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Racconti Brevi e Cieli Nostrani.
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Short stories and local skies.
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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Il compleanno a Milano. (La sfida)
Matteo, Sandra e tutti gli altri invitati erano già arrivati da un pezzo al locale, mancavano solo loro due. Proprio quella sera la Renault di sua mamma aveva deciso di fare i capricci. Era una Clio RT 1.4 del 1992 a carburatori; andava come un missile, beveva come Sue Ellen di Dallas e frenava come la Diligenza Postale del San Gottardo. Aveva sempre fatto il suo dovere però. Fino a quella sera; quando per un motivo a lui ignoto aveva incominciato a tossire sonoramente e a procedere con una lentezza imbarazzante proprio nel centro della città. Mancavano solo cinque o sei chilometri per arrivare, ma a quella velocità ci sarebbe voluta tutta la sera. Lui si era messo la camicia azzurra che non metteva mai e un paio di levi's appena comprati. Lei, di fianco, si stava caricando di rimmel le ciglia già smisuratamente lunghe. Era infilata in un tubino nero che sembrava cucito addosso, collant 15 denari e un paio di sandali di vernice più illegali di un chilo di cocaina sotto il sedile della macchina. Il bar era uno dei tanti schierati sulla sponda sinistra del Naviglio Grande. Tentare di arrivare al parcheggio della Darsena a quell'ora sarebbe stato un suicidio, così da via Valenza svoltò a destra su via Casale e dopo una cinquantina di metri, per intercessione divina, vide un buco sulla destra. Accelerò bruscamente per lasciare il vuoto dietro di sè, freccia, freno, frizione, retromarcia e con una manovra da maestro, esclusivamente frutto del culo, la infilò dentro in meno di sei secondi. Scesero dall'auto che nel locale stavano già portando i primi aperitivi, cominciarono a correre ma dopo venti metri lei gli urlò che avrebbe perso i tacchi entro pochi passi. Rallentò, la aspettò avvicinarsi, la prese in braccio e continuò a correre fino all'ingresso del bar. La rimise delicatamente in piedi, si sistemarono gli abiti ed entrarono. Sua sorella Sandra fu la prima ad andarle incontro chiedendo cosa avesse causato tutto quel ritardo, lei rispose che c'erano stati dei problemi col parcheggio. Matteo arrivò subito dopo stringendo la mano di lui così forte da lasciargli quel consueto indolenzimento che normalmente durava per più di un quarto d'ora. Lui odiava Matteo, era un narcisista saccente talmente devoto a Bertinotti da mimarne persino le movenze. Sandra no, Sandra era gentile con lui, certe volte lo cazziava pesantemente, ma sempre con un pizzico di tenerezza. Non aveva mai capito che cosa ci trovasse in quell'uomo borioso e tronfio che si era scelta come fidanzato, ma era il suo compleanno, e così si tolse quella faccia pensierosa che aveva e le fece un gran sorriso dimenticandosi addirittura del suo imbarazzante diastema. C'era molta gente quella sera, così loro due si sistemarono su un divanetto vicino alla finestra; lui stava finalmente per baciarla dopo tutto quel trambusto quando arrivò puntuale Matteo con i drink in mano. Diede un Americano a lei e un Negroni a lui, poi gli disse: "Oh Lenticchia; Sandra mi ha detto che sei uno che beve. Bevi!" lui lo guardò con aria di disprezzo, poi diede uno sguardo al cocktail e lo bevve in tre sorsi. Gli porse il bicchiere e disse: "Buono, bravo." Matteo se ne andò e lui poté finalmente baciarla mentre risplendeva in quella mise irresistibile. Non passò nemmeno un quarto d'ora che Matteo ritornò con un secondo Negroni in mano accompagnato dalla sua solita faccia da professore fallito. Gli porse di nuovo il drink e gli disse: "Dai, visto che sei uno che beve, fattene un altro." Lui sbuffò, glielo tolse dalle mani e lo finì in quattro sorsi secchi. Gli diede indietro il vuoto e non gli rispose neanche. Era chiaro che stava cercando di farlo ubriacare; questa cosa da un lato lo offendeva terribilmente e dall'altro lo spingeva alla sfida. Non dovette attendere molto perché lo stronzo arrivò col terzo, lei lo guardò come per dire di non farlo ma lui allungò la mano e prese il bicchiere. Lo buttò giù in due colpi, uno lunghissimo e il secondo breve; come per dimostrare che avrebbe potuto farcela col primo. Matteo lo guardò e lui capì dal suo sguardo di essere ubriaco. Passarono circa venticinque minuti quando cominciò a sentire lo stomaco tramare contro di lui. Passò in rassegna tre possibilità. La prima, andarsene dalla festa con lei. La seconda, uscire con una scusa a prendere una boccata d'aria; col rischio che qualcuno lo seguisse. La terza, andare al cesso. Scelse l'ultima. La guardò e le disse: "vado a pisciare" ma gli uscì con un accento a metà tra Shel Shapiro e Brian di Brian & Garrison in versione alcolizzato. Si alzò e si fece largo fra gli invitati cercando di mantenere un aspetto e un'andatura che non tradisse la sua condizione reale. Trovò la porta della toilette, la aprì, passò davanti allo specchio evitando di guardarci dentro; diede una spinta alla porta di sinistra e se la richiuse dietro, la luce si accese all'istante illuminando la tazza candida e scintillante davanti a lui. Si inginocchiò e ci vomitò dentro un litro di benzina arancione in quattro getti precisi. Uscì, si sciacquò la bocca e controllò la camicia allo specchio, riempì di acqua gelata il lavabo e ci infilò la faccia. Alzò la testa, si guardò. A posto. Uscì come nuovo, colorito ripreso e stomaco leggero; al mal di testa ci avrebbe pensato il mattino seguente. Attraversò il locale dirigendosi verso di lei. Mancavano solo tre metri quando da destra arrivò Matteo che gli mise in mano il quarto. Lui lo guardò come si guarda chi si odia e, sfoderando il suo miglior sorriso, gli disse: "Grazie, avevo proprio sete!" poi gli mimò un bacio di sfida. Si voltò e tornò da lei.
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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La teoria della distanza. (Racconto di un giorno di aprile)
La sua bocca parlava da più di dieci minuti e lui non riusciva a smettere di fissare le sue labbra che si muovevano formando migliaia di figure diverse. La stava ascoltando, ma non voleva correre il rischio di guardarla negli occhi per più di due secondi per paura che lei potesse leggere nei suoi. Preferiva mantenere l'attenzione sulla zona che andava dal principio del naso alla fine del mento. Era più sicuro. Non era preparato a quella visita e stava cercando di mantenere le sue emozioni entro un livello di guardia. Voleva tenere a bada l'uragano che gli si era generato in gola perché c'erano più di cinquanta persone in palestra quel venerdì, anche se lui non sembrava nemmeno vederle. Stava lì, seduto, grondante del sudore prodotto durante l'allenamento, anche la canotta gli si era appiccicata addosso come dopo una secchiata d'acqua. Non era nella condizione ottimale per quell'incontro e nonostante tutto ci stava provando, cercando di parlare con una calma che non sembrasse lentezza. Erano passati vent'anni dall'ultima volta che si erano visti e non immaginava quali fossero ora i suoi interessi, così cercò di passare in rassegna argomenti comuni senza soffermarsi troppo ad analizzarne uno in particolare. Il caffè davanti a loro era finito già da un pezzo ma lui continuava a portare il bicchiere alla bocca come se ne fosse rimasta ancora una goccia sul fondo. Nel frattempo analizzò le sue mani. Piccole. Erano rimaste le stesse che ricordava. Anche il modo di muoverle non era cambiato, le seguì unirsi in cima alla testa per sistemare lo chignon che le raggruppava i capelli. Ebbe un attimo di smarrimento quando abbassò lo sguardo dalla sua fronte e incontrò i suoi occhi marroni che lo stavano fissando. Non gli vennero subito le parole e così per non restare muto lì davanti, prese un respiro, alzò la mano destra e le diede una carezza partendo dalla tempia fino ad arrivare alla fine dell'orecchio. Lei arrossì abbassando gli occhi minuziosamente truccati. Era salvo. Puntò la testa verso l'alto per cercare l'orologio appeso al muro sopra di loro, erano le 14 passate. Si alzò dal tavolino e si diresse verso gli spogliatoi, lei rimase seduta col bicchiere vuoto in mano ad aspettare che tornasse. Si buttò sotto la doccia cercando di programmare rapidamente le mosse per metterci meno tempo possibile e dopo dieci minuti scarsi ricomparve dalla porta a vetri che dava sull'ingresso. Lei lo raggiunse e uscirono insieme dal club scendendo le due rampe di scale che portavano al parcheggio. Si diresse verso la sua auto e lui la seguì. Aprì lo sportello, poi si girò e gli chiese un abbraccio. Fino a quel momento era riuscito a gestire tutto quanto; i suoi sguardi, le sue parole, i suoi sorrisi e perfino il suo odore. Sembrava che avesse ammortizzato anche lo shock di rivivere tutte quelle cose insieme a vent'anni di distanza. Appoggiò la borsa per terra e la abbracciò. In quel momento esatto sentì lo stomaco chiudersi e le lacrime riempirgli gli occhi. Sapeva che sarebbe successo, si conosceva troppo bene ed era sicuro che il suo cuore non sarebbe uscito vivo da quelle braccia. Così si fece coraggio, e la strinse più forte.
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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Il parcheggio di ghiaia.
Era quasi sempre di domenica sera. Quando la settimana lavorativa era finita che tanto il lunedì il negozio era chiuso. Mi diceva che era bello e che tutti si divertivano. Che ci veniva un sacco di gente dai paesi vicini. Era contento di portarmi anche se fuori faceva un freddo terribile ed era stanco morto da tutto il lavoro che aveva fatto. Ma a me mi metteva sempre una grande tristezza, erano gli animali che me la mettevano. Mi diceva che stavano bene e che erano felici ma io lo vedevo che avevano gli occhi come quando ti viene da piangere. A me piaceva mangiare la pizza in pigiama a casa e guardare i cartoni ma c'era il circo e allora bisognava andare anche noi.
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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Il caffè di Corsico.
Fu proprio quando il loro caffè stava per raffreddarsi che lui sembrò giungere ad una conclusione: -Sai, alla fine ho capito che cosa è stata. ~Ah sì? Che cosa è stata? -Presunzione. ~Presunzione? -Esattamente. Presunzione. Presunzione di poter fare a meno di te. Hai presente "Vedi Cara" di Guccini? Quando cantando spiega che tutto ciò che era stato lo aveva creato lui? E che addirittura lo avrebbe potuto rifare? Ecco... Una cosa del genere. Ho avuto la presunzione di poter trovare Te in tutte le persone che avrei incontrato. Quel caffè era terribile, lo bevvero senza pensarci.
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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Il pub sull'oceano.
Il ragazzo alla batteria era talmente veloce che le sue mani non si riuscivano a distinguere, si fondevano in una macchia di colore che cambiava a seconda della luce proiettata su di lui. Avrà avuto vent'anni al massimo ma un talento indiscutibile. Il ferragosto era passato da un paio di giorni e quella sera tirava un vento gelido proveniente dall'oceano Atlantico tipico della parte ovest dell'Irlanda. In quel pub però sembrava di essere in una sauna e la birra che scorreva selvaggia poi, non li aiutava certo a stare freschi. Boris aveva insistito tanto per passare la serata in quel locale sul litorale di Galway e lui aveva accettato di buon grado visto che la band avrebbe eseguito brani fra i più celebri dei Ten Years After. Accalcati al bancone del bar insieme a loro c'erano Elizabeth e Dana, due ragazze di una città lì vicino che avevano conosciuto qualche ora prima sulla spiaggia. La prima era alta e asciutta come un manico di scopa, aveva un caschetto di capelli scuri che le lasciava scoperta la nuca e una t-shirt gialla dei Sex Pistols. Dana era più piccola, con la pelle chiara tempestata di lentiggini e una chioma di indomabili capelli arancioni, portava una gonna che sembrava un tutù con un paio di anfibi verde bottiglia. Erano simpatiche e genuine e non cercavano nient'altro che semplice divertimento. Erano state loro ad attaccare bottone quel pomeriggio al mare, poi dopo le solite chiacchiere di approccio avevano cenato insieme a loro in un ristorante a buon mercato lì vicino. Ovviamente Boris, che sperava in qualcosa di più, le aveva invitate al concerto in programma per le 23 al pub e loro avevano accettato subito. L'inglese dei due era tutt'altro che fluente e corretto ma Elizabeth e Dana erano disposte a interpretare le frasi che costruivano con non poche difficoltà. Soprattutto dopo tutta la birra che stavano ingurgitando quella notte. Sul microscopico palco nell'angolo della birreria, il gruppo alternava cover di Alvin Lee a brani scritti da loro e dopo due ore abbondanti di spettacolo annunciarono il pezzo che avrebbe chiuso la serata. “I’m going home”. Ci fu un vero e proprio boato nell'intero locale e quando Boris gli chiese che canzone fosse, lui già impegnato in un vigoroso applauso, scosse la testa e gli gridò: “Dai, quella del cocomero”. Boris sorrise come per far capire che c'era arrivato; rimase indietro a finire la sua pinta mente lui raggiunse sgomitando il palco con le ragazze. L'esecuzione fu magistrale e il pubblico ballò cantando fino alla conclusione del pezzo. Le luci sul palco lentamente si spensero e alla una e quarantacinque la gente cominciò ad abbandonare il pub. Ora la temperatura esterna era obbiettivamente gelida. Un vento tagliente spazzava la strada lì davanti e la sabbia proveniente dalla spiaggia buia arrivava fin contro le vetrate del locale. Faceva un freddo che sembrava Genova a febbraio. Lui e Boris in jeans e maglietta stavano tremando vistosamente mentre passeggiavano verso l'ostello, quando Dana prese per mano Elizabeth e si diressero verso il muretto che dava sulla spiaggia. I ragazzi rimasero immobili a guardare, fino a quando le due si girarono verso di loro dicendo: “Come on. Let’s take a bath with us”. Ma dicevano sul serio? Boris pensò che ubriache come erano sarebbero morte annegate senza dubbio. Il mucchio di vestiti delle ragazze giacevano già sulla sabbia grigia e ghiacciata mentre i loro corpi nudi e pallidi correvano verso l'oceano nero davanti a loro. Quando Boris lo vide sbottonarsi i jeans gli chiese se stesse facendo sul serio o se fosse solo uno scherzo; lui non gli rispose nemmeno, si spogliò e si gettò verso il mare senza pensare.
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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La strategia del disordine. (Il miraggio sulla Darsena)
La Twingo milledue di Carlo era l'auto più comoda del mondo. Una specie di scatolone bordeaux motorizzato, parco nei consumi e posteggiabile quasi ovunque sul quale potevi tranquillamente dormire, fumare, pranzare e se ti andava di culo farci l'amore. Quella sera di fine giugno arrivò presto sotto casa sua, non scese nemmeno, si accostò al citofono e premette il pulsante stando direttamente seduto in macchina. Lui non rispose, prese il portafogli e le chiavi ed uscì sul pianerottolo. Rullò quattro rampe da undici gradini ciascuna in meno di venticinque secondi poi schiacciò il bottone di apertura del portone, se lo richiuse alle spalle e salì a bordo. Le casse dello stereo stavano sparando a volume esagerato “Cocaine Decisions” di Frank Zappa e l'abitacolo era stracolmo di una nebbia fittissima di marijuana nonostante i finestrini fossero abbassati. Si salutarono, Carlo gli passò lo spinello e fece un inversione più o meno a metà della via, si avvicinò allo stop e ripartì immediatamente. Lui fece un tiro un po’ timido e subito dopo un altro molto più consistente. Espirò una nuvola grigia e densa come quella di una locomotiva che si aggiunse al resto del fumo che dominava l'ambiente. “Dov'è che andiamo?” gli chiese, “A Milano” rispose il suo amico e aggiunse: “Prendi le birre sotto il sedile.” Lui si mise fra le labbra quello che rimaneva della canna e si allungò per raggiungere le bottiglie. Erano fredde gelate, sembravano appena uscite dal freezer. Sfilò il bic dalla tasca dei jeans e ne aprì due senza preoccuparsi dei tappi che atterrarono fra le migliaia di oggetti sparsi per tutta la macchina. Brindarono che già stavano sfrecciando sulla A8 in direzione della città. Era ancora presto per tramontare e la luce del sole attraversava lo scatolone illuminando l'interno di un giallo che esiste solo d'estate. “Cambia musica che Zappa dopo un po’ mi annoia” gli disse. Prese una cassetta arancione dal cruscotto e la spinse nel mangianastri. Gino Paoli cantava “Sapore di Sale”. A bordo si fece uno strano silenzio, Carlo guidava con una mano e con l'altra reggeva la bottiglia mentre lui si accese una sigaretta fissando il guardrail che scorreva sulla sua destra. Quel brano era talmente perfetto che nessuno dei due osava interromperne la sottile malinconia, nemmeno con una parola. Presero l'uscita verso viale Certosa, percorsero tutta circonvallazione verso sud per poi svoltare a sinistra su via Meda e raggiungere Porta Ticinese. Alla Darsena c'erano arrivati in fretta, il bello cominciava adesso. Dovevano riuscire a posteggiare e sarebbe stata un'autentica avventura. L'unica possibilità era il grande parcheggio sterrato vicino a piazza ventiquattro maggio. L'ingresso era a circa cinquanta metri quando una macchia blu metallizzato comparve da sinistra e gli tagliò letteralmente la strada. Carlo pestò il pedale del freno così a fondo che il carico di cianfrusaglie della Twingo si spostò di colpo fin sotto i loro piedi. “Vaffanculoooo!” Gridò stringendo il volante fra le mani. La Y10 che per un soffio non li aveva speronati sfilò davanti a loro entrando nel parcheggio. “Cazzo è lei, Carlo! Seguila!”. Non credeva ai suoi occhi, era certo, l'aveva vista bene, era passato un bel po’ di tempo ma era lei. Sul lunotto posteriore un cartello verde fluorescente diceva <VENDESI> seguito da un numero di telefono. Lo ripeté all'infinito mentre il suo amico cercava di guidare il più veloce possibile per non farsi seminare. Trovò una penna in mezzo a tutto il casino che c'era a terra e scrisse su un pacchetto di Lucky Strike. Non la vedeva da più di sei anni e il destino gli aveva regalato un'opportunità. Fece appena in tempo a segnare il numero prima di vederla scomparire dietro una nuvola di polvere e sabbia. Quella sera dopo l'ennesima birra e la millesima chiamata una voce femminile finalmente rispose: “… No, mi dispiace, non sono la persona che sta cercando. Ma … La macchina, le interessa comunque?”
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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Milano e nuvole. (Racconto di una domenica pomeriggio)
Ma dove diavolo era finita? Eppure era sicuro fosse lì, nel cassetto portaoggetti insieme ai documenti, alla torcia elettrica e a quella copia sbiadita di TuttoCittà dell'82. E invece niente non c'era traccia, svanita, polverizzata. Dannazione proprio quando ne sentiva più il bisogno. Sul lato A era la terza o la quarta traccia, non lo ricordava mai ma era uno dei suoi pezzi preferiti dei Buffalo Springfield. Ne adorava l'attacco iniziale con quella chitarra amplificatissima e appena pizzicata, gli sembrava quasi di poterla sentire anche adesso, favolosa. Ma sembrava sparita. Qualche tempo prima quello stupido stereo gli aveva già divorato una cassetta dei Creedence e gliela aveva vomitata fuori in condizioni così pietose che dovette a malincuore gettarla in un cestino fuori da un Autogrill vicino al mare. Ma questa no, non poteva essere da nessun'altra parte. E se? Ma certo! Di scatto infilò la testa sotto il sedile del passeggero e in mezzo a pacchetti di sigarette vuoti, un sacchetto di patatine fritte mezzo mangiato e una bandana rossa che credeva altrove, eccola. Provò a raggiungerla con la mano, si allungò fino al limite del fondo del pianale e la prese. La pulì sommariamente, sul retro fece scorrere la lista delle canzoni ed ecco, il quarto brano, era quello, era “For what it’s worth”. Guardò l'orologio. Cazzo. Aveva passato quasi mezz'ora a cercare una cassetta. Ce la poteva fare ancora, tirò la leva dello starter, girò la chiave e sentì lo scossone del 1600 Volkswagen arrivare da dietro la schiena, due colpi di gas, frizione, prima dentro, mollò millimetricamente il pedale sinistro, spinse il destro e partì. Il baccano emesso da quel maggiolone cabriolet del 1975 era celebre nella piccola via dove abitava, non era suo, era il regalo per i 18 anni di sua sorella, aveva qualche ammaccatura e in certi punti la vernice era già stata masticata dalla ruggine, ma con la capote abbassata faceva ancora una gran figura. Premette il pulsante per accendersene una ma subito dopo si ricordò del divieto assoluto di fumo vigente su quell'auto, se sua sorella si fosse accorta che l'accendisigari era stato usato sarebbe andata su tutte le furie, frugò nella tasca sinistra e ci trovò un bic mezzo pieno, lo accese, gli accostò la sigaretta, diede un gran tiro, puntò il naso verso il cielo e sputò fuori una nuvola di fumo che volò in aria dietro la macchina diretta verso la statale che lo avrebbe portato in città. 25 minuti abbondanti dopo anche il lato B era quasi terminato, parcheggiò sotto casa sua era in orario nonostante tutto il trambusto per ritrovare la musica che aveva deciso di farle ascoltare. Lei scese subito, lo baciò, salì in macchina e mentre gli rubava l'ennesima Lucky Strike gli disse: “Dove andiamo?” Lui gli rispose che non lo sapeva ancora ma che aveva delle cassette che doveva assolutamente farle sentire. Lei era in jeans con una camicia di cotone indossata sopra a una canotta bianca aderente, al collo portava una di quelle collane che si costruiva da se. Aveva gli occhi truccati magnificamente e i suoi capelli profumavano di shampoo appena fatto, rimase qualche secondo a fissarla, il rimmel abbondante gli occhi profondi da caderci dentro e quel neo sopra il labbro che lo stordiva ogni volta. “Andiamo?” disse lei. Riavvolse il nastro, spinse PLAY e partirono, il cielo non prometteva stellate in serata ma nemmeno un acquazzone improvviso, così presero la strada verso il lago, lei alzò gli occhi verso l'alto, rimase qualche secondo in silenzio mentre la musica le riempiva le orecchie, lo guardò e gli disse: “Sai che cosa adoro fare? Guardare le nuvole che corrono su di noi”. Lui distolse gli occhi dalla strada e disse: “Sai che cosa adoro io? Guardarti mentre lo fai”. Lei gli sorrise, si avvicinò e gli baciò una guancia.
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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Quando il mio papà aveva i capelli neri.
A me veramente, mi viene voglia, certe volte, di tornare a quando ero un bambino e mi ricordo di un giorno che forse avevo 5 o 6 anni e mio papà mi ha detto “Sali in macchina che andiamo a comprare la bicicletta da cross”. E tutti nella mia strada ce l'avevano e io no, e non mi sembrava vero che stesse accadendo per davvero ed ero agitatissimo e la strada per arrivare al negozio mi sembrava infinita e lo guardavo guidare veloce la Panda 45 e mi sembrava un sogno.
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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oggettosmarrito-blog · 8 years ago
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Non vaporizzare su corpi incandescenti.
Ormai era quasi tramontato, non gli restava molto tempo. Guardò un'altra volta in direzione del salotto, il suo vecchio era spalmato sul divano, forse dormiva o forse era semplicemente ipnotizzato davanti al televisore acceso. Sua mamma era di sicuro già a letto a leggere uno di quei suoi soliti romanzi gialli tutti uguali. Si passò la mano sulla tasca destra dei jeans per assicurarsi che ci fossero le chiavi della vecchia Renault di sua madre. Avrebbe fatto una retromarcia così rapida che non si sarebbero neanche accorti di lui. Dopo un minuto scarso il cancello davanti alla finestra della sala si stava già richiudendo, era andata, infilò la cassetta nello stereo, alzò il volume e dai finestrini aperti si sentì uscire la voce di Robert Plant che gridava Immigrant Song come fosse la colonna sonora del suo gesto eroico. Lui, la Renault e la bomboletta di vernice spray macinarono i 25 chilometri che li dividevano da lei in mezz'ora scarsa. Il sole era ormai scomparso dietro i palazzi e la fila di lampioni della via brillavano già come una pista di atterraggio. Parcheggiò appena dopo un cassonetto dell'immondizia, spense il motore, prese la bomboletta e scese dall'auto talmente di corsa che si dimenticò perfino di chiuderla a chiave. Il punto prestabilito era il muretto sotto la pensilina della fermata del bus, esattamente davanti casa sua, in quella posizione sarebbe stato impossibile non accorgersene il mattino dopo. Aveva la bocca asciutta e le palpitazioni accelerate ma ormai era lì e non poteva più tornare indietro. Mentre si avvicinava al bersaglio, le biglie metalliche all'interno dello spray che agitava impazientemente con la mano, scandivano ritmicamente i suoi passi. Si fermò, si guardò intorno, prese un respiro infinito e scrisse le sue scuse per lei sul muro. Non lo aveva visto nessuno, non lo aveva sentito nessuno. Rimise il tappo alla vernice camminò senza fretta fino alla macchina, salì, mise in moto e se ne andò.
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