Sono un tipo meditabondo. Traggo molto piacere dal perdermi nei miei pensieri. Ho deciso di intitolare questo blog 'Meditazioni metafisiche' per gioco, non certo per mettermi a paragone con il grande René Descartes. Lui morì di polmonite, presa durante un rigido inverno svedese. Era stato invitato in Svezia dalla regina, interessata alle sue teorie filosofiche. Qualcuno, una volta, mi raccontò che René prese freddo e si ammalò perché la regina lo invitava spesso a lunghe passeggiate mattutine. Tutto sommato, non mi dispiacerebbe morire così. Passeggiando per il giardino di un castello, tenendo a braccetto una regina, mentre le parlo della cosa che amo di più: pensare.
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"Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" è un romanzo di fantascienza. Per me rappresenta una storia avvincente, emozionante e che fa pensare. Ma è davvero una storia di fantascienza?
Mi ha sempre dato fastidio l'idea di etichettare ciò che scrivevo utilizzando i generi letterari predefiniti. Perché? Semplicemente perché volevo scrivere storie. Storie di personaggi che vivono la loro vita e le loro emozioni nei luoghi più disparati: su Marte, in un antico labirinto magico, in una città di vetro.
Spesso ho sentito persone che, per rifiutare il consiglio di un libro, usavano il genere come scusa: "Mi piacerebbe, ma non sono un grande appassionato di libri horror." A me, personalmente, sembra una sciocchezza. Il genere letterario è utile per i bibliotecari, per mettere i libri in ordine sugli scaffali e per fare in modo che i lettori possano trovarli facilmente. Non dovrebbe essere nulla di più di questo. Perché, alla fine, ogni libro, che sia giallo, thriller, fantasy, d'amore, storico o biografico, racconta una storia. Indipendentemente dall'espediente narrativo che utilizza, un libro racconta emozioni, racconta storie. Storie che si intrecciano con altre storie. Storie che ci toccano nel profondo perché sembrano parlare direttamente al nostro io più intimo, indovinando le nostre emozioni come se fossero state scritte apposta per noi. Pensare, a priori, che un libro, ovvero una storia, non ci piacerà per via del genere a cui appartiene è solo un limite che ci autoimponiamo. Il rischio è di non scoprire mai la storia che più di tutte avrebbe segnato il nostro animo.
"Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" è una storia, una storia emozionante.
A. L.
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Ateismo: sono ateo?
Da sempre raccolgo i miei pensieri su diari, siano essi digitali o cartacei. Da qualche mese ho iniziato a farlo in modo più serio: scrivere mi dà tanto piacere quanto il pensare. Forse perché pensare e scrivere vanno di pari passo. Così, da qualche tempo, scrivo regolarmente nel mio quaderno, il mio Journal. La prima riflessione che ho annotato si intitolava proprio così, con una domanda: "Ateismo: sono ateo?".
Mi è sembrato interessante iniziare questo blog con la stessa riflessione, quindi voglio ampliare il discorso.
Non ricordo esattamente quando mi sono posto questa domanda per la prima volta. Il mio rapporto con la religione, e più in generale con la spiritualità, è sempre stato un percorso di scoperta. Non ho mai deciso se credere o non credere: è stato con il tempo, conoscendo meglio me stesso, che ho capito cosa credo o non credo. Più che altro, ho scoperto a cosa non credo, per essere più precisi. Ma ci arriveremo con calma.
Dunque, posso definirmi ateo? Non ne sono sicuro, è una questione complessa. Provo a spiegarmi meglio: cercando "ateo" su Google, la definizione di Oxford Languages dice
Ateo Aggettivo Che nega l'esistenza di Dio.
Parto da qui. Il fatto che, per esistere, la posizione dell'ateismo necessiti di un Dio da negare. Senza credenti, non ci sarebbero quindi atei? Più o meno, non ne sono del tutto convinto. Ma non è questo il mio punto. Quello che mi chiedo è: nego l'esistenza di Dio? Non proprio. Quello che penso è che non ci sia nulla. Ma se non c'è nulla, non c'è nemmeno bisogno di negare che ci sia qualcosa. Se non c'è, non c'è e basta, non è che nego l'esistenza di qualcosa che, forse, per qualcuno c'è. Penso che non ci sia e basta. Non so, forse è solo un mio assurdo viaggio mentale, ma mi sembra che l'etichetta di "ateo" non riesca a racchiudere bene tutti i miei dubbi. Perché alla fine si tratta di questo: dubbi che spingono avanti la ricerca.
Andiamo avanti. Che cosa vuol dire che penso che non ci sia nulla? Forse non è vero che lo penso. È una semplificazione. Che cosa penso allora? Penso che di sicuro non ci sia un essere antropomorfo, vecchio e barbuto, alla fine del tempo, dotato di volontà propria, pronto a giudicare e decidere del destino dei mortali. Penso che questa sia una specie di superstizione. Quindi penso che non ci sia nulla? In realtà no. Penso che non ci sia questa cosa. Che cosa poi c'è, non lo so. Non lo so ancora, almeno.
Questo mi permette di arrivare al primo punto cruciale del mio ragionamento: non ho l'ardire di affermare che cosa sono. Conoscere se stessi è qualcosa di complesso e non voglio chiudermi dentro definizioni confinanti. Ora come ora, posso solo affermare ciò che non sono. E quello che ho scoperto è che non sono credente.
Ora, io sinceramente temo di non credere in nessuna religione (preferisco dire, in nessuna dottrina religiosa), ma non ne sono sicurissimo perché non conosco bene tutte le religioni. Quelle che conosco meglio (le varie dottrine cristiane) non mi convincono. Non mi sono affini, per motivi personali che forse un giorno racconterò. Immagino che ciò sia dovuto alla mia sensibilità personale riguardo queste dottrine. E, per quelle stesse motivazioni personali che ora non riporterò, temo proprio che non riuscirò mai ad aderire a una particolare dottrina. Le religioni sono interessanti e molto importanti. Si può imparare molto sul mondo e su sé stessi studiando bene, senza (troppi) pregiudizi, le varie dottrine religiose dei popoli umani, sia quelle tutt'oggi praticate, sia quelle antiche ormai quasi dimenticate. Se non ricordo male, anche Feuerbach sosteneva che proprio coloro che si definivano atei (io direi non credenti) avevano il dovere di interrogarsi circa la natura di Dio, per comprendere meglio la civiltà in cui si vive. Questo pensiero mi trova d'accordo.
Sostanzialmente, la risposta alla domanda iniziale è che il termine ateo non inquadra pienamente la mia visione. Quindi non sono del tutto ateo (si potrebbe dire che ho dei "tratti di ateismo"), ma sicuramente non sono credente.
Quindi, per ora, quello che ho capito è in che cosa non credo, in altri termini, che cosa non sono. Probabilmente, per un bel po', andrò avanti così: a definirmi per negazione.
Avrei ancora molto altro da dire, ma sono quasi le due del mattino. Avrei voluto iniziare a scrivere un breve racconto tre ore fa e invece mi sono ritrovato qui a parlare delle mie idee in ambito religioso. C'est la vie. Per oggi vi ho tediato abbastanza, però vi avevo avvisati: traggo molto piacere dalle mie cervellotiche elucubrazioni. Ormai dovreste aver capito che non scherzavo. In fondo, "penso, dunque sono" diceva un saggio amico del passato. Sono un essere pensante. Sì, credo proprio che sia l'unica definizione positiva che mi rispecchia pienamente.
A presto.
A. L.
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