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Philip Cheaney’s depictions of some of the fantastic creatures described in the Bible. He creates geometric simplicity by using repeated patterns, resulting in well designed images with plenty of visual interest without being too busy or crowded.
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Fahrenheit 451 by Sam Weber.
It was an incredible honor to work on this edition, especially knowing the time and care Folio puts into all the books they publish. Working on a larger scale project like this can always be a little daunting, especially when it comes to developing a theme or graphic device that can tie the image making process together. So much of Montag’s discomfort revolves around his inability to articulate what is causing him so much unrest. He can’t explain the wrongness in his life, but feels it regardless slowly eating away at him until it’s finally too much to bare. I wanted to use colour to somehow communicate this, with intense hues signaling the artificial culture created in the absence of literature, and neutral colours dominating the rare moments of peace he experiences with Clarisse and at the end of the novel after finally escaping the city and his old life. The presence of water is such an important metaphor in the book, cleansing Montag in the form of rain and baptizing him as he traverses the river towards his new life amongst the book people.
Conveying the electrical horror of Montag’s daily life was an exciting challenge. Bradbury’s dystopian vision takes the dumbing down of culture to its darkest and most pessimistic conclusion. It’s perhaps not an ugly world, but it is certainly cruel, inhumane and as relevant today as it was when he first wrote it over half a century ago.
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Solomon Joseph Solomon. Ajax and Cassandra, 1886.
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Artists’ Palettes, L-R: Delacroix, Van Gogh, Monet, Seurat, Renoir, Gauguin
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Ezio never ceases to amaze. Especially in Jeff Simpson’s excellent conceptual Assassin’s Creed Revelations artwork created for Ubisoft.
Related Rampage: Princess Peach Had a Gun
Assassin’s Creed Revelations - Ezio by Jeff Simpson (CGHUB) (Twitter)
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Sono stato tra questi. Dalla parte di chi ha sfidato l'ordine del mondo. Sconfitta dopo sconfitta abbiamo saggiato la forza del piano. Abbiamo perso tutto ogni volta, per ostacolarne il cammino. A mani nude, senza altra scelta. Passo in rassegna i volti a uno a uno, la piazza universale delle donne e degli uomini che porto con me verso un altro mondo. Un singulto squassa il petto, sputo fuori il groviglio. <<Fratelli miei, non ci hanno vinti. Siamo ancora liberi di solcare il mare!>> ("Q" di Wu Ming, p. 610)
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tanrinineli:
Ayasofya, 1870

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Millenovecentotrentuno anni. E’ questa l’età del più celebre di monumenti romani il Colosseo. C’è da chiedersi <<Li dimostra?>>, la risposta è <<Si>>. Da quando è stato costruito al posto del laghetto centrale alla domus aurea di Nerone, l’anfiteatro Flavio ha attraversato ogni epoca e la sua struttura riporta ogni segno dello scorrere del tempo.
Passando attraverso le antiche arcate e i corridoi si vede come dall’alto medioevo ad oggi, ovvero dal momento in cui furono interrotti gli spettacoli nell’anfiteatro per volere papale, in età posteriore a quella classica il monumento, al pari di altri edifici classici, subì quello che i tecnici definiscono “spoglio”, ovvero l’asportazione sistematica delle parti edilizie di un edificio.
Analizzando attentamente il Colosseo si possono notare segni di spoliazione delle gradinate (quelle poche presenti oggi sono una ricostruzione recente innestata tramite il riuso di materiali eterogenei e messi alla rifusa), spoliazione dei travertini e delle cortine strutturali.
I fori più profondi di cui sono costellati i pilastri e le arcate dell’Anfiteatro, come molti sanno, sono il risultato del recupero medievale delle grappe in piombo che dovevano tenere insieme i vari massi in opera quadrata. Il recupero era effettuato al fine di rifondere e riutilizzare il metallo.
I fori superficiali ed altre lesioni sono da attribuire ai bancali, alle scaffalature, agli stipiti delle porte delle botteghe impiantate tra gli archi del Colosseo sempre nel medioevo.
Ulteriori danni furono causati dalle numerose scosse di terremoto che colpirono Roma negli ultimi duemila anni e dalla bradisismicità[i] causata dal passaggio della Metro B sotto le fondamenta del monumento.
Se aggiungiamo al mix incuria, mancanza di manutenzione, il passaggio di milioni di visitatori ogni anno, vegetazione spontanea, intemperie, smog e accumuli di inquinanti ci sorprende il fatto che il Colosseo sia ancora per la maggior parte in piedi.
La maestria dei costruttori romani abbinata alla sapienza di architetti ristrutturatori quali il Valadier, hanno fatto si che l’Anfiteatro Flavio resistesse al tempo e ad ogni ingiuria.
I fondi per un restauro sono del tutto necessari, ma servirebbero una quantità di interventi per cui la sola ripulitura generale sembra essere alquanto riduttiva.
Oggi è quindi evidente a tutti l’impossibilità di mantenere un’ opera architettonica di tale importanza nelle condizioni appena descritte.
Queste considerazioni hanno giustamente messo in moto il Ministero dei Beni Culturali pubblicando un bando in data 4 Agosto 2010 per il restauro del monumento, bando a cui rispondere entro il 30 ottobre 2010, in quella data i sondaggi presso le istituzioni Governative e Ministeriali per ottenere finanziamenti da destinare al restauro del monumento sono stati chiusi senza aver trovato alcun fondo.
Alla ricerca di fondi si è successivamente affiancato il Comune di Roma nella figura del Sindaco Alemanno.
Le trattative sono durate a lungo, dal governo nessuna risposta, si sono fatti avanti allora sponsor mondiali e soluzioni plurali di intervento mediante “cordate” di finanziamento italiano ed estero.
Alla fine di estenuanti trattative si è deciso di invocare in nome del “Made in Italy” e “dell’unica soluzione possibile” il nome del salvatore del monumento: Diego della Valle e la sua società Tod’s.
Il mandato messianico è stato consegnato durante gli ultimi mesi dal Sindaco Alemanno con queste parole: “Aver affidato il restauro dell’Anfiteatro Flavio a un privato è la strada giusta ed è anzi un esempio destinato a fare scuola: noi non regaliamo il Colosseo a nessuno e tenerlo così è una vergogna di fronte all’umanità”[ii].
Diego della Valle rilancia: “Un’azienda italiana che funziona ha deciso, in segno di riconoscenza verso il paese, di far vedere al mondo che l’Italia funziona e ha un popolo orgoglioso. Per questo abbiamo detto ‘ci siamo’”[iii].
Ciò che rende dubbiosi su questi discorsi trionfalistici, è l’assoluto disinvestimento operato da parte dello Stato nei confronti del Bene Culturale per eccellenza.
Sembra che ci si ricordi del Colosseo solo quando la sua immagine può essere applicata su movimenti di speculazione interna al mercato europeo ed italiano, mettendosi una mano in tasca sarà palese a tutti come la maggiore opera architettonica del nostro paese sia già stata svenduta per 5 centesimi.
L’Italia regala souvenir, immagini kitsch di se stessa dal momento che il simbolo culturale viene sempre estraneato dal suo contesto e isolato viene venduto come marchio.
Questo è quello che accadrà, i termini del contratto sono chiari. Della Valle verserà 25 milioni di euro in 15 anni per il restauro del monumento, avrà l’esclusiva della narrazione del restauro, potrà impiegare il marchio dell’anfiteatro sul vestiario prodotto dall’azienda, potrà organizzare eventi e visite. Ogni produzione culturale che avverrà all’interno dell’anfiteatro sarà in mano ai soliti <<“Amici degli amici” del Colosseo>>.
Una seconda clausola inoltre richiama il fatto evidente che i fondi possono non bastare così, se il costo degli interventi dovesse lievitare nel tempo, dovrà essere il ministero dei Beni culturali a coprire le eventuali spese accessorie.
Il valore di questo contratto è inestimabile secondo le prime analisi del sindacato Uil; i dati provanienti da una prima stima e pubblicati sull’articolo “L’affare colosseo” del settimanale Left in data 16/4/2011 lasciano senza fiato: “Denuncia infine la Uil che vista «l’esclusività concessa e la durata superiore ai 15 anni con un piano di comunicazione e di commercializzazione spendibile in tutto il mondo», si tratta di un accordo (Tod’s-Colosseo ndr.) che «qualsiasi economista valuta superiore a oltre 200 milioni di euro».”
Bando alla venalità, aggiungiamo ulteriori assurdi ad farsam se pensiamo che per la costruzione dell’intera opera la dinastia degli imperatori Flavi impiegò 8 anni e l’intero bottino del tempio di Salomone ottenuto in Palestina durante la Guerra Giudaica; mentre il restauro totale dell’opera durerà 15 anni (giubileo compreso) e quelli impiegati rispetto ai proventi dell’intera operazione sembrano essere realmente spiccioli (ricorre ancora alla mente quel piccolo Colosseo sul rame dei cinque centesimi).
Dov’è quindi la salvaguardia, la tutela, il simbolo, l’italianità?; sono tutti specchietti per le allodole, fregi, medaglie di cartone di cui alcune retoriche si riempiono la bocca in continuazione. Dal fregio allo sfregio il passo sembra davvero breve in quanto il piano annunciato somiglia ad un piano di ristrutturazione aziendale e non ad un attento programma di restauro.
L’intero intervento presentato da Tod’s il 22 Giugno è diviso in sei punti:
1. la sostituzione dell’attuale sistema di chiusura dei fornici con cancellate;
2. il restauro del prospetto settentrionale e meridionale;
3. il restauro degli ambulacri;
4. il restauro degli ipogei;
5. la messa a norma e l’implementazione degli impianti;
6. la realizzazione di un centro servizi che consenta di portare in esterno le attività di supporto alla visita che sono attualmente nel monumento, e che sarà utile all’accoglienza delle persone che lo visiteranno.
Per ogni punto la stima delle risorse impiegate, il tutto in viso alle regole fondamentali del restauro di Cesare Brandi (fondatore dell’Istituto Centrale per il Restauro) che intimano espressamente di “pensare al restauro di un monumento o di un manufatto come un corpo unico”.
Si raggiunge l’assurdo poi se si citano i discorsi avvenuti al Teatro Argentina durante il convegno di presentazione del progetto di restauro dell’Anfiteatro Flavio; Come ha asserito la responsabile di Confculture (Confindustria), Patrizia Asproni: «Noi siamo imprenditori e vogliamo fare profitti. Della Valle prima investiva nello sport, ora nel Colosseo. Lo sport non ha più appeal a causa della corruzione e del doping». Infine ha aggiunto «Sono stanca del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Non ne abbiamo più bisogno. Il patrimonio culturale del Paese deve entrare nella competenza del Ministero dello sviluppo economico».
Il commento di queste pesantissime dichiarazioni da parte di Vittorio Emiliani sull’Unità del 11.7.11 ricalca ciò che abbiamo iniziato a svelare: “Insomma, è la redditività dei beni culturali a dettare l’agenda. Non più la ricerca: scientifica, artistica, archeologica. Non più il valore «in sé e per sé» della cultura. I professori studino pure; priorità e usi spettano al profitto. E la tutela del patrimonio? Un bel fastidio, oggettivamente. Roba da «talebani della tutela», come disse Andrea Carandini nel sostituire (in 4’) Salvatore Settis, dimissionario, alla presidenza del Consiglio Superiore dei Beni Culturali.”
Opera virtuosa quindi o capolavoro di speculazione da parte di Della Valle aiutata dalla retorica pomposa e gretta dei vertici di Roma Capitale?
Dati alla mano si sembra protendere per la seconda dato i nodi venuti subito al pettine. Nonostante la direzione del Ministero, è evidente che le direttive e le decisioni più importanti partiranno dagli uffici Tod’s di Firenze.
Ancora Left riporta come i sindacati siano immediatamente intervenuti in favore del ricorso degli operatori tecnici restauratori contro le ditte edilizie con operai specializzati chiamate in gara da Tod’s per l’appalto di restauro.
A questo si aggiunge la possibilità di appendere pubblicità intorno al secondo anello del monumento e non commenteremo la decisione assolutamente anticulturale di apporre per promuovere la mostra omonima la scritta Nerone intorno allo stesso cerchio. Dice una guida basita incontrata di fronte all’entrata: “Vai a spiegare ora ad un giapponese che Nerone non ha mai messo piede nel Colosseo, adesso c’è il suo nome sopra”.
Affiggere quella scritta il 19 Giugno, ovvero due giorni prima della presentazione del progetto, al pari di azioni artistiche futuriste, è una operazione di appropriazione da parte della “nuova gestione” dell’opera architettonica, atto che sembra annunciare l’avvento “dell’illuminata era Della Valle”. Uno shock per gli studiosi, progettato per attrarre l’attenzione mediatica intorno alla presentazione del piano.
Essere venali non è da chi opera nell’ambito dei Beni Culturali anzi, ma è ora di svelare i termini della svendita. Se di quei “oltre 200 milioni” di guadagno ottenuti dall’uso della cultura prodotta dal Colosseo, fossero stati impiegati per il restauro il 90% dei fondi (cifra che serve in toto all’intera struttura), oltre a fare la bella figura di un grande mecenate, il “povero” Della Valle avrebbe potuto anche incamerare un profitto di 25 milioni da una operazione aulicamente culturale; è evidente la messa in scena in corso su tutto il Patrimonio Italiano, attuata da Roma Capitale e da alcune aziende italiane grazie al disinvestimento del Bene Culturale per Eccellenza operata in questi anni da Governo e Mibac.
[i] Termine coniato nel 1883 da A. Issel per indicare lenti movimenti di innalzamento o di abbassamento di un’area più o meno estesa della crosta terrestre. Piccole scosse che in maniera continuativa creano danni a strutture e monumenti.
[ii] Francesca Giuliani, Polemica per il Colosseo e il marchio a Mr Tod’s, Repubblica.it, Repubblica.it, 5 aprile 2011.
[iii] http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/01/21/news/roma_colosseo-11496211/, Restauro del Colosseo, c’è l’accordo. Della Valle sponsor unico con 25 milioni, Repubblica.it, 21 gennaio 2011.
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