli fa aggrottare un poco la fronte. O forse sono i suoi pensieri. E’ molto teso, stringe ripetutamente i pugni, si tormenta le dita, le picchietta sulle gambe, nel tentativo di scaricare l’ansia. Non sembra neanche retorica la sua domanda, ha preso anche in considerazione un “no” come possibile risposta, per i motivi più svariati. E mentre aspetta, sembra che borbotti qualcosa, sussurrandolo fra sé e sé, praticamente è quasi solo uno schiudere di poco le labbra per dire poche parole inudibili e del tutto incomprensibili.
Ginevra
Fa un leggero cenno del capo in segno di diniego, probabilmente derivante da qualche pensiero. «Korinne sta arrivando, puoi iniziare a salire se vuoi» gli risponde riportando lo sguardo sui libri posati sul bancone, per poi iniziare a spostarli. La fronte è appena corrugata in una espressione da problem solving. Non aggiunge altro e si dedica a ordinare i libri in modo che restino sul bancone senza per questo essere da intralcio al lavoro di Korinne.
Malcolm
Annuisce soltanto all’indicazione di Ginevra e fa per spostarsi verso il retrobancone e andare all’appartamento. Ma si ferma un momento prima di salire il primo gradino della scala, si volta cercando Ginevra con lo sguardo solo per un breve momento: «Hai ancora lo scotch?» chiede con una buona dose di imbarazzo, con l’implicita richiesta del permesso di prenderlo, qualcosa fosse ancora lì per qualche occasione. Altrimenti salirà e si siederà sul divano in attesa che Ginevra lo raggiunga, quando Korinne sarà arrivato. Guarda l’appartamento, il balcone dove è andato parecchie notti a prendere aria. La aspetta, con quella speranza che a volte assume la forma di una tortura.
Ginevra
«si, è al solito posto» gli risponde senza interrompere il lavoro in corso. Quando Korinne arriva, si trattiene qualche minuto a darle delle indicazioni pratiche e quindi si volta verso la scala, passa una mano sulla fronte e sale al piano di sopra. Richiude la porta alle proprie spalle osservando Malcolm seduto sul divano. Ancora in silenzio da principio, ma dopo qualche istante «ti ascolto» e il tono che usa nel dirlo è piuttosto morbido rispetto a quello usato fino a poco prima, che non era di certo duro o scontroso, ma nemmeno appunto morbido. Resta in piedi nei prassi della porta di ingresso alla quale appoggia la schiena.
Malcolm
Ed allora, insieme a Malcolm ci sarà anche un bicchiere di scotch da cui sorseggia durante l’attesa, breve eppure apparentemente eterna. Non siede composto come al solito, ma più “umanamente”, con le gambe un po’ divaricate e la schiena leggermente ricurva, forse perché vinto dal peso di una situazione insostenibile. Piega il capo di lato, invece di alzarlo, quando Ginevra entra e richiude la porta alle sue spalle, poggiandovisi. Beve un lungo sorso di scotch, un gesto come i tanti nevrotici che non riesce a trattenere, prima di dire qualcosa. Ci mette qualche secondo di troppo a parlare in realtà, perché non si è mica preparato un discorso, è venuto qui trascinato dalla disperazione. Sospira, imponendosi di non perdersi di nuovo fra i suoi pensieri. «Ti sto chiedendo aiuto.» dice, esplicitando per prima cosa la sua intenzione principale. Il tono di voce è quasi sussurrato, la fronte aggrottata nel tentativo di controllarsi. Fa un gesto rapido e vago con la mano, portandola dalla base del suo petto verso l’esterno, come per esprimere qualcosa che viene da dentro, più che una richiesta di aiuto esplicita. «Ci sono già passato, da tutto questo.» confessa, spezzandosi immediatamente la voce. «Quando… quando Rachel si è tolta la vita…» inevitabilmente si deve fermare per prendere il fiato che gli manca, sono ricordi ancor più vivi in questi giorni di quanto non lo siano di solito «io sono cambiato. Si può dire così. Il resto è storia.» glissa su tutto quello che si potrebbe raccontare di un anno intero e più. «Ed era così.» così come Ginevra lo sta sperimentando ora, all’incirca. «Non voglio che sia lo stesso ora. Non voglio che finisca allo stesso modo.» dice, parlando lentamente come ha fatto finora. Con le lacrime agli occhi va a bere altro scotch, ma non ha finito. «Ma non ho il controllo. Non posso impedire ad un pensiero di venire e piantarmi una coltellata in mente. Ci provo, spesso ci riesco ma non sempre. E’ una guerra costante. Infinita. E la sto perdendo.» afferma, annuendo stancamente fra sé e sé. «Senza di te quella casa è spaventosa. Senti il legno scricchiolare. Tutta la notte.» questo lo dice con una sofferenza che pare ridicola per la sua giustificazione, una follia ridicola perché sia solo quasi la paura di un bambino lasciato al buio. Fa un gesto con una mano vicino alla tempia ed una smorfia sul viso rendono l’idea del rumore del legno per lui ossessionante. «E l’acqua…» beve dello scotch «l’acqua sta lì sotto, la senti, di notte. Come un mostro in agguato.» respira a fondo, si alza per andare a cercare dell’altro scotch.
Ginevra
Lo ascolta in silenzio per tutto il tempo, non interviene finché non è evidente che abbia terminato. Non distoglie lo sguardo da lui. Lo segue con lo sguardo quando si alza, ma resta dove è e si prende qualche istante prima di rispondere. «Non sono io che posso aiutarti» fa una pausa «te l'ho già detto... non ho gli strumenti per farlo» sospira «hai..» prosegue con un po' di incertezza nella voce «hai bisogno di un aiuto qualificato, che possa permetterti di affrontare la situazione senza che questo ti faccia crollare... io... io non sono in grado» ammette infine con una certa amarezza.
Malcolm
Va a riempirsi nuovamente il bicchiere con tre o quattro dita di alcolico e ascolta Ginevra, abbassando il capo con un sospiro quasi impercettibile a seguito delle parole della compagna. Torna al divano, lasciandosi andare, sempre tenendo la testa e lo sguardo bassi. Sta in silenzio per un po’, senza risposte, piega leggermente il capo di lato e beve, con quel nervosismo di sottofondo che non ha perso, a discapito della voce monotona. Continua i suoi rituali compulsivi per esorcizzare l’ansia e lo stress, per poi dire con una tensione rabbiosa che si sente appena «Io non coltivo il pensiero del mio matrimonio. Io coltivo il desiderio di vivere con te in quella casa. E non voglio suicidarmi.» deglutisce e stringe i denti per qualche istante, mandando giù subito un fiotto generoso di alcolico. «Ho solo detto che... capisco Rachel, come poteva sentirsi.» contrae il viso, parla forse più con sé stesso, come se stesse rimettendo a posto dei fatti allo stesso modo in cui ordina compulsivamente gli oggetti. «Senza più una via d’uscita.» è come si sente lui, a quanto pare. «Non mi importa adesso di un aiuto. Lo cercherò ma io ho bisogno di te e …» alza gli occhi cupi e spenti su Ginevra, anche se il contatto visivo diretto è molto breve «quando più ne ho bisogno… quando più… ne ho bisogno, di perdono io dico, per pensieri che non voglio, per azioni che non mi appartengono, quando più ho bisogno di un perdono…» ripete intensamente, rivolto verso di lei, col respiro mozzato e la disperazione negli occhi «… io sono da solo.» scandisce quelle parole che assumono il significato di trovarsi da solo, di sentirsi da solo. «E tu sei venuta da me, mi hai reso vulnerabile, mi hai scoperto e denudato, e adesso io senza di te non posso vivere, sono bloccato, mi spengo, muoio.» elenca velocemente, senza avere un tono di colpevolizzazione nella prima parte anche se si potrebbe pensare il contrario. Scuote il capo. «Io non posso darti più di questo, hai tutto ormai. Se non vuoi più quello che credevi di volere io lo capisco, ma… dimmelo, io.. io… ho bisogno di saperlo, ho bisogno che tu prenda una decisione! Anzi no, io ho bisogno che tu capisca, una volta per tutte. Lucy non tornerà, non tornerà mai più. Io lo so e va bene così. Me lo sono meritato.» riporta, chiudendo gli occhi mentre trangugia lo scotch dando fondo al bicchiere.
Ginevra
Corruga appena la fronte ascoltandolo «ma non capisci? Non capisci che il motivo per cui sei solo quando senti il bisogno di... perdono... è solo perché sei tu che devi perdonare te stesso? Sei con l'unica persona il cui perdono ti è necessario per andare avanti, te stesso!» scuote il capo e distoglie lo sguardo da lui per puntarlo sulla finestra «nessuno può perdonarti per cose di cui solo tu ti accusi» sospira «io non devo prendere una decisione. Io l'ho già presa, diverso tempo fa ormai, ma non puoi...» riporta lo sguardo su di lui «ma non ti senti?» lo dice con tono di supplica «"Lucy non tornerà mai più, va bene così, me lo sono meritato"» scuote il capo «sei tu che non hai deciso, sei tu quello che spaccia la decisione di qualcun altro per sua. Non hai detto di non volerla, di non aver desiderio che torni, hai solo detto che sai che non tornerà e che va bene perché te lo sei meritato. Ma sono due cose molto diverse, Malcolm.» si sposta dalla porta per andare a prendere un bicchiere e riempirlo di scotch «e siamo sempre al punto di partenza, perché quello che ti aspetti è che io lo accetti di buon grado senza protestare»
Malcolm
«E cosa dovrei provare allora?» chiede, in tono retorico, alla fine di tutte le parole di Ginevra che ascolta senza fiatare. «Dovrei essere indifferente a lei e a tutto quello che è stata e che ha rappresentato?» chiede ancora, agitato. «Perché io me lo domando e no, non sono in grado, e mi dispiace. Mi dispiace che per i vostri criteri sia sbagliato.» aggiunge con disperazione, usando una persona plurale come se lui fosse un alieno venuto da una cultura del tutto opposta. «Non posso amare di meno Lucy, posso solo amare sempre di più te. E ci saranno giornate buone ed altre meno. Ma se non puoi accettarlo allora…» la guarda con profonda tristezza e rassegnazione «lasciami andare. Io tornerò quello che ero prima di conoscerti, me ne farò una ragione, ho un mucchio di ricordi tra cui spaziare.» le dice senza alcuna cattiveria. «Non posso vivere così però. Non posso essere in bilico, non un giorno di più. Mi sta uccidendo. E non è giusto neanche per te, che io sia un fardello di cui occuparti.» ammette con totale sincerità, cercando di tenere una respirazione costante, sotto controllo, tutto sotto controllo.
Ginevra
Posa il bicchiere sul tavolo senza bere. «Smettila» espira dal naso «non far sembrare che quello che ti limiti a fare è ricordare con affetto una persona con cui hai condiviso la vita, sai bene che non è così!» scuote il capo e abbassa lo sguardo «non è una tua scelta stare con me, è una scelta di Lucy. E' una sua scelta ogni giorno che trascorre decidendo di andare avanti con la sua vita lontana da te» si gira dandogli le spalle, resta in silenzio diverso tempo, finché, senza voltarsi verso di lui e con la voce che trema «non posso accettarlo». E' sempre girata di spalle, perché lui non veda che sta piangendo. Afferra il labbro tra i denti, prima di proseguire, per darsi il tempo di non lasciar trapelare quel pianto nella voce, o almeno non troppo «Ma sarò ancora qui quando sarai tu a decidere di andare avanti, non perché Lucy non ti dà altra scelta, non perché ti meriti di essere punito, ma perché sei tu che vuoi farlo»
Malcolm
Deglutisce nervosamente nel sentire che la compagna non può accettarlo, il che è sinonimo di una separazione per lui. E sente la voce tremante, in seguito alla quale si alza. Le va incontro, cerca di prenderle un braccio vicino alla spalla, e di strattonarla leggermente. «Perché ti fai questo?!» le chiede nervosamente e con le lacrime agli occhi e gli occhi tristi. «Io voglio farlo. Io..» non trova le parole, non trova i gesti, grida ma Ginevra non lo sente. Lei è lì, la ama, ma non riesce mai a farglielo comprendere. «Io non ti chiedo miracoli o visioni, ma la forza di affrontare il quotidiano. Preservami dal timore di poter perdere qualcosa della vita. Non darmi ciò che desidero ma ciò di cui ho bisogno. Insegnami l’arte dei piccoli passi.» piange senza controllo mentre snocciola quelle parole che sono piovute come un’illuminazione dal cielo. «Io non so più come dirtelo.. io.. lo vedi? E’ questo che ti spinge ad impazzire. E’ questo che ti prosciuga di ogni energia.» tiene il suo braccio ancora e riprende a strattonarlo lentamente e senza forza, subito dopo le ultime parole abbassa la testa e chiude gli occhi, esausto. «Perché pensi che non l’abbia più cercata o non le abbia più risposto. Potevo dimostrarle che stavo meglio, che ero tornato ad essere l’uomo che lei ha sposato e potevamo lasciarci tutto alle spalle.» e invece non è successo. Perché entrambi vogliono andare avanti in fondo, ma uno dei due è ossessivo.
Ginevra
Resta girata di spalle quando lui le afferra il braccio, lo ascolta ma scuote leggermente il capo. Nonostante ciò a un certo punto si volta verso di lui, senza alzare il viso, tenendo lo sguardo verso il basso, con la fronte quasi appoggiata al petto di Malcolm. Scuote di nuovo il capo «non l'hai cercata perché pensi di meritare la punizione» afferra di nuovo il labbro inferiore tra i denti senza per altro muoversi. Le guance sono umide per le lacrime scese e non asciugate.
Malcolm
«Sì» risponde alle uniche parole di lei, sfinito da questa situazione e tenendosi in piedi più per la tensione infaticabile con cui cerca di uscire dal buio di questi giorni. «E poi tu hai sfondato la porta della prigione e ho iniziato a pensare che forse era tempo di andare avanti, per quanto sia difficile.» replica, respirando a fondo e lasciandole il braccio. Fa una pausa, cerca di tornare al divano anche se per com’è conciato è fortunato a resistere al logoramento emotivo e di conseguenza fisico. «A volte lo dimentico, perdo di vista tante cose importanti, e la maggior parte del tempo la mia mente è .. francamente spaventosa, ma in te trovo sempre la forza, vederti felice mi dà una ragione per vivere.» si nasconde buona parte del viso tra le mani piangendo esausto da questa situazione che deve affrontare. «Perché non riesci a vedere tutto questo?» lascia andare un respiro lungo e frammentato, anche di singhiozzi.
Ginevra
Chiude gli occhi quando lui si allontana, il viso ancora rivolto verso il basso «devi trovarla in te la forza» espira profondamente «non voglio essere la tua ancora di salvezza, io...» fa un pausa come cercando le parole o incerta se esprimerle «io... io voglio solo essere la donna che ami. Non voglio essere la tua ragione per vivere, voglio solo essere la persona con cui vuoi dividere la vita» andando a segnare la differenza tra quello che lui dichiara e ciò che lei invece vorrebbe. «Perché non riesci a renderti conto che niente.. nessuno... dovrebbe avere il potere di ... ridurti così?» sospira, lei è una persona che sorride alla vita, probabilmente fortunata, come potrebbe accogliere una tale disperazione come una giusta reazione ai fatti della vita?
Malcolm
«E allora dividila. Perché io non ti sto chiedendo altro. Nient’altro che starci accanto a vicenda, nel bene e nel male. E che c’è di sbagliato ad essere l’ancora di salvezza o la ragione per vivere? Forse la responsabilità? E’ quella che non vuoi?» le chiede, pur senza cattiveria o insinuazioni. «Ti sto chiedendo di aiutarmi, di stare con me, ogni giorno e soprattutto, SOPRATTUTTO, nei momenti più brutti. Altrimenti che cosa siamo?» domanda ancora, guardandola ma vergognandosi profondamente già da sé dello stato in cui si trova, di quello che è, ancora una volta sbagliato e inadatto.
Ginevra
«Sono cose che devi trovare in te stesso, non in me, né in nessun altro! Come puoi non capire l'importanza di questo? Come puoi non capire che questa tua condizione» indicandolo «è possibile solo perchè non hai in te stesso quelle motivazioni?» scuote il capo «stare accanto a qualcuno anche nei momenti peggiori è una cosa diversa dall'essere la ragione di una vita. E non è un problema di responsabilità!» serra le labbra «è ... è come se fosse una droga, è dipendenza, e la dipendenza non è amore!» spiega accorata.
Malcolm
Ascolta Ginevra con molta attenzione ed apre le braccia, di poco e rapidamente, come a mostrarsi: «Ma io non ho niente.» argomenta blandamente, sull’avere in sé delle motivazioni, delle ragioni per vivere. E lo ammette con un certo candore, come se fosse del tutto normale per lui. Al di sotto di quella freddezza e delle sue regole, ancora al di sotto della disperazione e del dolore, nulla. Le parole della compagna lo fanno riflettere e tristemente conclude: «Come un’ossessione…» quella cosa di cui non può fare a meno, come l’ordine o i rituali o la simmetria delle cose. Ne rimane turbato, resta a lungo in silenzio, la fronte aggrottata, lo sguardo cupo fisso in un punto vuoto. «Stai con me, ti prego. Ti ho già detto dell’acqua e del legno che scricchiola, ci sono i versi degli animali, le rane e i rapaci, e inizi a sentire rumori un po’ ovunque e rischi di inventarteli.» cambia discorso, ma l’esigenza è la stessa, averla a fianco, per poter almeno dormire senza iniziare una serie infinita di compulsioni e paranoie.
Ginevra
«Niente?» sembra urtarsi a sentire quelle parole «Non hai un lavoro? Non hai cose da leggere? Curiosità da soddisfare? Cose da vedere o da provare o da scoprire? Niente?» espira dal naso e scuote il capo. Riabbassa poi lo sguardo «No, non voglio essere un'ossessione» si volta dandogli le spalle di nuovo «dovrai imparare ad amarmi per me, per come sono e non perché hai bisogno di me e non puoi farne a meno» solleva la mano e la passa sulla fronte «dovresti andare ora...» glielo dice con una certa fatica, non è felice della situazione e non le è certo facile agire come sta facendo. Rimane di spalle alla sala, non vuole guardarlo, né vuole trovarsi davanti a situazioni che le facciano cambiare idea senza che siano cambiate anche le condizioni.
Malcolm
Sente le domande che la compagna gli pone, retoriche o forse no: «Avere una ragione per vivere è molto di più di questo. E’ condividere.» le risponde, il che spiegherebbe perché ha bisogno di lei per farlo. «Io ti amo per come sei!» esclama, visto che le due cose in lui vanno di pari passo – più la ama per come è, perché è così, e più ne ha bisogno - e la osserva passarsi una mano sulla fronte, vede la sua fatica e la sua tristezza che continuano ad ucciderlo dentro. Poi viene mandato via e Ginevra glielo dice di spalle. Forse non se lo aspettava, o forse sì ma non voleva che accadesse. Quella scena gli richiama alla mente ricordi vecchi, molto vecchi. Rimane per qualche istante imbambolato a perdersi nel guardarla, non tanto lei di per sé quanto la situazione. Poi si alza lentamente e lentamente si dirige verso la porta per uscire, a testa bassa, borbottando tra sé e sé: «Mi mandi via e neanche mi guardi.» ma dubitiamo che Ginevra abbia tempo di rispondergli, prima che affretti un poco il passo per andare via.
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Chapter 78 - Palafitta dei Sogni, Matairie e Lake View
Malcolm
Aspetta Ginevra, pur non avendo sue notizie, la aspetta mentre qualcosa nel suo cervello grida che dovrà rassegnarsi a passare un’altra notte da solo, un’altra notte insonne. La aspetta sdraiato sul divano, lo sguardo stanco e triste, incupito, rivolto verso il soffitto, le mani, con le dita incrociate fra di loro, posate sull’addome. Indossa una camicia bianca, panciotto e pantaloni neri, così come le scarpe tenute perfettamente affiancate ai piedi del divano, alla metà precisa. Ha provato a restare più attivo oggi, anche solo per badare al cane e andare a vedere se c’erano novità all’FBI, ma l’ansia e le ossessioni, la spossatezza, il senso di vuoto interiore e quello che ha attorno, lasciano i loro segni profondi negli occhi e sul volto. Su quest’ultimo vi è un filo di barba cresciuta dopo un paio o tre di giorni senza rasatura.
Ginevra
Arriva alla casa con passo affrettato, indossa l'abitino giallo con polsini e colletto bianchi, ai piedi scarpe da tennis bianche. I capelli sono raccolti dietro la nuca con uno chignon di fortuna trattenuto con una matita. Percorre l'ultimo tratto con la stessa fretta, nella mano sinistra ha una busta di carta con il logo di un ristorante. Supera il cancello che richiude alle sue spalle e va verso la casa. Non si sofferma al primo livello e sale subito la scala per accedere poco dopo in casa. Percorre l'ingresso e si ferma all'arrivo nel soggiorno, sembra sorpresa di vedere Malcolm lì, e vestito... ben vestito, cosa che le fa prendere un profondo respiro dal naso «Ciao... ho fatto tardi, ma...» solleva la busta «ho portato la cena» si sposta quindi verso il tavolo per posare la busta appunto «o... hai già cenato?» domanda incerta, vista l'ora.
Malcolm
Quando sente la porta aprirsi si tende di colpo, manco stesse aspettando un ladro che entra proprio in quel momento. Si solleva un po’ sui gomiti fino a che Ginevra non appare nel soggiorno, la osserva ma solo brevemente, non sostiene il contatto visivo più di qualche secondo. «Ciao. Grazie.» commenta con un tono basso, pacato, abbastanza monotono ma immancabilmente affettuoso. Solo molto triste. Si mette a sedere, dedicandosi a mettere i piedi nelle scarpe e legare i lacci. Tanto per fare qualcosa. Scuote il capo alla domanda, gli sembra anche inutile dire che non ha fame. Sul tavolino di fronte al divano gli antidolorifici e un bicchiere vuoto con qualche goccia d’acqua all’interno. Ci mette parecchio tempo a fare i lacci delle scarpe, ma non è una novità dato che anche di solito è un rituale minuzioso, che prevede che i lacci siano e si mantengano della stessa lunghezza, motivo per cui gli capita anche di sciogliere il nodo e rifarlo. Quanto ci mette dipende dalla giornata, da quanto è nervoso, oggi per esempio va per le lunghe, tanto che il giornalista ne approfitta per chiedere: «Resterai qui questa notte?» domanda, anche se ha più il tono di una supplica.
Ginevra
Inizia a togliere dalla busta le confezioni con il cibo che a quanto pare è cinese. Involtini primavera non fritti, ma cotti al vapori, xiao mai di gamberi, ravioli al vapore, riso alla cantonese, manzo funghi e bambu, alghe fritte, anatra all'arancia. Tira fuori anche le salse e le bacchette e si muove per prendere i piatti e quant'altro è necessario per preparare la tavola «Tornerò in libreria» risponde alla sua domanda, ma aggiunge subito «come è andata oggi? Buck è stato buono?» Lascia sui ripiani della cucina la busta vuota e torna verso il tavolo con tovagliette, piatti, bicchieri.
Malcolm
Di tanto in tanto occhieggia verso la compagna, vede tutto quello che ha portato, quasi gli viene la nausea a vedere tutto quel mangiare mentre il suo stomaco è pressoché sigillato. Smette di annodare i lacci delle scarpe quando Ginevra gli dice che anche questa notte non sarà qui a casa, dando conferma alle sue ossessioni. Deglutisce nervosamente, si alza con lentezza e la fissa. Resta lì per qualche secondo a pensare se incassare il colpo anche questa volta o reagire. Così, pensando intensamente, si perde quelle altre due domande. «Resta qui, ti prego.» chiede in un mormorio, sentendo l’ansia invadere il suo corpo come un fiume che distrugge. «Non ne posso più» aggiunge, lasciandosi andare di nuovo sul divano, stancamente. Dopo qualche secondo in cui nasconde il viso tra le mani, riprende: «Sto cadendo giù, di nuovo. Sempre più… nel vuoto. Ho bisogno di te, tu… tu non lo capisci?» domanda, nervoso, distillando prontamente delle lacrime e iniziando a tremare leggermente. «Farai come Lucy» scuote il capo, parlando fra sé e sé ora, ma più ad alta voce, più fuori controllo, con sincera disperazione. «Te ne andrai, te ne stai andando. Non riesco» sbuffa via un singhiozzo «non riesco a trattenerti.» constata la sua parte di realtà, mentre si tormenta le dita e graffia il dorso delle mani, con maggiore ansia e tensione.
Ginevra
Lo ascolta mentre sistema la tavola, non è una forma di disinteresse, infatti la fronte è leggermente corrugata, non vuole girarsi verso di lui, non vuole cedere, non di nuovo, ma è qualcosa che davvero le è difficile «Io non sono Lucy» borbotta in risposta «ma tu non pensi ad altro» resta in silenzio qualche momento, il tempo di riempire una caraffa di acqua e tornare verso il tavolo dove la posa «non hai bisogno di trattenermi, perché sono qui» lo dice piuttosto duramente «sei tu ad essere altrove» si gira verso il divano «è solo una illusione» espira dal naso «va tutto bene solo finché non pensi a lei, per qualche motivo» scuote il capo e si volta verso il tavolo «il cibo è in tavola» aggiunge.
Malcolm
«Io non penso ad altro?» chiede, assolutamente retorico. Poi scuote il capo più volte mentre lei parla e si va via via più ansioso e teso, si passa le mani fra i capelli e poi ne ferma una sulla fronte, sorreggendola. Piange e si mette a sistemare quelle poche cose sul tavolino, compulsivamente: il telefono, il bicchiere, la scatola di antidolorifici. Li dispone poi torna a metterli a posto, smuovendoli tre, quattro, cinque volte, le stesse per cui ripete l’operazione. «Tu non sai neanche lontanamente a cosa penso» commenta con maggiore aggressività. «Te!» grida infine, come se quella parola lo stesse torturando dentro. «E’ a te che penso, in queste notti. A come renderti felice e soddisfatta. A come non perderti, a come non sbagliare.» continua, rigettandole rabbiosamente contro quelle parole, quell’ossessione che ha per lei non meno che per la moglie, per il passato, per l’ordine. E’ sdegnato, è irato. «E tu pensi di essere un … intermezzo?» commenta, avvicinandosi a lei con la fronte aggrottata, gli occhi lucidi, il viso diventato improvvisamente più colorito. E’ quasi minaccioso nel farlo, salvo che preso dall’agitazione eccessiva, sbanda e ridiventa pallidissimo. Si ferma per ritrovare l’equilibrio, i capogiri sono dietro l’angolo a sforzare troppo un organismo senza energie. Cerca di respirare lentamente e di contare i respiri. «Per te va tutto bene finché io non penso a lei. Per te va tutto bene! E poi …» continua ancora rabbioso e disperato, incurante dell’offuscamento che sente in testa e mentre si trascina a raggiungere il tavolo per sostenersi meglio, continua cercando le parole: «poi.. tu distruggi ogni cosa. E niente ha più senso…» prende un respiro profondo per necessità. Gli sta scoppiando la testa, chiude gli occhi, si sforza di respirare, e piange perché si sente male fisicamente quanto emotivamente. Scivola velocemente a sedersi per terra e a piangere e singhiozzare, tremando diffusamente, come se dovesse prosciugare ogni energia recuperata. La stessa scena di questi giorni addietro, il motivo per cui poi non aveva alcuna forza e voglia di alzarsi dal letto.
Ginevra
Lo ascolta da principio, ma sbotta a un certo punto «io sono un intermezzo!» lo indica a mano aperta «vai nel panico solo se nomino Lucy!» serra un istante le labbra «però vorresti che io me ne stia seduta con te a guardare le sue foto mentre ti struggi per lei» esclama «c'è un cazzo di limite a tutto! Posso capire e accettare i ricordi, non posso accettare di stare in silenzio mentre il solo sentirla nominare ti manda fuori di testa. Diamine! Ti rendi conto di cosa stai pretendendo da me? Immedesimati, fallo! Prova a immaginare che sia io quella che reagisce così a sentire il nome di un altro uomo! Ma sii onesto però nell'immaginare in che modo reagiresti alla cosa!» si azzittisce poi e annuisce «io distruggo tutto» annuisce ancora «io» serra le labbra e poi sputa fuori tra i denti «si, sono io che sono andata nel panico perché l'uomo della mia vita non è... "raggiungibile"» si gira poi, dandogli le spalle quando lui si siede a terra per reprimere l'istinti di avvicinarsi e consolarlo, calmarlo. Respira profondamente, in silenzio e solo dopo un po' riprende a parlare con una calma imposta «Tu pretendi che io faccia finta di niente, pretendi che tu possa continuare a coltivare il pensiero del tuo matrimonio, mentre io, devota!, resto al tuo fianco facendo finta di non sapere e non vedere» solleva la mano a passarla sulla fronte «pensavo...» espira profondamente «pensavo che stessi andando avanti, invece stai solo passando il tempo, in attesa di non si sa cosa. E nemmeno te ne rendi conto» toglie la mano dalla fronte «davvero non sai cosa stai pretendendo da me?» si gira di nuovo, evitandolo con lo sguardo, ma sa che è lì seduto a terra e... «è meglio che vada. Mangia.»
Malcolm
Resta in silenzio ad incassare l’uno dopo l’altro quei colpi, anche se poi il silenzio viene riempito di quel pianto e di quei singulti nervosi. «Non pretendo niente da te. Ti sto dando tutto me stesso, pezzo dopo pezzo, accontentando ogni tua richiesta…» risponde, mormorando a voce rotta, tenendo la testa fra le mani. «E non serve a niente…» biascica, esausto «Sono andato avanti e non serve a niente … e non lo capirai mai.» continua a parlare senza rivolgersi neanche più a Ginevra. Parla da solo in sostanza il suo ignorare eventuali risposte dovrebbe renderlo evidente. La sua rabbia svanisce e di nuovo resta il nulla più assoluto, la rassegnazione e il dolore di non poter raggiungere la compagna. «Ho fallito. Io non voglio più niente. Perché mai ho pensato…? Perché..?» continua, e se non ci fosse nessuno, se la donna fosse già andata via, la scena non cambierebbe di una virgola. «Lasciatemi in pace. Lasciatemi in pace.» rivolto ad una persona plurale non ben definita. «Credevo che non avrei mai capito Rachel…» la frase sa tanto di un “e invece ora la capisco”.
Ginevra
Lo ascolta rendendosi conto che lui non sta ascoltando lei. Espira profondamente di nuovo, sta facendo fatica a trattenersi dall'avvicinarlo. «invece pretendi da me l'unica cosa impossibile in qualsiasi coppia, che io accetti che si sia in tre» corruga poi la fronte sentendo le ultime parole «Rachel?» perplessa da principio «oh...» rendendosi poi conto di quale sia il riferimento «stai scherzando?!» domanda retorica e alterata, davvero molto alterata adesso «per cosa? Perché non dormo nel tuo stesso letto?! È ridicolo!» gli grida contro «ridicolo!! Con tutto quello che succede nel mondo a te sembra che valga la pena suicidarsi per una cosa simile?!» allarga le braccia «io non ho parole! Non ho parole!!» si avvia quindi a lasciare il soggiorno furiosa
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Chapter 77 - Palafitta dei Sogni, Matairie e Lake View
Malcolm
E’ sdraiato sul letto, in una specie di posizione fetale, stringe il cuscino su cui sfoga i blandi residui di ansia che da ieri ha reso le ore trascorse tra le più buie degli ultimi tempi. Nelle ultime ore è rimasto quasi immobile, nel silenzio alienante della casa, esausto ma incapace di prendere sonno. Sul comodino, dal suo lato, tiene il telefono, un barattolo di pillole su cui l’etichetta esplicita “Radice di valeriana”, la scatola delle foto chiusa. Indossa una t-shirt bianca, visibile solo per metà, il resto sparisce sotto le coperte. Gli occhi stanchi che hanno pianto troppo e sono un po’ arrossati e gonfi, confermano quell’espressione di angoscia e inquietudine stampata sul volto e l’inerzia piatta e spenta, lo sguardo perso lontano in un’attesa che sembra ormai senza tempo. Nel salotto, mentre tutto è stato maniacalmente riposizionato ed ordinato, qualche scaffale delle presumibili librerie là presenti, è stato svuotato per terra di tutti i libri contenuti, gettati qua e là, a volte scagliati più distanti, con uno sfogo di rabbia oramai sopita.
Ginevra
Arriva con Buck, quindi è arrivata con i mezzi pubblici e ha percorso a piedi tutto il tratto dal termine della civiltà, fino alla casa. Indossa la divisa sportiva di Yale e Buck è tenuto al guinzaglio, ma quando la casa si fa visibile ed è chiaro dove stanno andando, la povera bestiola inizia a scodinzolare e abbaiare, corre avanti per lo spazio del guinzagli per poi girarsi verso Ginevra abbaiando e ansimando, invitandola così ad affrettarsi. Quando raggiungono il cancello sul pontile, Buck continua ad abbaiare verso la casa mentre lei apre e poi richiude il cancello alle loro spalle. A quel punto libera il lupetto dal guinzaglio e lui corre in avanti a larghe falcate felici, e si ferma davanti la porta di casa attendendo la padrona. Si solleva su due zampe per grattare sulla porta e Ginevra farà una certa fatica per riuscire ad aprire la porta. Ovviamente apertala il cane correrà dentro precedendo la ragazza. Lei chiude la porta con calma per poi guardarsi attorno mentre attraversa la casa, Buck intanto si infila direttamente in camera da letto, dove abbaia scodinzolando verso Malcolm, tenta di salire sul letto con le zampe anteriori per leccargli la faccia e quando si allontana dal letto, lo fa solo per abbassarsi sulle zampe davanti e saltare indietro, invitandolo al gioco. Ginevra intanto, vedendo i libri a terra, si ferma nei pressi e si accovaccia per raccoglierli.
Malcolm
Sente che Ginevra è tornata, probabilmente riesce ad avvertire Buck abbaiare, ma non si muove, non ha alcuna voglia di farlo principalmente perché si sente stremato, senza energie. Tant’è che quando Buck fila dritto nella stanza e va a fare le feste al poco predisposto padrone, Malcolm mugugnerà di fastidio già al suo abbaiare. Gli scoppia la testa, figuriamoci quanto è contento. «No. Va’ via» mormora, allontanando il cane da sé dapprima facendosi scudo con un braccio, poi cercando di spingerlo giù. «Ho detto va’ via…» borbotta più bruscamente al lupetto vedendo come quello ha solo voglia di stare coi suoi padroni e di giocare. Beato lui. Si rimette nella stessa posizione di prima, che aveva scomposto per far fronte al cane. Osserva il barattolo di pillole, si chiede se debba nasconderlo, si risponde che dovrebbe, ma non lo fa.
Ginevra
Dopo i primi tentativi, quando viene scacciato per la seconda volta, Buck guaisce e si siede a terra con muso sulle zampe davanti e lo sguardo offeso rivolto verso Malcolm. Ginevra continua a raccogliere i libri muovendosi nella stanza. Li lascia sul tavolo quando ha finito. Si sposta verso la camera da letto e resta sulla soglia, guarda verso il letto. L'espressione del viso è seria, ma non accigliata. Si appoggia con la spalla sinistra al bordo della porta «pensi di alzarti?» domanda semplicemente.
Malcolm
Espira lentamente, quando sente la domanda di Ginevra e pur senza guardarla, avverte la sua presenza sull’uscio. Dopo un paio di istanti di silenzio, risponde a voce un po’ rotta: «Ho bisogno di dormire.» giustifica il suo stare a letto. Fondamentalmente è vero comunque, visto che non ha riposato neanche per un minuto da ieri sera e lo stato d’ansia ha prosciugato tutte le sue forze. Il tono di voce è tenuto basso, è spento e senza espressione. Tace per alcuni secondi, passa una mano sul viso lentamente e aggiunge, con la stessa voce spezzata: «Mi sei mancata» e tira su col naso per soffocare le lacrime. Ha paura che Ginevra lo rifiuti di nuovo, che se ne vada perché stufa delle incapacità del compagno.
Ginevra
«Hai detto che lo avresti capito» gli ricorda e lui non dovrebbe avere difficoltà ad associare a cosa si riferisca. «Preparo qualcosa da mangiare» aggiunge dopo solo qualche secondo, stacca la spalla dal bordo della porta e guarda un istante il povero Buck, che se ne sta ancora lì, mortificato con il muso sulle zampe anteriori e lo sguardo sollevato verso quello che è il suo padrone preferito, sicuramente quello con cui è abituato a fare le sue cose di routine. Sembra non voler sottolineare in alcun modo lo stato di Malcolm, oltre quanto già espresso.
Malcolm
Ci impiega qualche momento a ricollegare quelle prime parole di Ginevra: quando lo fa, annuisce con un cenno lento. «Lo capisco infatti. Questo non significa che tu non possa mancarmi» le risponde, con la medesima voce. «Non ho fame.» replica riguardo alla proposta di mangiare, lo dice in modo pacato ma Ginevra sa quanto può essere testardo quando non gli va di mangiare.
Ginevra
Mentre si volta per andare verso la cucina «mangerai comunque, quindi se hai preferenze, vieni a comunicarle prima che decida io cosa fare» va quindi verso la cucina. Buck non si muove. Apre il frigorifero e tira fuori delle uova, degli hamburger e le salse. Appoggia tutto sul piano di lavoro, poi si sposta alla ricerche delle ciotole. Quando trova quella adatta per le uova, la appoggia di fianco agli altri ingredienti, poi cerca la piastra. Fischietta intanto. Accende i fornelli e mette a scaldare la piastra.
Malcolm
Non risponde nulla e la lascia andare. Non si muove per vari minuti, poi però decide di alzarsi perché tanto sa che non riuscirà a dormire. Si tira fuori dalla coperta, con lentezza, si mette in piedi, prende altre due o tre compresse nella vana speranza che lo aiutino a riposare, quindi si trascina verso il salotto tenendo eventualmente a distanza il cane. Ha dei pantaloni grigi sportivi e dei calzini neri. Si guarda intorno, gli occhi hanno uno sguardo svuotato, il volto pare ancora più pallido; nota che i libri sono stati raccolti e messi sul tavolo, perciò si dedica con fatica a risistemarli negli scaffali, con ordine. Pensa mentre agisce, pensa ad altro, la mente divaga sul sottofondo di ricerca dell’ordine. Con quella sua aria da fantasma, si aggira li intorno e dopo una forte indecisione, riprende: «A volte, uno vorrebbe solo sentirsi dire che è comprensibile. Che è … umano» sembra che parli più che altro fra sé e sé. La fronte aggrottata per impedire alle lacrime di uscire. Scuote il capo, come a cancellare quello che ha appena detto: continua a sistemare lentamente i libri, ma dopo averne rimessi a posto solo pochi, si siede sul divano, esausto. Nasconde il viso fra le mani. «Mi ami ancora?» le chiede, inquieto per le sue ragioni. E poi aggiunge, terrorizzato dalle parole che va a dire quanto da quello che ha passato: «Credo di aver bisogno di aiuto» lo mormora, quasi che non volesse farlo sentire a nessuno.
Ginevra
Continua a preparare la cena, uova sode e hamburger. Continua anche a fischiettare proprio come se niente fosse, smette quando Malcolm arriva e inizia a sistemare i libri. Resta in silenzio da principio, continuando nelle faccende, quando lui parla, non risponde subito «Ma non lo è» fa una pausa «comprensibile» specifica, espira dal naso, ma il tono che usa è lo stesso che avrebbe parlando di come è andata una normale giornata. «Soprattutto che te lo aspetti da me» il tono non cambia «vorrei vederti se io passassi il tempo a struggermi per un altro» scuote il capo e sistema il tavolo con le tovagliette e tutti gli utensili per mangiare «è pronto» annuncia e si gira a guardarlo quando le chiede se lo ama ancora «ma per chi mi hai presa?» corruga la fronte e scuote il capo, ritenendo di non dover nemmeno rispondere alla domanda «intanto hai bisogno di mangiare» e si dedica a metter nei piatti le uova e gli hamburger e sul tavolo è presente anche tutto il necessario per condire le pietanze.
Malcolm
Annuisce più volte, senza lasciare intendere che cosa stia pensando o cosa voglia dire. Non reagisce emotivamente a quelle parole, anche se le ascolta. Sta in assoluto silenzio e poi, senza la minima convinzione, si alza stancamente per andare verso il tavolo, lasciarsi andare sulla sedia e chiedersi come farà a mangiare tutto quella roba. E’ decisamente eccessiva e lui ha lo stomaco in subbuglio. Ancora prima di approcciarsi al cibo, posiziona più volte le posate e le tovagliette, fino a trovare l’ordine che lo soddisfa. Si perde in quella compulsione che conduce con un certo tremore alle mani, prima poco evidente, ora visibile per via dei movimenti più precisi che deve compiere. Quindi si sforza di mangiare tagliuzzando l’hamburger e le uova sode, senza nessun condimento. Tiene lo sguardo basso ed un silenzio alienato.
Ginevra
Inizia anche lei a mangiare, ma lei quello che ha nel piatto lo condisce. Sale e pepe e un filo di olio sulle uova, e la senape di fianco all'hamburger. Mangia guardando nel piatto, ignorando o facendo finta di ignorare le compulsioni di Malcolm e il modo in cui sta mangiando. «Ieri sera la moglie di Cameron Kingdon è stata in talk show» fa una pausa per riempire di acqua il proprio bicchiere e riempie anche quello di Malcolm «me lo ha detto Korinne oggi e ho guardato l'intervista dallo smartphone» sposta lo sguardo su Buck che arriva mogio mogio e si sdraia sotto il tavolo, praticamente sui piedi di Malcolm. «Non dovresti trattarlo male» e ovviamente si riferisce al cucciolo.
Malcolm
Torna a prestare attenzione a Ginevra quando gli comunica dell’intervista alla moglie di Cameron Kingdon. Continuando a mangiare, o meglio continuando a rimestare ed ordinare nel piatto i pezzettini che ha tagliato cercando la forza di mangiare, annuisce: «Sì. Mi ha scritto Miss Mathison.» conferma, facendole capire che è a conoscenza della cosa perché glielo ha detto Joyce. «Non mi sto occupando più del caso per il momento.» aggiunge dopo qualche attimo, gli occhi sul piatto. Mette in bocca un pezzo di hamburger accompagnato da un pezzo di uovo, inghiottendo contro voglia. «Che cosa ha detto?» chiede, sempre riferendosi all’intervista. Buck ci riprova, poverino, e stavolta, anche considerando il consiglio di Ginevra oltre al fatto che si pente sempre dei suoi malumori, mugugna e si china ad accarezzarlo un po’, brevemente, come a farsi perdonare. Prende un paio di pezzi di hamburger e glieli passa sotto al tavolo, mentre Buck si “risveglia” vivace per le riconquistate attenzioni.
Ginevra
Beve un sorso di acqua prima di riprendere a mangiare, Buck con l'entusiasmo di tutti i cuccioli non ha bisogno di perdonare, scodinzola subito quando Malcolm gli dedica attenzione, mangia quanto l'uomo gli offre e poi si siede appoggiando il muso sulla gambe di Malcolm. «Che sono voduisti di religione e che il marito è ancora vivo» fa una pausa «e che le indagini sono ferme, per mancanza di... fantasia da parte degli inquirenti, insomma... ragionano in maniera troppo schematica» conclude poi «in sintesi» alza lo sguardo su di lui «come mai non te ne stai occupando?»
Malcolm
Mentre cerca più di fare qualche coccola al cane che di mangiare, ascolta Ginevra e beve un po’ d’acqua. Il lavoro lo rende leggermente più comunicativo, come al solito, facendolo allontanare dalle ossessioni e dai propri fantasmi troppo ingombranti ed appariscenti. Piega il capo di lato per un istante, quando Ginevra gli riporta la questione del ragionare in maniera schematica e priva di fantasia, con un certo disappunto. Poi le risponde: «Non posso occuparmi di tutto.» giustifica semplicemente. «La faccenda dell’arciere è già abbastanza complicata.» aggiunge, sforzandosi di mandare giù un altro boccone composto in maniera perfettamente equa da uovo sodo e hamburger, un pezzo del quale viene di nuovo passato a Buck. «E poi non sono la persona giusta. Vista la mancanza di fantasia e l’eccesso di schematizzazione. E non intendo infiltrarmi, ho chiuso con quella vita.» commenta ancora, stavolta con un tono leggermente più scorbutico e chiuso.
Ginevra
Inarca un sopracciglio alla sua risposta e poi anche alle seguenti «beh prima te ne stavi occupando» gli risponde. Si prende poi del tempo, bevendo ancora un po' di acqua. «E comunque sei tu quello con le teorie che non vuole condividere con l'fbi perchè ... sopra le righe» scrolla le spalle «era solo una domanda, non c'è bisogno di rispondermi così» aggiunge, senza che il tono muti da quello di una normale conversazione
Malcolm
La ascolta in silenzio, cercando di mangiare, ma finisce che più o meno la metà dell’hamburger lo passa al lupetto ovviamente goloso. «Scusa» le risponde in un sussurro dopo la sua annotazione, tiene sempre lo sguardo basso. Tace per qualche istante, per poi spiegarsi meglio. «Miss Lloyd ed io abbiamo preso la deposizione di Eva McCallister e non abbiamo ottenuto niente, a parte un arroganza incredibile. Anche lei ci ha detto che non capiamo niente di questa storia e che sbagliamo punto di vista. Invece di darci una mano a capire quale sarebbe quindi il punto di vista corretto.» spiega, bevendo poi dell’altra acqua. Il tono di voce continua a mantenersi piatto e stanco. «Io non voglio condividere teorie senza prove concrete, tutto qui.» conclude con una fugace occhiata a Ginevra. Manda giù l’ultima parte dell’uovo sodo, con un boccone difficoltoso, quindi riprende: «Ti dispiace se torno a letto? Sono stanco.» chiede, riponendo intanto le posate col solito ordine maniacale.
Ginevra
Scrolla le spalle al suo racconto e lascia le posate finito di mangiare «è stata arrogante anche quel giorno, ma mi ha salvata» commenta. Si alza alla sua richiesta e inizia a raccogliere le stoviglie dal tavolo «vai pure, io sistemo la cucina e poi vado» Impila tutto ordinatamente intanto «domani dovresti occuparti tu di Buck, a me non sarà possibile seguirlo» e chissà se è vero o se vuole solo costringerlo a fare qualcosa. Si volta quindi per portare piatti e resto verso il lavandino per prepararli per la lavastoviglie.
Malcolm
«Ci ha salvati tutti. Ma resta comunque arrogante.» spiega, facendole intendere che essere stata eroina per un giorno, non cambia le cose. «Dove vai?» chiede, con un tono più allarmato, quando Ginevra lo congeda. Evidentemente ha capito che lo lascerà di nuovo solo. «Ok» risponde solo, sull’occuparsi di Buck l’indomani, prima di avviarsi verso la stanza da letto. Probabilmente il cane è al seguito ma stavolta non lo allontana.
Ginevra
«lo so» commenta alle sue prime parole, mentre si dà da fare a sistemare la cucina «potrei provare a cercarla, per ringraziarla» la butta lì, probabile che ci abbia pensato spesso a farlo, ma che non si sia mai risolta. Alza un momento lo sguardo su di lui a quella domanda «in libreria, devi riposare. Non lasciare Buck al centro domani sera, non potrò andare a prenderlo e non voglio che si senta ancora abbandonato» il tono con cui lo dice è leggero «è stato tristissimo finché non siamo arrivati in vista della casa» sospira e «Buona notte» lo segue con lo sguardo mentre raggiunge la camera da letto, poi riprende a sistemare. Quando tutto sarà pulito e in ordine tornerà verso il Quartiere Francese, a piedi per il primo tratto e poi con l'ausilio dei mezzi pubblici
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Chapter 76 - Jackson Square
Ginevra
E' sulla piazza, lato cattedrale, e si guarda attorno. Appuntamento preso con Malcolm, per la contemporanea presenza nella zona, ha riposto nella borsa rossa che porta a tracolla lo smartphone. Indossa un minidress Denny Rose, decisamente mini, con maniche a tre quarti, svasate e ampie. Ai piedi gli anfibi allacciati per bene, i capelli sono sciolti e le lentiggini ben visibili. L'espressione del viso è seria, ma non accigliata, mentre cerca di individuare tra i vari passanti, il giornalista. E' stata un po' tesa in serata e in mattinata a causa degli scontri avvenuti al di là del fiume, ma al momento, forse grazie al trascorrere delle ore e del lavoro che l'ha impegnata fin quando Korinne non ha iniziato il suo turno, quella tensione sembra essere scemata.
Malcolm
Completo scuro, camicia bianca, cravatta blu con righe chiare disposte in diagonale, borsa da lavoro in spalla. Il giornalista entra in piazza dal lato della cattedrale, come Ginevra ha indicato, stavolta non in compagnia di Buck che evidentemente deve ancora andare a prendere al centro. Anche lui si guarda un po’ intorno, alla ricerca della compagna, lo sguardo austero e acuto si posa sui volti delle molte persone là nei pressi, fino a che non individua Ginevra ed allora le va incontro, con calma. Sul volto serissimo e granitico – eppure vagamente disteso nel vederla – ci sono quei consueti segni di stanchezza, quasi invisibili per gli estranei, dati dall’attività giornaliera e poco supportati dal sonno, nonostante da qualche giorno Malcolm riesca a riposare più ore dei suoi standard. E dorme anche molto profondamente in quelle ore, cosa non solita per lui che tiene costantemente i sensi all’erta. La saluta una volta che riesce a raggiungerla: «Buonasera. Come stai?» chiede, sapendo della tensione che ha nell’ultimo periodo.
Ginevra
Sorride spontaneamente quando vede Malcolm e gli va incontro, quasi con slancio, ma poi lui è granitico quindi un po' si trattiene. E infatti quando lo raggiunge non lo abbraccia, ma il sorriso comunque rimane, spontaneo e non incrinato «Ciao Signor Barnes» con tono allegro e affettuoso «mh... bene, dai... e tu?» Si è fermata proprio di fronte a lui, ad appena un passo di distanza
Malcolm
Le sorride lievemente nonostante la serietà, quando si incontrano finalmente. Trattiene un po’ il respiro come se fosse indeciso su come agire, si guarda rapidamente intorno con aria forse sospettosa ed una certa ansia. «Anche io, bene. E’ stata una lunga giornata.» commenta soltanto, alla domanda della compagna. Comunque non è evasivo ed appare sincero, probabilmente è solo la stanchezza del lavoro. «E devo ancora andare a prendere Buck» aggiunge, la peste è impegnativa, lo sanno già. «Ci sediamo un po’?» propone da lì a un attimo, accennando ad una panchina.
Ginevra
Vedendolo guardarsi attorno a quel modo resta un momento interdetta per poi annotare «non preoccuparti, non pensavo di saltarti addosso qui su Jackson Square» sorride lievemente nel dirlo, non c'è alcun sarcasmo nel tono, solo una punta di divertimento affettuoso. Annuisce poi «come sta andando l'addestramento?» deve domandarlo a lui, perchè lei non gli dà comandi e quando lo fa, lo fa nel modo sbagliato quindi le è impossibile capire in cosa possa essere addestrato «certo» gli indica una panchina non distante «vieni...» inizia quindi a muoversi in quella direzione, restando comunque vicina al giornalista.
Malcolm
Si volta con una punta insopprimibile di sorpresa nello sguardo, quando sente quell’annotazione, evidentemente corretta almeno un po’. Sorride un po’ nervosamente ed annuisce con un lieve cenno, senza rispondere nulla, ma la smette di guardarsi intorno e si dedica interamente alla compagna. «Bene direi, impara velocemente. Ma non c’è fretta, è ancora piccolo.» spiega con un tono tranquillo, quasi di rassicurazione. Ginevra sa che Malcolm lo porta fuori la mattina all’alba, a volte anche la sera, così poi per loro fortuna il cane è esausto e in casa se ne sta buono. La segue poi per andarsi ad accomodare sulla panchina indicata e mentre si muove resta in silenzio qualche istante, cercando di rilassarsi un po’. Alza un momento gli occhi al cielo limpido e serale di New Orleans, respira profondamente. «Quando sarà finita quest’indagine sull’arciere e tutti gli annessi e connessi, se ti va possiamo fare un viaggio.» dice con calma.
Ginevra
Procede anche lei in silenzio verso la panchina e quando stanno per sedersi le arriva la proposta di un viaggio, quando tutto sarà tranquillo. Ne sembra sorpresa, quindi si prende il tempo di sedersi e sistemare il vestito che, seduta, è ancora più corto. Posa la borsa in grembo senza toglierla dalla spalla. «Dove ti piacerebbe andare?» gli domanda, supponendo che lui abbia già una destinazione in mente per fare quella proposta.
Malcolm
Si siede anche lui, proprio accanto a Ginevra, senza distanze ma con la solita postura composta e un po’ rigida. La osserva per recepire la risposta a quell’uscita sul viaggio, guarda come si sistema il vestito. Scuote il capo alla sua domanda: «In un posto che hai sempre sognato.» e in questo modo rimette la decisione a lei. Un gesto della mano, come a rappresentare qualcosa per aria, mentre continua a guardarla con devozione: «Abbiamo tutti gli Stati Uniti, il Canada e l’Alaska. Le bellezze del sud America, i paesi europei, gli assolati paesini della Spagna, l’arte italiana, le maree francesi, l’India, il Giappone, l’Africa…» elenca, solo a titolo esemplificativo. Sorride un po’: «Esprimi un desiderio e ci andremo.» le dice, annuendo per confermare le sue parole.
Ginevra
Assottiglia lo sguardo che è portato ad osservare i passanti, sembra dover riflettere «io ho sempre sognato New Orleans» sorride «per questo ci sono tornata» fa poi una pausa e riporta lo sguardo su Malcolm «L'Argentina» inclina la testa di lato, lo guarda ancora, forse vuole coglierne la prima reazione «vorrei vedere l'Argentina». Abbassa lo sguardo poi, ricordando qualcosa, qualcosa che a lui non ha detto e che non sa se ne è già a conoscenza. Rialza lo sguardo «Lucille è in Canada» e il fatto che non sa se per lui sarà una novità o meno, si coglie nel tono anche se non aggiunge la domanda.
Malcolm
Attende pazientemente e la ascolta, sorridendo un po’ alle prime parole su New Orleans. Poi però la sorpresa è genuina sul suo volto, schiude le labbra, inarca le sopracciglia e sorride più ampiamente: «Incredibile» scuote il capo «Anche io pensavo all’Argentina» rivela, con un tono più soddisfatto per questa curiosa coincidenza. Reazione, questa, che si smorza con rapidità incredibile quando sente di Lucille. Resta solo la sorpresa, ma cupa. Porta rapidamente lo sguardo a terra, deglutisce nervoso e assente col capo, mugugnando un verso basso che rende evidente come no, non lo sapeva che fosse in Canada.
Ginevra
Solleva anche lei le sopracciglia sentendo che stavano pensando allo stesso posto da visitare «vedi che non siamo così... diversi?» e chissà se lui lo ha mai pensato, ma di certo si. Vedendo poi la sua reazione a quanto detto di Lucille, solleva la mano per appoggiarla al braccio di Malcolm «mi dispiace�� che sia in Canada? Di averlo detto? Che lui l'abbia presa male? Non lo specifica, ma aggiunge «me lo ha detto quando ci ho parlato, le avevo chiesto di vederci e mi ha detto di essere in Canada» spiega.
Malcolm
Sorride divertito alla sua prima domanda, retorica. E poi cade giù rovinosamente, all’improvviso. Resta inerte quando la compagna poggia la mano sul suo braccio, si sforza di controllare le compulsioni che vengono insieme a pensieri e ricordi intrusivi ed ossessivi. «No, va bene» mormora basso ed evasivo al dispiacere esternato da Ginevra. Incapace di trattenersi, inizia a tamburellare freneticamente le dita della sinistra sulla gamba corrispondente, mentre ascolta le ulteriori specifiche. Ci pensa su un momento e va a sistemare il nodo della cravatta, per istinto. «Sicuramente è stata in Canada solo per pochi giorni» decide, mentendo a sé stesso prima di tutto. Si auto-convince di questo ed annuisce, tirando nervosamente su col naso. «Non la chiamare Lucille. Non è un’estranea.» aggiunge in una decisa annotazione su quel nome utilizzato, mentre si sistema per la seconda volta il nodo della cravatta e poi torna a picchiettare le dita compulsivamente. Lui la chiama sempre Lucy, il nome originale è come un’aberrazione del suo mondo.
Ginevra
Allontana la mano dal braccio di Malcolm, assegnando un significato di inutilità al gesto, a causa delle conseguenze o non conseguenze. «Mi è sembrato vivesse lì» commenta alle sue parole, quasi in un mormorio, come se non volesse contraddirlo. Resta qualche istante in silenzio, poi corruga la fronte «beh, per me lo è.» fa un momento di silenzio prima di proseguire «lei si è presentata così»
Malcolm
Inspira più profondamente e al primo commento di Ginevra, ribadisce testardo: «Sicuramente erano pochi giorni.» nel tono la vaga supplica che sia quella versione ad essere accettata. Quindi spiega, dietro al suo bisogno compulsivo che tutto sia in ordine, anche i nomi delle persone: «A lei piace farsi chiamare Lucy. Io l’ho sempre chiamata Lucy. Chiamala Lucy, per me, per favore.» si aggrappa ai dettagli, piega un po’ il capo, resiste a quel male che sente dentro. Non guarda mai Ginevra nel frattempo, tiene lo sguardo a terra o sulla mano che ripete il suo gesto rapidamente, ancora e ancora. Aggiusta il nodo della cravatta per la terza volta: le compulsioni sono l’unico modo in cui mostra il proprio malessere, per il resto è altero e compassato, controlla le emozioni in modo tanto più maniacale quanto più sono forti. Dopo un po’ di silenzio, mormora: «Scusami. Scusami..» ripete, cercando timidamente una mano della compagna con la propria.
Ginevra
«Posso sapere in che modo cambia la tua vita se vive lì o se era lì per pochi giorni?» domanda perplessa, il tono è leggermente urtato dalla sua insistenza su quel particolare e la domanda non è retorica, vuole capire. Sospira e annuisce «la chiamerò Lucy» in fin dei conti per lei non ha nessuna importanza il modo in cui viene chiamata, non è fissata con i nomi da dover necessariamente usare il nome esatto. Appoggia le mani sulla panchina, ai lati delle proprie gambe, afferrandone il bordo. Lo sguardo torna sui passanti e le labbra sono piegate in una smorfia seccata: è un'espressione solo appena visibile. Ovviamente ha notato tutte le sue compulsioni, ma non dice nulla in merito. «Figurati» risponde alle sue scuse e non riesce a nascondere un accento sarcastico.
Malcolm
«Non cambia.» butta fuori, in un mormorio, alla prima domanda «Non cambia niente.» conferma, stringendosi rapidamente nelle spalle, gesto che prova a far cadere il discorso. Annuisce in un cenno di ringraziamento verso Ginevra che si premurerà di chiamarla Lucy, poi assorbe il tono sarcastico della compagna, chiudendo brevemente gli occhi per cercare di non pensare a quanto possa averla ferita. Non può farlo proprio ora. «Solo pensavo fosse più vicina. Più raggiungibile.» aggiunge con voce più incrinata. «L’ultima volta che l’ho vista e l’ho sentita è stata quando mi ha portato le carte da firmare.» quelle del divorzio intende. Lo dice con un nodo alla gola.
Ginevra
«Strano» solleva le sopracciglia «sembrava proprio di si» Perde il cenno di ringraziamento, lo sguardo è in avanti, ma non importa, quella del nome è una sciocchezza. Serra le dita alla panchina sentendo la sua motivazione, espira dal naso cercando di farlo in maniera silenziosa «Beh, lo è» fa una pausa «raggiungibile.» specifica dopo un istante. Scrolla le spalle quando le comunica del loro ultimo incontro «solo perché non le rispondi al telefono» lasciando intendere che se rispondesse, in tutta probabilità l'avrebbe vista altre volte. Serra le labbra, girando il capo per guardare i passanti ,almeno in apparenza, proprio dall'altro lato di dove è seduto Malcolm. Dopo qualche secondo «devo tornare a lavoro» non è vero probabilmente, il tono continua ad essere urtato, per quanto cerca comunque di trattenerlo. Si alza e sposta la borsa su un fianco, poi passa le mani sulla gonna, come per liberarla da inesistenti pieghe.
Malcolm
Non le risponde a quello che dice, si limita ad ascoltare incassando le sfumature della sua voce. Riflette sulle parole di Ginevra, ma lo fa in silenzio, annuisce prima di sentire che sta per andare via. La vede anche alzarsi. «No, no, ti prego.» la implora, tornando a guardarla in volto e cercando di posare velocemente una mano su una di quelle di Ginevra che lisciano la gonna. «Non te ne andare. Ti prego.» la supplica in tono abbastanza allarmato. «Un attimo fa stavamo immaginando di andare in Argentina… e poi…» scuote il capo ed aggrotta la fronte, amareggiato, quasi a chiedersi cosa sia successo, cosa è andato storto. «Mi dispiace. Non era niente. Solo un brutto momento.» scuote ancora il capo per rafforzare le sue affermazioni e cercare di trattenerla.
Ginevra
Si lascia prendere la mano, ma resta in piedi, non sembra intenzionata a sedersi di nuovo. Annuisce alle sue parole «si, stavamo parlando di andare in Argentina, ma magari preferisci il Canada» lo guarda in viso mentre lo dice e l'espressione è indurita «non si è trattato di un brutto momento» obietta «Mi rimproveri che non guardo quelle foto con te, ma non sono ricordi per te, sono solo cose sospese» Corruga appena la fronte «io sono un intermezzo. Un "anche"» facendo riferimento alle sue parole circa il fatto che non la ama in sostituzione, ma in più. «mentre aspetti che tua moglie torni» scuote appena il capo e si riprende la mano, liberandola dalla sua presa «e io dovrei stare ad aspettare con te...» sbuffa una mezza risata amara «chiamala, fammi il sacrosanto piacere di chiamarla, almeno saprò se l'intermezzo è finito o può proseguire» abbassa poi il viso per portare lo sguardo a terra «ho...» alza le mani mostrandogli i palmi «ho bisogno di stare per conto mio» non è una ripicca, non è la realizzazione di quel "e se lo dicessi io a te", da come lo esprime appare essere un reale bisogno «ci vediamo a casa» aggiunge «più tardi»
Malcolm
Ginevra gli rigetta addosso un mucchio di parole e di espressioni e gesti che lo turbano profondamente. Non riesce a risponderle nulla, non riesce proprio a parlare, semplicemente resta a fissarla con gli occhi lucidi, immobile. Deglutisce e annuisce meccanicamente più volte, ha l’aria sconvolta ed assente, specie verso la fine. Inizia a tremare internamente prima ancora che all’esterno, se ne rende conto e improvvisamente, dopo vari secondi di immobilità, letteralmente scappa via, correndo in modo piuttosto goffo ma intenso verso l’uscita dalla piazza, con la sensazione di impazzire che gli esplode in testa e che non potrà trattenere prima di arrivare in macchina.
Ginevra
Lo osserva fuggire via. Letteralmente. Socchiude gli occhi e si risiede alla panchina. Ormai è da sola. Resta lì seduta a far niente, per un paio d'ore. Estrae il cellulare dalla borsa, infine e lo attiva, scrive un veloce sms e dopo averlo fatto, ripone il telefono e si alza. Sistema il vestito e si avvia verso il centro della piazza per attraversarla. Cammina senza alcuna fretta, come fosse ancora una turista, come fossero ancora i primi giorni in città. Se necessario resterà a dormire nell'appartamento sopra la libreria in cui, fortunatamente, ha lasciato alcune cose, di servizio e per le emergenze. Certo non immaginava questo tipo di emergenza.
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Chapter 75 - Palafitta dei Sogni, Matairie e Lake View
Malcolm
Sono le 6:30 in punto, perché Malcolm è una persona precisa lo sappiamo. Dopo aver preparato la colazione per Ginevra, posizionato tutto alla perfezione su un vassoio con un piccolo vaso di fiori di campo raccolti negli spazi verdi intorno alla casa, va verso la stanza da letto. Poggia momentaneamente il vassoio a terra, prima di affacciarsi alla porta per verificare se Ginevra sia sveglia o stia per svegliarsi. Vuole fare le cose per bene insomma. Malcolm indossa solo una camicia azzurra e dei pantaloni scuri con una cintura.
Ginevra
La sveglia ha suonato da meno di un minuto, l'ha spenta e si è rigirata tra le lenzuola per andare ad abbracciare il cuscino. Indossa una sottoveste verde/blu e il letto è decisamente sfatto per averci dormito una sola persona. Stringe il cucino, stirando al contempo i muscoli della schiena, con un mugugno che suona molto di protesta, verso il mondo. I capelli sono arruffati e l'aria assonnata, tiene gli occhi chiusi in una opposizione testarda al doversi alzare. Non si accorge di Malcolm che si affaccia sulla porta.
Malcolm
Per qualche momento sta fermo sull’uscio, osservando in silenzio Ginevra che si sveglia. Solo poco dopo muove i propri passi dentro la stanza, cercando di avvicinarsi a lei con la cautela adeguata a non spaventarla. Raggiunto il lato del letto dove è sdraiata la compagna, va ad accovacciarsi sulle ginocchia. «Ehi.. buongiorno.» la saluta con un tono di voce basso e calmo, di quelli che non vogliono forzare il risveglio bensì accompagnarlo. Tenta di accarezzarle delicatamente la guancia esposta.
Ginevra
Riapre gli occhi su Malcolm e certo non si sottrae a quella carezza «Buongiorno» risponde con un sorriso, appena accennato, ma spontaneo. Si stiracchia ancora restando abbracciata al cuscino, poi «non sei venuto a dormire...» mormora con espressione interrogativa, sui motivi più che sul fatto che è assodato.
Malcolm
Le sorride di rimando, anche lui in modo appena accennato ma affettuoso e calmo. «Sì, scusami. Ieri volevo aspettarti ma sono crollato prima del previsto e mi sono svegliato questa mattina.» spiega con tranquillità, intendendo bene che Ginevra stia chiedendo i motivi del suo essere rimasto a dormire sul divanetto esterno. «Acciaccato direi» commenta fra sé e sé, con una punta di autoironia. Quel divanetto di vimini probabilmente è anche piccolo per lui. «Ho una cosa per te.» le anticipa, andando quindi ad alzarsi e a recuperare il vassoio con la colazione che posa sul comodino. Ci sono due piattini entrambi con un coperchio improvvisato per fare in modo che il cibo non si raffreddi. C’è un mug di caffè ancora fumante e lo sciroppo d’acero, un tovagliolo con due cucchiaini e forchetta, nonché, come anticipato, un piccolo vaso con qualche fiore di campo freschissimo, raccolto non più di un’ora prima. Il tutto disposto perfettamente. «Mangia quello che più preferisci.» le dice, aspettando che lei sia pronta per porgerle il vassoio e cercando di sedersi al margine del letto.
Ginevra
Si desta meglio quando sente che c'è qualcosa per lei e si solleva a sedere sul letto, cercando di sistemare il cuscino dietro la schiena. Ora si vede meglio quanto siano arruffati i capelli. Strofina gli occhi con le mani chiuse a pugno e guarda il vassoio, solleva entrambi i coperchi per guardare cosa si nasconda al di sotto, ma li riabbassa «oh grazie, è come essere in albergo» prende quindi la tazza per bere il primo, lungo, sorso di caffè della giornata. Negli alberghi frequentati da Ginevra portano la colazione a letto? Così sembrerebbe, lei intanto «mh-mh» commenta alle motivazioni di Malcolm sul non dormire con lei e non sembra voler approfondire la cosa. Posa la tazza e si dedica a entrambi i piatti, dolce e salato.
Malcolm
Una volta datole il vassoio con la colazione resta a guardarla, in silenzio, con una vaga espressione sorridente, affettuosa. Sembra aver lasciato da parte quello che è avvenuto ieri. «Be’ spero sia meglio dell’albergo. A meno che non ti sia innamorata di ogni cameriere che ti ha portato la colazione.» una pacata ironia nel tono di voce. Continua ad osservarla, negli occhi una luce di dedizione affettuosa, la cura per lei, un’adorante contemplazione di questi momenti della sua vita quotidiana a cui può avere la fortuna di assistere. «Ti amo» le ricorda, osservandola, un po’ timidamente.
Ginevra
Solleva le sopracciglia al commento sui camerieri che portano la colazione «beh no, non ognuno» beve un sorso di caffè «....qualcuno». Posata la tazza prende lo sciroppo d'acero e inizia a spremerlo in abbondanza sui pancake. Gli sorride rendendosi conto di come la guarda e posa lo sciroppo per sollevare le mani verso i capelli per sistemarli. Provarci almeno. «anche io ti amo» risponde senza smettere di sorridere e desistendo dal sistemare i capelli arruffati, gesto inutile se uno ti ama anche di prima mattina, in quelle condizioni. «tutto bene?» domanda infine.
Malcolm
Sorride lievemente al suo commento sui camerieri, per poi tacere a parte quel “ti amo” che riempie un po’ anche lui, dirlo quanto sentirselo dire. Il sorriso si amplia un po’, divertito, nel vedere lei che si sistema i capelli e poi desiste. Senza anche solo pensare di esternare qualcosa a riguardo, ripensa ai capelli di Lucille, ingestibili di prima mattina, ed al loro profumo. «Sì, tutto bene.» commenta con calma, annuendo pure alle parole, mentre continua ad osservarla. Solo un minuto dopo, prova a dirle: «Ho deciso che ci provo, a venire con te dal terapeuta, se può renderti più felice.» afferma ora con estrema serietà.
Ginevra
E come sempre, per fortuna Ginevra non legge i pensieri di Malcolm e mai le verrebbe in mente che, proprio in quel momento, mentre la guarda, sta pensando ad un'altra ricordandone il profumo. Tale incapacità, negli esseri umani, di leggere nel pensiero, è quanto mai caritatevole per l'ignara Ginevra. Quasi si strozza con un pezzo di pancake quando sente le parole di Malcolm, si prende il tempo di deglutire, bere un sorso di caffè e poi lo guarda leggermente sospettosa «sei sicuro?» certo che è sicuro o non lo avrebbe detto «cosa... cosa ti ha fatto cambiare idea?»
Malcolm
Abbassa lo sguardo quando si accorge di quella reazione alle sue parole. Alla domanda della compagna, risponde dopo qualche momento: «Ti amo, ecco tutto. Non voglio che tu soffra, voglio che tu sia felice.» dà semplicemente questa come spiegazione per il suo cambiare idea. Certo, non è un decisione facile. «Non posso prometterti nulla però. Cercherò di comportarmi bene.» chiarisce infatti, con lo sguardo basso. E’ un salto nel vuoto per lui, è terrorizzato ma non lo dà a vedere, appare austero e granitico, pur se strofina lentamente le mani sulle cosce.
Ginevra
Ascolta la sua risposta osservandolo attentamente, inclina appena la testa di lato «ma io sono già felice» fa una breve pausa «vorrei che lo fossi anche tu» Prende poi il vassoio con entrambe le mani e lo sposta di lato, dove il letto è libero e si sporge verso di lui, con l'intenzione di appoggiare la mani al suo viso «Grazie» avvicinandosi poi di più per baciarlo sulle labbra, un bacio delicato.
Malcolm
«No, non sei felice.» replica con un tono e un volto molto serio. Non ha un tono brusco o secco, ma solo di amara constatazione, si sente in colpa probabilmente. Mentre se ne sta a sguardo basso percepisce gli spostamenti della compagna, il vassoio messo di lato e lei che si avvicina. Le permette di appoggiare le mani al viso e a sua volta, forse con un attimo di titubanza per via di quell’aria più accigliata che ha assunto, solleva le proprie per coprire quelle di Ginevra. Si lascia baciare e ricambia con altrettanta delicatezza, pur senza rispondere al ringraziamento.
Ginevra
Sospira alla sua risposta, ma si dedica a ringraziarlo e a lasciargli quel bacio sulle labbra «Credimi, non sarà nulla di invasivo e magari il terapeuta potrebbe decidere che non c'è bisogno che tu venga» sorride «ti amo e davvero sono felice con te, non avrei lasciato il quartiere francese altrimenti» gli accarezza il viso ancora, per poi far scivolare le mani verso il basso sul suo petto «hai fretta di andare?» gli domanda appena mormorato, col viso vicinissimo al suo.
Malcolm
«Hm» mugugna, pacato ma indeciso, alle parole della compagna su questa nuova esperienza. «Hai fatto qualcosa di simile prima?» le chiede, riferendosi probabilmente all’andare da un terapeuta. Stira un mezzo sorriso un po’ più disteso nel sentirsi ripetere che è felice con lui e non aggiunge altro sull’argomento. All’ultima domanda replica: «E’ ancora molto presto e ho portato Buck a fare una passeggiata poco meno di un’ora fa» e quindi no, non ha fretta, si intende.
Ginevra
Annuisce alla prima domanda «durante l'università» ma lascia cadere l'argomento senza approfondire. Alla sua risposta sul tempo a disposizione avvicina il viso al suo collo per baciarlo, mentre le mani si dedicano a sbottonare la camicia «bene...» commenta solo tra un bacio e l'altro.
Malcolm
Annuisce pure lui nel sentire che Ginevra è già stata da un terapeuta durante l’università. Non intende approfondire dato che la compagna per prima non vuole. «Fammi solo sapere con qualche giorno d’anticipo quando sarà l’appuntamento.» le chiede e sembra proprio sottintendere che non ne vuole sapere nulla, per il resto. Né chi sarà, né dove sarà. Cerca di abbracciarla per qualche momento quando lei si avvicina a baciargli il collo, le lascia sbottonare la camicia, mentre lui lentamente sfila le bretelline della sottoveste dalle spalle e a sua volta cerca un bacio più lungo sulle labbra.
Ginevra
«Prometto» gli bacia ancora il collo, ogni bacio è più passionale di quello che lo precede «che... non avrai ... fastidi» e bottone dopo bottone apre la camicia e infila le mani sotto di essa per accarezzare la pelle prima del torace, poi spostandosi dietro la schiena, lasciandolo solo il tempo di lasciargli sfilare le bretelline della sottoveste; riavvicina le labbra alle sue per condividere il bacio sulle labbra.
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Chapter 74 - Audubon Park
Malcolm
Le temperature sono quasi estive in quel di nola e la coppia sta trascorrendo la giornata al parco, ovviamente col cane. Dopo aver fatto un pic-nic, si presume che ora si siano dati entrambi ad una tranquilla passeggiata per digerire (?). Specie Malcolm, che come sempre è una persona proprio vorace! No, mangia poco, ma se non altro finisce sempre e rigorosamente quello che ha nel piatto. Probabilmente avrà dato il guinzaglio a Ginevra, così anche lei si diverte a portare in giro Buck dato che solitamente se ne occupa sempre Malcolm; lui avrà insistito per portare il cestino e quello che hanno con loro per il pic-nic. Dato il clima, il giornalista indossa un completo blu scuro con una maglietta bianca e gli occhiali da sole. «Vuoi un gelato?» domanda a Ginevra, spontaneamente come è venuto il pensiero. Sarà perché sa che da quelle parti, non distante, c’è il classico furgoncino.
Ginevra
Cammina al fianco di Malcolm, tiene il guinzaglio di Buck, ma se lui parte all'improvviso dietro a un piccione o simili, lei si ritrova trascinata avanti per qualche passo prima che riesca a ridare una presa salda al guinzaglio. E' appena avvenuto proprio uno di questi episodi quando il giornalista parla di gelato, «gelato...» ci riflette sopra, poi annuisce «vada per il gelato». Indossa degli shorts di jeans e una canottiera verde. I capelli sono sciolti e ai piedi indossa delle scarpe da tennis bianche. Ha a tracolla una borsa rossa, di pelle morbida, al cui interno tiene tutto il necessario. Individua il furgoncino e si muove in quella direzione.
Malcolm
Per tutto il tempo è stato l’uomo placido, riservato e a tratti statuario, che è facile immaginare, e lo è tutt’ora, in una sorta di inerzia caratteriale, tranquilla ma comunque corredata dal solito senso maniacale dell’ordine, durante un pic-nic quanto in casa. Distende l’espressione in un vago sorriso ogni volta che Ginevra si fa trascinare in avanti dal cane, non le dice niente, tanto ormai Buck avrà capito che la “severità” nella coppia viene dal giornalista. Infatti quando è con lui cammina sempre di fianco, mai davanti. «Bene, andiamo a prendere il gelato.» conferma nel suo fare taciturno, molto più predisposto ad ascoltare che non a parlare. Osserva spesso Ginevra, con discrezione. Dopo qualche istante di silenzio chiede, soltanto ora: «Ti senti meglio di questa mattina?» memore di come fosse tesa e nervosa. Spera che le ore passate insieme siano servite per stemperare un po’ i suoi pensieri negativi.
Ginevra
Al pari di Malcolm è stata di poche parole, oltre i commenti sul tempo, il cibo, il cane, la libreria... il più e il meno, insomma. «Quali sono i tuoi gusti preferiti?» domanda mentre raggiungono il furgoncino del gelataio. Non risponde subito alla sua domanda perdendosi nel tentativo di rimproverare Buck senza però avere riuscire ad avere nel tono di voce un'aria abbastanza convincente. Sospira guardando il cane «sono proprio negata...» l'attenzione va poi su Malcolm e alza le spalle «no, ma non fa niente»
Malcolm
«Hm cioccolato credo.» risponde nel modo più pacato che si possa immaginare. Da notare il “credo” che dà un’impercettibile sfumatura di indecisione o di inesperienza a riguardo. Sorride in modo leggermente più ampio nell’osservare Ginevra che cerca di rimproverare il cane e dopo le sue parole successive aggiunge: «Non puoi importi solo con le parole, altrimenti non capirà. Se non vuoi essere trascinata in avanti, strattonalo un po’ con il guinzaglio e fagli resistenza. Vedrai che è un cane incredibilmente veloce nell’imparare.» le consiglia, se non altro perché ha fatto esperienza a riguardo. E non deve essere il primo cane che ha. Il tono che usa non è certo di chi vuole avere la supremazia sul cane, ma non c’è dubbio che Malcolm sia una persona autorevole e di polso. Nel sentire la successiva risposta, la guarda intensamente per qualche secondo e chiede: «Posso fare qualcosa?» d’altronde, lei è quella che pone la stessa domanda a lui, spesso.
Ginevra
«Il mio pistacchio» lo guarda «non sei sicuro che sia il cioccolato?» domanda perplessa. Poi lo ascolta sul cane «è che mi dimentico del guinzaglio!» insomma lei no, non è proprio abituata a portare un cane. Ha un po' il broncio, non con Malcolm, in generale, perché si rende conto di non essere in grado di gestire il cucciolo. Alla sua richiesta se può fare qualcosa alza di nuovo le spalle «vuoi scrivere l'articolo al mio posto?» la domanda è retorica, sa che non vuole farlo.
Malcolm
Si stringe nelle spalle, con aria gentile: «Non sono un tipo da dolci e gelati. Solo raramente.» spiega con la consueta riservatezza. Sbuffa una mezza risata a proposito del guinzaglio: «Imparerai. L’importante è che ti piaccia il cane. So che è impegnativo..» e questo è il motivo per cui è quasi sempre Malcolm ad occuparsene, non vuole gravare la compagna del peso di un cane che in fondo non ha scelto. Alla domanda sullo scrivere l’articolo, la fissa un attimo: «Posso aiutarti a scriverlo, farlo con te. Ma sai che ho scelto di non associare pubblicamente il mio nome a questo caso.» le ricorda pacatamente. Il Malcolm che cammina a fianco alla compagna è una figura quanto mai equilibrata e salda, di quelle che ispira sicurezza, quando riesce a tenere sotto controllo la sua natura ossessiva.
Ginevra
Annuisce «certo che mi piace» indica Buck «è tenerissimo» porta lo sguardo in avanti essendo arrivato il loro turno «Cioccolato e basta?» domanda a Malcolm prima di procedere con l'ordinazione dei due gelati e mentre sono in preparazione riporta lo sguardo sull'uomo «si, lo so» riferendosi alla scelta sul caso «secondo te perché non hanno fatto il nome? Non dico solo nell'intervista, anche la procura» corruga la fronte «se hanno fissato la data del processo significa che avevano abbastanza elementi per portarlo in tribunale e pensare di arrivare a una condanna» riflette un momento «credi che lo stiano tutelando?»
Malcolm
«Forse è il caso che lo lasci a me, mentre mangi il gelato. O te lo fa volare via probabilmente» basta che prenda a tirare in avanti con la sua forza da cane lupo. Propone così e, in caso Ginevra acconsentisse, lui è pronto per prendersi il guinzaglio e darle il cestino e qualsiasi altra cosa si stia portando dietro. Annuisce per l’ordinazione, confermando di prendere solo quel gusto. Ricambia lo sguardo di Ginevra mentre la ascolta, con grande attenzione. Riflette anche lui nel frattempo e dopo la domanda finale, resta qualche istante in silenzio: «Mi viene difficile esprimere un’opinione a riguardo, avendo potuto leggere solo quello che è emerso dalla stampa. Non so perché lo abbiano fatto, in primis gli avvocati difensori della Trigard. Tieni in considerazione la presunta scomparsa della testimone chiave, collega della vittima. Ci sono anche indagini in pieno corso. Insomma» si interrompe un momento per recuperare i due gelati che vengono porti dal gelataio e consegna a Ginevra quello che le spetta. Continua: «può essere che lo stiano tutelando, certo, ma non ne possiamo essere certi. Può anche darsi che temano ritorsioni su quell’altra ragazza. Non lo so.» spiega, iniziando ad allontanarsi dal furgoncino dei gelati verso una panchina.
Ginevra
Gli passa il guinzaglio senza farselo ripetere «si, grazie» e prende il cestino del pic-nic prima, il gelato poi. Lo ascolta e scuote il capo «se hanno fissato la data del processo tutto quello che gli serve per incriminarlo ce l'hanno già, altre indagini possono solo essere accessorie» sospira «quindi non può essere per le indagini. Non c'è motivo di segretezza da quando la polizia passa gli atti al procuratore... quindi... perché lo proteggono?» Inizia a mangiare il suo gelato al pistacchio, riprendendo a camminare lungo il viale
Malcolm
Ovviamente paga i gelati prima di andare via, quindi la ascolta nuovamente. «Te l’ho detto, non lo so.» torna a rispondere, stringendosi amaramente nelle spalle. «Non c’è motivo di segretezza fra loro, né da parte della procura e di nessun altro. Ma non ti chiedi perché gli stessi avvocati difensori di Trishelle vogliono nascondere quel nome al pubblico?» le domanda, ripetendo un punto che ha già espresso e che evidentemente non ha alcun senso. Le chiede insomma se pensa che anche gli avvocati difensori di Trishelle stiano proteggendo il colpevole, cosa che non avrebbe senso. «E’ possibile che ci sia anche di più di ciò che è emerso. Spesso è così, Ginevra.» le ricorda, se non altro per l’esperienza che ha.
Ginevra
Scuote il capo «gli avvocati di Trishelle possono aver deciso di lasciar la patata bollente alla procura, di fare il nome, intendo, in fin dei conti è compito della procura rispondere ai cittadini, non di Trishelle e dei suoi avvocati». Guarda il gelato che ha mangiato quasi per metà, poi si guarda attorno e appena individua un cestino, si muove in quella direzione «comunque... lasciamo stare» non sembra avere voglia di proseguire sull'argomento.
Malcolm
Annuisce alla ricostruzione di Ginevra, credibile di certo, non lo si mette in discussione. «E la ragazza di cui non si hanno notizie?» chiede però, dopo, per ricordarle quel tassello importante nello schema. Comunque non si oppone quando Ginevra vuole chiudere il discorso, che lei stessa ha aperto. Prende altro gelato col cucchiaino, visto che lui l’ha voluto nella coppetta. «Ad ogni modo, se fossi in te, farei una chiacchierata con Miss Keaton per avere chiarimenti. Anche se non devi necessariamente riportarlo nell’articolo, può essere tuo interesse vedere cosa ti dice o non ti dice a riguardo.» le consiglia, pur non volendo addentrarsi nel discorso, motivo per cui è un suggerimento che mette lì a disposizione ma non insiste. Intanto Buck, accortosi che è Malcolm ad avere il guinzaglio, “magicamente” gli trotterella a fianco e se ne sta buono.
Ginevra
«Sarà stata pagata» si stringe nelle spalle «se la procura ha agito come i legali di Trishelle dicono, è probabile che non abbiano fatto nulla per rintracciarla, nemmeno controllare il suo conto in banca» sbuffa e raggiunto il cestino, lascia cadere all'interno il gelato. Resta con lo sguardo basso ascoltando Malcolm, porta poi le mani verso le tempie a massaggiare con la punta delle dita la fronte, dura solo un momento «No» rispondendo al fatto di parlarle con Nora. Scuote il capo rialzando lo sguardo e allontanando le mani dal viso, sistema al gomito il cestino da pic-nic «voglio dire, sapranno cosa fare» alza le spalle e si gira verso Malcolm «basta, ok?» il tono è di supplica
Malcolm
Mugugna un verso di comprensione ma non troppo convinto alla spiegazione della compagna sulla testimone mancante. La osserva mentre getta nel cestino il gelato: «Non ti è piaciuto o non ti andava? Lo hai buttato via…» commenta dispiaciuto per la fine che fa quel cibo. Pur sempre cibo no? La osserva e continua a rendersi conto del suo stress, il che lo fa amareggiare. Non insiste, fa silenzio, annuisce all’ultima specie di domanda. «Andiamo a sederci lì, vieni.» la invita con un tono basso ed affettuoso anche se sempre in modo molto riservato e discreto. Lui continua a mangiare il gelato: come ha detto, non è un grande amante dei dolci e dei gelati, ma come sempre non lascia niente di quello che gli tocca mangiare. Si rende conto, forse per la prima volta, come Ginevra non sia effettivamente in grado di fare la giornalista, non autonomamente come sta accadendo ora. E non è un pensiero negativo su di lei, semplicemente una constatazione.
Ginevra
Guarda il gelato nel cestino e risponde «No» alla sua domanda, senza chiarire a quale delle due parti si riferisca, corruga appena la fronte, non ha cercato un senzatetto a cui darlo, come avrebbe fatto di solito, ha visto un cestino e si è diretta semplicemente lì. Forse è questo pensiero che le fa corrugare la fronte, ma porta lo sguardo su Malcolm a quell'invito a sedersi a cui risponde semplicemente seguendolo. Raggiunta la panchina, posa il cesto da PicNic e si siede «come va all'fbi?»
Malcolm
Incassa quella risposta monosillabica senza dire nulla, sa che la compagna è di malumore e cerca di non metterle pressione. Una volta sedutosi sulla panchina, prosegue finendo il gelato, mentre Buck decide di imitare i padroni e sale sulla panchina con un piccolo balzo. Malcolm subito gli dice: «No, scendi.» il cane lo guarda con aria da tonto: «Giù!» insiste il giornalista che gli dà una spintarella con la mano sulla schiena per indurlo ad obbedire. A quel punto Buck scende giù: «Bravo..» aggiunge Malcolm, dandogli una vigorosa carezza sulla testa e sul collo. Il cane però si poggia per un po’ col muso sulle gambe del giornalista e questo gli viene senz’altro concesso. Dopo tutto questo l’uomo risponde a Ginevra: «Al solito. Nessuna novità sulle indagini.» si stringe nelle spalle, non ha molto da dire ed è sincero. Una volta terminato il gelato, mette da parte la coppetta sul sedile, riservandosi di buttarla dopo. Così cerca di avvicinarsi un po’ a Ginevra, cercando di approcciarsi a lei in un abbraccio. Sta in silenzio per un po’, per poi dirle facendosi molto più serio: «Ascolta, riguardo a quello che mi avevi proposto...» non lo menziona, ma sta parlando chiaramente dell’andare insieme da un terapeuta. Prende un profondo respiro, cercando di spiegarsi nel migliore dei modi: «Io non voglio dirti di no, non voglio certo negare una tua necessità. Ma insomma… credi che possa funzionare? O meglio, credi sia davvero necessario?» chiede titubante, un po’ accigliato, guardandola e cercando allo stesso tempo di stringerla a sé.
Ginevra
Sorride osservando la scena tra Malcolm e Buck, allunga anche lei la mano ad accarezzare la testa del cane quando appoggia il muso sulle gambe dell'uomo. Annuisce all'indicazione sulle indagini «e a quanto pare anche senza scorta non è successo nulla» sorride appena a Malcolm, lascia che le circondi le spalle e lei porta il braccio alla sua vita, infilandolo sotto la giacca. Abbassa lo sguardo quando lui introduce il discorso del terapeuta, immaginando che stia per dirle qualcosa di poco piacevole. Sospira alle sue domande restando in silenzio qualche secondo prima di rispondere «Tu che ne dici?» la domanda non è retorica e riporta lo sguardo su di lui nell'attesa della risposta
Malcolm
«Già» commenta soltanto, in tono neutro, nel sapere che non è accaduto nulla di letale in assenza di scorta. E almeno in apparenza il giornalista è tranquillo, da questo punto di vista. Di tanto in tanto accarezza un po’ Buck che poi si sdraia per terra sonnacchioso, anche se non dorme. Si lascia abbracciare alla vita, rinsaldando la presa sulle sue spalle delicatamente. Quando la domanda gli viene rigirata, abbassa lo sguardo e sospira restando un po’ in silenzio, serissimo in volto. «Dico che non lo so. Io non credo molto in questi interventi, specie in una coppia.» ammette con amara sincerità. Appare confuso. «Ci siamo conosciuti da pochissimo in fondo. Di certo non siamo anime gemelle.» nessuna offesa no? lo sanno benissimo entrambi. «Credo sia normale dover trovare un equilibrio e metterci del tempo. Tu… insomma, tu hai ventisette anni, sei nel fiore degli anni ed è ovvio che voglia avere tutto e subito. Ma sai che non funziona così e non possiamo pretendere che le cose funzionino diversamente solo perché lo vogliamo. Quindi dico che non c’è niente da aggiustare in e fra noi due.» si esprime così, per poi aggiungere: «Ma questo è ciò che penso io e come ti ho detto, non voglio negare una tua necessità se la reputi tale, non posso e non voglio costringerti a fare una scelta solo sulla base di una mia opinione. E siamo alle due domande di prima, a cui vorrei una risposta. Schietta.» precisa, dandole un’occhiata.
Ginevra
Lo ascolta e mano, mano che lo ascolta la sua espressione si fa sempre più perplessa «Non credi in questi interventi... perché hai riscontri sul loro mancato funzionamento?» domanda curiosa ma anche un po' provocatoria. Annuisce appena con le labbra serrate «non così poco da non andare a vivere insieme però» annota e si coglie che qualcosa l'ha indispettita, il tono è infatti seccato. Resta qualche istante in silenzio a labbra serrate «io sono giovane e voglio tutto e subito» ripete portando lo sguardo in avanti, espira dal naso subito dopo. Allontana il braccio dalla sua vita per appoggiare entrambe le mani sul bordo della panchina, di fianco alle proprie gambe, afferrandolo. Resta in silenzio per un poco, l'espressione seria e riflessiva «Si e si» Risponde «oppure non te lo avrei chiesto» riporta lo sguardo su di lui «ma tanto è inutile se pensi che sia una perdita di tempo» scrolla le spalle, un movimento leggero visto che non stacca le mani dalla panchina.
Malcolm
Si rende conto, man mano che riceve risposte verbali e non da Ginevra, che come al solito ha rovinato tutto, quello che voleva essere un discorso pacifico e sincero. E questo sarebbe anche la prova che forse il terapeuta ci starebbe eh! Cerca di lasciar sedimentare un po’ quelle risposte, a cui a sua volta non replica, a parte amareggiarsi quando lei scioglie l’abbraccio. Tiene lo sguardo basso, prova a rimediare a qualcosa. Almeno a qualcosa. «Non intendevo dire che vuoi tutto e subito in senso.. arrogante, ok?» chiarisce. «Con me hai molta pazienza, lo so fin troppo bene. Dico solo che hai l’irruenza tipica della tua età. Non c’è niente di male.» cerca di spiegarsi meglio e non è un riparo inventato al momento, è proprio sincero nell’esprimere quello che intendeva. Ha capito di aver usato un’espressione poco consona: la controindicazione di calare le proprie barriere davanti ad un’altra persona, la controindicazione di essere sé stesso ed un po’ quell’adolescente socialmente impacciato che è ancora tanto in lui. Inizia comunque a farsi più teso indubbiamente, gratta lentamente e ripetutamente le dita di una mano sui pantaloni. «Come pensi che andrà dal terapeuta? Ci farà parlare dandoci qualche consiglio scontatissimo, io andrò nel panico e, a rigor di logica, quello da aggiustare, fra di noi, sono io.» dice con amarezza perché non può certo negare l’evidenza. «E’ ridicolo. E’ come avere dietro i genitori che ti dicono come comportarti.» commenta più nervoso. «Poi non riuscirò neanche a guardarti negli occhi…» non finisce la frase e le domanda: «Tu non senti neanche un po’ di imbarazzo a dover spiattellare la tua vita privata, intima, ad un estraneo?» e glielo chiede non in senso retorico, ma proprio cercando di capire come funzionino tutte queste persone che non sono lui e che riescono a raccontare di sé stessi senza troppi problemi.
Ginevra
«Lo so cosa intendevi» replica, ancora seccata «non si tratta tutto e subito o di pazienza, si tratta di mancanza di strumenti» sospira e scuote appena il capo perché non è certa di riuscire a spiegarsi «non serve tempo, non è il tempo per trovare un equilibrio che serve. So già come trovare un equilibrio, so anche come non mandarti nel panico e so come non farti diventare ansioso quando mi relaziono con te» più che detto, sembra sputato fuori «basta che io non faccia domande, basta che io mi comporti come se tu fossi un estraneo quando siamo fuori casa, basta che eviti di cercare di andare a fondo alle cose e ai discorsi a meno che non siano di lavoro o prettamente pratici» annuisce, piega le labbra poi «perché se non faccio così, poi non so come gestire la cosa e non perché non ti conosco, ma perché non ho gli strumenti per farlo. Io non so come fare a parlare con te!» esclama, senza tuttavia alzare la voce. Era da questo che era nato il discorso e a questo torna. «Nessuno deve essere aggiustato Malcolm...» col tono un po' rassegnato di chi non sa come fare a far comprendere questa cosa. «Un estraneo che è un dottore, non vai mai da un dottore? Non ti senti neanche un po' in imbarazzo a dover parlare con lui ... che ne so... qualsiasi sia il motivo che ti ha portato lì?» domanda perplessa e retorica, rispondendo così alla sua domanda. «Non fa niente» conclude «non avrei dovuto chiedertelo»
Malcolm
La ascolta in silenzio, talvolta deglutisce nervosamente ed aggrotta la fronte, riflettendo su quello che dice Ginevra. E automaticamente, a prova di quello che lei sta affermando, diventa teso ed ansioso e inizia a picchiettare le dita della mano libera dal guinzaglio sulla gamba corrispondente. Lo nota, lo sa, per questo borbotta in un mormorio appena udibile: «Mi odio» perché non può fermarsi in quella compulsione, perché sa che Ginevra ha ragione. «Sì, per questo evito di andarci, a meno che non sia indispensabile.» commenta riguardo all’andare da un dottore, come se la domanda di Ginevra non fosse affatto retorica «E poi il corpo è totalmente diverso dal parlare del resto, della vita di coppia.» aggiunge, e poi tace, con lo sguardo intenso e l’aria accigliata, puntati a terra.
Ginevra
Guarda la sua mano che picchietta, ma comunque sa che il discorso lo rende nervoso o ansioso. «Non fa niente» ripete, in fin dei conti non è sorpresa dalla cosa, se l'aspettava. Ci ha provato comunque, doveva farlo prima di rinunciare. «Fai come se non te lo avessi chiesto» si volta a guardarlo ora e gli rivolge anche un leggero sorriso che, seppur spontaneo, appare abbastanza spento. Era quello che lui poteva fare per lei, ma lascia cadere l'argomento definitivamente. Resta in silenzio qualche istante forse dandosi il tempo di accantonarlo «che ne dici se lasciamo il cestino in auto e andiamo a cena su Bourbon Street?»
Malcolm
Scuote lievemente il capo alle prime parole di Ginevra, quel “non fa niente”, per poi ricambiare lo sguardo della compagna, sfuggente ma non tanto da non notare il sorriso spento e la rassegnazione. Non le risponde nulla al momento, prosegue nel suo silenzio e abbassa di nuovo lo sguardo. Non risponde neanche a quella domanda successiva, più pratica, perché è troppo immerso nei propri pensieri. Tace ancora per un po’, diversi secondi sicuramente, e continua a tamburellare freneticamente le dita sulla gamba, teso e dritto fino alla rigidità. «No» risponde, senza essersi reso conto dell’ultima domanda, la fronte che non ha mai smesso di essere contratta in un’espressione cupa. «Non riesco a fare finta di niente.» afferma. Dopo appena qualche istante, si volta verso di lei formulando frasi diverse: «E se poi non ti piacesse quello che comprendi di me, quello che vedi?» chiede, con un tono che può essere benissimo lasciato all’immaginazione. La paura è più che palese e si capisce bene anche di cosa abbia paura. Deglutisce nervosamente, al solo pensiero che genera la domanda e che allo stesso tempo ne deriva.
Ginevra
Si sorprende a quel "no" che segue alla sua domanda sul prosieguo del pomeriggio e della serata, ma l'espressione si distende quando lui prosegue e chiarisce a cosa si stava riferendo. Sospira quindi, voleva davvero accantonare l'argomento, ma la sua domanda non può lasciarla andare senza risposta «ma che stai dicendo?» fa una pausa «e se non dovesse piacermi...» allarga le braccia «cosa vorresti...? Che io non debba mai scoprirlo?» corruga la fronte «e sto parlando per assurdo» specifica, poi scuote il capo «Ti sei fatto di questi problemi con Lucille?»
Malcolm
Ascolta quelle risposte, gli si fanno gli occhi lucidi e li abbassa prepotentemente, per coincidenza proprio nel momento in cui viene nominata la ex-moglie. Li chiude, a quel punto, lasciando cadere qualche lacrima già annidatasi negli angoli. Quel combo di risposte lo riporta indietro a ricordi pessimi e non si rende conto del silenzio che scorre, a malapena è consapevole il gesto piuttosto nevrotico di passarsi una mano sulla fronte, massaggiandola. Fino a che non sussulta, come se si risvegliasse da un momentaneo incubo, e si ritrova a sentirsi smarrito e solo. Evita il discorso su Lucille, cerca di concentrarsi sul resto. «Forse sì, forse vorrei che tu non lo scoprissi mai. Non te lo meriti. Se poi pensassi che non ne è valsa la pena… amarmi?» confessa. D’altronde, glielo ha anche detto, la moglie lo ha lasciato dopo tutti quegli anni perché si era trasformato in qualcuno di diverso, qualcuno che la ex-moglie non riconosceva più. E se è naufragato un matrimonio così, che chance avrebbe una relazione così travagliata e così recente?
Ginevra
Il silenzio si prolunga e, nonostante tutto, alza il braccio più vicino a lui per infilare di nuovo la mano sotto la giacca di Malcolm e appoggiarla sulla sua schiena. Non fa altro, non dice altro finchè non giunge la risposta «Sicuramene non merito di scoprirlo, quando potresti essere tu a dirmelo.» fa una breve pausa «di qualunque cosa si tratti» Resta in silenzio alla domanda che conclude le parole del giornalista, potrebbe apparire che debba rifletterci, in realtà sta pensando alla cosa, ma non in termini di riflessione «Ti amerei comunque» gli risponde e poi aggiunge «se ti amo già così, senza nemmeno riuscire a parlarti» sorride di nuovo, di quel sorriso spento «e poi la stessa cosa vale per te nei miei confronti»
Malcolm
Annuisce più volte, alle parole di Ginevra, tornando a dare un’occhiata al suo sorriso spento che per un attimo contempla. Scuote il capo alla fine: «Non c’è niente che non vada in te.» le dice, con la massima serietà e non è una frase a cuor leggero o detta come un mero complimento. Con una certa indecisione, torna a cercare anche lui un contatto, portando il braccio dietro la schiena di Ginevra, anche se le dà il profilo. Dopo alcuni secondi ancora le dice: «Ho bisogno di restare un po’ da solo. Non te la prendere, ti prego. Torno a casa, se per te va bene, ti aspetto lì. Possiamo fare l’amore se vuoi, per iniziare bene la settimana.» propone, nonostante le abbia detto di necessitare un po’ di tempo per stare solo. Evidentemente si tratta solo di poco.
Ginevra
Estrae il cellulare che vibra e lo attiva, apre wathsapp e corruga la fronte e risponde con tre invii differenti ma consecutivi. «Scusa...» dice a Malcolm per quella distrazione. «Come fai a saperlo? Cosa sai di me?» domanda dopo le sue prime parole. Si gira a guardarlo quando prosegue e annuisce alla sua necessità di restare solo, l'espressione palesa che non è felice, ma non è qualcosa a cui intende opporsi «come ti sentiresti, tu... se fossi io a dirti che ho bisogno di restare da sola?» non sembra volere una risposta, anche se la domanda non è retorica. Sospira poi «Possiamo fare l'amore se vuoi» ripete le sue parole «quanta passione» aggiunge sollevando le sopracciglia. Toglie la mano dalla sua schiena per prendere il cesto del pic-nic posato di fianco sulla panchina, nell'altra mano tiene ancora lo smartphone che vibra di nuovo. Passa il cesto a Malcolm «lo porti a casa tu?» e questa domanda è invece retorica, visto che lei probabilmente si muoverà in bicicletta.
Malcolm
La vede rispondere al cellulare e non si impiccia, scuote il capo al suo “scusa” come per dire “non preoccuparti”. Quindi risponde alle domande successive: «Non è una questione di sapere. E’ una questione di … fede.» risponde, forse risultando un po’ enigmatico. E vede di nuovo il contrario della felicità nei suoi occhi, deglutisce e risponde, sentendo un’angoscia devastante rimontargli dentro. «Lo capirei.» risponde a voce bassa alla domanda successiva, sul restare soli. Al resto non dice una parola, incassa quelle specie di battute, abbassa lo sguardo e annuisce alla richiesta finale. Preso il cestino si avvia insieme al cane, un po’ come un automa./end
Ginevra
«Che potrebbe comunque indurti in errore su di me» si riferisce alla questione di "fede", scuote il capo poi alla sua dichiarazione che lo capirebbe «no, staresti a domandarti dove hai sbagliato, e lo sai», poi gli passa il cestino e dedica qualche carezza al cucciolo prima di lasciarli andare. Resta lì seduta, dopo che Malcolm è andato via, fortunatamente nonostante l'andare delle ore, la temperatura resta accettabile e quindi non risente del fatto di essere in shorts di jeans e canottiera verde. A tracolla e appoggiata sulla panchina ha una borsa rossa di pelle morbida. Osserva i passanti che si fanno sempre più radi, riflettendo sulla conversazione avuta con la fronte che va a corrugarsi di tanto in tanto.
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