ingombrantipiccoliniente
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Bevendo il midollo della vita
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Farsi di sguardi, fino a sballarsi di poesia.
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ingombrantipiccoliniente · 4 months ago
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Quando mi guardi respiro di nuovo.
Ieri abbiamo condiviso un letto in cui non mi hai toccato. Mi ha toccato, mi ha ferito a sufficienza da chiedermi cinicamente che ci faccio ancora qui. Il sesso con te è forse stato più importante per me che per te. Mi arrovello il cervello chiedendomi se quelle tue mani immobili siano state il sintomo di un disagio grande. Ti prego resta. Resto in bilico tra i miei pensieri complessi. Detesto che spesso i miei siano solo passi complessati.
Ieri sera ho fatto parte del tuo gruppo di amici senza esserne parte. Regola numero 1: non toccare la vita di altri con le mani sporche. Non faccio parte del tuo gruppo di amici, mi chiedo se faccio parte della tua vita. Affogo nell’incertezza di questi dubbi prematuri.
La notte dormi con due cuscini, ogni tanto mi tocchi, mi domando se mi cerchi e mi trovi o solo ti espandi in un normale spasmo notturno.
Ti distrai un attimo e il sole è tramontato, un altro tetto l’ha inghiottito e magari domani si fa coraggio e torna. Sono tornate di pensieri sparsi che non hanno una meta precisa.
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ingombrantipiccoliniente · 4 months ago
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Più che di prese di fiato ho bisogno di prese di coscienza. Non guardarmi come se non ti avessi ferito e non cercarmi ancora la prossima volta che sentirai un vuoto da riempire. Non voglio i tuoi baci per riempirmi la bocca, non voglio le tue mani addosso. Quello che non capisci è come facilmente sfilo via dai tuoi programmi e quanto questo nostro ping pong sia frutto della mia paura di non trovare altro. Non di non trovare di meglio, proprio di non trovare altro. Non voglio essere questa persona perché so che qualcosa è destinato a me, forse non necessariamente quell’amore, forse più ragionevolmente un gatto. Non voglio l’infelicità di fare perché devo. Voglio amarti perché mi va.
Sento i miei passi in quelle stanze, non so però se i miei occhi saprebbero adagiarcisi felici. Mi rimbomba dentro che te ne sei andato senza dire addio, forse mi esplode dentro solo il fatto di non essere stata abbastanza importante. È sempre un fatto di ego, qui il mio, altrove il tuo. Sono venuta in ufficio per i cetrioli dimenticati nel cassetto e per l’aria condizionata. Ti invidio un po’, perché hai avuto il coraggio di sfidare la paura, di non farti scalfire dal poco entusiasmo e di non farti fermare dal grigio di Milano. A me invece manca sempre il cielo, anche in questa città grande che mi sta come i capi di un altro. Sono discorsi senza capo né coda, perché non so dove voglio andare. Vado alla cena di commiato, odio non avere un posto. Vorrei un posto nel tuo cuore. Di quest’anno mi rimane una manciata di giornate insopportabili e poca luce in fondo al tunnel. Vorrei sapere che esisti. Oggi mi manca tutto, soprattutto quello che ho. Mi sento sola, sola in queste quattro mura a battagliare con chi non sa nemmeno di essere sceso in guerra. Che quest’anno è passato lo sanno solo gli alberi, mica i miei occhi che sono rimasti incollati a questo schermo, mica le mie mani che sono rimaste fredde nel gelo dell’attesa. Vorrei sapere che qualcosa è destinato a me.
Mi ha nauseato sapermi nei suoi pensieri. Un culo è solo un culo, quando lo dico nemmeno si scompone, come chi brinda e poi non beve. Per come mi hai guardato quella sera avremmo dovuto rimanerci dentro per tutta la vita e, invece, dalla tua vita sono andata via senza voltarmi indietro. Mi chiedo se sei sereno, mica se le sue mani ti bastano, solo se le sue mani ti scaldano.
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ingombrantipiccoliniente · 6 months ago
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Più di coccole e baci, più di fazzoletti sporchi e calzini aggiustati, più che canzoncine cantate in coro e favole della buonanotte. Non saprei essere tua madre, esserino. Non so tenermi in piedi senza ballare nel vento e a forza di giocare ad acchiapparella con l’equilibrio finisci scosso a terra.
Ho tenuto in braccio i figli di altri e ho lasciato che il mio cuore si espandesse al ritmico respiro dei loro sonni. Ma tu mi ci vedi madre? Glielo ho chiesto una sera qualsiasi tornando da non ricordo dove. Non volevo mica una risposta, era solo una domanda retorica per disinnescare la sua voglia di essere padre e il mio disprezzo per l’essere madre. C’è chi nasce madre, avrei dovuto dirglielo per evitare fraintendimenti in questa storia che poteva essere l’unica cosa a nascere. C’è chi nasce madre e lo vedi nelle mani che, caute ma fiduciose, ti aspettano, esserino. Io cauta non ho mai saputo esserlo e quell’insoddisfazione che mi brucia la gola non mi fa stare ferma abbastanza a lungo da permetterti di trovarmi.
Saprei, forse, restare immobile nel terrore di ferirti ma, pur non muovendo un muscolo, ti sto già uccidendo esserino: ti sto buttando in questo mattatoio di amore al contagocce e lacrime a iosa. Guarda il cielo come è grande, esserino, ma non lo sai che non esiste paracadute quando cadi?
Esserino, le mie mani non saranno mai abbastanza grandi per far volare liberi i tuoi sogni e i miei passi non riusciranno mai a guardare sufficientemente lontano per permetterti di andare oltre. Esserino, io non saprei dosare il peso specifico dei miei abbracci e con il calore dei miei baci rischierei di spegnere quella tua fiamma che andrebbe solo alimentata con leggere spinte verso l’esterno.
Esserino, io non saprei restare: ho negli occhi i padri che hanno saputo guardarmi e poi non guardarmi più.
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ingombrantipiccoliniente · 6 months ago
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Sei stato tante prime volte. E quando ti guardo dormire mi chiedo quante ultime volte sarai in grado di essere. Ieri sera ho pulito il moccolo ai bambini dei tuoi migliori amici. Mi chiedo se guardandomi in quel momento tu mi abbia vista. Perché io, ancora per la prima volta, mi sono vista e mi sono vista come una persona capace di amare, capace di prendersi cura dell’altro, capace di lasciarsi amare. Ieri sera mi sono sentita una bella persona da avere intorno. Mi chiedo se tu te ne sia accorto. Mi spaventa chiedermelo perché mi espone al rischio gigante di rimanere delusa. Con te ho imparato una cosa fondamentale: prendere la vita come viene, che si sostanzia nell’incassarne i colpi ma accettarne le carezze. Con te ho imparato che rimango “uno” anche se passi la tua domenica a montare con me i miei mobili. Sara mi ha detto “accontentati”. Ma io nell’insoddisfazione ci sguazzo troppo bene. Con te non ho quella complicità che sogno caratterizzi la storia d’amore della mia vita. Però, con te, ho imparato che la vita ancora non la conosco e che per svelarsi serve tempo. A quel tempo sto lasciando la possibilità di costruire senza pretese che questa impalcatura diventi un palazzo. Con te ho imparato a parlare al presente. Non so se sia stato con te o se tu ne sia stata la causa scatenante. Ciò che so è che spesso sorrido quando ci sei. So anche che quando ci sei mi capita lo stesso di svegliarmi di malumore. Con te e poi senza di te faccio tante cose che mi fanno paura e che poi non mi fanno paura più. Davanti ad un tavolo da biliardo, venerdì sera, ho pensato di essere parecchio inadatta se mezzo metro più in là una partita era animata da baci intensi, tacchi alti e birra fredda. Davanti a quello stesso tavolo da biliardo ho accettato di essere me, con i miei jeans e le mie guance rosse. Davanti a quello stesso tavolo ho capito che se domani te ne vai - quando domani te ne andrai – il mio aplomb perderà l’equilibrio quel millesimo di secondo che serve per ricordarmi di essere viva. Quando te ne andrai concentrerò le mie mani a tenere stretto ciò che in tua presenza sono riuscita a diventare. Quando te ne andrai continuerò a provare cibi nuovi e cercherò spiazzi da cui si vede il cielo decollare solo per sentirmi ancora ridere. Quando te ne andrai mi aggrapperò al calore della tua mano sulla mia coscia nelle notti verso casa. Ma oggi non penso che ad oggi. E oggi la tua mano mi perfora i pensieri.
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ingombrantipiccoliniente · 10 months ago
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Ho passato un altro compleanno a chiedermi come fosse possibile non essersi ancora incontrati. Mi perdo un po’ nelle canzoni di altri che non possono parlare di noi. M. fa il simpatico, io annaspo cercando la voglia di restare. Mica una ragione valida, solo una scintilla che sappia riscaldarmi. Il calore del tuo fiato è talmente distante che non ho superfici su cui disegnare il futuro. Ieri sera mi serviva un concerto e, invece, mi sono addormentata in un letto vuoto. Mi dico che quella insoddisfazione che mi anima in queste settimane sia frutto dell’instabilità lavorativa che mi perseguita. Invece, temo che sia una paura latente che non ho parole nuove per definire. Finisco sempre in questo circolo vizioso della paura, dove rincorro ciò che mi spaventa senza dargli un volto.
Un anno fa, D. cercava invano di programmare un incontro e io, con discreto successo, giocavo a nascondino. Mi merito le mie mani fredde. Lui mica me l’ha rinfacciato, io, però, sono consapevole anche degli errori che ho commesso nelle vite di altri. Se mi guardasse ora e mi urlasse contro che merito di trovare me stessa in altri, probabilmente fraintenderei. Le parole sono tiranne e lui mica lo sa. Ho già visto me dentro le mosse di altri, sono stata spettatrice e attrice della noia di altri, mi sono prestata ai rimandi di altri e sono stata investita dalla delusione derivante dal poco o totalmente assente amore di altri. Molto più preoccupante, però, è che mi sono vista dentro gli occhi di altri. Ma questo mica significa che sono appartenuta ad altri. Significa che ho cercato gli occhi di altri solo per vederci riflessa me. Significa che le mie carezze erano destinate a sfamare il mio ego e che i miei passi non erano dettati dall’amore per altri ma dalla mancanza di amore per me. La sindrome da specchietti retrovisori mi ha colpito sempre, soprattutto con D. Rettifico: la mia sindrome da specchietti retrovisori ha colpito soprattutto D. Non so, e questo spesso mi ha turbato, se D. con tutte le sue languide parole sia mai stato sincero o se, semplicemente, cercasse con parecchio dispendio di energia di raggiungere un non bene identificato obiettivo. Se fosse stato sincero, ora sarebbe molto ferito. Se fosse stato sincero, le sue ferite gli avrebbero impedito di ripresentarsi alla mia porta. Chissà se poi è vero, chè il dolore non mica è una grandezza universale.
Ho ancora voglia di restare e lo vedo nell’eccitazione del telefono che squilla, nella curiosità di scoprire e nell’illusione di capire. Però, negli ultimi tempi, solo la rabbia mi fa parlare. Mi sono detta che quello che mi manca è una chiave di interpretazione di questi miei pensieri a casaccio. Mentivo. Non mi serve qualcuno che mi sveli il sottotesto di queste mie divagazioni. So già che alla paura puoi dare molti nomi. Nel mio caso, sono sempre i soliti: rabbia, insoddisfazione ed insopportazione. So che G. non mi ha mai voluto bene e che io non mi sono permessa di conoscerlo a sufficienza per poterlo guardare, figuriamoci amare. So che D. mi ha tenuta tra le braccia un po’ ma so anche che in quell’abbraccio rimbombava un cuore solo. So che M. non ha a cuore il mio successo ma scelgo di credere che non voglia nemmeno essere il fautore del mio fallimento. So che 105 mq vuoti mi fanno terrore ma so anche che il silenzio che aleggia in quelle stanze è al contempo assoluzione e condanna. So che D. non ha la mia stessa risata e come puoi ballare se non sei sintonizzato sulla stessa frequenza? So che mi cibo di metafore, ma il concetto qui è molto banale: cerchi di far combaciare i contorni ma colori solo fuori dai bordi.
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ingombrantipiccoliniente · 10 months ago
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La verità è che se una mattina ti alzi e decidi di tornare a piè pari nella vita di chi hai abbandonato ai margini della tua storia, allora sei tu ad avere ad un problema. Sei tu che non ti lavi le mani prima di toccare un cuore che non ti appartiene. Non hai giustificazioni, non hai scusanti.
La verità è che se decidi di non andartene, allora stai accettando di restare. Stai dicendo che tutto ciò che non funziona è trascurabile e che tutto ciò che ti ferisce è digeribile. Ancora una volta, sei tu ad avere un problema. Sei tu che non riconosci la differenza tra la fragilità dell’amore e la debolezza del tuo stomaco. Non hai alibi, non hai sgravi.
La verità è che quando chiudi la finestra non puoi pretendere che il sole entri dalla porta. La verità è che non puoi aspettare che il tempo ti uccida mentre lo ammazzi. La verità è che non puoi fare la morale ad un cielo che si annuvola se poi tu non sai ridere di gusto. La verità è che non trovi mai ciò di cui hai bisogno, trovi sempre quello che cerchi.
Senza salvezza, metti in fila i passi per sbagliare ancora perché respiri il vento senza imparare a volare e, invece di capitalizzare le prese di fiato, ti riempi la bocca di prese di posizione.
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ingombrantipiccoliniente · 1 year ago
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Mi sono svegliata infelice. Sì, hai capito bene: infelice, mica stanca, mica stressata, mica insoddisfatta. Infelice. Sto cercando la strada per trovarti, non so quanto attivamente, ma nel dubbio alleno le mani a toccarti senza ferirti, ad afferrarti senza catturarti e a toglierti il respiro senza soffocarti. Questa mattina mi hai detto che posso farcela, che non sono mio padre e che negli occhi non ho neanche un accenno della sua ombra.
Mi sento sola. Anche se canto in macchina, anche se rido forte, anche se ho foto di qualcuno nudo sparse nei messaggi.
Mi sento sola e a te avrei potuto dirlo. Avrei dovuto dirti quanto ero sola mentre eravamo in due. Forse avrei dovuto dirti che ero ancora più sola quando eravamo in tre. Invece quando ti ho incontrato qualche sera fa sono rimasta frastornata dal fatto che parliamo della pioggia battente di un giugno insolito come se non avessimo mai condiviso lo stesso zaino molto prima che lo stesso letto.
Chissà che amore pensava di meritare. Vorrei metterlo seduto qui, davanti a me, e chiedergli se un elenco esaustivo di tutte le volte che ha sentito di meritare di più, esista davvero. Vorrei sapere se un amore migliore è stato il motivo che l’ha spinto fuori da quella porta. Chissà invece se, sentendosi vittima, non si è mai riconosciuto colpevole dei suoi tentativi falliti. Chissà se ci legano più gli occhi o questa incapacità di legarci.
Mi ferisce non essere stata la tua ancora di salvezza molto più di quanto mi dispiaccia che tu te ne vada. Mi ferisce non aver saputo tenerti in piedi quando ti sentivi scivolare, mi ferisce non aver saputo ricucire gli strappi causati da questo continuo andare, mi ferisce che tu non abbia sentito le mie mani sufficientemente salde per conservare i tuoi malumori. In realtà mi ferisce essere stata niente, quel niente gigante ci ha diviso senza che ci muovessimo da queste due stanze attigue.
Perché non mi basta? Mi manca andare a casa con te molto più di quanto possa mancarmi l’alba. Siamo già stati qui, dove niente mi scalfisce e mi riempio la bocca di frasi distratte. Con gli occhi disfatti non distinguo la pioggia dallo sporco che incrosta i vetri.
Ho paura di svegliarmi una mattina e di realizzare di essere stata lui tutto questo tempo. Mi dici “se qui non puoi amare, allora non restare”, ma io credo di non potermi amare né qui né altrove. Sono un paio di anni che macero nella convinzione che devo solo imparare a riposare quando sento l’aria mancare. A riposare, mica ad andare via. In questo momento, però, non riesco ad affermare con totale sicurezza che la mia voglia di mollare dipenda dalla stanchezza e non già da quell’infelicità che mi attanaglia. Pensa quante parole complicate ho dovuto scomodare per dirti che non so che cazzo fare. Guardo lo stesso cielo, dalla stessa finestra, con gli occhi brutti di chi cerca la fine. I problemi, quindi, sono veri o sfilano davanti ai miei occhi intenti solo a scovarli? Vorrei un bugiardino per queste quattro mura e un bicchiere di speranze per placare l’arsura di questa insoddisfazione.
Mi circonda un grande mal di testa, mi domando se la sua indifferenza è la risposta alla teoria dell’universo o se forse merito il silenzio per non aver saputo dare altro. Mi torturo le unghie pensando che forse dovrei scriverle, senza cadere nel balletto del disturbo. La sento lontana, mi sento stretta. Consumo quattro metri quadri di ufficio chiedendomi quale risposta dare ad una domanda scontata. Mi sento lontana, vorrei averla stretta.
Onnisciente, vorrei dirgli che mi hanno chiamato in modi peggiori. È quello che penso di meritare? Un paio di risposte vuote e qualche frammento di oggi è l’unica cosa che ho da offrire. Ho gli occhi stanchi e un’incapacità di amare che mi imbavaglia. Sento di non arrivare mai, di muovermi in modo frenetico, questo sì, ma di arrivare mai. Niente funziona, né dentro né fuori. Hai lasciato un mezzo disegno su una colonna bianca, mica hai lasciato me. Non è che non piaci, tu non esisti proprio. A volte mi sorride, anche quando mi giudica, mica mi ferisce.
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ingombrantipiccoliniente · 1 year ago
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Sconfinati, mica come i miei occhi, pieni di sospiri che non sai togliermi. Come chi si dice felice, poi si prende per mano e si porta a un concerto dove è facile essere un po’ più triste.
Inesistente, mica riempi gli occhi di qualcuno. Come chi smette di scrivere al passato, quasi imparare un indicativo presente sapesse darti forma.
Insaziabile, mica come la vita, più come il vento. Come chi ha imparato che l’amore fa baccano e ora coi sussurri non riesce a riempire le stanze vuote.
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ingombrantipiccoliniente · 1 year ago
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Un paio fa di pranzi mi ha canzonato ricordandomi che l’impegno non serve e che gli sforzi con cui gioco a fare Atlante non sono richiesti.
Davvero avrei voluto saperlo un paio di diottrie fa? Se l’avessi saputo avrei mosso solo il vento. Ti avrei forse tenuto la porta un po’ meno spalancata? Non ti illudere: siamo come le canzoni, finiamo molto prima di finire davvero.
Mi sono tagliata i capelli, ho una lentiggine sul naso, giro ancora attorno al sole, tutto nella norma. Piove tanto, stanno costruendo un palazzo dove prima c’era solo il cielo e dal tabaccaio sotto casa hanno finito le caramelle. In sostanza, sembra che il mondo avanzi. A me avanza un po’ di malinconia, quella classica da occhi stanchi e mani vuote. Compro nuovi cassetti per stringerci dentro sogni più grandi, cerco di ignorare che il vuoto che lasci non prende abbastanza spazio e che questa foga di rivalsa non mi sazia.
Mi ha tolto l’entusiasmo. Forse nemmeno se ne accorge, ma dire che la fatica profusa è un mero esercizio di stile, taglierebbe le gambe a chiunque. Mi faccio bastare l’aria viziata di questa stanza, per pigrizia, per paura. No, non è vero: il mio guinzaglio è la speranza.
Questo cielo grigio non mi abbatte, questa poca vita non mi finisce. Mi sono sfinita a forza di cercarti ma come me lo dico che non ho mosso un passo, non ho consumato gli occhi e non mi è esploso il cuore? Che occhi banali che mi ritrovo, chissà se riesci a rimanermi dentro. Agli occhi, mica al cuore, chè quello non sa farsi consumare. Solo amare non sarebbe bastato a tenerci stretti. Forse amarci, invece, avrebbe potuto salvarci.
Mi si scaldano le guance al pensiero del tuo fiato. Voglio le tue mani addosso, sentirmi persa nel tuo letto, non doverti chiedere se rimani.
Posso sopportare il suo sguardo, riconoscere la mia fortuna senza denigrare la fatica. Posso essere felice senza sentirmi completa. Posso cantare mentre preparo il caffè senza essere serena. Il cielo apatico ultimamente non mi sfama. Poi, una mattina qualsiasi, il sole mi scalda anche se nessun progetto è allineato. Nessuno spazio è occupato, sono solo prese di fiato, me lo ripeto per non morire soffocata dalle mie risposte lapidarie. Monosillabi che spargo in giro per illuderti di essere presente come non ti scordar di me ai bordi delle strade di città.
In quella foto non mi riconosco. Non ti voglio più, pensa che cosa stupenda. È disarmante, essere stati e non volere essere più. Non ti voglio più, pensa che cosa terribile. È rassicurante, non essere più e volere essere ancora.
Davanti alla sua ammissione di colpa sono rimasta senza fiato. Fatico a rimanere salda nelle mie convinzioni, vorrei andare un po’ più lontano, non voglio lasciarla. Ti ho fatto soffrire troppo da bambina, lo dice ma io ho lavato via la tristezza da ogni momento con il suo sorriso a cui il mio non assomiglia. Vorrei avere il suo coraggio, mica i suoi occhi, per dirti ancora che siamo come le canzoni. Non smettiamo mai di finire.
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ingombrantipiccoliniente · 1 year ago
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Ora ho paura.
Riesco a guardarti dritto in faccia e a dirti che ho le mani talmente piene di paura che non so sorreggermi in piedi. È reale e sta succedendo. L’ho desiderato e ho accatastato i mattoncini perché diventasse reale.
Ora accade.
E io non sono qui, non in questo istante. Sono con gli occhi pieni di lacrime mentre ti dico addio. Sono con le braccia piene di scatoloni. Sono con i piedi sui passi che mi separano da te. Sono lontana e non sono più tua. Sono stata tua tutta la vita, anche quando ero vuota, soprattutto quando ero sola. Ma ora no, non sono più tua ed ho paura che non essendo tua, io non sia niente. Pensare alla sconfitta mi demoralizzava, ma facendomi male mi teneva calda. Ora sento sulla pelle il vento che mi attira al suolo. Scarabocchio un altro pezzo di quaderno, per non affrontare i muri bianchi. Ho sempre pensato che nel silenzio quelli come noi ci muoiano. Non so se sono pronta ad andare via, io che negli ultimi sempre ho perfezionato l’abilità del restare. Mi spaventa il vuoto, il silenzio, la libertà. La chiamo desolazione. La chiamo sconfitta. Forse si chiama rinascita.
Dimmi di restare, dimmi di mandare a male questo piano. Invece mi guardi e mi dici che posso sciogliere i ghiacciai.
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ingombrantipiccoliniente · 1 year ago
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L’apatia del tuo sguardo me la sento incollata addosso come l’umidità di questi giorni tutti uguali. Incontrarti ieri sera al supermercato mi ha fatto rimbombare dentro quell’intimità invadente, come chi non riesce a dirsi ciao dopo essersi lavato i denti insieme una vita intera. Starti accanto è sembrato una vita intera. Gli schiamazzi dei bambini nel cortile affianco mi cullano in una mattina infinita in cui continuo a vederti chiudere la porta. Finisco un calcolo poi ti chiamo, è il valzer di pensieri che mi balla dietro gli occhi da quando non ti vedo. Da quanto non ti vedo cantare in macchina? Me lo chiedo mentre vorrei tenermi stretta alle emozioni ma, come sulle montagne russe, non trovo appigli. L’altra sera mi ha detto, tutta sprezzante, che nulla cambia se non cambio nulla. Mi è rimasto un sapore acre in bocca, come chi ha paura ma non lo sa dire. Ho paura e non lo so dire. In mezzo al traffico di questa mattina mi ha assalito la convinzione che rimarrò sola per sempre. Mi fa paura che forse mi vada bene così. Mi guardo intorno, non riesco a capire se la persona che sto diventando si avvicini ai sogni che ho. Ieri mattina mi sono imbattuta nei suoi successi e il cuore ha tremato un po’. Mi sta bene una vita senza successi? Non mi sta bene una vita in cui non riesco ad essere sinceramente felice dei successi altrui. Starti lontano sembra una vita intera. Prima cercavo di contare gli anni che ho passato in questo ufficio, sulla punta delle dita, però, mi rimanevano solo le volte che ti ho deluso. Mi sono delusa senza sosta, come chi mette a soqquadro la vita e non trova più i cassetti dove ha nascosto i sogni. Quanto ti ho lasciato andare quando la vita mi è sfuggita dalle mani? Nelle mani mi rimangono una manciata di convinzioni ingarbugliate e qualche progetto disinnescato. Inciampo nell’attesa di quella risposta, mentre mi domando se mi terrorizzi più un semaforo verde o uno stop. Gli stop servono per ripartire, sento ancora il tuo fiato caldo mentre lo sussurri piano. Mi serve solo un piano per imparare a respirare nella tempesta, come chi cerca l’occhio in mezzo al ciclone. Non ho fame. Starti accanto sembra una vita fa. Ho sete di successi ma ancora busso prima di entrare. Mi guarda con sdegno prima di dirmi che nessuno mi aprirà la porta e mi inviterà gentilmente a partecipare, ché siamo squali e ci sbraniamo a vicenda. Siamo umani, anche quando lo dimentichi. Vorrei che mi avesse riempito il cuore invece che la bocca. Starti lontano è sembrato una vita fa. Vorrei trovarmi a dirtelo nel reparto ortofrutticolo di una domenica pomeriggio svogliata. Invece mi circondo di persone a cui non interessa se sto in piedi, figuriamoci se sto bene. Chissà se bene davvero lo sei mai stato. Vorrei saperti ancora bambino, mica guarito, solo consapevole, solo presente, quasi sereno. Per curarti ci vorrebbe tuo padre, lo pensa ma non sa verbalizzarlo senza diventare carnefice. La carneficina di questo rapporto è stata silenziosa ma reiterata, moderata ma costante, circoscritta ma centrata. Cerco di incollare tutti questi rimasugli di vita mentre mangio male o non mangio affatto. Ho la bocca piena di fallimenti. Mi chiamo vittima ma con gli occhi appannati non saprei distinguermi dal colpevole. Chiedimi se voglio restare. Freno le mani molto prima dell’impatto con i tuoi mattini, non voglio farti diventare un danno collaterale. Chissà se non sa vedermi o se, semplicemente, non sono. La settimana scorsa mi sono guardata e ho costruito occhi nuovi, idee nuove, abitudini nuove. A te vorrei raccontarmi, farti parte dello spazio che mi compone, ma faccio ancora a pugni con la necessità di essere vista, troppo diversa dalla voglia che tu mi guardi. Se mi avesse chiamato ieri, mi sarei ancorata alla vita che conosco nascondendomi dietro la finestra per guardarti vivere ancora. Ancorata ad una indefinita mancanza non saprò mai trovare una cura per le nuvole. Ma le nuvole vanno e vengono, mica passano e non tornano.
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ingombrantipiccoliniente · 1 year ago
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Sto aspettando che il finesettimana appena passato defluisca. Non mi aspetto che tu attutisca il colpo. Guardando in un gelato senza coppetta mi hai detto che ti basta camminare e respirare. Non mi basta: voglio inciampare, voglio baciare. Non riesco a concentrarmi sui tasti, mi sfugge il tempo dalle dita. Parlo solo di me perché non riesco a vedere gli altri? Parlo solo con te perché non voglio avere a che fare nemmeno con me. Con la paura ci ho consumato le pagine e le scarpe, mica le bocche, mica le mani.
Siamo interscambiabili e io non lo so accettare. Non so riempire la tua sedia, non so lasciare quella in cui siedo. Qui non sono felice e non ho il coraggio di dirmelo.
La tua bocca sa di non accontentarsi, desidero non desiderarti. La sua bocca non riusciva a sapere di futuro. Sdraiamoci qui in mezzo alla strada con il cielo nero e i ciliegi in fiore. Dimmi come trovarti, anche se piove a dirotto, dammi un numero civico qualunque in cui cercarti, una finestra aperta, una cartolina senza francobollo tra le pagine di un libro. Rimango qui con la bocca piena di addi. Addio, che per noi sono state due parole. Come cadere a terra, rompere tutto, senza spostare niente. Avremmo dovuto fermarci prima di perderci dentro le bocche di altri. Avremmo dovuto svestirci prima di scoprirci. Avrei dovuto chiederti quale uscita prendere per accontentarsi, quali passi fare per bastarci. Avrei dovuto chiederti dove imbarcare le valigie per restare, avrei dovuto chiudere a doppia mandata la malinconia.
Un mucchio di parole per dirti che non abbiamo soluzioni, ci siamo persi cercando una destinazione quando sarebbe stato sufficiente respirare e camminare.
Lui pensa che continuiamo a perderci, io so che continuiamo a non piacerci abbastanza. Sto pensando a come sia restare. Questa mattina mi sono sentita sola, strano. E non solo strana.
Ho un ghigno sulla bocca e nessun mare in cui potermi cercare. È paradossale che ora mi senta naufragare.
C’è una foto in cui tu mi guardi e ridi. Guardi me che ho imparato ad essere altro ora che non mi guardi più. Rimani il mio sfondo del telefono, la mia password del wifi. Rimani la persona che, dopo di me, non voglio deludere. Pensa quante cose rimani senza rimanere davvero.
Negli ultimi 10 giorni ho capito che lui può toccarmi il collo senza stringermi il cuore mentre tu potevi aspettarmi alla fine della giornata senza rimanere ai margini della mia vita. Ho capito che per perdermi ho bisogno di una destinazione, non di una strada. Ho capito che per vincere ho bisogno di un avversario, non di una medaglia. Ho capito che per restare ho bisogno di una casa ma non di un tetto.
Vorrei dirti che non mi spaventa.
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ingombrantipiccoliniente · 2 years ago
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Ho una resa dell’82%, come una piastrella in due metri quadrati di cielo: insignificante, sproporzionata e insensata. Lui si complimenta, io mi annoio. Se fossi io la risorsa su cui ha avuto parole dure, non mi butterei in lacrime dal balcone. Tradotto: tutto ciò di cui mi riempio la bocca ogni giorno prende troppo poco posto nei miei occhi. La maledizione del non abbastanza. Come chi fa sporadicamente un salto, ma non torna mai. Come i tuoi scatoloni pieni e le giornate afose che sono seguite, come se una pretesa di caldo opprimente potesse sopperire alla tua stretta avvolgente. Ma forse tu, senza esserti bruciato, hai capito che a starmi vicino ci si scotta. Proprio tu che facevi piani di domani mentre io facevo il pieno di rimani. Sei felice? Me lo hai chiesto una sera qualsiasi, con un sole cocente e una scrivania piena di scartoffie. Sono grata. Mi sono così incastrata tra il pensiero di avere troppi capelli bianchi per essere leggera e al contempo troppi pochi per essere così pesante. Sei felice? Mi rimbomba nelle orecchie tra la mia voglia di partire, un interpello da scrivere e una manciata di scatoloni da fare. Dirti ciao come chi va via e poi ingoiare l’assenza come non fossimo fragili. Che poi rido, come quando mi hai urlato che siamo fragili, sì, ma come bombe, mica come fiori. Ricordo nitidamente il tuo profumo, evapora invece la tua voce. Quaranta secondi di audio in quaranta minuti di strada, perché lei mi ha guardato dritta in faccia e mi ha detto che perdere te non è stata solo una sconfitta. Ho smesso di piangere a Seven Sisters per ricominciare ad Harlow Town, perché perdere te è stata una disfatta clamorosa. Se fosse qui ora non lo chiamerei, e mi sono vergognata tanto persino a pensarlo. Se fosse qui ora comunque non saprei volergli bene, te l’avrei detto piano su quel balcone minuscolo di una casa ora abitata da altri. Guarda che si vede quando non sei felice. Ti accompagno in stazione, anche se alle partenze piango sempre, ché a forza di correre non si afferra niente. Cerco nei tuoi occhi un perché anche quando penso che sia tutto un caso. Ad avermi disarmato è stata la complicità, così spontanea e inattesa. Dormiamo insieme senza che serva una scusa, senza attrito e senza chiederci che ora sia. Odio dormire da solo e altre affermazioni che butti alla rinfusa tra un caffè e una checklist. A domani, e altre promesse che ci danzano sulle labbra che tentiamo di mordere per tenerci più stretti. Ma sappiamo solo volerci, e cerchiamo di afferrarci in modo talmente viscerale che poi non siamo in grado di riconoscerci tra i volti dei passanti. Ho una resa dell’82%, ma perdonami se mi hanno insegnato a leggere solo lo scarto del 18%. Il mio tempo buttato è il suo pallino giallo, i suoi 4k di maggior compenso, i suoi 4 anni di esperienza in meno. Il mio obiettivo mancato è l’entusiasmo affievolito, la noia latente, l’insopportazione costante. Giri intorno a ciò che non dico per non inciampare in recriminazioni a casaccio e invece poi finisco intrappolata nella sicurezza delle solite insicurezze. Sono legata da un lavoro che non so fare, sono ossessionata da un ragionamento che non so chiudere, sono intimorita da un’interpretazione che non so fare mia. Mi terrorizza non riuscire, mi tocchi i capelli mentre mi dici che non ti fa paura io fallisca. Ieri sera pioveva senza gocce e io abbozzavo una canzone di cui non ricordo le parole per non appassire nel silenzio delle stanze vuote. Sei felice? Mi chiami quando arrivi, mi scrivi quando parti, insomma, metti in fila i piedi per dirmi che ti manco. Io mi dondolo un po’ nell’incertezza di un cuore che non batte poi così forte, nella melodia accennata di un giro di chitarra che non mi spiazza, di un cielo con un tramonto che non mi incendia. Di cosa sei grata? Questo non me l’hai chiesto mai. Di perdere sempre l’equilibrio, di fare tante cose tutte consapevolmente male, di stringere i denti nel sentirmi stretta.
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ingombrantipiccoliniente · 3 years ago
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In fila per due i pensieri abbozzati, come in uno strano gioco a incastri trovare la causa senza conoscere l’effetto.
Barcollo, rintronata dal giro di giostra delle mie paure, vedo solo cieli ordinari e aperitivi annoiati.
Uno stupore candeggiato, proprio dei quasi 30 cullati dalle scadenze fiscali, dalle fatture da emettere e dalle rate dell’auto.
Un vento sordo anestetizza le giornate vuote, non so restare, non so andare. È il patibolo dell’attesa, l’incognita nelle equazioni della vita o forse solo la testa per aria senza bisogno di vino.
Ti trovo ancora, quando non riesco a ritrovarmi io e i miei occhi sono sempre più simili ai tuoi, nelle cotolette alla bolognese, nel profumo del primo autunno e nei tramonti di fine estate.
Ci sarebbero volute altre mani ad annodare abbracci e domani, senza il peso di carriere mancate, figli dimenticati e scelte obbligate.
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ingombrantipiccoliniente · 3 years ago
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Stesso incipit, stessi “dove stai”, stessi “dai fatti un giro che ti passa”.
Invece resto ferma, aggrappata alla convinzione che non stare bene qui, significa non stare bene altrove. Allora tengo la voglia di scappare ben salda al guinzaglio, e ignoro che la vita, invece di correre, prosegue per inerzia.
Vendi la moto, fai un figlio, trovi un lavoro stabile e sostenibile. Mentre lo dici sei un altro, non so nascondertelo e forse nemmeno ci provo. Però accusi bene il colpo, imbalsamato come sei nel solito stereotipo, fatichi ad accorgertene. Per fortuna ci sei tu, direbbe mia nonna, che io invece mi riempio ancora la bocca di perché, come quando avevo 5 anni.
Tu, invece, hai solo risposte ora: un mutuo a tasso fisso, un figlio, le ferie a ferragosto.
Diventi vecchio, senza diventare grande, ora che sei realizzato ti accontenti e non sogni più.
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ingombrantipiccoliniente · 3 years ago
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Una volta dicesti che quelli come noi non hanno bisogno di essere capiti, cullati, né tantomeno amati. Poi una sera qualunque sistemasti le tue giacche pesanti in una borsa grande e non ti voltasti. Capii allora che chi si porta via le sciarpe di lana e i bermuda, fa un viaggio dal quale non vuole fare ritorno.
Su di una cartolina di Natale scrivesti che quelli come noi passano la vita a cercare di rimanere soli. Ad oggi non so quante strade tu abbia percorso, in quali occhi ti sia scorto né in quali mani ti sia sporto. So però che nei miei occhi ritrovi lo stesso mare di niente che infuria nei tuoi, che nei miei capelli banali si intreccia la mediocrità della tua assenza alla prevedibilità delle mie insicurezze e che nelle mie mani vuote si rispecchia l'incuria dei tuoi rimandi.
Poi una sera di un giugno qualsiasi moristi e le mie conclusioni affrettate buttate alla rinfusa contro il tuo affetto misurato, persero consistenza. E le litigate bisbigliate che ci ammutolirono, si rimpicciolirono di colpo, come un tonfo sordo nella cacofonia degli anni sprecati. Ad oggi non so se tu abbia trovato il coraggio sufficiente a capirti, la forza di cullarti o il perdono necessario ad amarti.
Però, se per quelli come noi la vita è una rincorsa infinita verso la solitudine, spero che la mia sia accompagnata da buona musica e sospinta da un vento comprensivo, ché a volte nemmeno gli abbracci sanno guarire.
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ingombrantipiccoliniente · 3 years ago
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