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Marracash - Crazy Love 2021 x Marina Abramovìc & Ulay, Rest Energy 1980
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Schivare la vita significa non riuscire a salire su quel treno che alle stazioni rallenta giusto un po’, su cui salgono al volo i vincenti e gli integrati per sedersi insieme a quelli che in prima classe ci sono nati.
Schivare la vita significa perdere le occasioni migliori e accorgersene ogni volta senza riuscire a dimenticarselo mai, significa sentire costantemente quel senso di inadeguatezza, smarrimento e fragilità che Zerocalcare ha saputo raccontare magistralmente anche nella sua Serie Tv, che racconta alcune giornate di chi nella vita sta “impicciato” come una matassa enorme di cavi dietro a un televisore collegato su L’albero azzurro.
È anche (ma non solo) il ritratto di una generazione, quella dei trentenni come noi, che sono cresciuti nella promessa di abitare un nuovo piano del grattacielo sociale e che invece sono finiti a camminare tra le macerie, e a ogni passo finiscono con l’inciampare, creando altre macerie.
E, come tutta l’opera di Zerocalcare, è anche un richiamo ironico e dolce per tutti coloro che, nonostante gli sforzi, non riescono a trovare “naturale” questo sistema, questo mondo, questa vita.
Per usare le parole de “L’eccezione e la regola” di Brecht,
“E – vi preghiamo – quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: "è naturale" in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile”.
Con questa atroce consapevolezza nel cuore una via di sopravvivenza, se non di salvezza, si apre attraverso un’altra domanda, dolcissima e spietata:
S'annamo a pijà 'n gelato?
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Sono la mamma di quel bambino che oggi, in piazza della Vittoria, ha giocato coi tuoi figli adolescenti.
Li abbiamo osservati a lungo, tra un lancio di pallone ed una sigaretta smezzata.
Tra lo scazzo di chi vede tutto grigio.
Come solo l’adolescenza può rendere la vista, alle volte.
Mio figlio ha due anni e guardava i vostri con gli occhi pieni di gioia.
Avevano un pallone.
Stavano giocando.
Alla fine quel pallone è arrivato proprio vicino ai piedi di Vittorio, sapete?
E poi dai, Vittorio è un bambino di due anni, loro stavano palleggiando facendo una specie di gara a chi lo faceva con più scazzo.
Eppure.
Eppure...
Eppure tuo figlio ha preso il mio mano nella mano e lo ha invitato a giocare.
Ha sorriso per ogni palla lanciata, per ogni calcio scoordinato e mancato.
Hanno battuto il 5.
Lo hanno chiamato “campione”.
Siamo andati via per non disturbare troppo, perché mio figlio ha due anni, il tuo ne avrà quasi 18.
Eppure.
Eppure è stato al gioco.
Ha capito quanto era importante, per mio figlio, giocare con i grandi.
Ed alla fine il risultato è che mio figlio rideva ed anche il tuo.
Se vuoi sapere cosa ha combinato il tuo adolescente scazzato nel pomeriggio di oggi, sappi che ha giocato a calcio con un bambino di due anni.
E che forse non tutto è perduto.
-A. Manzi
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