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|13 dicembre 2020|
La gatta.
È che se penso ai momenti in cui sono stata davvero felice, io ero da sola.
Eppure adesso che sono qui a vagabondare, come un gatto randagio che fa le fusa a chi le carezze non sa darle, mi ritrovo sopraffatta da un senso di angoscia immenso.
Non mi è mai piaciuta l'idea che la mia felicità possa dipendere da qualcun altro.
L'idea che qualcuno possa avere il totale controllo delle mie emozioni mi fa rabbrividire, mi da la nausea.
Come si può definire amore qualcosa che manipola in maniera, anche inconscia, la tua mente?
Come può essere definita bella una simile barbarie?
Come può essere puro e genuino qualcosa che manipola e deforma il tuo modo di pensare, di agire, di vivere addirittura.
Spesso mi ritrovo a pensare che in realtà siamo tutti innamorati si, ma solo dell'idea dell'amore, quell'utopia che ci ostiniamo a portare avanti nella speranza di salvare quel poco di umanità rimasta nelle persone.
In verità credo che siamo tutti un pò gatti randagi, pochi fortunati trovano casa con un padrone disposto a prendersene cura, altri invece, costretti a vagabondare senza meta.
Io preferisco definirmi nomade, mi concedo il lusso di scorrazzare libera, senza dover elemosinare scatolette di tonno scadute fuori dalla porta di qualcuno che non accoglierà mai un randagio dentro casa.
E dopotutto come dargli torto.
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|28 aprile 2019|
Tazzine e Winston blue.
Mi sforzo di ricordare i tuoi lineamenti, è tutto così lontano, così offuscato.
La mente annebbiata dai mille pensieri che giorno e notte mi tormentano.
E tu che mi guardi così, come se io stessi dicendo una marea di stronzate, che ne sai tu?
Che ne sai del senso di vuoto che ti assale quando rientri in una casa vuota, in questa casa ormai riecheggiano solo i miei pensieri.
Ci sono due o tre scatoloni non ancora chiusi, su uno di quelli c'è il tuo nome.
Ci ho messo dentro le tazzine, ricordo ancora quando le hai prese, felice come un bambino "Guarda qui le tazzine di topolino, sono due, possiamo fare colazione insieme adesso!".
Si perché i primi mesi non avevamo nulla, usavamo la stessa tazza, la mia tazza.
Forse era proprio questo il problema, io avevo le mie cose, i miei spazi, il mio habitat era stato invaso da qualcun altro, non sono mai stata brava a condividere.
Il punto è che la mia tazza adesso era la nostra tazza, facevamo a turno per il caffè, si lo so è strano, ma io iniziavo a condividere qualcosa di me ed era bello anche per questo no?
Ho messo via anche i libri di J. Prevert, mi addormentavo leggendo le sue poesie ogni sera, c'erano sopra le tue note, quello si che è stato un colpo al cuore.
Ho ancora la tua maglietta, quella del calcetto, quella che ti rubavo quando partivi perché aveva il tuo profumo, dovrei buttarla via.
Buttarla, che parola brutta, disfarsi di una cosa che ti ricorda qualcuno è come gettare via una parte di esso, è come buttare via anche un pò se stessi.
Riguardo quella scatola, e non posso fare a meno di chiedermi come si possano rinchiudere cinque anni di vita in una piccola, minuscola, sudicia scatola.
Ci sono ancora le tue vecchie Winston blue, avevi smesso da due anni ormai, ma sono ancora lì nel secondo cassetto insieme ai calzini che ti ho regalato per natale, le tenevi lì per ricordare a te stesso che "La mia forza di volontà è più forte di uno stupido vizio", o almeno così dicevi.
Ho preso il pacchetto e sono andata in cucina, nel mio angolino quello con la vetrata grande e le piantine, ne ho accesa una e ho spento tutto il resto.
Avevi aperto una porta che io non sapevo richiudere.
Forse io non sono più forte di uno stupido vizio, o forse avevo solo bisogno di esorcizzare la cosa in qualche strano modo.
Ho accesso l'ultima Winston blue, è come sentirti per l'ultima volta.
Inspira, espira e come cenere si dissolve ogni mia paura.
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Scopiamo,
e non parlo di corpi,
è qualcosa che va oltre
e non parlo di orgasmi.
Scopriamo.
Lo abbiamo definito sesso perché qualcos'altro ci spaventava.
Scopiamo,
solo per guardarti godere,
che sei una meraviglia quando provi piacere.
Scopriamo?
No dai.
Scopiamo,
e guardiamo dall'altra parte che guardasi dentro fa più male,
che a fare gli eroi quasi sempre si cade.
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"Per me 10cc di coraggio per endovena, grazie!"
Dovrebbero munirci di una dose massiccia di coraggio sin dalla nascita, così tipo kit di sopravvivenza per questa vita, con su scritto "usare in caso di emergenza" che non si sa mai.
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[Riflessioni di un ormai lontano febbraio 2020]
Ricordo che una sera ero lì al solito bar, col mio solito whisky sour, a fumare e parlare con un tizio perlopiù di stronzate sulla vita, un pò quei discorsi che si fanno quando si è abbastanza brilli da sentirsi quasi poetici verso il genere umano.
Ed ecco che, dopo un lungo dibattito sulle mie fantasmagoriche capacità relazionali, se ne esce con
"Le persone, anche le più ciniche come te, infondo hanno bisogno d'amore, ne abbiamo tutti bisogno".
Non so se mi ha disturbata di più il fatto di associare un sentimento al bisogno, o la parola stessa.
Disinnescare.
L'unico bisogno che ho, probabilmente, è capire come disinnescare quel mostro che ho dentro.
Ci combatto tutti i giorni, non è che io non ci provi, è che poi le persone rendono tutto così difficile e l'unica cosa che viene fuori è lo schifo verso l'intero creato.
Che poi come faccio a spiegarti?
Come puoi capire, se dentro la testa ho tipo il carnevale di Rio.
Ci circondiamo di persone che non fanno altro che sputare veleno nel piatto dove fino a 5 minuti prima strafogavano come porci, e 5 minuti dopo ti ritrovi dentro il secchio dell'umido insieme agli avanzi che nemmeno il cane ha mangiato.
Non ho bisogno del loro amore, ho bisogno di eliminare tutte quelle persone tossiche e piene di sè dalla mia vita, ecco di cosa ho bisogno.
Ti chiedono come stai e poi parte la sesta stagione di "Cazz*menedellatuavitadimerd*".
Poverini.
È come se avessero un limite, una sorta di stretto di Gibilterra del cervello, che se vai oltre il loro mondo finisce.
È che forse, se proprio ho bisogno di qualcosa, non è amore ma qualcuno che sappia disinnescarmi.
Qualcuno in grado di buttarmi fuori il veleno.
Qualcuno con cui non dover far continuamente una guerra, che già di guerre ne ho abbastanza dentro.
Qualcuno che riesca a farmi far la pace con quel poco d'anima corrosa che mi ritrovo.

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L’autoironia è l’arte di saper ridere di se stessi e contiene, probabilmente, le chiavi per una serenità interiore altrimenti non raggiungibile. Lo stesso psicoanalista Sigmund Freud disse che l’umorismo è il più potente meccanismo di difesa, ma non solo, aggiunse che proprio l'autoironia, ovvero l’umorismo rivolto verso se stessi, custodirebbe il segreto della felicità.
Ma allora.. perché le persone non riescono a praticare l’autoironia, perché non riescono a ridere di se stesse?
La verità è che la gente è diventata troppo severa con se stessa in un mondo fatto di tanta apparenza, di vite ingabbiate dentro rigide regole imposte dalla società, e che nessuno si concede più la possibilità di sbagliare, per non rischiare di risultare ridicoli.
Io credo che in questa vita, dove tutto il 99% delle volte va a rotoli, scegliere di essere autoironici, ridere di se e far ridere gli altri, scegliere di essere un pò più leggeri, correndo il rischio di sembrare stupidi, forse è proprio questa la chiave per ottenere quell'unico 1% di felicità.

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Qui è tutto uno strafottutissimo luna(storta)park,
è una giostra che non si ferma.
E che stavolta non tocca a te decidere se farti questo giro di giostra o no, ci sei dentro e basta.
Per quelli come me, quelli che vogliono avere il controllo su tutto, è una specie di decimo girone dell'inferno.
Hai un terremoto dentro, e continua, continua fino a distruggere quasi tutto.
Poi la calma, quella calma apparente, la quiete prima della tempesta.
Paralizzato dalla paura, perché sai che un'altra scossa potrebbe far crollare le tue fondamenta.
Ma finché sei ancora integro sai che, se pur sbagliato, quel terremoto che hai dentro è l'unica cosa che ti fa sentire ancora vivo.

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Il fatto è questo, tu sei brava ad aiutare gli altri, ma sei incapace di aiutare te stessa.
Vivi la tua vita come se nulla t'importasse, come se nulla ti toccasse.
Te ne stai lì, nel tuo angolino così confortevole, così sicuro.
Da lì puoi vedere tutti e nessuno può vederti, nessuno può toccarti.
Eppure, io ti vedo.
Ti vedo mentre fai quelle smorfie di disapprovazione, ti vedo mentre guardi gli altri con arroganza, ti vedo mentre incassi i colpi di questa vita che con te forse è stata un pò troppo dura.
Riesco a vedere da lontano quel velo di malinconia dietro quel finto sorriso che ti stampi in faccia, ogni volta che qualcuno osa avvicinarsi e chiederti come stai.
Tu sdrammatizzi sempre, come se dire le cose con leggerezza le rendesse meno reali.
Tu ridi, ridi a crepapelle, e hai quella voglia di vivere che riesce a far sorridere chiunque ti stia accanto.
Tu ti nascondi proprio lì, in mezzo alla gente, ti piace star da sola ma ti circondi di persone per poterti mimetizzare fra di loro.
Quando qualcuno ti dice che sei bella quasi non ci credi,
tu non lo vedi,
ti nascondi,
come se un complimento fosse troppo per te.
Sei un pò come un gatto randagio, vivi come ti pare, vivi un pò come ti viene, libera e orgogliosa, con quella sfrontatezza che gli altri ammirano e invidiano, ma io lo so che infondo nascondi qualche ferita che sanguina ancora.
Sai fino a quel momento ero convinta che fossimo noi stessi a definire il nostro destino, poi mi sono resa conto che le persone a volte non possono essere così forti , che la volontà non è sempre sufficiente.
Tu sei testarda, orgogliosa, impulsiva e credo sia arrivato il momento di imparare ad essere più tollerante e comprensiva verso te stessa.
Dimmi, ricordi ancora come si ride?
Ricordi ancora come si fa ad esser felici?
Tu che stai bene da sola,
ma da sola non ci vuoi stare,
ricordi ancora come si fa ad amare?
Tu non lo sai, e probabilmente non lo scoprirai mai, ma in ogni tuo gesto c'è la stessa forza di un uragano, ed è con questa forza che riesci a travolgere tutti.
Tu non lo vedi ma fidati se ti dico
che sei bella come il mare.
Sei calma,
sei impetuosa,
sei infinita.

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Hai il cuore come un pugile, dicevano.
Non so se è il paragone giusto, ma effettivamente io ci ho sempre provato e riprovato. Come un pugile, ti alleni e ti abitui alle botte, ai lividi, al dolore. Match dopo match impari a capire quali sono i tuoi punti di forza e quali i tuoi punti deboli, e su quelli dovresti lavorarci ma è sempre così dannatamente difficile cambiare. I tuoi avversari sono sempre diversi, da loro impari molto sulla vita, e anche su di te, quello che puoi essere, quello che puoi diventare. A un certo punto, arrivi talmente in alto che per un attimo credi quasi di essere invincibile, e poi incontro te. Io il match con te l'ho perso già al primo sguardo, ho deciso di apprendere i guanti al chiodo, mi ritiro perché in questo mondo non c'è abbastanza amore per uno che ha il cuore di un pugile.

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Hai costruito dei muri così alti, che nemmeno tu riesci più a vedere dall'altra parte. Sei rimasta prigioniera della tua stessa prigione, senza mezzi per poter venirne fuori.
Forse avresti solo bisogno di qualcuno disposto a buttare giù quei muri, mattone dopo mattone, muro dopo muro. Scoprirsi, poco alla volta, come quando si fa l'amore, scoprirsi pezzo dopo pezzo, mettersi a nudo. Amare, amarsi, e farsi amare. Dopotutto quei muri non servivano proprio a questo? Perché è quando si è scoperto che si è più vulnerabili, cosa ti spaventa? Cosa c'è dall'altra parte?

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Quando tutto questo finirà,
tutto tornerà esattamente come prima.
Quando tornerete alle vostre vite.
Quando tornerete a farvi i vostri aperitivi, le vostre cene.
Quando tornerete ai vostri allenamenti, ai vostri "Non ho avuto tempo", che poi il tempo è relativo.
Quando tornerete al "Non ho avuto tempo di rispondere, sai ho avuto una giornata pienissima"
Quando tornerete ai vostri impegni, e avrete bisogno dei vostri spazi.
Quando abbracciare qualcuno non ti mancherà più, e tutto questo sarà solo un lontano ricordo.
Quando vi dimenticherete di tutto, e
tutto sarà ancora una volta "normale".
Che ne sarà?
Perché infondo l'essere umano è un mago nel trascurare le cose e desiderarle soltanto quando non può più averle.

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Mi son sempre chiesta, ma quelli che non si scompongono mai, quelli che puntano sempre e solo alla perfezione, vivono davvero?
Arrivi quasi al punto di pensare di esser tu quella sbagliata, poi però ci parli e ti ritrovi incastrata in conversazioni prive di stimoli. Trovo quasi più interessante chiedere alla vicina informazioni sul meteo giornaliero.
Sembra quasi che abbiano ingerito apatia in pillole fin dal nascita.
Una volta ho letto da qualche parte "Definizione di apatia: più simile a un sasso che ad un animale".
L’epigramma è un tantino drastico, ma non vi è mai capitato di incontrare persone così? Persone che non si scompongono di fronte a nulla, ma che non hanno nemmeno passioni o obiettivi?
Sinceramente tra la morte e l’apatia, sceglierei cento volte la prima. La morte ti coglie una volta per tutte, l’apatia ti consuma un poco alla volta, facendoti morire ogni giorno un poco di più.
Vivere la vita pensando sempre troppo prima di agire e nel frattempo ci si perde ogni genere di mezzo, solo perché si ha quel blocco mentale del “sarà la cosa giusta”.
Ok la storia del vivi e lascia vivere, ma oggi mi sento quasi un po' più buona del solito e mi sento di dirvi, che la vita è già "pesante" di suo, un piccolo ma utilissimo segreto è imparate "l'arte della leggerezza".
Ribadisco il concetto, nella vita non ambire troppo a quella perfezione che non esiste, piuttosto trova quello ami, tutto ciò che ti fa stare bene, e lascia che ti uccida.

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