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Maestra,
non so se si ricorda di me: Lucia.
Una delle tante facce che ha avuto davanti, un po’ di anni fa, tra quaderni a righe e zaini più grandi di noi.
Io di lei mi ricordo bene.
Ricordo i suoi modi gentili, la voce chiara e calma che ci faceva sentire al sicuro anche nei giorni storti.
E ricordo, una cosa in particolare, un tema: descrivi la quiete dopo la tempesta.
Perché ci sono ricordi che, anche se il tempo passa, restano lì.
Silenziosi, si. Ma tremendamente vivi.
E io me lo ricordo bene quel giorno: penna stretta in mano, foglio bianco e tante idee tutte incasinate.
Cominciai a scrivere di pioggia che batte sui vetri, di vento forte, tuoni e fulmini.
Di alberi piegati e nuvole arrabbiate.
E poi, naturalmente, il sole che torna. Perché il sole torna sempre nei temi dei bambini.
Gli uccellini cantano, i vetri si asciugano, le strade tornano tranquille, i fiori si rialzano e l’aria profuma di pulito.
Per me era tutto lì.
Quella era la tempesta e quella era la quiete.
Mi sembrava di aver capito tutto.
In realtà non ci avevo capito un bel niente.
O meglio: all’epoca non potevo capirlo davvero.
Scrissi semplicemente ciò che una bambina di otto anni poteva sentire e immaginare.
Di anni, oggi, ne ho ventidue.
E quella bambina, maestra, sono sempre io, si.
Ma con qualche consapevolezza in più.
Ho scoperto che alcune tempeste non si vedono solamente alzando gli occhi al cielo.
Alcune non bagnano i vetri e non spezzano gli alberi.
Quella tempesta lì, quella dei miei otto anni, faceva rumore fuori.
Quella che conosco adesso no.
Questa arriva senza lampi e senza pioggia.
Questa ti si infila dentro.
E ti piega, come il vento fa con gli alberi.
Solo che tu le radici non le hai, quindi tremi tutto.
E io, le prime volte, neanche lo capivo.
Sentivo solo il cuore che correva troppo forte, le mani che tremavano e l’aria che non bastava mai.
E questa tempesta qui, maestra, arriva sempre quando meno te lo aspetti: in una giornata apparentemente normale, mentre fai la fila al supermercato o stai per uscire di casa.
E mentre tutti ti ripetono: “vedi che ora passa”.
Tu riesci a pensare solo: si, ma quando?
E nessuno te lo dice che certe tempeste non durano un’ora.
Durano mesi. Anni.
E anche quando passano, si portano via dei pezzi.
E che la quiete non sempre è tornare come prima.
Ma imparare a stare nel dopo. Con quello che rimane.
Con le crepe.
Con le parole che non hai detto e con quelle che hai detto male.
Con tutto quello che non sei riuscito a salvare.
E lì, in mezzo a tutto quel disordine, succede una cosa strana.
Piccolissima.
Un giorno ti svegli e non ti senti più in pericolo.
Riesci a respirare senza pensare ad ogni battito.
Per qualche motivo non ti senti più sott’acqua.
Succede che fai una cosa che prima ti spaventava,
ma stavolta non tremi.
Succede che ti guardi allo specchio e ti vedi.
Viva. Presente.
E io ci ho messo tanto, sa?
A capire che la quiete non è l’assenza del dolore.
Ma guardarlo in faccia. Dargli un nome. E non scappare più.
È piccola, la quiete.
Quasi impercettibile.
Ma quando arriva, si sente.
E io non so se questo si può insegnare.
Ma so che c’è stata una maestra che, un giorno, mi ha fatto scrivere di tutto questo senza che lo sapessi.
Ed io oggi non posso far altro che dirle grazie.
Perché se è vero che alcune persone ti restano dentro per sempre,
lei, maestra, è una di quelle.
E anche se la bambina che ero non gliel’ha mai detto,
quella che sono diventata oggi ci teneva a farlo.
Grazie.
Per avermi insegnato che si può scrivere anche quando dentro piove.
E che certe parole, capita che arrivino a distanza di anni,
ma quando arrivano, fanno bene.
Da quella bambina che le voleva bene.
E da questa ragazza che gliene vuole ancora.
#il mio psicologo dice che mettere le parole su carta aiuta#e io ho iniziato a scrivere più di quanto non facessi già#stasera mi andava di condividere qualcosa qui sopra dopo un po'
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piccoli reminder di quest'ultimo periodo molto altalenante:
- la solitudine non è un vuoto ma uno spazio per conoscermi meglio
- il modo in cui le persone mi trattano è il riflesso di chi sono loro non di chi sono io
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best feeling, is when you hug someone and they hug you tighter
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Compriamo insieme una casetta abbandonata vicino al mare o in montagna, facciamo dei lavoretti insieme, sistemiamola come vogliamo e andiamo a rifugiarci lì, quando vogliamo scappare via.
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I love talking to people that have the capacity for any conversation
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“che le lacrime piante nel 2024 inaffino i fiori del 2025”
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continuo ad averne bisogno
necessito urgentemente di un viaggio
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December, give me a sweet ending for this year please
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