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Alla fine, Francesca Albanese ha risposto. Ha risposto all’arroganza brutale degli Stati Uniti.
E lo ha fatto con la voce limpida, incrollabile, di una donna libera, coraggiosa, incorruttibile.
Da Bogotá, dove si trova per raccontare al mondo l’orrore inenarrabile di Gaza, Francesca non si è nascosta. Non ha chinato la testa, non ha abbassato lo sguardo. Ha fissato dritto negli occhi l’arroganza imperiale di Washington, il ghigno tossico del trumpismo, la viltà vigliacca di chi, come Marco Rubio, usa le sanzioni come un’arma mafiosa per intimidire chi dice la verità.
La sua risposta? Potente, precisa, intransigente. Uno schiaffo morale a chi vorrebbe zittire la giustizia con la minaccia e il ricatto.
“Le sanzioni contro di me sono una grave violazione della Convenzione Onu sui privilegi e le immunità. È un precedente pericoloso. È un avvertimento per chiunque osi difendere il diritto internazionale, i diritti umani, la giustizia e la libertà.”
Parole che pesano come macigni, parole che frantumano la maschera ipocrita di chi blatera di “libertà” mentre reprime ogni dissenso.
Francesca Albanese non ha fatto nemmeno mezzo passo indietro. Anzi, ha rilanciato con il peso della verità, con la forza della legge internazionale dalla sua parte. Una donna sola, sì, ma armata di dignità, contro un impero costruito sull’impunità.
E mentre lei resiste, in piedi, lo Stato italiano si inginocchia. Il suo silenzio è un tradimento, il suo immobilismo è complicità.
Dov’è finita la “Patria”, sbandierata da chi governa?
Dov’è la diplomazia, che dovrebbe difendere un’alta funzionaria ONU, cittadina italiana, aggredita per aver svolto il suo lavoro con onestà, rigore e coscienza?
Dov’è la voce dell’Italia, quando serve?
Non c’è. Non una parola, non un gesto. Solo un vergognoso silenzio, un silenzio che puzza di vigliaccheria e servilismo. Una resa senza dignità.
Francesca Albanese non è sola, perché con lei c’è chi crede nella giustizia, chi non si piega all’ingiustizia travestita da potere. Ma lo Stato italiano, il suo Stato, l’ha lasciata sola, abbandonata.
E lasciatelo dire con chiarezza, senza giri di parole,
questa è una vergogna nazionale, una macchia indelebile.
Una donna italiana, relatrice delle Nazioni Unite, messa nel mirino da una potenza straniera per aver osato dire la verità. E noi? Zitti, immobili. Anzi, c’è pure chi applaude i carnefici.
Ma Francesca è più forte di tutta questa miseria.
E proprio per questo, oggi possiamo dirlo, senza retorica, senza esitazioni: abbiamo di fronte una delle più grandi italiane del nostro tempo.
E questa non è un’opinione,
è un fatto.
E chi non lo vede, è perché ha scelto da che parte stare: non dalla parte della giustizia, ma dalla parte del sopruso.
Soumaila Diawara
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La feccia umana
12 agosto 1949. Nirim, deserto del Negev, Palestina. I militari israeliani ricevono un ordine scritto dal comando: "Dovete sparare per uccidere ogni arabo nel vostro settore".
La zona è inospitale, vivono solo due tribù beduine palestinesi, i militari dell'IDF scorgono un uomo e una ragazzina, mirano all'uomo e lo uccidono. La ragazzina viene rapita, portata nell'avamposto militare e rinchiusa in una baracca.
Lungo la strada incontrano una mandria di cammelli al pascolo. Il convoglio si ferma, i militari scendono dai mezzi, estraggono le armi e aprono il fuoco. Sessanta cammelli vengono uccisi a colpi di mitra.
È sera. I militari sono a cena, tre lunghe tavolate. Entra il comandante dell'avamposto, il sottotenente Moshe, ha una proposta per i soldati: "Abbiamo un'araba nella baracca, lascio a voi la scelta, volete che diventi la nostra cuoca o la nostra schiava sessuale?" Scrive Haaretz "I militari rispondono entusiasti, sco-pa-re, sco-pa-re".
Stabiliscono i turni: prima gli ufficiali, poi i soldati. Gli autisti degli ufficiali protestano "vogliamo partecipare anche noi!" "Calma" dice il comandante "verrà anche il vostro turno, come anche per il cuoco, l'infermiere e il medico"
Il comandante ordina di prelevare la ragazzina e di tagliarle i capelli. La conduce nella doccia, la lava con le sue mani e la stupra davanti ai soldati che osservano.
L'idea piace a un altro ufficiale che decide di stuprarla allo stesso modo. La ragazzina viene stuprata per tre lunghi giorni da 20 militari dell'IDF.
La storia della ragazzina palestinese stuprata a turno la conoscono in tanti, troppi, la voce arriva a Ben-Gurion, che ordina di riportarla nel villaggio da dove era stata rapita.
Ma le condizioni di salute della ragazzina sono gravissime, ha perso conoscenza, ha bisogno di cure urgenti. Alcuni militari, su ordine del comandante dell'avamposto, contraddicendo agli ordini di Ben-Gurion, la caricano su una jeep, la portano nel deserto e la uccidono con un colpo al cuore. Scavano una buca, scoppia una lite tra i militari, nessuno vuole più scavare, la buca è di soli 30 cm, la gettano dentro, la cospargono di benzina e la ricoprono con la sabbia del deserto.
Ben-Gurion va su tutte le furie, un sottotenente non ha eseguito un suo ordine. Decide di dargli una lezione. Pretende che venga processato in segreto da una corte marziale per stupro e omicidio e che gli atti del processo vengano secretati. Il comandante dell'avamposto viene condannato a 16 anni, gli altri militari stupratori, compreso gli esecutori dell'omicidio, a pene simboliche.
Gli atti processuali verranno desecretati solo nel 2003, visionati da alcuni storici e pubblicati da Haaretz, poi dal Guardian.
Cito due episodi agghiaccianti emersi dagli atti processuali: • viene rilevata l'impossibilità di dare un nome alla ragazza poiché "nessuno dei soggetti con cui ha avuto contatto ha chiesto il suo nome"; • L'età della ragazza è incerta in quanto "alcuni militari riferiscono che avesse 18-19 anni, altri 13-15, altri ancora, 10 anni" (!)
Lo storico israeliano Benny Morris, intervistato da Haaretz su questa vicenda, ha affermato che, durante le sue ricerche negli archivi militari israeliani è rimasto "sorpreso dalla quantità di casi di stupro" "molti dei quali si concludono con l'omicidio della vittima"
* Fonti: vari articoli di Haaretz (consultabili in un unico link), Al-Arabiya, Diario di Ben Gurion.
NON E' COMINCIATA IL 7 OTTOBRE
Via Daniela Valdiserra
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Le immagini dell’esercito israeliano che spara sui civili a Gaza (Video) - Internazionale
Da quando il governo israeliano ha affidato la distribuzione degli aiuti alimentari alla Gaza humanitarian foundation, nella Striscia di Gaza ci sono state quasi ogni giorno stragi di civili palestinesi che cercavano di riceverli. Secondo i dati del ministero della sanità del territorio controllato da Hamas, considerati affidabili dalle Nazioni Unite, dal 27 maggio sono state uccise circa seicento persone vicino ai centri di distribuzione e più di quattromila sono rimaste ferite.
Le Monde ha verificato i video girati il 31 maggio in cui si vedono dei soldati israeliani sparare sui civili nell’unico centro aperto quel giorno. Il quotidiano francese ha raccolto anche la testimonianza dell’autore di uno dei video, Malik Rami Abu Raida, di 17 anni. L’analisi delle immagini, la geolocalizzazione e i racconti non lasciano dubbi sulle responsabilità dei militari, nonostante le smentite del governo di Tel Aviv.
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Non so come si potrebbe esprimere questa cosa in modo più chiaro.
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Un’Europa sottomessa e senza bussola
Gli europei non si accorgono neppure più dove stanno andando, o forse fanno finta di non saperlo: sono un po’ sonnambuli e un po’ sottomessi al loro destino. Siamo all’agonia della politica estera comune europea, che per altro non è mai esistita, cullando nel settore difesa l’idea di una Banca per il Riarmo destinata a divorare altre risorse. Hanno sempre seguito l’agenda americano-israeliana, dall’Est Europa al Medio Oriente, e ora ne pagano le conseguenze.
La loro disonestà è tale da pensare che la guerra in Ucraina sia cominciata il 24 febbraio 2022 e non quando, nel gennaio 2014, il sottosegretario di Stato Usa Victoria Nuland, in una conversazione con il suo ambasciatore a Kiev, pronunciò la ormai famosa frase «Fuck the Eu», letteralmente «l’Unione europea si fotta».
Si discuteva ancora di un accordo tra il governo ucraino del filo-russo Viktor Janukovich e l’opposizione. Allora non c’era Trump alla Casa bianca ma Barack Obama e il suo vice era Joe Biden, che accorse a Piazza Maidan a celebrare il primo anniversario delle proteste mentre suo figlio Hunter guadagnava milioni di dollari in Ucraina nel settore energetico. E ora vorremmo stupirci se Trump trascina Zelensky a firmare l’accordo multi-miliardario sulle terre rare mentre Putin, diventato ormai a Washington un «volenteroso dittatore», si offre di portargli quelle in possesso dei russi? Chi più ne ha più ne metta mentre ognuno si fa i propri conti in tasca e Macron, nella sua visita da Trump, reclama che l’Europa ha versato all’Ucraina il 60 per cento degli aiuti, più degli Stati uniti.
Ma il presidente americano si tappa le orecchie: questa guerra, nonostante le copiose commesse all’industria bellica americana, è un «cattivo affare» e bisogna chiuderla. C’è da pensare alla Cina. A raccontare la favoletta della «pace giusta» ormai insistono solo i giornali del mainstream, spiazzati dagli eventi. Ma quale pace giusta? Gaza e la Palestina sono la prova che in Europa non ci crede nessuno.
La sottomissione europea al complesso militar-industriale israelo-americano è totale. Pochi giorni dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre, Biden spostava le portaerei nel Mediterraneo orientale e stanziava miliardi di dollari di aiuti militari per Israele: gli Stati uniti si sono immediatamente schierati non per la pace ma per una escalation del conflitto. E noi europei con loro, mascherando i nostri aiuti a Israele dietro la ormai sfiorita formula «due popoli e due stati». Il complesso militar-industriale israelo-americano si è schierato all’Onu con Putin e le dittature perché tra un po’ gli Usa riconosceranno l’annessione israeliana della Cisgiordania.
Chiediamo giustamente a Putin di ritirarsi dai territori occupati in Ucraina ma Israele occupa il Libano, ha esteso la sua presenza nel Golan siriano e si sta divorando la West Bank. Giustifichiamo tutto questo con la necessità di Israele di preservare la sua “sicurezza”, le stesse argomentazioni che usa Putin quando chiede alla Nato di tenersi lontana dall’Ucraina. Non è un caso che contro la risoluzione all’Onu che difendeva l’integrità territoriale dell’Ucraina abbiano votato contro Usa e Israele insieme a Russia, Bielorussia, Mali, Nicaragua, Corea del Nord e Ungheria (Iran e Cina si sono astenuti, si presume per la vergogna).
Il Consiglio di Sicurezza ha poi approvato una brevissima risoluzione degli Stati uniti che chiede la «rapida fine della guerra», senza però citare la Russia come aggressore e senza far riferimento alla sovranità territoriale di Kiev. Francia e Gran Bretagna, che avrebbero potuto porre il veto, hanno preferito astenersi, spianando la strada alla versione di Trump che piace tanto a Israele. Da notare il doppio binario dell’Italia. Stiamo con l’Unione europea ma Meloni, con la scusa del Forum con gli Emirati, si è sfilata dalla cerimonia di Kiev per il terzo anniversario della guerra: prendiamo 40 miliardi di dollari di mancia dagli sceicchi membri del Patto di Abramo con Israele e la premier incassa le lodi sperticate di Trump.
Cosa volete di più? È il manuale della giovani marmotte di Trump. La Ue paga anni di sottomissione a Usa e Israele: Trump è l’anello mancante di decenni in cui abbiamo giustificato, partecipato o avallato guerre di occupazione e aggressione, dall’Iraq alla Libia, dall’Afghanistan alla Palestina, provocando la disgregazione di interi paesi e popoli, centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. Basti pensare all’Iraq nel 2003, dove tra i soldati si contava pure un nutrito contingente di ucraini. Fu un conflitto per «esportare la democrazia» che ha precipitato la regione nell’anarchia e nel terrorismo integralista più feroce.
In un momento in cui ci si indigna per le bugie e i travisamenti della realtà di Trump, bisogna ricordare che la guerra del 2003 fu la più grande fake news della storia recente, quando gli Usa giustificarono l’attacco con una campagna di stampa e propaganda mondiale che sbandierava il possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa che non furono mai trovate. Venne persino esibita all’Onu dal segretario di stato Powell una falsa provetta con armi chimiche. Una tragica commedia. Nessuno dei responsabili ha mai pagato – né Bush né Blair – e abbiamo partecipato a quella guerra e alle altre senza fiatare. Ora ci tocca accettare le bugie di Trump e gli insulti del suo vice Vance a Monaco: sanno con chi hanno a che fare. I sottomessi europei. Alberto Negri, ilmanifesto.it, 26/02/2025
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Soumaila Diawara
Sono passati dieci anni. Era il tardo pomeriggio del 24 dicembre 2014, intorno alle 18. Ricordo ogni istante come se fosse ieri.
Arrivammo su quella riva desolata, smarriti e pieni di domande. Tanti di noi si aspettavano di raggiungere un porto sicuro, non una spiaggia remota ai piedi di dune di sabbia, dove il silenzio pesava come un macigno.
Dopo un’ora di attesa, comparvero dei libici con un tir. Si fermarono a circa duecento metri da noi. Li guardavamo, impotenti, mentre alcuni di noi venivano costretti a trasportare un gommone fino alla spiaggia. Lo prepararono alla meno peggio, gonfiandolo, sistemando un motore precario e usando del legname come supporto.
Eravamo in centoventi, stipati su quel gommone di quindici metri per due e mezzo. Tre file di corpi incastrati uno tra le gambe dell’altro, altri appesi ai bordi dello scafo. Non c’era spazio per respirare, figuriamoci per sperare.
Uno scafista libico salì a bordo con noi. Avviò il motore, ci diede una bussola e ci disse: «Sempre diritto fino in Italia». Poi si gettò in mare, lasciandoci soli, abbandonati a un destino che nessuno di noi sapeva affrontare.
Dopo appena mezz’ora, il gommone cominciò a imbarcare acqua. I bordi si deformavano sotto il peso e la pressione, finché si capovolse. Ricordo il terrore, le urla che squarciavano il silenzio della notte. Mi aggrappai disperatamente a una tanica vuota. Attorno a me, volti stravolti dalla paura, mani che cercavano un appiglio, voci che imploravano aiuto.
Un ragazzo, avrà avuto quindici anni, si aggrappò a me. Gli lasciai la tanica e cominciai a nuotare, senza sapere dove andare. Il mare era gelido, le onde mi travolgevano, il buio era totale. Rimasi in acqua per un’ora, forse di più. Quando raggiunsi la riva, eravamo solo in trenta. Trenta su centoventi.
La cosa più atroce fu scoprire che sulla costa c’erano uomini che ci guardavano morire senza muovere un dito. Non ci fu pietà. Il giorno dopo ci costrinsero a risalire su un altro gommone. Era la sera del 25 dicembre.
Quella notte sembrò infinita. Partimmo alle 23, sfidando onde che sembravano montagne. La pioggia ci batteva in faccia, il freddo ci paralizzava. Alcuni pregavano, altri piangevano, molti erano muti, persi nei propri pensieri. Il gasolio si mescolava all’acqua salata, bruciava la pelle, e il caos cresceva. Le persone litigavano, si spintonavano, mentre il mare sembrava volerci inghiottire.
Poi, all’alba del 26 dicembre, accadde. Una luce. La luce della salvezza. Una nave apparve all’orizzonte. Le emozioni esplosero: pianti, grida di gioia, preghiere. Ma la felicità durò poco. La nave si allontanò, e noi restammo lì, convinti che ci avessero abbandonati.
Dopo venti minuti che sembrarono un’eternità, una voce da un megafono ci ordinò di aspettare. Solo allora capimmo: si erano allontanati per evitare che le onde causate dalla nave rovesciassero il nostro gommone. Quando finalmente ci avvicinammo, ci chiesero se c’erano donne o bambini a bordo. Non c’erano donne, ma tanti di noi erano ancora ragazzi.
Ci salvarono. Ci portarono a bordo verso le 7 del mattino e passammo tutta la giornata sulla loro nave, fino al trasferimento su una nave della Marina.
La sera del 26 dicembre, intorno alle 23, attraccammo a Palermo.
Buon Natale, ci dissero. Ma che Natale può essere, quando il prezzo per un po’ di speranza è la vita di chi non ce l’ha fatta?
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By everything inside of me I wish I could put the face of your own child onto this baby, so that you could understand how serious it is, and what is happening.
My friends, I know, I know so deeply this is just a post, and how easy it is to disappear for you by scrolling past it.
But this is a baby, a little one, who had a name and future, who's parents had plans and hopes. But now, just a photo on the internet, on social media. But this is a life...
Imagine it was yours, for your baby to not die from an accident or illness but from attack, bombing, to be murdered. When did we stop caring because of skin color, or religion?
This baby doesn't know these things, what religion or race is. This baby came into the world new, learning everything for the first time. This baby does not know what Jew is, or Muslim or Christian. This baby knew nothing, their life taken before it began.
For once, stop assigning nation, country, religion and race to everything and just see what is here, a baby, a child. God almighty why do we support this?
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The Israeli army mined and completely blew up the Lebanese border village of Mahbib in southern Lebanon. The Israeli army brings the same systematic destruction of civilian areas with which it wreaked havoc in Gaza to Lebanon. 16 Oct 2024
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Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non ascolta, non parla né partecipa agli avvenimenti politici. Non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’ affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche. Un analfabeta politico è tanto animale Che si inorgoglisce e gonfia il petto Nel dire che odia la politica. Non sa l’imbecille che Dalla sua ignoranza politica proviene la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore ed il peggiore di tutti i banditi, che è il politico disonesto, ingannatore e corrotto, leccapiedi delle imprese nazionali e multinazionali. Bertolt Brecht - L'analfabeta politico
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Nazik al-Mala'ika (نازك الملائكة), I am, in Women of the Fertile Crescent. An Anthology of Modern Poetry by Arab Women, Edited with Translations by Kamal Boullata, Three Continents Press, Washington, D.C., 1978, p. 17
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Leonardo Sciascia raccontava che, alla vigilia dell’avvento del fascismo, chiesero a un contadino cieco come vedesse il futuro e questo rispose: "cu tutto che sugnu orbo, la viu nivora", con tutto che sono cieco, la vedo nera).
"Ecco, la stessa cosa potrei dire io oggi"
Così Andrea Camilleri, scrittore e grande uomo di cultura, ha voluto iniziare la sua intervista su Repubblica.
Lo scrittore siciliano durante questa lunga intervista ha parlato dell’Italia, del governo, dell’ immigrazione e riferendosi a Matteo Salvini ha poi detto:
"Continuare a giocare sulla paura dell’altro è pericoloso, Salvini non è un uomo di mare. Ne avrebbe più rispetto se conoscesse il mare di coloro che sono costretti ad imbarcarsi su gommoni destinati a naufragio sicuro.
Non mi piace come si sta gestendo questa emergenza. Continuare a giocare sulla paura dell’altro è pericoloso.
Non ho rimpianti per il passato. Però questo è davvero un brutto passaggio nella storia italiana che temo non abbia paragoni con altri periodi.
Un paese che torna indietro, come i gamberi. È come se avesse cominciato a procedere in senso inverso, smarrendo le importanti conquiste sociali che aveva realizzato in passato.
Se devo essere sincero, io non riconosco più gli italiani..
Non voglio fare paragoni,ma intorno alle posizioni estremiste di Salvini avverto lo stesso consenso che a dodici anni, nel 1937, sentivo intorno a Mussolini.
Ed è un brutto consenso perché fa venire alla luce il lato peggiore degli italiani, quello che abbiamo sempre nascosto.
Quale? Prima di tutto il razzismo. Noi ci siamo riparati dietro l'immagine stereotipata di 'italiani brava gente', ma non è sempre stato così, specie nell'Africa Orientale. Su questo preferisco sorvolare. Però ricordo ancora le scritte che mi accoglievano a Torino negli anni Sessanta quando andavo a lavorare nella sede Rai: 'Non si affittano case ai meridionali'
Una delle mie più grosse pene è proprio questa: a novantatré anni, a un passo dalla morte, mi trovo a lasciare a nipoti e pronipoti un'Italia che non mi aspettavo di lasciare in eredità.
I miei uomini politici si chiamavano De Gasperi, Togliatti, Nenni, Sforza. Avevano un preciso concetto dello Stato e di quello che si poteva fare del paese.
Abbiamo ricostruito l'Italia, ora la stiamo risfasciando.
Per questa ragione sento di aver fallito come cittadino italiano. E mi pesa molto"
Andrea Camilleri 2018 di Andrea Grieco
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@mare_libero
Punta dell'Olmo, uno dei pochissimi tratti di spiaggia libera, che Toti, il Presidente della Liguria appena dimessosi, voleva privatizzare. Siamo stati lì, per ascoltare la rabbia dei cittadini cui la Politica ancora una volta voleva rubare il mare.
#marelibero
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Sebastião Salgado, Gold Mine, Serra Pelada, Brazil, 1986.
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