germana di paolo descrive e condivide le dinamiche di una trasformazione che comincia col conoscere se stessi; un cammino nella consapevolezza che può aprire le porte alla saggezza.
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Il Salvatore X

Il potere salvifico nei doni di Gesù
Nell’ultimo articolo abbiamo considerato aspetti piuttosto delicati, abbiamo parlato della superiorità del vero cristianesimo a livello dottrinale sebbene non abbiamo escluso altre possibilità di salvezza per chi non è ancora pronto o non conosce il cristianesimo. Abbiamo capito che, come dice Gesù: “lo Spirito di Dio non conosce limitazioni e si fa Maestro del Vero a molti che voi reputate essere invisi a Dio.[…] Lo Spirito Santo, al quale troppi di voi cattolici precludete il venire con la vostra forma di vita, effonde le sue luci ad altri più meritevoli di voi di riceverle e li purifica a Dio, poiché Egli è il Purificatore, il Preparatore e il Perfezionatore dell’opera del Verbo. Come nella storia umana lo Spirito, per bocca dei Profeti, preparò gli uomini alla mia venuta e, dopo il mio ritorno a Dio, perfezionò in voi la capacità di comprendere la mia Parola, così ugualmente è sempre Lui, la terza divina Persona, che mi prepara la via nei cuori che non mi hanno ancora ricevuto come Verità e che me li irriga perché la mia Verità, deposta come seme portato dal vento divino, divenga in essi albero grande sul quale tutte le virtù facciano dimora. Egli battezza prima di Me i pagani di ora (e per pagani intendo tutti i non cattolici); e volesse la vostra buona volontà che vi avesse a ribattezzare anche voi, che state divenendo o già siete tornati pagani. Battezza col fuoco dell’amore vero.” (Quaderni 14 Gennaio '44- M.Valtorta)
Oltre alla superiorità dottrinale abbiamo introdotto il tema degli aiuti speciali offerti ai tiepidi nella religione cristiana, in virtù del fatto che è stabilita dal Figlio di Dio in terra. Il cuore del potere salvifico di Gesù risiede, come dicevamo, nella sua unica e speciale azione sui peccatori e sui tiepidi, ossia su tutti coloro che da soli non si potrebbero mai salvare. Questo è risaputo all’interno della Sua dottrina ma risulta del tutto incompreso da chiunque non abbia un cuore cristiano. Persino durante la sua vita Gesù dava meno attenzione a chi era fervente di suo e si sarebbe salvato già solo per la forza del suo amore, “parlava anzi più ai tiepidi e agli avversari che a quelli che erano suoi, perché per la redenzione dei tiepidi e colpevoli era maggiormente preoccupato” (Libro Di Azaria Cap.39 - M.Valtorta). E non c'è da stupirsi perché Egli è nato per questo ed è il Salvatore proprio per questo!
Cerchiamo di capire in cosa consiste l’aiuto speciale offerto dai Sacramenti in generale e dalla Comunione in particolare e di come influenzino il cristiano, facendo parlare in primis Gesù e portando poi alcuni esempi dell’effetto straordinario che hanno prodotto nei grandi Santi cristiani, unici a poter testimoniare in modo netto la potenza dello slancio spirituale che donano.
Nei dettati alla Valtorta che trovate nei Quaderni del 14 giugno 1944, che vi invito a leggere interamente per vostra chiarezza, Gesù spiega amabilmente il potere eucaristico così: “Ma vedete questo eucaristico Pane? Esso ha fatto i martiri. Erano creature come voi: paurose, deboli, viziose anche. Questo Pane ne ha fatto degli eroi. Nel primo punto vi ho indicato il mio Sangue per vostra purificazione. Al terzo punto, per fare di voi dei santi, vi indico questa Mensa e questo Pane. Il Sangue da peccatori vi ha fatto giusti. Il Pane da giusti vi fa santi. Un bagno monda ma non nutre. Rinfresca, ristora, ma non si fa carne nella carne. Il cibo invece diviene sangue e carne, diviene voi stessi. Il mio Cibo diviene voi stessi. Oh! pensate! Guardate un piccolo bambino. Oggi mangia il suo pane e domani ancora e poi domani, e domani, e domani. Eccolo che si fa uomo: alto, robusto, bello. È sua mamma che l’ha fatto così? No. Sua madre l’ha concepito, portato, dato alla luce, allattato e amato, amato, amato. Ma il piccolino, se dopo il latte non avesse avuto altro che bagni, baci e amore, sarebbe perito di inedia. Quel piccolo si fa uomo per il cibo da adulto che prende. Quell’uomo è tale perché prende giornalmente il suo cibo. Lo stesso è per il vostro io spirituale. Nutritelo del Cibo vero che dal Cielo discende e che dal Cielo vi porta tutte le energie per farvi virili nella Grazia. La virilità sana e forte è sempre buona. Guardate come è più facile vedere uno, malazzato, essere aspro e senza compatimento e pazienza. Il mio Cibo vi farà sani e forti nella virilità dello spirito e saprete amare gli altri più di voi stessi, come Io vi ho amati. Perché, guardate, figli, Io vi ho amati non come uno ama se stesso. Ma più di Me stesso. Tanto che mi sono posto a morte per salvare voi dalla morte. Se amerete così, conoscerete Dio. Sapete cosa vuol dire conoscere Dio? Vuol dire sapere il gusto della vera Gioia, della vera Pace, della vera Amicizia.”
Gesù qui parla chiaramente ai tiepidi, alle ‘creature come voi’, ai ‘viziosi anche’ ed indica il Suo Pane come integratore di forza spirituale. Dice inoltre che la redenzione ottenuta con il sangue e col dolore, lava e purifica, converte e salva i peccatori, ma la Comunione rafforza, mantiene, corrobora lo spirito per rimanere sulla via che da giusti porta ad essere santi. Conferma dunque che i Sacramenti sono appositamente creati per i tiepidi.
Questo aiuto è confezionato in forma materiale per concedere un mezzo comprensibile a chi non ha ancora una vista spirituale, ma in se stesso è puramente spirituale, è “cibo per lo spirito e cibo per il pensiero” (op.cit.) ed aiuta il contatto con Gesù, aiuta a permanere in lui ed essergli fedele. Quando Gesù dice: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni 17: 20, 21), sta pregando per i credenti, per i tiepidi che, grazie alla testimonianza dei discepoli ferventi, credono in lui e prega affinché giungano ad essere, attraverso l’amore per Lui, una cosa sola con Dio. Questa preghiera viene pienamente accolta dal Padre. Sapendo: “Il Padre ama chi amo” (op.cit.) il Salvatore può allora offrire un’esclusiva protezione, una comunione con se stesso che porta, già di per sé, vicinanza al Padre. “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità” (Giovanni 17:22).
Per avere Gesù in loro, quando non hanno zelo, i credenti hanno il dono dell’Eucarestia, che è il “cuore di Gesù”. Così lo definisce alla Valtorta. E quando lei chiede se ci sarebbe mai stata la comunione se non fossimo caduti nella carne e nel peccato Gesù sottolinea proprio che l’Eucarestia è una comunione con Lui stesso. Leggete come le risponde ‘sfavillante d’amore’: «Anzi! Non comunione particolare del Verbo incarnato ai suoi fedeli, ma comunione totale con la Ss. Trinità avreste avuto. Perché Io, scendendo Ostia in voi, meco porto il trino e inscindibile Amore, ma di Me particolarmente vi nutro. Ho detto: "Ecco il mio Corpo. Ecco il mio Sangue", e la Chiesa dice: "Ecco il Corpo del nostro Signore Gesù Cristo. Ti custodisca per la vita eterna". Ma foste rimasti innocenti, senza bisogno di frammenti di pane avreste avuto la Comunione con Dio. La sostanza è per la vostra umanità divenuta prepotente dopo il Peccato d'Adamo. Prima era regina la spiritualità. E la spiritualità non ha bisogno di sostanze materiali per capire di ricevere e possedere un oggetto. Nel nostro caso: Dio. L'uomo rimasto innocente, già giusto per dono gratuito di Dio, si sarebbe sempre più evoluto verso la perfezione, perché ogni santità, esclusa quella divina, è suscettibile di perfezione. Altissima è la scala che porta dalla perfezione relativa indispensabile per possedere un giorno il Regno dei Cieli, alla perfezione inferiore unicamente a Dio solo. Tu devi considerare, anima mia, la grande differenza perfettiva che è quella che un'anima raggiunge dopo essersi purgata per anni o per secoli nel Purgatorio dalle sue imperfezioni non eliminate nel giorno terreno, da quella che un'anima raggiunge nel tempo mortale talora brevissimo, non per operazione attraverso un mezzo creato da Dio, quale è quella del Purgatorio — pietoso laboratorio dove le anime imperfette si fanno quali devono essere gli abitanti della Città celeste, dove nulla di impuro e brutto può entrare — ma per eroica volontà propria.” (Quaderni dal 1945 al 1950 Cap. 60).
Qui Gesù rende evidente che l’Eucarestia è il mezzo dei fedeli per restare giunti a Lui, per averlo dentro, pensarlo, amarlo, perché già questo è garanzia di salvezza e solo Lui può promettere e mantenere tanto, come solo Lui può dar salvezza ai peccatori attraverso la redenzione. Salvatore due volte in modo unico.
Nello stesso tempo però guardate come sottolinea anche quanto importante e considerato è ogni tentativo fatto nella nostra vita per intraprendere più attivamente la scala di perfezione che, come ci conferma, è a più livelli e questo è un grande incoraggiamento a impegnarci il più possibile nel cammino spirituale, a non accontentarci di restare nella tiepidezza, a divenire eroici nell’amore di Dio, come ci ha insegnati con la sua stessa vita.
Per ricevere la Comunione con Gesù in modo effettivo bisogna avere un cuore puro e vero amore per Lui. “A tutte le anime che ricevono Gesù Eucaristico con vero trasporto e cuore puro, Gesù dà loro grazie indicibili, conducendole sulla via della vera vita”. È chiaro che lo sforzo personale non si può sorvolare in nessun caso. Anche quando è insufficiente per divenire discepoli, dev’esserci in dose idonea alla predisposizione dell’azione della grazia. Tiepidezza e ipocrisia sono cose ben distinte e separate ed è bene ribadirlo. Dio non si può prendere in giro e chi cerca di farlo è ovviamente narcisista, materialista, ateo in cuor suo, e religioso solo per apparenza sterile. Il vero amore per Gesù, per quanto umano e imperfetto, dev'essere lì, perché l’Eucarestia abbia terreno fertile per dare il suo frutto poderoso. A Luisa Piccarreta Gesù dice cosa fa quando entra in un cuore ipocrita, dalla vita troppo lontana dalla sua: “aspetto la consumazione delle Specie Sacramentali – dentro delle quali il mio Fiat Eterno Mi aveva imprigionato -, lasciando appena le tracce della mia discesa; perché nulla ho potuto lasciare della mia vita Sacramentale, forse le sole mie lacrime, perché, non avendo preso parte alla mia vita, mancava il vuoto dove poter lasciare le cose che a Me appartengono e che Io volevo mettere in comune con loro”.
Ora, come promesso, vediamo invece cosa succede a chi lascia quel vuoto per prendere il massimo da Gesù Sacramento e a chi vive il più possibile una vita simile alla Sua, piena d’amore per Dio e per i fratelli. Vediamo qualche esempio avvincente sul potere dell’Eucarestia che solo i Santi cristiani più volenterosi possono testimoniare.
Inizierei col ricordare che i Santi che citeremo non erano digiuni di misticismo, non erano semplici contemplativi o aridi. Avevano una ricchissima vita mistica, parlavano con Gesù, lo vedevano, vivevano grazie travolgenti. Possiamo supporre che non fossero facilmente impressionabili e non avrebbero attribuito perciò i loro più alti voli mistici e spirituali all’Eucarestia, senza ragioni valide.
Forse la più esemplare in questo senso è Santa Veronica Giuliani, proprio per la sua straordinaria e sovrabbondante vita mistica. Il numero delle grazie ed esperienze mistiche che visse è impareggiabile, tanto che si dice solo la Madonna ne ebbe di più. Ebbene, questa grande mistica, solo ed esclusivamente dopo la Comunione, arriva a vivere il Paradiso, l’Amore di Dio e un’estasi inconcepibile ogni santo giorno, negli ultimi dodici anni della sua vita. L’esperienza che vive è talmente forte che, per contrasto, tornare alla normalità e al contatto con ciò che è umano diventa nauseante. L’Eucarestia arriva a fare la differenza anche per lei, che di grazie ne ebbe a iosa, e, in virtù della sua già alta elevazione spirituale, le fa da jet privato per portarla nelle braccia di Dio e fonderla nel suo Amore. “L’Amore si è fatto trovare!” furono le sue ultime parole alle consorelle: “ditelo a tutte! Ditelo a tutte!”.
Un’altra esperienza mistica eucaristica, con immaginabili effetti estatici, la visse molte volte Santa Faustina Kowalska, e non fu l’unica, essa consiste nel vedere l’Eucarestia divenire Gesù bambino. Questa Santa inoltre testimonia che dopo la Comunione sentiva Gesù nel suo cuore e ciò comportava un più profondo raccoglimento per tutto il giorno. Un additivo di pura forza spirituale che manca a molti praticanti di altre vie. Riteneva la sostenesse anche nella sua missione difficile, non solo come santa-vittima ma anche e soprattutto come prima apostola di una nuova devozione, quella alla Divina Misericordia; devozione che esprime il potere salvifico di Gesù in quanto Dio in forma di Misericordia, in quanto incarnazione dell’Amore Redentore. “Questo pane dei forti mi da ogni energia per portare avanti quest’opera”, dice nel suo diario. Ma ciò che torna a sottolineare di più è la forza che le dà nella sua stessa trasformazione e santificazione, scrive: “tutto ciò che c’è di buono in me me l’ha provveduto la santa comunione. Io debbo tutto ad essa. Sento che questo sacro fuoco mi ha trasformata completamente. Sono lieta o Signore di essere la tua abitazione. Il mio cuore è un tempio nel quale tu dimori continuamente.”
Henri Ramiére, apostolo della devozione al Sacro Cuore di Gesù, la quale ebbe la sua nascita attraverso Santa Margherita Maria Alacoque, lega strettamente questa devozione all’Eucarestia che, a conferma di quanto Gesù disse alla Valtorta, è 'il cuore stesso di Gesù'. Egli dice: “è nell’Eucaristia che troviamo attualmente il cuore di Gesù il più vicino a noi; è nell’Eucaristia che egli si unisce nel modo più intimo a noi e noi a lui.” Ora guardate come tutto torna. Una delle promesse che Gesù fa a chi è devoto al suo Sacro Cuore è questa: “Le anime tiepide diventeranno ferventi con la pratica di questa devozione” (Lettera n.132).
Queste non sono semplici coincidenze, sono dimostrazioni lampanti che dietro ai messaggi alle sue sante-vittime, c’è una linea di ragionamento che non si smentisce mai. È dottrina infusa direttamente da Gesù. L'Eucarestia è il cuore di Gesù e l'adorazione al cuore di Gesù produce gli stessi effetti dell'Eucarestia. AmarLo ed unirsi a Lui nella Comunione, così come la devozione al Suo cuore, dà la forza ai tiepidi di divenire dei Santi. Questo aiuto e questa dottrina sono unici e proprio in quanto tali sono spesso incompresi o risultano addirittura sospetti ma questa unicità è dovuta al fatto che, lo ripeteremo all’infinito, la missione di Salvatore appartiene esclusivamente a Gesù.
Nei Santi, la presenza di Gesù nell’Eucarestia è talmente sentita che ne possono avvertire l’effetto anche solo quando adorano la Sua presenza, meditando di fronte al Sacramento. Proprio mentre è in adorazione eucaristica, Santa Margherita Maria Alacoque si sente investire dalla presenza divina in modo che “mi dimenticai di me stessa del luogo dov’ero. Allora mi abbandonai a questo Divino Spirito consegnando il mio cuore alla forza del suo Amore, Lui mi fece riposare a lungo sul suo petto divino e mi fece scoprire le meraviglie del suo Amore e i segreti inesplicabili del suo Sacro Cuore”. L’esperienza è fortissima e dolcissima. Gesù poi le conferma la sua missione di diffondere la devozione al suo Sacro Cuore, specificando che “le fiamme della Sua carità [… ]contengono le grazie santificanti e salvifiche necessarie per allontanare gli uomini dalla perdizione”.
L’adorazione eucaristica produce effetti mistici anche in molti altri. Anna Katharina Emmerich dice: “Il mio desiderio della Santissima Eucaristia era così veemente e irresistibile che, di notte, uscivo frequentemente dalla mia cella per entrare in chiesa, spesso mi genuflettevo e prostravo verso il santissimo con le braccia distese e talvolta entravo in estasi”. La Emmerich, tra l’altro, è una dei tanti Santi cristiani che vissero per anni senza bere e mangiare, ma solo cibandosi della Comunione, come anche San Nicola di Flueli, Teresa di Neumann, Alexandrina Maria da Costa ed altri. Le ultime due, piuttosto recenti, vennero tenute sotto stretta sorveglianza medica a verifica della veridicità del loro digiuno di grazia. Nessun medico smentì il fenomeno, sebbene non potesse spiegarlo.
Molti altri eventi miracolosi accadono ai Santi in occasione della Comunione. Proprio Santa Margherita Maria Alacoque, anche lei santa-vittima, in un momento di tremendo stato fisico e morale, ricorre alla Comunione con la specifica istruzione della superiora di chiedere la guarigione immediata. Gesù accetta e le dice: “Vengo da te Sacerdote per darti nuova forza in modo che tu possa dedicarti a nuovi sacrifici.” Ovviamente guarisce subito e, come promesso, solo temporaneamente, per poi soffrire ancora per la redenzione a cui si è immolata.
Credo si potrebbe andare avanti per ore a citare conferme sul potere di Gesù Eucaristico, con un po’ più di ricerca da parte mia, ma non voglio dilungarmi troppo in questo articolo e, nella speranza di espandere questa serie, che oggi concludo, in un libro, termino con una nota dolente proprio a riguardo dei Sacramenti.
Oggi i tiepidi potrebbero perdere tutti i vantaggi offerti dai doni di Gesù. Col fatto che l’istituzione cristiana ha ormai una forte contaminazione sincretista e palesemente anti-cristiana, i veri sacerdoti, che possono fungere da intermediari per la Comunione, sono sempre in minor numero. Questo lo dico soprattutto ai cattolici che potrebbero passare da queste parti e sanno di essere tiepidi. A mio avviso, ad oggi, e nel futuro hanno solo due possibilità: affidarsi ai pochi preti rimasti fedeli a Gesù, in primis a quelli del Sodalizio Mariano di Don Minutella e Fra Celestino o ad altri che pur non essendo ancora usciti restano fedeli a Gesù, mi viene in mente, ad esempio, Fra Emmanuel. Oppure, e questa è l’opzione che ci riguarda tutti, tornando ad essere ferventi come i primi cristiani, per poter ricevere forza spirituale da Gesù pur senza attingere a ‘la sostanza’ dell’Ostia, qualora non fosse disponibile. Questa viene chiamata Comunione Spirituale. «Quando non vi comunicate e non partecipate alla messa, potete comunicarvi spiritualmente, la qual cosa è assai vantaggiosa… Così in voi si imprime molto dell’amore di nostro Signore» dice Santa Teresa d’Avila. È facile immaginare però che tale Comunione può avere un effetto forte tanto quanto quella fisica, in cui Gesù promette e mantiene il suo miracolo, grazie al proprio zelo spirituale. Dobbiamo ricordarci che più siamo materiali noi più la ‘sostanza’ materiale ci appare indispensabile. Più ci eleviamo più la Comunione Spirituale con Gesù può avvenire in termini totalmente spirituali.
Lo stesso ragionamento che ci ha portati qui può aiutarci ad arrivare a Gesù anche in questo periodo di crisi spirituale. Abbiamo detto che con l’impegno personale si giunge ad un’elevazione tale da non poter essere facilmente ignorati dallo Spirito Santo e dal Verbo, ricordate? Possiamo ipotizzare che Gesù parlò di ‘discesa dello Spirito Santo’ proprio per chi quell’elevazione non l’aveva ancora raggiunta e che fosse un dono tutto Suo per i fedeli che lo amavano. Nell’Evangelo Egli, verso la fine della sua vita, dice che anche i suoi discepoli, tranne Giovanni, erano ancora troppo umani e che la discesa dello Spirito Santo avrebbe colmato ogni distanza. Presumibilmente Gesù si fece, ed è, tramite di una ‘discesa’ miracolosa dello Spirito di Verità, dell’Amore Santificatore, per i suoi fedeli. Anche i suoi discepoli divennero tali pienamente, spiritualmente ed eroicamente, fino a morire sulla Croce, solo grazie all’azione dello Spirito. Se per arrivare e permanere nel suo Cuore, abbiamo a disposizione una quantità minore dei suoi doni, possiamo ben sperare allora che la nostra elevazione colmi la distanza, che la nostra forza ci renda nuovi ferventi, nuovi discepoli, nuovi apostoli, nuovi eroi amanti del Salvatore e, col Suo Amore, giungere ben presto al contatto con Lui e con lo Spirito Santo. Questo lo dico soprattutto per quei ricercatori spirituali ferventi che non capiscono ancora chi è Gesù, come non lo capivo io fino a poco tempo fa.
Spero di avvicinarvi al Maestro Divino. Spero con tutto il cuore voi siate tra coloro che lo Spirito Santo ha purificato, preparato e perfezionato per l’opera del Verbo, così che i vostri sforzi tendano alla più grande santità e siate aiutati da Colui che è, e vi basta pensare ed accettare anche solo questo, il Re dei Santi, il Fondatore della più alta e raffinata scuola di perfezione spirituale.
Mi permetto di lasciarvi con un consiglio molto semplice ed efficace, qualsiasi punto non comprendiate su di Lui o sui Suoi insegnamenti, pregateLo di illuminarvi. Ha risposto già ad ogni possibile quesito, vi darà luce sufficiente per capirLo e fonti degne per confermarvi nella luce.
Sia tutto a Sua lode.
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Il Salvatore IX

La superiorità del Cristianesimo
Nel corso di questi articoli, dedicati al Salvatore, abbiamo citato persone che, nella storia dell’umanità, si sono contraddistinte per aver raggiunto la dimensione spirituale e per aver saputo permanere in essa fino ad essere considerate sante o illuminate da tutti i ricercatori spirituali. Non tutti coloro che abbiamo citato sono stati discepoli del Cristo. Questo atteggiamento può essere tacciato come sincretista, mentre il sincretismo è la fusione di elementi provenienti da discipline o dottrine diverse con lo specifico scopo di creare confusione e di abbattere la dottrina reale.
Il termine sincretismo ha origine dal greco σύν «con, insieme» e Κρήτη «Creta» (Vocabolario Treccani) ed indica proprio una coalizione nata tra due fazioni opposte con l’intento di combattere un più grande nemico comune. L’origine di questa parola ci da la chiave di lettura più adatta a capire la vera natura del sincretismo, poiché rivela la malafede nell’intento della diffusione di dottrine confusionarie e false. Nel mondo della spiritualità ci sono sempre state queste contaminazioni volute e particolarmente diffuse per creare deviazioni. Non tutte le vie sbagliate nascono per slealtà, a volte sono solo frutto d’ignoranza, d’incompletezza nella propria comprensione, ma la loro diffusione è appositamente facilitata da chi sa bene chi è il vero nemico da combattere. Tra le più di moda al momento troviamo degli esempi di sincretismo nella Legge d’Attrazione e nella New Age. Nella prima alcuni fattori autentici vengono sporcati da intenti materiali e fini egoistici spacciandosi per spiritualità. Nella seconda è ancor più palese la fusione di elementi di diverse provenienze. Vengono addirittura accostati maestri, angeli, il Salvatore, alieni, figure esoteriche e di diverse tradizioni religiose nella stessa pratica della divinazione e nei tarocchi. Questo è uno degli esempi più esplicativi del termine sincretismo. In questo caso, l’esoterismo, che nessun praticante spirituale serio dovrebbe considerare né tanto meno praticare, si da un tono di ‘spiritualità’ grazie all’introduzione di personaggi e di concetti genuini che non gli appartengono, creando una fusione pericolosa e affascinante.
Purtroppo però, ad oggi, il sincretismo non è più limitato a bislacche forme di spiritualità o a seducenti filosofie sballate. In questo momento storico esso è arrivato dritto dritto nell’istituzione stessa del cristianesimo. Abbiamo assistito a rituali sciamanici e all’introduzione di divinità inca in Vaticano, al tradimento degli originali insegnamenti del Salvatore, il tutto condito da un’abile manipolazione narcisistica in cui l’“inclusione” vuol mal celare il tradimento e l’eclatante sincretismo.
Ora, nonostante io mi ritenga molto aperta come persona e voglia vedere in tutte le tradizioni un tentativo di cercare Dio, non mi farei mai fare un rito sciamanico in casa, anche solo per prudenza. Esattamente come lotto con la mia curiosità ogni volta che spuntano video con i tarocchi su YouTube, perché so che la loro provenienza non è sicura. Come si può non vedere la malafede in quello che sta accadendo in Vaticano io davvero non lo so ma ho deciso che, scrivendo di spiritualità, è doveroso difendere la verità della superiorità del Cristianesimo Vero come religione. Sì, perché, se non lo sapete, Gesù è stato declassato a un maestro come gli altri, dallo stesso ‘cristianesimo’ che quindi non è più Cristianesimo.
Come dicevamo nell’introduzione però il sincretismo è molto diverso dall’ammettere che ci siano altre vie di verità, non perfette, non complete, ma sufficienti ad indicare la via della spiritualità poiché, come spiegato nell’ultimo articolo, ci sono diversi gradi di perfezione e, come vedremo in questo, ci sono diversi gradi di sforzo personale.
Ci aiuterà tantissimo Gesù attraverso i suoi dettati alla santa-vittima Maria Valtorta, convenientemente condannati dall’istituzione traditrice. Capisco che per molti si tratta di credere o meno all’ispirazione divina degli scritti, ma non per chi è sotto l’influsso dello Spirito Santo, Spirito di Verità, che fa riconoscere la verità. Ed è proprio questa la differenza tra religione e spiritualità. La religione è la via di mezzo, è la via dei giusti che sono ancora tiepidi, che devono procedere più per fede che per conoscenza, ed è il mezzo per giungere ad uno slancio superiore verso lo Spirito, che poi prende e guida direttamente il praticante infondendogli sapienza.
La differenza tra tiepidezza e fervore spirituale si rivelerà cruciale per capire l’ingrediente segreto del Cristianesimo.
Vie che indicano la via, la verità, la vita.
Partiamo dal fervore caratteristico di chi ha forte zelo nella ricerca della verità.
‘La ricerca della verità coincide con quella di Dio’ (Edith Stein) anche per chi non lo sa inizialmente ed è per questo che alcune vie filosofiche possono addirittura escludere il concetto di Dio sostituendolo solo col concetto di verità o spiritualità poiché indicano comunque la strada corretta al contatto con una delle forme trine di Dio: lo Spirito Santo. Potremmo dire che tutte quelle vie genuine che si basano solo sulla via negativa e sulla pratica del distacco indicano la strada alla comunione col solo Spirito Santo, mancando del concetto di e del contatto con il Padre e il Figlio. Alcune di esse però lasciano capire l’importanza del maestro che, in questo caso, essendo illuminato è comunque un figlio di Dio. Pur non formulandolo in questo modo la figura del figlio non è tagliata fuori del tutto.
Quando un qualsiasi praticante, nel tentativo di raggiungere la verità (o Dio) applica un notevole sforzo personale accade che lo Spirito Santo o il Verbo o entrambi si pieghino ad istruire il figlio dell’uomo per farlo ritornare ad essere figlio di Dio e riunirlo al Padre. I migliori tra essi possono poi insegnare a loro volta la via seguita per arrivare allo Spirito o al Verbo. Questo è il processo che ha dato vita a religioni e vie rivelate ma imperfette. Nascendo da rivelazioni private e limitate risultano lacunose. Possono ‘creare foschie’, dice Gesù alla Valtorta, ma non sono eretiche, non sono false, non sono opposte a Dio, come le vie palesemente fuorvianti, sono soltanto incomplete. Tra queste possiamo includere anche quelle dei maestri genuini senza appartenenza. I loro insegnamenti possono aiutare tantissimo chi si applica con dedizione alla pratica spirituale e fungono da salvagente per tutti coloro che hanno una repulsione verso le istituzioni o anche solo gruppi e comunità di stampo religioso perché sono stati abusati, in un modo o in un altro, o perché sono cresciuti in sette eretiche e comunità di stampo narcisistico. Costoro hanno scartato la religione nel suo insieme, confondendola con l’istituzione, nonostante esistano dottrine serie e vere anche all’interno di alcune religioni. Il loro comprensibile errore viene rimediato da questi maestri, liberi ma davvero ispirati, i cui insegnamenti hanno la capacità di indicare al praticante la strada giusta perché provengono da fonte di Verità e che, per incompletezza, possono anche accompagnare il cammino solo fino ad un certo punto per poi lasciare il fervente nelle mani di un maestro superiore.
Tutte queste vie di verità presentano degli elementi naturalmente comuni. Tale comunanza è ben lungi dal sincretismo sleale, è anzi chiaro segno che c’è del vero. La meditazione, la conoscenza di sé, la preghiera, la lettura dei testi sacri e santi, la spinta alla purificazione, all’abnegazione e alla rinuncia di se stessi e delle cose del mondo, sono comuni in molte vie perché costituiscono davvero l’essenza della pratica e della corretta filosofia da seguire.
In questo caso però il praticante deve avere molta determinazione e forza. Perché? Perché in tutte queste vie non c’è nessun aiuto intermedio, a livello di tiepidezza. L’aiuto arriva con lo sforzo e col supporto del maestro scelto, già figlio di Dio, che spinge il praticante alla purificazione e al distacco e nel contempo funge da calamita verso lo Spirito Santo. Se ci fate caso l’auto-disciplina e la determinazione non vengono mai tralasciate dagli insegnanti di queste vie.
Ora, credete voi Dio possa restare indifferente al grande amore che questi suoi devoti gli mostrano? No, perché ‘l’amore purifica anche ciò che è impuro e profano’ (Maria Valtorta quaderno 1944 - 12 gennaio). L’amore per Dio e per i fratelli è ciò che contraddistingue i giusti e poi i santi. Questi santi sono fratelli in comunione evolutiva (d’evoluzione interiore) prima che di fede. ‘La comunione dei santi non è limitata ai fratelli di fede. Essa si effonde su tutti i viventi’, dice Gesù stesso. (op.cit - 12 gennaio). Se ricordate avevamo già chiarito, in termini più materiali, qui, che ciò che chiamiamo la comunione dei santi si raggiunge soltanto attraverso un grande impegno personale. In questo caso l'anima, lavorando assiduamente per arrivare ad amare, diviene ‘naturalmente cristiana’ e appartiene di fatto ‘all’anima della Chiesa’. (op.cit - 12 gennaio). Non solo ma Gesù sottolinea che ‘Dio calcolerà quanto più sforzo dovettero fare i separati dal Corpo mistico, i maomettani, braminici, buddisti, pagani, per essere dei giusti, essi nei quali la Grazia, la Vita, non sono, e con esse i miei doni e le virtù che da essi doni scaturiscono’, ’e molti saranno che credendosi eletti perché cattolici, si vedranno preceduti da molti altri che servirono il Dio vero, a loro ignoto, seguendo la giustizia’ (Maria Valtorta - Lezioni sull’epistola di S Paolo- Lezione VIII). ‘I migliori fra essi, quelli che tendono a Dio con tutto se stessi, sanno alzarsi col volo dello spirito al di sopra della foschia e raggiungere la perfezione che purtroppo manca a troppi cristiani e conoscere le parole ineffabili dello Spirito allo spirito, e gustare l’essere uni con L’amore più e meglio di troppi tiepidi cattolici’ (Maria Valtorta - Quadernetti - cap. 704). Quest’ultima specificazione Gesù la dà alla Valtorta che, dopo aver letto poesie vediche, pensa, stupita, tra sé e sé, che sembra di leggere Santa Teresa o San Giovanni della Croce. Ecco la risposta completa di Cristo: “Perché stupirsi? In ogni religione, e finché essa ha una morale elevata, vi è presenza di virtù ed esigenza di virtù come vita della stessa. Perciò è presente la carità, la speranza, la fede, l'umiltà, la giustizia e così via. Non saranno perfette, venendo da una conoscenza imperfetta del Tutto, o Verità, ma susciteranno sempre gli stessi effetti morali di elevazione, di estasi, di spinta alla misericordia, all'umiltà, alla temperanza, per il desiderio e la speranza di giungere a possedere il Tutto, ossia Dio. Dio, il Sole, ha le stesse luci per tutti gli uomini. E se le religioni rivelate, ma imperfette, creano foschie per cui meno liberamente il raggio del divino Sole può scendere a baciare e penetrare i credenti, i migliori fra essi, quelli che tendono a Dio con tutto se stessi, sanno alzarsi col volo dello spirito al di sopra della foschia e raggiungere una perfezione che purtroppo manca a troppi cristiani, e conoscere le parole ineffabili dello Spirito allo spirito, e gustare l'essere uni con l'Amore più e meglio di troppi tiepidi cattolici. Non ti stupire, perciò, se un sufi ha pagine sorelle a quelle della amante di Dio: Teresa di Gesù. L'Amore è uno. Chi lo conosce e ne è figlio parla il linguaggio unico dell'amore».(op.cit cap. 704)
In questa spiegazione di Gesù troviamo tutto, sia l’assicurazione dell’esistenza di altre vie di verità, sia la specificazione che i praticanti di quelle vie devono avere la forza di alzarsi ‘al di sopra della foschia’, sia il segreto della superiorità del Cristianesimo vero, che argomenteremo a breve. In un altro punto Gesù specifica anche le differenze sul premio che attende chi ha faticato per amore di Dio: “i giusti di ogni religione, convinti di essere nella vera, hanno un premio da "pargoli"... in attesa di quello finale, perché la Divina Giustizia, la Misericordia Incarnata e l'Infinita Carità non lasceranno di premiare coloro che seguirono Giustizia offrendola al Dio in cui credevano, sicuri di essere nel vero.’
Per facilitare la comprensione ad alcuni che confondono la superiorità del cattolicesimo con l’unicità del potere salvifico di Gesù, mi soffermerei un attimo a sottolineare la sottile differenza tra Verbo e Gesù.
Il Verbo di Dio, proprio in quanto Verbo, può decidere di rivelare la Verità, o parti di essa, a chiunque la cerchi con grande fervore. Lo fa, come dicevamo, perché vede e non resiste all’amore che brucia nel praticante. Egli, da parte sua, non sarà mai in grado di contenere la verità nella sua interezza, né avrà l’interesse di chiedere ogni minimo dettaglio per aiutare se stesso o gli altri. I suoi insegnamenti, qualora diventi un maestro, risulteranno allora parziali ma sufficienti per chi applica lo stesso suo impegno e attireranno chi ha la sua stessa inclinazione mentale.
Invece l’unicità di Gesù sta nel fatto che il Verbo prese carne con completezza unicamente in Lui, Maestro Divino proprio in quanto Verbo di Dio e Salvatore in quanto Redentore dell’umanità. Se teniamo a mente la straordinaria e sottile complessità della distinzione e dell’unità (identica alla distinzione e all’unità Trinitaria) del Verbo non incarnato e di Cristo in quanto Verbo incarnato non saremo più confusi su questo punto. Capiremo che non possiamo limitare le azioni del Verbo alle azioni compiute da Gesù in terra ma anche che Gesù è l’unico, completo e perfetto Figlio di Dio: Dio stesso nella forma di Figlio.
Avendo chiarito perché il Cristianesimo non è l'unica via di verità ma è la superiore e che Gesù è invece l'unico Verbo incarnato, cerchiamo di capire insieme nello specifico le motivazioni per cui le altre vie di verità siano da considerarsi inferiori rispetto alla religione fondata da Gesù.
Partiamo dal semplice ragionamento. È vero o no che tutte le altre vie non danno risposte esaustive ad ogni quesito? È vero o no che lasciano dubbi? Pensate alla non dualità e ai quesiti che si glissano o ai quali si risponde solo ed unicamente per riportare l’aspirante alla pratica. Nella sua stessa formulazione è terreno fertile per interpretazioni sbagliate e narcisistiche eppure è via di verità. È vero o no che manca sempre qualcosa nelle altre vie? Guardate il Buddhismo, via di verità, come sorvola il quesito ultimo su chi ci ha creati, domanda basilare nelle vie devozionali, o da dove veniamo e chi siamo, domanda basilare nel conosci te stesso. Perché? Per spingere solo alla pratica con sforzo. Perché senza quello sforzo si perde il contatto con lo Spirito Santo. Guardate quanta differenza c’è tra i veri santi e gli illuminati del medio oriente, dell’oriente e dell’estremo oriente, che con sforzo, ascetismo e amore sono giunti a Dio, con le religioni lacunose, in cui sono ancora presenti elementi retrogradi, da cui partono. È vero o no che nessun maestro libero si è mai neanche lontanamente sognato di dire che senza sforzo si può arrivare alla salvezza? Perché sanno di indicare la verità, ma ammettono che a camminare per raggiungerla dev’essere l’aspirante.
C’è forse nessun altro, nelle vie di verità, che dice basta credere in me ed io vi salverò?
No!
Perché Gesù è l’unico a poterlo dire!
Io sono La Via, La Verità, La Vita.
Ci sono due specialità di Gesù che nessun altro maestro possiede e che, di conseguenza, risultano mancanti nelle religioni fondate sui loro insegnamenti.
La prima, come già discusso ampiamente, è la salvezza dei peccatori. Nessun altro maestro può considerarsi redentore della specie umana. Giunge ad aiutare l’evoluzione interiore di chi si sforza (nella comunione dei santi) e di chi gli è vicino ma non arriva all’azione della redenzione senza limiti spazio-temporali e senza limiti d’impegno personale. In questo Gesù è il Salvatore di tutti poiché, ribadiamo, è l’Unico ad aver permesso la salvezza della specie attraverso la sua specialità nel salvare i peccatori con la Redenzione Offerta da Lui stesso e dal suo esercito di santi-vittime. Ma c’è un’altra azione unica della Sua salvezza ed essa risiede proprio nel potere unico della Sua Religione, divina e perfetta, dei Suoi insegnamenti completi e specifici in ogni dettaglio e degli aiuti soprannaturali unici che offre ai Suoi fedeli. Essi vanno a colmare il mancato impegno personale rafforzando anche i tiepidi.
Se con la redenzione arriva ad agire in modo soprannaturale sui peccatori, con la religione arriva ad agire in modo soprannaturale sui tiepidi.
Queste due specialità uniche sono l’essenza del potere salvifico scatenato da Gesù.
Per questo Gesù non indica solo la via, come gli altri, ma è la Via. Non indica solo la via verso la verità ma è la Verità. Non indica solo la via della vita eterna ma è la Vita.
Il Padre ha dato a questo suo Unico Figlio dei doni speciali da offrire a chiunque creda davvero in Lui, già solo perché crede in Lui. Al cristiano fedele e devoto, appartenente alla vera Sua dottrina, che è a livello di religione, che è a livello di tiepidezza, che non si sforza come un discepolo ma che lo ama umanamente, genuinamente e con umiltà, Gesù garantisce la possibilità di purgarsi e conquistare Dio, anche dopo, in suo nome. Non parliamo dei non credenti, non praticanti, battezzati per consuetudine e tradizione, parliamo di veri credenti un po’ pigri nei loro slanci verso Dio.
Inoltre i credenti creano una catena di redenzione, anche a livello umano, anche solo semplicemente pregando, in nome di Gesù, offrendo piccole pratiche di ascetismo per salvare cari, vivi o defunti, ed ottenere loro beni spirituali. Lo fanno perché credono fermamente nella redenzione attuata ed insegnata unicamente da Gesù. Nonostante non la applichino per sforzo personale, la possono chiedere ed ottenere in nome di Gesù.
Essendo la vera dottrina cristiana completa sia in termini non duali che in termini duali, non ci sono lacune neanche per i problemi spirituali duali che possono sorgere. Gli esorcismi possono essere chiesti, in nome di Gesù e, se si vive senza peccati e si perdona chi maledice, possono essere ottenuti anche dai tiepidi. Nessuno è privato di questo supporto, come cristiano, gli si chiede solo ‘il minimo sindacale’ voluto da Gesù: non peccare e perdona; mentre, come lo stesso Padre Amorth fa notare, il cristiano fervente che vive in unione con Dio è già di suo un esorcista. Lui stesso narra di come i primi eroici cristiani erano tutti esorcisti e allontanavano il male direttamente in nome di Gesù.
Per sopperire alla mancanza degli aiuti nella comunione dei santi, nel cristianesimo, per i tiepidi c’è il dono dell’intercessione dei santi, con conseguenti miracoli. Alcuni santi di Gesù, con particolare riferimento alla più grande Santa mai esistita sulla terra: la Madre e Corredentrice del Salvatore, hanno il compito di aiutare chi, in nome di Gesù, chiede una particolare assistenza o aiuto. Sebbene spesso l'intercessione sia usata maldestramente dai più materiali tra i fedeli, che chiedono aiuti materiali o per la salute, essa costituisce un importante aiuto se si chiede forza spirituale, assistenza durante le tentazioni e per accettare le prove della vita.
E concludiamo col dono dei sacramenti. Dono unico del cristianesimo del quale dobbiamo evidenziare l’efficacia. Questi aiuti sono una speciale carica spirituale e donano ai tiepidi la forza che non hanno. Chi non si avvale di questi aiuti spirituali è ‘ben sfinito e stanco’, dice Gesù alla Valtorta. Molti che hanno avuto conversioni in età adulta testimoniano l’efficacia del battesimo che alleggerisce l’anima in modo concreto, molti altri desiderano il pane dei forti, la comunione, proprio per la forza che impartisce loro nel mantenersi puri. Ma se per i tiepidi i sacramenti costituiscono un aiuto soprannaturale per rimanere sulla retta via, per i ferventi devono, per forza di cose, diventare una specie di jet supersonico verso Dio. Proprio i ferventi Santi Cristiani, per più netta evidenza, ci aiuteranno a capire lo straordinario effetto dei sacramenti, soprattutto dell’Eucarestia, nel prossimo articolo.
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Il Salvatore VIII

Duplice Perfezione
Ci siamo lasciati, nell’ultimo articolo, con una serie di domande sulla spontaneità che caratterizza la santità cristiana vissuta non solo nel distacco ma anche molto umanamente. La domanda più importante riguardava proprio le due perfezioni incarnate dal Maestro Divino, Vero Dio e Vero Uomo. Se capiamo come fece il Maestro, capiremo il segreto del Suo esercito.
Gesù era in perfetta unione con Dio, era Dio di natura, non doveva subire, come noi, il processo di divinizzazione tramite il distacco e il raccoglimento, del quale abbiamo parlato nell’ultimo articolo. Sebbene passasse notti intere in comunione col Padre in orazione profonda, essa non costituiva una pratica di trasformazione ma la consolazione spirituale della sua vita umana. Possedeva una natura divina totale e perfetta. Come perfezionò o super perfezionò allora la parte umana? Lo fece, per forza di cose, durante l’abbandono di Dio. Lo fece quando Dio lo lasciò, lo fece nel Getsemani. Lì il più grande atto di volontà di perfezionamento della natura umana in cui per lo sforzo immane di superare, con le sole forze naturali, le tentazioni diaboliche e l’abbandono di Dio arrivò a sudare sangue. Lo fece sopportando il tradimento di Giuda, lo fece durante la cattura, durante la tortura, nella prigionia, negli affronti dei potenti che lo giudicarono, tra l’odio della folla che aveva beneficiato e miracolato, lo fece nel cammino lungo il Calvario, lo fece in Croce, lo fece testimoniando l’atroce dolore della Madre, lo fece nell’abbandono dei discepoli fuggiti. Lo fece da uomo. “Quando Dio aiuta è facile sollevare anche il mondo e sostenerlo come giocattolo di bimbo. Ma quando Dio non aiuta più, anche il peso di un fiore ci è faticoso” (Evangelo M.V. 603.7). Gesù arrivò così alla natura umana totale e perfetta, per Sua stessa volontà. Aveva dunque duplice natura ugualmente totale e perfetta.
Distacco
Il distacco, come visto, è più che presente nella tradizione cristiana ed è parte integrante della vita dei santi. È l’elemento essenziale anche in tutti gli altri insegnamenti genuini, ai quali però manca la completezza degli insegnamenti riguardanti la santificazione dell’umanità. Nel distacco, infatti, ciò che rifulge è la vicinanza a Dio, è il Suo amore, è la Sua forza e potenza. Traspaiono le Sue capacità, traspare la divinità stessa. Nel distacco il praticante arriva alla comunione con il divino Spirito e lo fa rifulgere attraverso di sé. ‘La somiglianza con Dio è in questo spirito eterno, incorporeo, soprannaturale che avete in voi.’ (Evangelo M.V.).
Il contemplativo sa benissimo che ciò che traspare nel distacco non è in alcun modo suo e tende quindi a permanere il più possibile, con o senza l’aiuto dell’ascetismo, in questo stato. Un esempio eclatante della differenza tra distacco e santificazione lo possiamo trovare tra i saggi della non dualità, i quali quasi insistono a non lavorare sull’umanità ma a trascenderla a piè pari. Il loro è un salto quantico in cui le imperfezioni non vengono superate umanamente ma sono tanto lontane dalla loro percezione distante e distaccata da non essere neanche più prese in considerazione. I veri praticanti della non dualità vivono nascosti in Dio e lasciano fare all’umanità ciò che crede. Ora, è bene specificare che, essendo in mano allo Spirito Santo, non arriveranno mai a fare il male, né a peccare. Chi vive in Dio e nella condizione di figlio di Dio, vive in grazia, non può mancare gravemente. Lo conferma anche Gesù alla Piccarreta che voleva imitare una persona che pensava sempre al peccato. Gesù le dice di non farlo poiché lei vive nella Divina Volontà che è ben oltre il peccato e deve pensare solo a lasciarsi andare alla volontà di Dio. ‘Chi fa la mia volontà non ha bisogno di leggi’ (Libro di Cielo cap.20). La resa della propria volontà, o la perdita dell’identificazione egoica, raggiunti grazie al distacco, sono sufficienti alla divinizzazione dell’essere. In questo processo però alcuni rinunciano al perfezionamento o al super perfezionamento della sfera umana. Sri Ramana Maharshi, uno tra i più santi maestri non duali mai esistiti, arriva a scrivere: “Poiché né i difetti né le mie virtù possono esistere indipendentemente da te, non posso pensare a queste cose, ma solo a te. O vita mia qualunque sia la tua volontà, che così sia. Amato mio concedimi soltanto di restare ai tuoi piedi e amarti sempre più!” (Arunacala Navamanimalai). In questo bellissimo messaggio d’amore a Dio Padre, si nota che il figlio è talmente ossessionato dall’amore da non pensare neanche più alla parte umana. Si offre alla divina volontà e si pone fisso e umile ai piedi di Dio. Il punto principale nella non dualità è che una volta sradicati gli impedimenti maggiori, il praticante deve impegnarsi solo nel distacco totale da qualsiasi elemento esterno o interiore. I famosi visaya vasana sono le tendenze all’attaccamento e non gli oggetti a cui siamo attaccati né le imperfezioni. Il caso di Sri Ramana Maharshi, con la sua santità perfetta, dovuta ad una rinuncia attuata in modo straordinario per amore di Dio, è quasi una rarità nel panorama non duale. Moltissimi saggi di questa tradizione mantengono piccoli vizi, fanno leggeri errori morali e non lavorano sulle propensioni caratteriali imperfette.
Il santo cristiano, che pratica il distacco come gli altri, ha invece, o almeno lavora per avere, una solidissima base di santità cercata anche umanamente. Ciò comporta che, una volta uscito dalla contemplazione, non ricade nella semplice umanità, ma si poggia su una casa di roccia.
Questa sua umanità estremamente evoluta assieme alla grazia santificante della vicinanza a Dio, ottenuta nel raccoglimento, rende possibile un perfezionamento che investe la duplice natura, divinizzata (grazie al distacco) e umana (grazie alla croce).
Croce
Il Mistero della Croce, già svelato nell’articolo ad esso dedicato, ci offre la chiave di lettura necessaria per risolvere quest’ultimo rebus di cui ci occuperemo, e che rivela nuovamente la superiorità dottrinale degli insegnamenti di Gesù. Uno dei Misteri della Croce più importanti, se ricordate, è che solo nella retta gestione del dolore l’uomo evolve. Più questa capacità viene affinata nell’individuo più egli evolve, fino a raggiungere il suo massimo potenziale. Il dolore è la sede di ogni virtù, ne consegue che la santificazione della parte umana avviene soltanto attraverso la Croce. Avete notato come questo aspetto sia il tratto distintivo del cristianesimo?
La santificazione della parte umana nei santi cristiani è dovuta al grande accento che si dà alla croce e questo è vero, a maggior ragione, per i Santi-vittime, la classe d’eccellenza del Maestro Divino. Per somigliare a Gesù nella perfetta umanità si deve raggiungere l’Amore perfetto, questo si ottiene col ‘vero patire’, come lo chiama Santa Veronica Giuliani, ossia con il perfezionamento del processo di trasmutazione del dolore in amore che diventa immediato. Il più alto grado di perfezione nell’Amore si può raggiungere solo attraverso questa virtù praticata eroicamente e, nel suo grado maggiore, quando si vive l’abbandono di Dio, la perdita della condizione di figliolanza non per imperfezione ma per sacrificio, a imitazione di Gesù, nella croce pura!
Abbiamo già dimostrato come vivere il dolore porti alla fioritura dell’individuo, umanamente parlando. Questo processo è dapprima semplicemente psicologico e può portare dalla distruttività alla biofilia. In questa prima fase, come già detto, si va ad espiare le proprie mancanze nella gestione del dolore. Lo stesso processo può essere portato ad un grado più alto, trasformando più velocemente il dolore in amore e sviluppando, nel contempo, virtù molto più rare negli esseri umani. Un procedimento più profondo che agisce anche a livello evolutivo. Infine, esso può essere portato a livello di santificazione umana. Cioè a un superamento di imperfezioni minime agli occhi umani, che però attua il massimo grado di evoluzione raggiungibile dalla specie.
La sofferenza è quindi prima espiazione e poi santificazione.
Tutto il processo appena descritto, nella sua interezza riguarda l’individuo, riguarda l’umanità, e può cambiare l’essere dal grado più basso a quello più alto, offrendosi a vivere la Croce. Le virtù eroiche, sono un altro tratto distintivo del cristianesimo ed è talmente incompreso da far apparire le persone più evolute della terra, gli eroi del Cristo, degli psicotici. È innegabile che leggere come alcuni santi abbiano superato eroicamente il dolore, la ripugnanza e la paura possa disturbare la nostra sensibilità ma se ne capiamo il significato evolutivo, in termini di perfezionamento e super perfezionamento dell’umanità, non possiamo certo più considerarli psicopatici. La cosa, tra l’altro, più bella da sottolineare è che le emozioni che essi combattono con pratiche coraggiose sono le emozioni che più tendono a separare gli uni dagli altri e quindi ad amare meno o a manifestare meno il proprio amore. Se per il dolore basta menzionare i penitenti di ogni sorta e i santi-vittime e se per la paura basta pensare ai martiri, per la ripugnanza ci sono esempi che superano l’immaginazione. Baciare e leccare piaghe, abbracciare lebbrosi nauseabondi, come San Francesco, assaggiare sterco o vomito per aver provato un’umana ripugnanza verso un malato, come Santa Maria Margherita Alacoque. Tutto questo non è richiesto da Dio, è l’anima individuale a volersi provare, a volersi superare umanamente e con le proprie forze a imitazione del Figlio perfetto di Dio. Non sorprende allora che questi santi, una volta usciti dalla contemplazione, si poggino su un’umanità caratterizzata dalla stoica pazienza, dall’umiltà reale, da un elevato amore al sacrificio, un considerevole trasporto alla generosità, una monumentale forza interiore, un poderoso coraggio. Superando le minime tendenze alle emozioni che separano gli uni dagli altri sviluppano qualità non tanto rare per tipologia ma per intensità eccezionale. Le virtù eroiche sono tutte a beneficio dell’altro, rappresentano un avvicinamento all’altro fatto con le proprie forze. Ed è questo il marchio inconfondibile del cristianesimo: ‘Li riconoscerete dall’amore.’
Se, come dicevamo, il distacco porta all’amore divino, nella virtù eroica è lo stesso amore umano a santificarsi.
La perfezione della parte umana è allora uno sforzo tutto umano con il quale l’anima si conquista delle medaglie al valore, evolve con la sua sola forza e solo per piacere a Dio. Le virtù che affina, in questo caso, sono conseguenza della ricerca determinata della forza che non ha ma che vuole sviluppare vincendo la sua stessa umanità. Per farlo genuinamente deve attraversare e vivere l’esperienza che scatena l’emozione, facendosi letteralmente investire dalla sensazione che desidera superare.
Questo è l’unico modo per trasformare ogni debolezza in forza autentica.
Duplice Perfezione
I santi cristiani vogliono imitare Gesù nella duplice perfezione, perché: ‘Questo è il Cristo: Dio per Natura, Santo per volontà, Uomo per Nascita. Questo è il Cristo, l’Essere perfetto in cui è una trinità di perfezioni riunite. La perfezione di Dio, la perfezione dell’uomo, la perfezione dell’anima dell’Uomo-Dio.’ (Libro di Azaria – 12 gennaio 1947). Egli fu santo non solo come Dio ma come Uomo e lo fece per sua volontà, infatti: ‘Il Padre Ss. non esercitò nessuna coercizione sul Figlio incarnato e lo trattò alla stregua di ogni altro uomo perché la sua santità di Uomo fosse reale e perfetta, e pari alla sua Santità di Dio.’ (L.d.A. 27 ottobre 46). E per arrivare alla santificazione volontaria della parte umana i Santi cristiani fanno come il loro Maestro, eroe d’amore. ‘Il vero Cristo è quello che appare vivo nel Vangelo, un gigante di mortificazione, di bontà, di altruismo, di modestia, di eroismo, di disinteresse, un eroe dell’amore e del dolore.’ (L.d.A. 24 marzo 1946).
Di solito, nell’abnegazione, l’individuo cerca il distacco da tutto poiché sopperisce alle sue mancanze grazie alla vicinanza a Dio che dona pace, forza ed ogni virtù divina e si libera così anche dal dolore. Disponendosi all’opera divina viene preso, amato e protetto dalla stessa.
Questo è sufficiente ad essere figlio di Dio. De Guibert (in ‘Theologia spiritualis acetica et mystica’) distingue infatti due classi di perfetti. Può essere annoverato tra i perfetti chi ‘ha conseguito un tale grado di abnegazione e di raccoglimento, da essere abitualmente docile alle ispirazioni dello Spirito Santo.’ Il contemplativo non brilla per la carità in tutta la sua massima espressione e ha mancanze solo per debolezza ma resta attaccato ai piedi del Padre, che adora. Un errore comune di chi raggiunge questo grado di perfezione (anche nel cristianesimo stesso sfortunatamente) è di pensare e, purtroppo, insegnare che la santità cristiana sia qualcosa di minore, riguardando la sfera umana. Ignorano che rinunciare alla pace e alla forza divina per amore degli altri e per la loro salvezza è un grado più completo di perfezione. Giungere ad essere ordinati da Gesù nel ruolo di santi-vittima fino ad essere introdotti nella croce pura è il grado massimo di perfezione. Questo è ‘l’amore perfetto! L’amore di Gesù Cristo Figlio di Dio e signore nostro. Amore che giunge al sacrificio. Amore del prossimo che giunge ad immolarsi per il prossimo.’ (L.d.A. 24 marzo 1946). La croce pura è quindi l’espressione massima d’amore perfetto che arriva a sacrificarsi per la salvezza degli altri. È, a tutti gli effetti, redenzione della specie a proprie spese.
Questi santi sono altri Cristi, altri Salvatori. La loro azione non ha limiti spazio-temporali mentre, se ricordate, il semplice contemplativo, sebbene perfetto in virtù del suo amore a Dio, ha dei limiti d’azione dovuti proprio alla carenza nell’amore.
Apriamo una piccola parentesi per una considerazione sulla notte dell’anima. Se la notte dei sensi sembra imprescindibile per arrivare allo stato di contemplazione, che tutti gli aspiranti alla perfezione devono ottenere, non tutti vengono introdotti nella notte dell’anima. Essendo, come detto, una vera e propria croce, che brucia le venialità e le imperfezioni, riguarda solo coloro che possono raggiungere un più alto grado di perfezione. Per questo è definita ‘sorte felice e fortunata’. Dio permette varie forme di tribolazione nella notte dell’anima perché sa che il praticante può sostenerle e, se vuole, superarle fino a giungere all’eroismo. La pazienza, la forza e la trasformazione del dolore in amore che qui il praticante raggiunge sono conquistate umanamente, ossia all’infuori dello stato di contemplazione.
“Nel fuoco della tribolazione l’anima diventa oro puro” (San Padre Pio).
A chiudere il cerchio delle due perfezioni ci aiuta di nuovo Azaria, dicendo chiaramente alla Valtorta che ‘ogni cristiano può essere santo: rinnegando sé stesso, ossia riformando l'io umano in un io spirituale perfetto, e amando la Croce. Senza imitazione del Divino Crocifisso non si può riformare sé stessi, e senza amore alla croce non si può operare trasformazione dell'io. Perché riformare l'io vuol dire lavorare di cesoie e di cauterio sulla pianta ribelle dell'umanità, lavorarvi non una ma cento e mille volte, perché essa è pianta ribelle’ (L.d.A. 24 novembre 1946).
Rinnegando se stesso e rinunciando alla propria volontà si spiritualizza l’essere grazie alla a vicinanza a Dio ma solo vivendo la croce, di cesoie e di cauterio, si trasforma l’io, l’ego, perché è ribelle per natura. Solo con questo duplice lavoro si rende possibile una completezza nel cammino spirituale che, in questo caso, è in parte opera divina, in parte opera umana. I santi cristiani lo sanno bene proprio per la pienezza della divinità e dell’umanità santa del loro Maestro, eroe d’Amore.
Il perfetto bilanciamento appena descritto manca in tutte le altre dottrine. Il cristianesimo offre allora un insegnamento completo per la duplice perfezione a cui aspirano gli imitatori del Cristo.
Gesù risulta essere, a ragion veduta, il Maestro Divino per eccellenza, vero Salvatore e Verbo perfetto nel rivelare la via eccelsa a Dio.
Sia lodato Gesù Cristo.
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Il Salvatore VII

Il ruolo del distacco e del raccoglimento
Come visto nei precedenti articoli, essere distaccati dalla carne e dal mondo, ossia il distacco dal peccato, in gergo cristiano, è ciò che permette il nostro volo allo Spirito. Santa Teresa D’Avila lo riassume amabilmente così: “Vedo il male di cui causa è il peccato il quale ci costringe a fare ciò che non vogliamo e cioè a non stare sempre occupati in Dio”.
Nella misura in cui siamo attaccati al mondo e alla carne, nella stessa misura non siamo “occupati in Dio”. È proprio così semplice! Dio è Spirito e tutto ciò che spinge dalla parte opposta, la realtà materiale, grossolana o sottile, ci distoglie dal dimorare in Dio.
Se, nella via della conoscenza, è l’attenzione a venir spostata man mano da fuori a dentro, nella via di fede lo stesso distacco avviene per amore di Dio. Ci tengo a sottolineare che anche Gesù alla Piccarreta dice: “l’attenzione è la via della conoscenza”. La conoscenza di sé e la conoscenza di Dio sono due cammini strettamente correlati proprio perché, nel distaccarsi dal mondo, l’attenzione comincia ad entrare in sé e a conoscere sia la nostra interiorità sia la realtà del Divino. Il quale, ricordiamo, ha per dimora d’elezione un’anima che ben si distacca dalle sue tendenze umane, fino a poter restare nel silenzio del raccoglimento. ‘Il Verbo, Figlio di Dio, insieme con il Padre e con lo Spirito Santo essenzialmente e presenzialmente se ne sta nascosto nell'interno dell'anima. Quindi l'anima che vuol trovarlo, deve allontanarsi secondo l'affetto e la volontà da tutte le cose e ritirarsi in sommo raccoglimento dentro di sé, come se tutto il resto non esistesse.’ (San Giovanni della Croce – Cantico Spirituale).
Prima di arrivare al raccoglimento, il passaggio all’interno dell’anima, fatto con osservazione e discernimento, rivela la limitatezza e l’incapacità dell’individuo e dei suoi processi mentali. Per questo Gesù dice: “Il favore più grande che posso fare ad un’anima, è il farle conoscere sé stessa” (Libro di Cielo). È in questo passaggio che nasce infatti l’umiltà più vera, frutto della conoscenza di sé e dei propri limiti, la quale rende possibile un ulteriore distacco, quello dagli elementi sottili della materia (pensieri ed emozioni) presenti dentro di noi. I sensi ci legano alla materia e alle sensazioni più grossolane ma è nell’interiorità che nascono le inclinazioni a questi legami ed è quindi nella meditazione tipica del conosci te stesso, nell’atto stesso di osservare, capire e discernere il proprio animo, che nasce il distacco più profondo ed efficace, che spezza le inclinazioni sul nascere, agendo sulla materia sottile. Dio dice a Santa Veronica Giuliani: ‘Devi spogliare dalle cose esterne ma anche dalle cose interne. Staccata da tutto spogliata da ogni cosa.’
Ci si stacca sempre con un movimento verso l’interno, parallelo al distacco dall’esterno, che permette dapprima la meditazione e poi il raccoglimento. “Qualunque impedimento, anche minimo, cioè, un’ombra d’attacco, un’intenzione storta, una opera senza il fine di piacermi impedisce che entrino a deliziarsi nel mio Cuore”. “È un continuo reprimere che l’anima deve fare a se stessa; perché l’anima è come una spugna, se reprime se stessa s’impregna di Dio, e impregnandosi di Dio sente la vita di Dio in se stessa e quindi l’amore alla virtù, tendenze sante; si sente espugnata se stessa e trasformata in Dio. E se non reprime se stessa resta impregnata di se stessa, e quindi sente tutti gli effetti che contiene la corrotta natura; tutti i vizi escono a far capolino: la superbia, l’invidia, la disubbidienza, l’impurità” (Libro di Cielo – Piccarreta).
Una volta giunti alla contemplazione si deve passare a tentare di possederla sempre. Essa può essere di due gradi, la prima va e viene e trasforma l’essere soltanto nel tempo in cui resta nel silenzio, è tipica del risultato della notte dei sensi. La seconda è la ben più profonda unione, in cui l’essere, già santificato, permane, anche durante le normali attività, in una sorta di contemplazione in cui la volontà è tesa a Dio mentre il resto può operare all’esterno. Nell’unione è come se il praticante, ormai unito da legame inscindibile a Dio, desse sempre la mano a Lui mentre con l’altra agisce nel mondo. ‘Come in un solitario deserto devi abitare anche in mezzo ai tumulti e alle conversazioni’ . ‘Io voglio questo ritiro interno con me solo e ciò devi fare in tutto il tuo operare’, dice Gesù a Santa Veronica Giuliani. Quindi l’unione è perpetua ad un livello che permette le normali azioni quotidiane ma ciò non toglie che, se lasciato in tranquillità e solitudine, il raccoglimento giunga a picchi d’intensità maggiore in cui il santo, non assente ma totalmente disinteressato alla realtà circostante, resta solo con Dio.
Essendo, il primo grado di contemplazione, il mezzo per giungere all’unione, bisogna capire che, una volta giunti a tanto, offrirsi il più possibile alla sua azione trasformatrice è essenziale per procedere oltre e che ci vuole proprio l’interesse e il tentativo attivo di renderla una pratica costante, facendo un atto cosciente per stabilizzarla anche durante le attività. Questo è ancor più vero se, senza sforzi, si viene presi dal silenzio anche nelle operazioni giornaliere. Quando questo avviene è chiaro segno che Dio ci vuole usare e trasformare e, a tale onore, non ci si deve mai permettere di rifiutarsi.
È grazie alla contemplazione che lo Spirito Santo, amore santificatore, trasforma l’essere. Come dice Santa Faustina:‘Affinché lo spirito divino possa agire in un’anima occorre silenzio e raccoglimento’ (Diario). Per questo motivo il distacco è indispensabile, poiché, senza il raccoglimento che il distacco rende possibile, non è possibile la trasformazione.
Dice Gesù: “Sono tanto a me gradite le anime distaccate da tutto, non solo nell’affetto ma anche in effetto, che a misura che vanno spogliandosi così la mia luce le va investendole e divengono tale e quali come cristalli che la luce del sole non trova impedimento a penetrarvi dentro” (Libro di Cielo). Questa bellissima immagine rende chiara la relazione tra gli impedimenti, il distacco da essi e l’azione della luce finalmente libera di penetrare nell’amante davvero distaccato e mutarlo. Nella contemplazione, lo Spirito “divora l’uomo e crea il dio, il figlio di Dio” (Evangelo M.V.). Il raccoglimento serve proprio ad annullare l’umanità e divinizzare l’essere. Tale divinizzazione avviene solo se la parte umana dell’individuo dapprima si immola. ‘Iddio vuole che mi distacchi da tutto; ma lo studio principale deve essere questo, levare me da me medesima. Ciò si fa, con un esercizio di annegazione continua, con non gustare più niente, e avere solo gusto di dare gusto a Dio’ (Santa Veronica Giuliani). L’ego è sempre il centro del problema e dev’essere annullato il più possibile perché la trasformazione abbia successo. Senza il sacrificio della parte umana non può esserci azione ultraterrena o, meglio, l’azione ultraterrena ha libero spazio solo se la volontà dell’uomo si presta totalmente. Ed ecco il ruolo centrale dell’umiltà in questo processo. Dice Gesù: “L’anima che ha conosciuto sé stessa, vedendo che da sé non può niente operare di bene, trasforma quest’ombra del suo essere in Dio e avviene che fa in Dio tutte le sue operazioni. Succede che l’anima sta in Dio e cammina presso di Lui, senza guardare, senza investigare, senza parlare, in una parola, come morta, perché conoscendo a fondo il suo nulla, non ardisce fare niente da sé, ma ciecamente segue la spinta delle operazioni del Verbo.” (Libro di Cielo). Nel risultato ottimale, infatti, grazie all’umiliazione dell’ego, l’individuo comincia a vivere come morto al suo volere, perché vivo solo nello Spirito ed operante solo per sua volontà.
La santificazione operata dallo Spirito riguarda le due forze principali dell’essere: mente e cuore. Il raccoglimento trasforma l’intelligenza umana in saggezza Divina e l’amore umano in amore Divino.
Vediamo prima l’amore. Questo è il punto meno compreso della spiritualità: la connessione tra distacco e amore. Mi devo distaccare o devo amare? La risposta è che, se non siamo distaccati, amiamo col nostro amore umano, legato a pensieri, gusti, preferenze e antipatie. Il nostro amore è sempre sporcato dalla mente, è sempre contaminato, anche solo da un’ombra di personale soddisfazione nel fare del bene. Mentre, se ci distacchiamo da tutto, per stare con Dio, Egli ci infonde il Suo Amore, che possiamo portare al mondo. Questo Amore è senza macchie, agisce solo per saggezza e per il bene di tutti. Le sue operazioni possono non essere chiare neanche a chi lo incarna ma ciò non costituisce un problema, egli procede ciecamente, nelle mani di Dio. L’anima non brancola nel buio, in questo caso, ma è accecata dalla troppa luce, di cui ha piena fiducia e a cui lascia pieno potere. L’amore al prossimo “deve essere tanto congiunto al mio, che deve formare uno solo, senza potersi distinguere l’uno dall’altro; ma quell’altro amore al prossimo che non è trasformato nel mio amore, Io lo guardo come cosa che a Me non appartiene” dice Gesù nel Libro di Cielo. L’amore umano non è sufficiente alla trasformazione personale e alla salvezza dell’umanità nel suo insieme. C’è bisogno urgente dell’intervento dell’Amore soprannaturale con la sua azione creativa perfetta.
Veniamo alla saggezza. Abbiamo già accennato al fatto che, nei grandi silenzi, lo Spirito istruisce l’anima soprannaturalmente e di questo, il praticante, comincia ad accorgersi più tardi, quando, senza alcun pensiero cosciente, sente di capire le verità superiori con grande facilità. Questo accade perché, come spiega il Salvatore: “l’anima vuota è come l’acqua che corre, corre sempre, ed allora si ferma, quando giunge al centro da dov’è uscita; e siccome l’acqua non tiene colore, riceve in sé tutti i colori che in essa si rappresentano. Così l’anima vuota corre, corre sempre verso il centro divino da dove uscì, ed allora si ferma, quando giunge a riempirsi tutta, tutta di Dio, perché essendo vuota niente le sfugge dell’Essere Divino; e siccome non tiene colore proprio, riceve in sé tutti i colori divini. Or la sola anima vuota, perché vuota di tutto comprende le cose secondo la verità, quindi la preziosità del patire, il vero bene della virtù, la sola necessità dell’Eterno; perché per amare una cosa è assoluta necessità che si odi quella cosa contraria alla cosa che si ama; e la sola anima vuota è quella che giunge a tanta felicità” (Luisa Piccarreta - Libro di Cielo).
E troviamo nuovamente una semplice e chiara indicazione della direzione, che è sempre opposta alla materia: per amare una cosa è assoluta necessità che si odi quella cosa contraria alla cosa che si ama. Se si ama lo spirito e si cerca la sua azione non c’è altra via che il distacco dalla materia ed è infatti la sola anima vuota quella che giunge a tanta felicità. Il suo distacco dalla materia funge da calamita per lo Spirito, difatti ‘l'anima che non si attarda in nessuna cosa fuori di Dio, non può stare a lungo senza esser visitata dall'Amato’ (San Giovanni della Croce- Cantico Spirituale).
È interessante notare che abbiamo una conferma sul potere del distacco anche dalla fazione opposta, dal nemico di Dio. Satana e le sue forze distruttive sembrano ben conoscere gli effetti del raccoglimento e disturbano chi vi si dedica con maggior vigore. Santa Gemma Galgani, che di lotte col maligno ne ebbe a dir poco moltissime, e che conosceva bene il nemico, arrivò a scrivere: ‘Mi sono ben avveduta però che la cosa che più dispiace a lui è il raccoglimento’ (dal Diario).
Spero di aver reso più che evidente, grazie a Gesù e a quelle opere d’arte dei suoi Santi, che ciò che si intende per peccato è semplicemente ciò che ci distoglie e ci allontana dal raccoglimento tanto essenziale alla nostra trasformazione. Una volta arrivati alle vette della contemplazione è quasi superfluo parlare di peccato, poiché l’anima qui giunta tende a Dio con grande determinazione e non vuole dispiacergli già di suo. Deve piuttosto abbandonarsi al Suo volere il più possibile, cosa che cambia il suo cuore per sempre, e deve conoscersi sempre meglio, cosa che trasforma la sua mente. La sua stessa identificazione, prima materiale, diviene infatti identificazione spirituale. Si sente figlio di Dio e non vuole rinunciare a tale grazia, non vuole tornare nella triste condizione di essere figlio dell’uomo, fa allora del suo meglio, anche durante i periodi di maggior tentazione. Il dolore delle sue mancanze è tanto vivo quanto vivo è il suo desiderio di Dio. La sua sensibilità non è più paragonabile a quella umana a cui serve un decalogo, una legge, una disciplina esterna.
In conclusione, vorrei accennare al prossimo argomento sull’unicità di Gesù e del suo ruolo salvifico. Riguarda proprio il distacco ed è, più che un indizio, un fatto direi lampante nel mondo della spiritualità.
Escludendo gli eremiti, presenti in tradizioni di qualsiasi appartenenza, e anche esenti dalle stesse, dei quali non possiamo dire molto ma che presupponiamo vogliano vivere in un distacco profondo e incessante, i santi cristiani si distinguono dai santi e dagli illuminati di altre religioni per una particolare naturalezza della santità che investe anche la parte umana. Alcuni di loro brillano per la grande saggezza, in molti altri casi è l’amore a risplendere con più prepotenza, quasi in tutti ci sono chiare manifestazioni soprannaturali e miracolose. In ogni caso, però, il santo è molto spontaneo, è come se la santità permeasse l’umanità in modo più completo. Nel caso degli esponenti più esemplari delle altre tradizioni, e dei senza etichetta, sembra sempre dover esserci uno stato di particolare distacco. Sembrano dover permanere nel distacco per vivere la loro condizione di figli di Dio.
Pensate alla compostezza nobile dei buddhisti arrivati all’apice della pratica, ai ripetuti movimenti oculari di Krishnamurti verso l’alto. Pensate allo sguardo fisso dei grandi della non dualità, sguardo che spesso ho io stessa e che dunque, sia chiaro, non sto criticando. Tutti atteggiamenti che indicano una meditazione o una contemplazione sostenuta. Pensate anche agli atteggiamenti non sempre santi, non sempre perfetti, agli errori, alle manchevolezze. Eppure parliamo di grandi saggi. Gli stati contemplativi sostenuti sono presenti anche nei santi cristiani, con le stesse identiche esternazioni, sia ben chiaro, e, a riprova di questo, ci sono due esempi di contemplazione che vorrei citare, che ho trovato negli scritti di Maria Valtorta. Il primo è niente di meno che San Francesco prima della stigmatizzazione, l’altro è Giacomo, il cugino di Gesù, portato sul monte Carmelo per rivelargli la sua missione. In entrambi i casi la veggente sembra non riconoscere bene lo stato in cui si trovano i santi, ma sa che San Francesco sta guardando senza guardare nulla, senza interesse per l’esterno, dei suoi occhi dice: ‘Guardano, ben aperti e fissi, le cose della terra. Ma non credo che vedano.’ ‘Sono certa che non vede niente’. ‘Gli occhi sono aperti. Ma il suo sguardo non va al di fuori, ma al di dentro di sé.’ (Quaderni 1944 -cap 402). Capisce che potrebbe trattarsi di profonda meditazione. Giacomo non si occupa di nulla, è a capo chino, sembra dormire, nonostante rumori forti lo circondino. “Eppure Giacomo non deve dormire, perché appena Gesù sussurra, proprio sussurra: «Giacomo, vieni qui», egli alza il capo dai ginocchi e scioglie il laccio delle braccia, sorgendo in piedi e venendo verso Gesù” (258 Evangelo M.V.). Anche Giacomo è quindi in contemplazione, presente e pienamente conscio, ma talmente introiettato da non essere interessato a nulla. Nulla tranne il suo Gesù.
Questi stati sono presenti in chiunque si presti all’azione dello Spirito. Lo sforzo personale, come già detto, è presente in chi ha un animo spirituale ardente. Tale sforzo, se diretto bene, accompagnato dalla retta intenzione e da uno spirito umile, porta sempre a Dio.
I santi di Gesù, però, sono diversi. Tranne che nei momenti di meditazione profonda, vivono una santità tanto ‘naturale’ da sembrare naturale. Sembrano aiutati e avvantaggiati ad una trasformazione più compiuta. Sembrano mutare fino alle ossa, fino alla carne e alla pelle, fino, in alcuni casi, a portare i segni di Gesù sullo stesso corpo, proprio quello dal quale si sono così tanto tenacemente distaccati.
Un viaggio che dall’esterno si immerge nell’interno ma che non resta lì, si riversa poi nuovamente verso l’esterno, a cambiare ogni cellula del santo.
Una trasformazione così completa è presente in altri ambiti? Forse, come il loro Maestro Divino, Vero Dio e Vero Uomo, che aveva in sé due perfezioni, tendono a somigliare a Gesù nella perfetta divinizzazione così come nella perfetta umanità? Ci sono forse risultati differenti? Ci sono forse gradi di perfezione? Vedremo cosa dice il Maestro dei Maestri a tal proposito nel prossimo articolo.
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Il Salvatore VI

Capire il peccato veniale e le imperfezioni
Proviamo a capire cosa comporta il distacco dalle mancanze attive lievi e dalle imperfezioni per chi è già in stato di grazia e come tale distacco avviene nel cammino spirituale. Sarà più difficile capirlo rispetto alla comprensione del peccato grave in quanto, non essendo cosa comunemente praticata, molti non ne conoscono gli effetti e le modalità.
Entriamo nel mondo della pratica spirituale che mira proprio a staccarci da quel pacchetto di default, come lo avevamo definito, che abbiamo nella coscienza umana e che ci spinge alla materia.
Chi si vuole dedicare a mantenere un buono stato di coscienza deve imparare a restare in una sorta di vigilanza interiore, che permetta la conoscenza di sé. Deve ritirare l’attenzione dentro il più costantemente possibile per purificare mente e cuore dai residui di narcisismo più nascosti. “La conoscenza di sé e la conoscenza di Dio vanno di pari passo. Per quanto conoscerai te stessa, altrettanto conoscerai Dio.” dice Gesù a Luisa Piccarreta (Libro di Cielo). La conversione dell’attenzione da fuori a dentro è un atto di volontà piuttosto faticoso all’inizio ma con l’abitudine e la perseveranza via via si stabilizza. Questo permette di passare dalla semplice biofilia, scoperta a termine della prima purificazione, alla vera e propria evoluzione interiore. Notate che proprio qui si fa una scelta cosciente verso la scoperta di ciò che è oltre l’umano, il che rende necessario staccarsi dall’umana natura. Se ricordate, il biofilo medio non ritiene alcune tendenze al sesso, al potere e al denaro come ostacoli, non ne vede la nocività in termini umani, e, avendo deciso di restare nell’ambito umano del bene, non se ne occupa. Solo chi entra nella via spirituale comincia a purificarsi più profondamente e a richiamare l’intervento della forza superiore, esprimendo la propria volontà di imboccare la forza creativa. Fare questo percorso coincide anche col passaggio dal semplice amore umano al richiamo dell’amore divino, nella scala di perfezionamento dell’amore.
Nella conoscenza di se stessi le mancanze attive cominciano a placarsi grazie alla vigilanza interiore. L’interiorità è il luogo dove dimorano le cause latenti delle reazioni e delle azioni. La vigilanza interiore è il modo migliore per prevenire il ristagno di tendenze narcisistiche che porterebbero alle mancanze attive. Permette di non scansare mai il dolore, prevenendo si tramuti in risposte distruttive. Si vive il dolore quotidiano e ci si purifica subito. I peccati gravi diventano rarissimi ma quelli veniali sono ancora molto presenti e la propria interiorità è ancora piena di imperfezioni, soprattutto inizialmente. Lo si sente e lo si vede coi propri occhi durante la pratica. A volte stare a contatto con la propria interiorità diventa un vero e proprio purgatorio in cui non si può che testimoniare i pensieri distruttivi e le emozioni contrastanti che salgono. Per non provare troppo conflitto, è utile cercare di vederli come risposte umane comuni a tutti, cosa tra l’altro vera, poiché, come già detto, qui si sta già agendo a livello evolutivo. Dato che stiamo parlando di cristianesimo, quando si testimoniano queste manifestazioni del pensiero distruttive, soprattutto quando sono forti, è bene prenderle come tentazioni e staccarsi il più possibile finché non vanno via da loro. La cosa importantissima è il non indulgere nel pensiero o nell’emozione che si presenta, perché, in quel caso, non sarebbe più una mera tentazione ma accoglimento e nutrimento della stessa, che rischia così di tramutarsi in azione.
Grazie a questa pratica, d’altro canto, si comincia a gustare la pace e il silenzio interiore che la purificazione che si sta attuando rende possibile. Come già detto questa alternanza è normale. L’ego deve umiliarsi nel vedere la propria distruttività, nella conoscenza di se stesso, ma proprio perché si offre a questa umiliazione, viene poi preso da Dio ed esposto alla sua pace e al suo amore. Il processo di purificazione si presenta sempre così. Come insegna San Giovanni della Croce, quando questa purificazione giunge a buon punto, si viene introdotti nella notte dei sensi.
Le notti sono delle fasi dolorose nella vita spirituale ma sono anche presagio di passaggi importantissimi, così com’è importantissimo resistere nella perseveranza. La notte dei sensi precede il passaggio dalla meditazione: 'la pratica dei principianti', alla contemplazione: 'la pratica dei proficienti'. Per contemplazione si intende il silenzio interiore prolungato in cui è Dio che si occupa di purificare il suo amante. Per arrivare a tale livello i sensi devono essere soggetti ad un maggiore distacco dalla materia e rendere possibile il volo a Dio, che, nel frattempo, per così dire, si ritira più dentro, si nasconde nel cuore dell’anima. Così che l’innamorato mostri il suo amore con un atto volontario più forte di inseguimento e di ritiro in sé e si stacchi contemporaneamente con più forza dai sensi. Questo vuol dire che l’anima sta per lasciare il peccato grave per entrare finalmente in stato di grazia.
La notte dei sensi è un periodo di crisi fatto di tentazioni, di prove in cui siamo testati e attaccati dagli eventi della vita e da un senso di smarrimento interiore. Salgono al conscio dei contenuti che fino ad allora erano rimasti nascosti. Si prova inoltre una sorta d’incapacità a meditare, la sensazione è che si è arrivati ad un punto morto, in cui la pratica va avanti a ruota libera, e sembra di non fare nulla. Si può arrivare a provare disgusto per la meditazione, non sembra più un atto volontario e ‘non sa di niente’. Queste ‘aridità’ avvengono perché il praticante: ‘non riesce a gustare la prima pace che lo spirito le sta comunicando perché non ha il palato abituato a cose così fini ma non ha neanche le forze per meditare poiché Dio sta trasferendo le potenze dalla parte sensitiva a quella spirituale’. Non prova neanche più gusto per le cose del mondo malgrado, come dicevamo, affiorino tentazioni che sembravano assopite, le rifiuta al suo meglio ma rimane in una sorta di limbo dove non prova più gusto per le cose materiali ma neanche per quelle spirituali. ‘L’anima si vede annientata in tutte le cose di lassù e di quaggiù’. Tutto ciò risulta, ovviamente, in una grande preoccupazione di non fare il proprio dovere spirituale.
Stare nella vacuità, nel silenzio e nella pace è di per sé una ‘notte’ per i sensi, in quanto essi non partecipano ed è per questo che non si ‘prova nulla’. Il consiglio è di non dimenarsi, di non voler tornare alla pratica precedente né tanto meno nella materia ma di rimanere in questo nulla, quando si affaccia. Pian piano si comincia a gustarne la pace e gli immensi vantaggi. Questa prima notte è il primo importante distacco dalle mancanze attive, tipiche dei sensi, che permette di arrivare ai grandi silenzi, di avvicinarsi a Dio. Verso la fine di questo periodo infatti si avverte un ben più forte amore per Dio e un anelito a rimanere in quel silenzio dove ‘Dio la istruisce soprannaturalmente’. Essendo drasticamente diminuito l’attaccamento ‘l’intelletto ha la purezza e la libertà necessaria per comprendere la verità’. L’anima tornata in grazia non è ancora unita a Dio da vincolo inscindibile, a causa delle mancanze veniali che allontanano temporaneamente l’amante dall’amato. È importantissimo continuare a praticare, offrirsi al silenzio il più possibile.
L’attenzione interiore non deve mai mancare, né l’aggiunta di tutte quelle sane abitudini che predispongono a farsi prendere da quel silenzio e a restarvi il più possibile. Così com'è importante evitare tutto quello che ce ne distoglie. È bene capire che perdersi è sempre possibile. E uno dei punti più importanti, che ho trovato verissimo, sulla mia pelle, ci viene suggerito da Santa Teresa D’Avila: l’umiltà. In questo caso, l’umiltà si traduce nel non considerare la contemplazione come acquisita per merito ma ricevuta per grazia, che si può rinnovare di giorno in giorno o perdere da un giorno all’altro. Se noi, staccandoci dal resto, stiamo dando un messaggio d’amore a Dio, l’esser presi dalla contemplazione è la risposta di Dio che corrisponde all’amore. Questo è l’atteggiamento migliore, da tener ben presente e da ripetere quotidianamente. Le grazie possono essere ritirate per un barlume di orgoglio, per un pur lieve senso di raggiungimento, per l’ombra di una sicurezza che fa avvertire la grazia come scontata, così come per un attaccamento che offuschi la mente. Il nostro impegno dev’essere quello di mandare il più chiaro messaggio a Dio, di giorno in giorno, staccandoci da tutto e sperare nella sua immancabile risposta. L’umiltà è la miglior compagna della contemplazione. Nel contempo è essenziale tener presente la soprannaturalità del dono della contemplazione e fare tutto il possibile per non perderla, monitorando la tendenza a mancanze lievi, che ci separano da tale dono, anche momentaneamente.
Chi vive in questo stato di grazia, è già portatore del secondo grado d’amore, il grado divino in cui si vede se stessi negli altri e si è incapaci di lederli volontariamente.
Nel proseguire questa purificazione dell’inconscio, mentre ‘con grande facilità trova subito in sé una contemplazione serena e piena d’amore’, l’anima può raggiungere un nuovo avvicinamento a Dio che scatena un processo di purificazione ancora più profondo. L’avvicinamento a Dio corrisponde infatti ad un avvicinamento alla Luce delle coscienza che ‘strappa dalle tenebre i segreti e porta alla luce cose oscure’ (Giobbe). L’anima ‘deve penare e soffrire come campo di combattimento in cui si confrontano due opposti che lottano l’uno contro l’altro, dal momento che la contemplazione va purificando l’anima dalle sue imperfezioni’. La grande Luce ‘fa uscire tutte le sue brutture’. ‘Precedentemente non le scorgeva perché non illuminata da quella luce soprannaturale’. ‘Questa purificazione rimuove gradualmente tutti gli umori cattivi e viziosi che l’anima non riusciva a vedere perché profondamente radicati in lei. Non si rendeva conto di quanto male avesse dentro; ora, invece, perché li possa buttare fuori e distruggere, le vengono posti davanti agli occhi e li vede benissimo, illuminata dalla luce della contemplazione divina’.
Questa è la notte oscura dell’anima. La purificazione che precede il più importante dei passaggi: l’unione a Dio.
Le tentazioni vissute in questa notte sono a dir poco diaboliche e la finezza della sensibilità dell’anima contemplativa sottoposta ad esse rende il conflitto vivissimo: ‘si sente talmente impura e miserabile da avere la sensazione che Dio le sia contro’. ‘Poiché riesce a vedere dentro di sé ciò che prima non vedeva, ha la sensazione chiara, non solo di non essere guardata da Dio, ma addirittura di essere aborrita da lui.’ ‘Questo è il motivo per cui all’inizio non sente che tenebre e dolore’. È inoltre ‘oggetto del medesimo abbandono e disprezzo anche da parte delle creature’. Anche a livello esperienziale quindi si affrontano prove che includono abbandoni, tradimenti, umiliazioni e ingiustizie particolarmente pungenti, da tutte le parti e senza tregua, che mirano a far guadagnare, in futuro, un ben maggiore distacco e che scatenano, nell’immediato, reazioni da purificare e trascendere.
È buono soffermarci un attimo a riflettere sul rapporto tra le notti, il distacco e la grazia. Le notti sono definite giustamente da Edith Stein delle ‘croci’ per il praticante spirituale. Effettivamente è sempre attraverso la croce, ossia la gestione del dolore, che si approda al distacco dalle cose, dalle persone, dai sensi e dalle tentazioni ed è sempre attraverso la vittoria dello spirito sulla materia, cioè grazie al distacco dalla materia, che si giunge poi ad una stabilizzazione dell’accoglimento della grazia. È basilare capire questo perché è intrinseco nel concetto di peccato. Ricordate? Il peccato è ciò che allontana da Dio. Perché è così importante la croce? “La virtù della croce è potente e quando entra in un’anima, non solo ha la virtù di togliere la ruggine di tutte le cose terrene, ma le dà la noia, il fastidio, il disprezzo delle cose della terra e, invece, poi, le rende il sapore, il gradimento delle cose celesti” (‘Libro di cielo’).
Solo la croce ben vissuta predispone al distacco dal mondo e al conseguente volo a Dio.
Se vogliamo chiudere il cerchio, basti ricordare che le esperienze dolorose sono proiezioni dell’inconscio, che tende ad una risoluzione dei problemi ancora in esso celati. Possiamo ben capire allora che il peccato è, a tutti gli effetti, causa delle esperienze dolorose e solo attraversando nuovamente il dolore, con profondità ed accoglimento, esso può tramutarsi in distacco dal peccato e rendere possibile l’avvicinamento a Dio. Nell’insegnamento di Gesù non c’è nulla di obsoleto quindi, semmai, di non ancora compreso: il meccanismo impeccabile del funzionamento della coscienza che tende alla nostra evoluzione interiore.
Bisogna imboccare e restare nel circolo virtuoso che dal peccato, di qualsiasi entità, ripropone la croce che, vissuta e abbracciata, porta al distacco dal peccato e alla susseguente vicinanza a Dio. Mentre bisogna astenersi dal circolo vizioso che dal peccato, porta a scansare la croce riproposta, solo per intensificare e peggiorare il proprio stato di coscienza e la propensione alle mancanze. Il che conduce immancabilmente a una futura riproposizione che, se spinta sino alla morte, può assumere carattere infernale. Per restare nel circolo virtuoso, ci deve essere sempre un ottimo bilanciamento tra lo sforzo personale, che non può e non deve mancare, e la grande considerazione delle grazie ricevute, per non perderle. Cosa che ripetiamo, può avvenire per mancanza d’umiltà e per mancanza di vigilanza per le mancanze lievi e le imperfezioni che, accumulandosi, portano a una nuova riproposizione purgativa.
Accettare il dolore e viverlo è l’unica cosa che ci avvicina a Dio.
Il grande distacco raggiungibile nella notte dell’anima è quello richiesto al discepolo e corrisponde a distaccarsi davvero da tutto ciò che è umano e divino insieme, anche dalle esperienze mistiche: ‘Occorre che l’anima sia nel vuoto e nella povertà di spirito, purificata da ogni attaccamento, conforto e percezione naturale di cose divine e umane.’ Dio vuole togliere le imperfezioni, le ‘pagliuzze dall’occhio dell’anima’, le chiama Santa Teresa D’avila. Queste pagliuzze appaiono tali a noi mentre agli occhi di Dio sono grandi impedimenti al suo agire. Il Perfetto non può stare nell’imperfezione a lungo. Anche le mere imperfezioni possono quindi ostacolare l’unione somma a Dio. Gesù dice: “Tutto ciò che è terreno, tutto, tutto devi togliere. Non solo dal tuo cuore ma anche dal tuo corpo. Tu non puoi capire quanto nocevole e di quanto impedimento all’amore mio le minime ombre terrene” (Libro di cielo). Finché le passioni non sono indebolite al massimo combattono per sopravvivere. L’umanità spera di sopravvivere se noi la nutriamo ancora. Questa è la spiegazione ‘tecnica’ delle notti e della loro relazione alle nostre mancanze attive. Sentite come lo spiega dolcemente il Maestro alla Piccarreta: “In detta anima c’è guerra continua perché le passioni le fanno guerra, ché vedendosi nutrite spesso spesso, sperano d’essere loro la vittoria; i demoni, le creature ed anche le stesse virtù, vedendosi deluse le fanno guerra accanita e finiscono col nausearla. Se si salvano dette anime, oh, quanto avrà da lavorare il fuoco del Purgatorio! Invece per l’anima costante tutto è pace, già la sola costanza fa stare tutto a posto, già le passioni si sentono morire; e chi è che essendo vicino a morire pensa di far guerra a nessuno? ”. E ancora più sinteticamente le dice: “la croce sta all’uomo come le briglie al cavallo”.
Credo sia piuttosto chiaro che solo una purificazione davvero intensa fa arrivare alla pace dell’unione a Dio, ne consegue che il concetto di peccato e il suo superamento effettivo non può essere glissato né teoricamente né tanto meno concretamente nel cammino spirituale.
Alla fine della notte dell’anima si accende un incendio d’amore per Dio, infuso direttamente da Dio e qui abbiamo un altro indizio importante sul ruolo della purificazione delle mancanze attive. ‘Vi darà il medesimo amore acciò l’amiate’, dice Santa Veronica Giuliani di Dio, perché è proprio la permanenza dello Spirito Santo, che è Amore Santificatore, nell’anima che unisce per amore il figlio al Padre.
Nel silenzio dello Spirito Santo avviene la santificazione.
Se l’individuo non si impegna alla sua purificazione e al distacco per far sì che lo Spirito permanga il può possibile in lui e lo santifichi, l’unione semplicemente non può avvenire. Se invece la purificazione è ben sostenuta dalla volontà del praticante questo incendio d’amore divampa nella parte più intima dell’anima e, come San Giovanni fa notare, la differenza principale tra il risultato della prima notte e della seconda è che, ora, l’anima non dà più ‘alcun peso alle sofferenze dei sensi’, è ‘senza rispetto per niente’, procede ‘senza tener conto di quello che fa’, è determinata e coraggiosa e, pur sentendosi indegna, diventa ardita e inarrestabile, perché ‘l’amore le dà la forza’. Non le interessa più niente del mondo, di cosa pensano gli altri né di se stessa, va imperterrita, determinata, folle d’amore. In queste fiamme Dio ‘lo illumina riempendolo d’amore e di afflizione finché tale fuoco d’amore non lo spiritualizza e lo raffina, perché purificato, possa partecipare all’unione’. ‘Dio la distacca naturalmente in questo modo da tutto ciò che non è lui, per rivestirla a nuovo, una volta spogliata e liberata della sua vecchia pelle’.
‘Quest’anima appartiene ormai al cielo, è celestiale, più divina che umana’. Questo stato è il Paradiso in terra, che solo i Santi possono gustare ed è il grado può alto d’amore perché si diventa portatori viventi dell’amore di Dio nel mondo. Come specificato, però, solo i santi vittima portano questo amore alla perfezione, nel sacrificio di sé, ad imitazione del Salvatore.
È importante riflettere sul concetto di peccato e capirlo profondamente perché, in questo momento storico, si sta cercando di ridurre gli insegnamenti del Maestro Divino alla semplice biofilia. La biofilia non è in alcun modo una pratica spirituale, è una maturazione psicologica importantissima ma umana. Tagliare tutto il resto è come voler tagliare lo Spirito dalla spiritualità ed è come ridurre la figura di Gesù a quella di un bravo ragazzo, al massimo di uno psicologo. No, no, no. Il cristianesimo non è solo un “volemose bene” come dice giustamente Don Minutella, è scienza perfetta e divina che porta direttamente a Dio. Si può non essere interessati al cammino o essere imperfetti nel percorrerlo ma non si può confondere la direzione a scapito di chi vuole percorrerlo. Si può riformulare il concetto di peccato e spiegarlo in termini moderni ma non eliminarlo e sostituirlo come ampliamente dimostrato. Non cadiamo in tranelli che accarezzano i nostri difetti, seducono i nostri vizi, incoraggiano i nostri attaccamenti. Non possono che essere falsità, perché lo Spirito è Spirito, è sempre dall’altra parte! Questo il praticante spirituale serio lo sa per esperienza, anche delle sue eventuali cadute. La confusione si crea solo per gli animi tiepidi o per chi è agli inizi ed è ancora a rischio di essere attratto da dottrine false o falsate a tradimento.
Gli scritti dei santi, e soprattutto dei santi-vittime, hanno un marchio di garanzia inconfondibile, quello del Salvatore. Sono mappe certe e sicure che, immancabilmente, si confermano le une con le altre e che devono, oggi più che mai, essere prese a conferma del vero insegnamento del Maestro.
(tranne quelle specificate diversamente, ogni citazione è tratta da ‘La notte oscura dell’anima’ - San Giovanni della Croce)
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Il Salvatore V

Capire il peccato
Cominciamo da alcune premesse. La prima è la definizione di ‘peccato’: tutto ciò che allontana da Dio. La seconda è che, in primis, il Regno di Dio deve stabilirsi dentro di noi. Già queste due premesse, se ponderate, ci aiutano a capire che tutto ciò che spinge la nostra attenzione e la nostra volontà fuori di noi con maggiore insistenza rappresenta il maggiore ostacolo al ritiro in sé che, se coltivato, col tempo diventa raccoglimento. Quest’ultimo è importantissimo a stabilire il Regno in noi, è come abbellire e preparare la propria casa ad accogliere l’Ospite per eccellenza, ma questo lo approfondiremo più avanti. La terza premessa è personale. Chi scrive era persa nel peccato, scrivere di questo argomento non è quindi una presunzione intellettuale né tanto meno morale ma è testimonianza, frutto di amara esperienza, che quanto insegnato da Gesù è pura verità. Non sono certo l’unica a poterlo testimoniare perché, in tutti coloro in cui c’è una forte conversione e una risoluzione perseverante, il distacco dal peccato avviene con altrettanta forza e perseveranza, grazie alla pratica. Tanto più ci stacchiamo dal peccato e siamo, di conseguenza, vicini a Dio, tanto più abbiamo prove tangibili della veridicità dell’insegnamento del Maestro. La prossima ed ultima premessa deriva proprio dall’esperienza personale. La dilagante avversione e il rifiuto che abbiamo, in questi tempi, del concetto di peccato ha origine dal fatto che, come società, siamo talmente abituati al peccato da considerarlo ‘normale’ e ‘naturale’. La gioia e la serenità che si provano nel vivere in Dio e con Dio sono del tutto sconosciute a chi cerca la felicità nel piacere e, sfortunatamente, sia il limite di comprensione sia quello dell’esperienza della gioia divina non possono essere colmati dalla semplice lettura. Spero solo di aiutare con dei ragionamenti logici a capire meglio questo concetto ‘sorpassato’ ma non certo risolto e che interessa non solo le nostre vite a livello personale, ma come specie.
I peccati, in questo articolo, li considereremo mancanze attive che mal celano la distruttività inconscia irrisolta. Esse sono causate da una mancanza passiva che è lo scansare la croce, il non voler vivere il proprio dolore che, covato nell’inconscio, erutta varie forme di distruttività. Il metodo per placare le mancanze attive è quello di convertire la mancanza passiva, abbracciare finalmente il proprio dolore, stare con la propria interiorità, conoscere se stessi. Per praticare la conoscenza di sé ritroveremo il valore del distacco, che ci accompagnerà sempre, a vari livelli.
Quando si parla di peccato, nel cristianesimo, siamo soliti riferirci ai dieci comandamenti e ai vizi capitali. I tipi di peccato che commettiamo infatti girano sempre intorno alle stesse cose. In estrema sintesi esse sono sesso, potere e denaro.
Se il decalogo è stilato per tenere a bada chi non si dedica seriamente alle pratiche spirituali e che dovrebbe, come minimo, contenere la propria distruttività, la disciplina interiore, che nasce dalla seria pratica, porta naturalmente con sé uno stile di vita da decalogo.
Questo gli ex peccatori gravi lo sanno meglio degli altri e a qualsiasi domanda venga loro posta, su eventuali tipologie di vizi ed errori, rispondono immancabilmente così: ‘Pratica, tu continua a praticare’. Sanno infatti che, a prescindere dal tipo di vizio, è la pratica a staccarci da tutto. A supporto di questo argomento possiamo citare la grandissima Santa Teresa D’Avila, maestra d’orazione e Dottore della Chiesa. Come narra nel ‘Libro della mia Vita’, dopo aver raggiunto un raccoglimento non indifferente ricade in peccato e, per paura e vergogna, non si riaccosta all’orazione mentale per più di un anno, cosa che rende difficilissima la sua ripresa. Era preda di un ragionamento ingannevole secondo cui doveva prima staccarsi dal peccato, con le proprie forze, e poi riavvicinarsi all’orazione. Il suo appello, accorato e materno, non è di non cadere in peccato, cosa auspicabile ma quasi impossibile, bensì di non cadere mai nell’inganno di abbandonare la pratica, “perché è lì dove si capisce ciò che si fa e dove si riceve dal Signore la grazia del pentimento e la forza per rialzarsi. Mi si creda, mi si creda davvero! Allontanandosi dall’orazione si corre grave pericolo”.
Se avete in cuore una domanda su un tipo di peccato per paura di non poter trovare Dio, state allora certi che nulla vi può fermare dal raggiungerLo, ma se l’avete per paura che il vostro richiamo spirituale vi possa togliere un particolare vizio, a cui siete affezionati, evidentemente la vostra risposta al richiamo è debole.
È importante capire la differenza tra animo tiepido e animo spirituale, quando parliamo di peccato, perché rispecchia il grado di volontà alla conversione e, in proporzione inversa, il grado di attaccamento al mondo. Guardate come il Maestro Divino cambia saggiamente i suoi messaggi a seconda del tipo di conversione che sta chiedendo, conoscendo l’animo di chi ha di fronte. Alle masse, tra cui c’erano sicuramente molti distruttivi, diceva: “amatevi l’un l’altro”. Incitava alla prima conversione, la più urgente, quella alla biofilia. Poi, lo stesso Gesù, a chi gli dichiara di voler essere Suo discepolo e di volerLo seguire non appena seppellito il padre, morto da poco, risponde: “Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i morti”. Cos’è successo all’amatevi l’un l’altro, se non si può neanche andare al funerale del proprio padre? È ovvio che Gesù, in questo caso, sta chiedendo un grado di risposta superiore, la risposta propria del discepolo, in cui il distacco dev’essere molto maggiore rispetto a quello dei semplici fedeli. Spiegando questo versetto a Maria Valtorta, sua discepola, dice: “Voi seguitemi passando al di sopra di ogni cosa che non sia di cosa di Dio seguitemi trascurando ogni voce che non sia la mia Voce. Seguitemi non avendo altra preoccupazioni fuor di quella di fare ciò che io vi chiedo, ancor più liberi delle volpi e degli uccelli devono essere i miei seguaci veri. Non attaccamento alle cose del mondo, neppure al nido e alla tana. Attaccamento che crei ostacolo al seguirmi, perché io non condanno un santo affetto per la casa natìa.” Dunque qualsiasi attaccamento prevalga rispetto alla chiamata e la freni, la rallenti o la ostacoli manifesta una debole volontà di conversione.
Oltre alla tipologia delle mancanze attive è infatti decisivo il grado di attaccamento ad esse. Spesso Gesù parla di lussuria come grado di attaccamento e non come tipologia di peccato. Parla della superbia come ‘lussuria della mente’ e proprio a chi confonde la lussuria come ‘atto che si compie in due’, replica: “La lussuria è disordine e violenza contro le leggi naturali, contro la giustizia e l’amore verso Dio, verso noi stessi, verso i fratelli nostri. Ogni lussuria. Quella carnale come quella che mira alle ricchezze e potenze della Terra.” In questa frase c’è tutto, i tre tipi di peccati che più ci allontanano e l’importante indizio sul grado di attaccamento ad essi. Da quest’ultimo capiamo quanto la pratica seria possa essere l’unica soluzione, favorendo il distacco di cui abbiamo bisogno da qualsiasi cosa ci tenga lontani dalla pace e dall’amore che solo Dio può darci.
Usiamo ora la scala di perfezionamento nell’amore, usata in precedenza, per capire come la gravità del peccato vada sempre insieme ad essa. Vedrete come tutto procede logicamente ed è ben supportato da nozioni psicologiche ormai risapute.
Nel peccato più grave non ci si sente richiamati minimamente al cambiamento, l’anima è come morta, la coscienza è come morta. Non c’è stimolo alla conoscenza di sé. La propria interiorità non viene mai perlustrata, non si mette in discussione se stessi ma si proietta tutto sugli altri. Regna la superbia, l’atteggiamento che più accieca verso le proprie responsabilità e che più insinua la sensazione di essere di diritto superiori agli altri. Regna l’astuzia per manipolare le persone a proprio vantaggio o per coprire le proprie colpe. Regna la menzogna, patologica per la sua frequenza. L’identificazione è esternalizzata e, di conseguenza, materiale. Questo è dovuto al fatto che l’attenzione è sempre posta fuori, proprio nella tenace abitudine di fuggire se stessi e nel morboso attaccamento alle cose del mondo. Un’identificazione esternalizzata è dipendente dall’esterno, da ciò che il mondo pensa, è dunque labile e insicura, il che spinge ad avere una maschera di falsità quasi perfetta. Il fatto che sia materiale, cioè che si finisca col percepire se stessi e gli altri come oggetti, rende questi individui necrofili. Ciò vuol dire che non hanno rispetto della vita, della sua dinamicità, vogliono il potere per limitare la libertà altrui e per imporsi senza alcuno scrupolo per ottenere ciò che vogliono. L’identificazione materiale è da immaginare come uno strato più fitto di divisione tra sé e gli altri, il che rende possibile la tendenza a doppi standard pesantemente ingiusti. Mancano di carità, non hanno amore né compassione, anche se alcuni di loro sono in grado di fingerla. Spesso provano piacere nel ledere, nel far del male psicologicamente o fisicamente, in modo più o meno palese, e soprattutto in occasione di eventuali vendette.
A seconda della gravità della superbia possono essere totalmente freddi, anche per le conseguenze legali, come nel caso degli psicopatici, e non avere alcun rimorso. Oppure possono essere caotici e provare vergogna, se scoperti, ma non reale rimorso, che nasce soltanto in chi sa provare empatia genuina. Sono inclini a calunniare, prevaricare, controllare in modo malsano. Rifiutando il contatto col proprio dolore, rimangono insensibili al dolore altrui. Scansano la propria croce, riversandola sugli altri nel modo più violento e distruttivo, poiché per non viverla, essa si tramuta in rabbia, vendetta, cattiveria. Il tutto dovuto a memorie distorte, a colpe ingiustamente proiettate sugli altri, nate dalla superbia e da un primo moto di menzogna che diventa, per la mole ingestibile di bugie, non più rintracciabile. Una coscienza che è un caos infernale e che, per evitare di vivere, tramutano in inferno per chi ha a che fare con loro.
In questo frangente, si deve precisare una cosa che probabilmente al lettore sarà già chiara. C’è però un fraintendimento di cui sento spesso parlare, perlomeno sui narcisisti, perciò provo a chiarirlo. Queste persone sono chiamate ‘inconsapevoli’, e lo sono, nel senso che non hanno consapevolezza del loro stato interiore, non hanno contatto lucido con la realtà circostante. Sono chiusi nella loro ‘realtà’, costituita da pensiero meccanico veloce e ripetitivo. Un insieme di pregiudizi, fraintendimenti e bugie, difesi con immancabile tenacia, che rende impossibile reale capacità di giudizio ma possibile una grande propensione a verdetti sbagliati. Non hanno la benché minima conoscenza delle leggi interiori che ci governano, della vastità della catena distruttiva che le loro azioni comportano né delle conseguenze in cui incapperanno. ‘Non sanno quello che fanno’ perché la risposta inconscia è sempre veloce, ciclica, meccanica, viziosa, impulsiva, sconsiderata. Ricordiamo sempre che la risposta inconscia è tipica della mancanza di attenzione interiore. Avendo l’attenzione sempre fuori, la mente di queste persone comincia a gestire le emozioni ‘senza pilota’. Ciò, però, non vuol affatto dire che non siano in grado di intendere e di volere. No, no, no! Come in psicologia, così nella spiritualità, nel peccato grave c’è volontà. I distruttivi vogliono fare il male, non c’è dubbio su questo. Gli psicopatici sanno che quello che fanno è sbagliato. I machiavellici altrettanto. Più ancora i narcisisti maligni. Tutto è funzionante, la loro capacità di volere e di scegliere è intatta. Non c’è alcun impedimento al cambiamento se non l’attitudine predominante alla superbia. Sanno di ledere, a livello cognitivo, ma non sanno quanto ingiustamente lo fanno, perché la proiezione che attuano li convince, le menzogne si perdono nella confusione e diventano credibili, per cui un’ingiusta vendetta si dà tono di legittima rivalsa. Il materialismo e la superbia li fa credere al di sopra di ogni conseguenza. Non conoscono quanto faccia male il dolore perché lo evitano proprio facendo male agli altri e soprattutto non conoscono le ripercussioni infinite della loro scia distruttiva. “Se sapessero esattamente quello che fanno, e lo volessero continuare a fare, non basterebbe l’inferno” dice Gesù.
Non conoscono neanche l’intera gamma delle emozioni umane, né tanto meno la vera gioia, conoscono soltanto lo spettro psicologico distruttivo, che parte dall’evitare il dolore: il caos delle ossessioni, il nervosismo del livore, il pungolo della permalosità, la nausea della paura, il rodere dell’invidia, le tenebre dell’odio, la breve soddisfazione del piacere e della vendetta e, subito dopo, la noia mortale che li spinge ai peccati dal gusto forte. La necrofilia che portano dentro, infatti, pur riversandosi maggiormente sugli altri, crea in loro uno stato di morte interiore per cui, per sentirsi vivi, sono alla continua ricerca di piaceri forti, piccanti, perversi, bramano sensazioni contrastanti e intense.
Uscire da questo stato lugubre è quasi impossibile senza la grazia speciale che solo Gesù e i suoi si sono fatti carico di rendere disponibile. “Estrarli dalle tenebre. Ecco l’opera dei redentori.” (Evangelo M.V.) Liberare questo genere di peccatori è una mossa tattica per salvare tutti coloro che sarebbero entrati in contatto con loro nella vasta azione distruttiva che scatenano al loro passaggio.
Nelle mancanze attive gravi c’è un’altra categoria, in cui troviamo una distruttività diretta principalmente a se stessi e, solo di conseguenza, a tanti altri. Anche qui regna la risposta inconscia e non si ha consapevolezza interiore. Dirigere l’odio contro se stessi non è meno grave del dirigerlo agli altri ed è sempre mancanza di carità, sebbene un po’ meno espansa nelle conseguenze verso l’esterno. È anche sempre superbia, poiché si procede autonomamente, con ribellione, non si cerca aiuto psicologico né tanto meno spirituale.
Ci sono alcuni, tra questi persi, che hanno sviluppato un adattamento malsano a traumi infantili. Questi saranno spesso favoriti con chiare chiamate alla conversione, con circostanze che li mettono in contatto con la giusta persona o col giusto libro, per iniziare un processo di cambiamento psicologico. Dio non li abbandona, ci tiene moltissimo alle sue pecorelle smarrite anche se si sono gettate a capofitto nella melma più assoluta. Se non peccano di ostinazione e superbia, anche avessero tutti gli altri peccati addosso, avranno praticamente la strada spianata dalla vita stessa per uscire dalle tenebre, riprendersi dai traumi in modo costruttivo e riscoprire l’amore. Un primo cedimento della superbia è tutto ciò che ci vuole nel loro caso. Mettersi finalmente in discussione, mettere in discussione il proprio modus vivendi, far albeggiare la prima comprensione che si sta causando male a se stessi e agli altri.
La maggioranza però, tra chi si trova in condizione di mancanze gravi, sia distruttive che auto-distruttive, è costituita da foglie al vento, da giovani che seguono le mode, le tendenze, i compagni, gli altri, che vanno avanti per imitazione di questo mondo che, nella sua spinta generale, è comunque necrofilo. Peggiore il caso di chi nasce e cresce in ambienti criminali, i quali costituiscono la versione sociale della psicopatia e della sociopatia. Altrettanto si può dire di chi cresce in ambienti di stampo narcisistico, quali sette religiose, esoteriche o lavorative e società segrete, versione sociale del narcisismo maligno; così anche per le lobbies che sono la versione sociale del machiavellismo.
Chi non si risveglia e taglia i lacci di queste appartenenze, più o meno nocive, cresce senza capacità di autonomia, indipendenza psicologica, sicurezza interiore, e pecca solo perché così va il mondo. Proprio per questo serve una buona dose di solitudine e isolamento, spesso anche una separazione netta da gruppi, parenti o amici che sono legati al precedente stile di vita, quando e se si vuol cambiare davvero, nella prima grande conversione. Questi imitatori inconsapevoli dell’ambiente non hanno quasi mai, infatti, la superbia dei veri peccatori gravi e potrebbero davvero cambiare, se volessero. Basterebbe una prima riflessione e l’umiltà di prendersi la responsabilità, se non delle cause, almeno del mantenimento del proprio stato. Con una buona volontà, la conversione dell’attenzione da fuori a dentro potrebbe iniziare senza ostacoli. Se si ha atteggiamento umile, si conosce se stessi e si abbraccia la propria croce, vivendo il proprio dolore, comincia l’espiazione delle proprie colpe più gravi ed un primo distacco da esse. Il percorso finisce con una fioritura dell’individuo naturale ma già esemplare. Creatività, biofilia, gioia di vivere, voglia d’imparare, indipendenza ed umiltà diventano gli atteggiamenti spontanei.
Ora veniamo ai biofili, categoria poco catalogabile, perché, avendo una buona dose d’indipendenza, tutto dipende dall’individuo. Non peccano più di anticarità in modo volontario, questo mai, altrimenti non sarebbero biofili e questo li allontana da mancanze troppo gravi ma hanno ancora tantissime risposte inconsce di una distruttività più lieve. Il loro ego non è più esternalizzato ma è comunque psichico e presenta quel pacchetto di default, tipico dell'essere umano, che spinge comunque al peccato. Sono ancora pieni di mancanze attive, come l’egoismo che l’indipendenza può creare, che appare sano e quindi non viene debellato. Sebbene umili in confronto alle precedenti categorie, hanno una spontanea sicurezza, motivata dall’essere effettivamente più evoluti rispetto alla massa, che può portarli a un’attitudine saccente. Tendono ad essere severi nei loro giudizi, in se stessi lucidi e giustificati dalla realtà dei fatti, ma che, in assoluto, non giovano né a loro né agli altri. Hanno ancora molti vizi che non ritengono tali perché, a vista di tutti, sono naturali. Non prevaricano per arrivare al potere ma alcuni di loro ritengono sano avere una forte propensione, se non al denaro, al buono stile di vita che esso porta con sé. Essendo molto magnetici alcuni di loro hanno ancora una forte propensione alla sessualità, anche se non scorretta in termini di fedeltà, perché accompagnata sempre da quel sentimento di rispetto ormai connaturato. Queste mancanze appaiono briciole, comparate alle precedenti, ma tengono molto lontani da Dio.
Stagnando a questo livello possono anche essere ripresi da vortici di distruttività nei periodi peggiori. Soprattutto nel caso in cui, prima del cambiamento, erano auto-distruttivi per adattamento ai traumi o se travolti dall’amarezza dell’ingiustizia, in particolari periodi storici. Perché può succedere questo?
I biofili sono in labile contatto con la forza creativa, dalla quale prendono solo ciò che la loro tendenza naturale sprona a prendere: arte, musica e quant’altro. Hanno scelto le tendenze creative in loro ma non di imboccare volontariamente la forza creativa. Si trovano letteralmente in mezzo alle due forze. Se rimangono al crocevia basta un’ondata delle forze distruttive che, ricordiamo, sono infinitamente più forti delle tendenze, per metterli di nuovo in grave crisi e sono a rischio di perdersi, anche solo temporaneamente. Nonostante, a livello sociale, siano innocui e, a livello psicologico, sani, a livello di percorso sono, ahimé, mediocri. Hanno fatto proprio metà strada e si trovano in una posizione assai scomoda. Perdono il mare di vantaggi che solo imboccare la forza creativa può dare e provano molta delusione per lo stato del mondo e degli altri individui, fino a divenire disillusi e polemici, perché hanno aperto gli occhi della consapevolezza. Non possono tornare indietro evolutivamente e le loro mancanze passive e attive ancora ottundono la comprensione delle leggi interiori, che potrebbero usare a vantaggio loro e altrui, per andare avanti. Essendo evoluti sono però spesso punzecchiati da qualche richiamo spirituale. Seguirlo o meno dipende totalmente dagli attaccamenti che hanno alle rimanenti mancanze attive. Non hanno ancora una completa vita da decalogo, che ritengono innaturale in alcune ‘pretese’, per via di questi attaccamenti giudicati umanamente accettabili. Sanno provare vera gioia ma non conoscono la gioia e la pace soprannaturale. I 10 comandamenti sono infatti “inviti di Dio che vuole gli uomini beati”, dice Gesù, ma pochi rispondono pienamente a questo invito e scoprono la beatitudine. I biofili hanno raggiunto il primo grado nella scala d’amore, vorranno andare oltre?
Perlustreremo gli altri due gradi, il peccato lieve e le mere imperfezioni, nel prossimo articolo.
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Il Salvatore IV

Il Mistero della Croce: La Pura Croce
Abbiamo parlato della gioia nel dolore provata dai santi-vittime dell’Ordine fondato da Gesù, Ordine unico nel suo genere e nella sua missione. Continueremo a dimostrare con argomenti semplici e logici l’unicità del potere salvifico di Gesù e del Suo esercito, scoprendo il terzo mistero della croce che risiede nel sacrificio della pura croce.
In rari casi Gesù introduce il suo santo-vittima a rinunciare temporaneamente anche a quei vantaggi che il santo acquisisce per aver seguito diligentemente le orme del suo Maestro. La gioia nel patire è una grazia ricevuta a seguito della volontà di ferro del santo ad offrirsi al dolore ed è, a mio parere, meritata se non altro cercata. Ma, per arrivare ad imitare il Maestro perfetto, si può e si deve perdere anche tutto questo. In tal caso il santo non soffre soltanto senza alcun aiuto, senza alcuna pace né tanto meno gioia, sentendosi lontano Dio, ma arriva a provare lo stato di essere ripugnato da Dio come i peggiori peccatori. Un sacrificio che corrisponde ad una caduta abissale dalla sofferenza nella gioia, che quasi scompare totalmente nella sola gioia, alla sofferenza più disperata. Quello della croce pura è un sacrificio senza uguali, neanche i martiri provano tanto dolore, anzi essi sono notoriamente sostenuti in modo soprannaturale tanto da provare estasi, avere visioni e locuzioni durante il dolore fisico, cosa inconcepibile per chiunque altro. Se leggete gli scritti della Valtorta, troverete che la forza sovrannaturale che accompagnava i primi martiri era talmente palpabile da convertire seduta stante chi assisteva o addirittura partecipava attivamente alla loro cattura o tortura. Nel martirio la gioia nel patire arriva al suo massimo e diviene estasi nella tortura.
La pura croce è l’esatto opposto, è la perdita più grande, l’abbandono di Dio e della sua forza, nel momento più straziante di dolore fisico, morale e spirituale.
Questo è esattamente ciò che fece Gesù, il quale, naturalmente divino, naturalmente in unione perpetua col Padre, pieno di pace e gioie divine, si offrì di soffrire come tutti i peggiori peccatori, sentendosi totalmente ripudiato da Dio, senza meritarlo minimamente. Vivere la croce pura è quindi il modo in cui i suoi eletti diventano più simili a lui, anche se, e va detto, non arriveranno mai a provare la caduta smisurata che provò Gesù.
Non so se capiremo mai che sacrificio abbia fatto per noi ma perlomeno cerchiamo di meditare su questa parte, che è la più dolorosa, poiché spirituale, della Sua Passione, paragonandola proprio a quella che fa provare in questo caso ai suoi santi. I santi non vengono introdotti alla croce pura senza preparazione anzi il loro percorso si presenta come una salita graduale verso la pace e la gioia di Dio, seguita da un allenamento al ruolo di santo-vittima, in cui le grazie e l’amore che provano non sono solo una sosta consolatoria tra un dolore e l’altro ma fortificano con le virtù, che scaturiscono proprio dal dolore accolto, e che sono necessarie a predisporlo poi al sommo sacrificio. A sostenere questo argomento ci aiuta Gesù stesso. Quando Santa Margherita Maria Alacoque prega insistentemente per arrivare ad avere la croce pura, senza le grazie, Gesù gli replica di lasciar fare a lui, che è un Direttore saggio e sapiente, che sa guidare le anime. La sta preparando, infatti, dapprima con una croce tutta coperta di fiori, poi ‘a poco a poco i fiori cadranno e ti rimarranno solo le spine ora nascoste per via della tua debolezza’. Solo quando il santo è fortificato a sufficienza viene introdotto nel Getsemani, provando la ripidissima e atroce discesa nel baratro infernale, senza alcun supporto spirituale.
Un secondo aspetto da considerare è che alcuni di questi santi hanno perlomeno già provato in precedenza, anche solo in minima parte, il dolore della purgazione della propria coscienza e alcuni tra loro, soprattutto chi ha avuto una forte conversione dal peccato alla santità, sanno anche cosa si prova ad essere molto lontani da Dio. Niente di tutto questo è stato riservato all’Innocente, la cui caduta dev’essere stata quindi terribilmente più scioccante. Il dislivello tra lo stato perfetto di Figlio di Dio e quello di dannato è incommensurabile. Nessuna clemente preparazione, nessuna esperienza precedente ad attutire la caduta, che quanto più è immeritata tanto più è terrificante. Dice Gesù alla Valtorta:“Più l’ora dell’espiazione si avvicinava e più Io sentivo allontanarsi il Padre. Sempre più separato dal Padre, la mia Umanità si sentiva sempre meno sorretta dalla Divinità di Dio. E ne soffrivo in tutte le maniere. La separazione da Dio porta seco paura, porta seco attaccamento alla vita, porta seco languore, stanchezza, tedio. Più è profonda e più sono forti queste sue conseguenze. Quando è totale, porta disperazione. E quanto più chi, per un decreto di Dio, la prova senza averla meritata, più ne soffre, perché lo spirito vivo sente la recisione da Dio così come una carne viva sente la recisione di un arto. È uno stupore doloroso, accasciante, che chi non l’ha provato non intende.” Lui stesso lo chiama ‘orrore infernale’ e ‘strazio superiore a tutti gli strazi sovrumani.’ Questo suo sacrificio lo manifesta perfetto non solo come divino ma anche umano, perché avendo rinunciato alla forza divina e avendo patito come colpevole e superato tanto dolore, smarrimento, tentazione e disperazione con le sue sole forze umane, ha dimostrato di essere superiore a tutti, nessuno è ed è mai stato come Lui. Quello che ha provato Gesù, e i suoi santi chiamati a tanto, è proprio l’esperienza della dannazione: ‘Noi conosciamo la morte dello spirito senza averla meritata per comprendere l’orrore della dannazione a tormento dei peccatori impenitenti, la conosciamo per ottenere di salvarli. Lo so il cuore si spezza, lo so la ragione vacilla’.
Questa espiazione è infatti volta proprio al riscatto dei dannati. È il sacrificio più alto, esclusivo di Gesù e dei suoi eletti, che rende possibile a persone che mai lo meriterebbero di ricevere grazie, visioni, locuzioni che rendono possibili conversioni fortissime e inspiegabili. Persone perse nel piacere, esoteristi, satanisti e massoni a cui appare la Madonna, che cambiano con forza diventando strumenti del bene. Gesù può letteralmente andare in inferno e dire: dammi quello, mi serve, abbiamo pagato per lui.
Provando il dolore che spetterebbe ai dannati, Gesù e i suoi santi arrivano a capire e compatire anche chi non merita, ad occhio umano, nessuna compassione. Questo non può essere che amore perfetto e divino. Si arriva a questo con-patire solo ‘patendo con’, solo provando ciò che sono destinati a patire gli ostinati nel male. Gesù sa cosa vuol dire essere il colpevole. ‘Posso, io che ho provato, non comprendere il vostro avvilimento? E non amarvi perché siete avviliti? Vi amo per questo. Non ho che ricordare quell’ora per amarvi’.
Tutti gli altri richiamano giustizia contro i colpevoli, ed è naturale, perché la giustizia è parte integrante delle leggi che ci governano. Anche i martiri e i santi, gli onesti, le vittime e i giusti la richiamano ed essa arriverà per certo e per tutti coloro che si ostinano, contro l’infinita bontà e pazienza, espressa così chiaramente nelle leggi divine, a tormentare i loro fratelli. Non può essere diversamente perché il potere proiettivo della coscienza non cede alla caparbietà, al contrario, peggiora la proiezione di fronte all’ostinazione. Questa è legge, è eterna, è come la gravità, non può smettere di funzionare. Ma Gesù è diverso, incarna l’Amore Redentore anche e soprattutto per chi non lo merita, i suoi ‘poveri peccatori’, e conoscendo per esperienza il tormento che spetta loro non desidera altro che salvarne il maggior numero possibile.
Solo Dio aveva l’equazione perfetta per salvare l’umanità, nessuno oltre a Gesù ha saputo metterla in atto perfettamente e riesce ad ammaestrare i suoi santi a tanto sacrificio: vivere la dannazione. Il Salvatore ha introdotto un sistema impeccabile per travolgere con un mare di grazie immeritate i peccatori col solo scopo di riuscire a salvare l’umanità dalla sua stessa follia.
Abbiamo cercato di capire cosa vive chi si offre a tale missione sovrumana e, anche solo in minima parte, cosa ha vissuto Gesù. Ora proviamo a capire cosa vive chi riceve queste grazie immeritate e cosa incide sulla sua conversione. La volontà personale è intoccabile, anche per chi entra nell’azione della grazia, ma c’è una forte differenza che influenza la risposta del fiat tra il primo tipo e il secondo tipo di redenzione. Questa differenza riguarda il dolore, ed è proprio qui che troviamo l’ultimo e il più grande mistero della Croce. Nella redenzione spontanea, chi entra nell’orbita dell’illuminato, se è un vero distruttivo, potrebbe non solo subire la grazia con rabbia e vendicarsi ma potrebbe allontanarsi, o far allontanare il santo in modi violenti, e rifiutare del tutto la purificazione dolorosa a cui viene sottoposto. Le conversioni dei peggiori sono ancora rare in questo tipo di redenzione poiché li costringerebbe ad attraversare una fase molto penosa. A causa dell’ignoranza totale delle leggi che governano l’interiorità, tipica dei distruttivi, è ovvio che non avranno alcuna indole, nella maggioranza dei casi, ad esprimere il proprio sì al dolore della purificazione scatenata dalla grazia ricevuta.
Nella redenzione offerta, soprattutto in quella della croce pura, è totalmente diverso perché insieme alle grazie speciali e sovrannaturali che ricevono, che neanche tanti santi si vedono arrivare, i distruttivi, in questo caso, provano un immediato e intenso sollievo dal dolore inconscio che avevano dentro. Questi due fattori insieme rendono facilissima la conversione del loro fiat. Pertanto sebbene l’esercizio della propria volontà sia imprescindibile, nell’espiazione della pura croce la redenzione è vissuta quasi come un passaggio diretto dall’inferno al paradiso dell’animo, rendendo molto più piacevole la conversione della volontà e un susseguente impegno costante a purificarsi per mantenersi in grazia.
Potremmo quasi dire che ciò che vive il redento è l’esatto opposto di ciò che ha vissuto il redentore per salvarlo. Se il santo ha vissuto la caduta abissale nel baratro della disperazione, il beneficato vive l’ascesa celestiale verso la pace e la gioia di Dio. Difficile dire di no a tanta grazia.
Se la prima conseguenza dell’azione espiatrice della pura croce è la salvezza immeritata, e direi quasi gratuita, di tanti distruttivi, la seconda è il richiamo di una lotta furibonda con le forze distruttive, le quali si vedono sottrarre spesso veri e propri sacerdoti e sacerdotesse del male, che trascinano tantissimi altri nel vortice della distruttività.
Queste forze distruttive, a prescindere che le si consideri entità con nomi e forme o meno, esistono. Nella coscienza umana c’è un forte potenziale distruttivo e in alcune persone, con l’animo particolarmente malato, c’è anche un’influenza chiaramente contro natura. La cattiveria umana ha un limite di natura. Bisogna allora comprendere la differenza tra tendenze umane e forze sovrumane che influenzano il comportamento. Le tendenze al bene o al male sono presenti umanamente in qualsiasi individuo ed è responsabilità di quest’ultimo coltivare la tendenza al bene. Chi coltiva la tendenza al bene attira la forza creativa e ne viene aiutato, mentre l’individuo che coltiva troppo la tendenza umana al male può essere preso, guidato e trascinato da forze distruttive molto superiori alla sua. Quando vi ritrovate a leggere fatti di cronaca che disturbano troppo la vostra coscienza e rimangono per voi inspiegabili, l’azione è quasi sempre aiutata da forze distruttive che possono essere considerate semplicemente innaturali ma che, in realtà, sono al di sopra della natura, quindi soprannaturali. Una madre ‘snaturata’ non agisce più per tendenza naturale al male, perché neanche gli animali lo farebbero, ma è trascinata da una forza distruttiva che ha preso potere in lei a causa della sua ostinata tendenza al male e la ispira ad un male maggiore. In poche parole non agisce solo di suo, perché di suo possiede solo tendenze naturali. È dunque supportata da una forza distruttiva al di sopra del naturale. Un pedofilo non agisce solo di suo, un assassino seriale non agisce solo di suo, un satanista non agisce certo solo di suo.
Abbiamo visto che queste forze distruttive già attaccano il santo che attua la redenzione spontanea di coloro che incontra per caso; ora, potete immaginare cosa si scateni contro di lui se inizia a rubare nella casa del ladro per eccellenza? Si scatena il putiferio. Non a caso i santi-vittime soffrono non solo i patimenti che l’espiazione stessa comporta ma anche gli attacchi perpetui e feroci, anche diretti e visibili, in nomi e forme, di tali forze malefiche. Questa è una caratteristica unica dei santi cristiani, perché unica è la loro guerra nella liberazione dell’umanità dal male, è un’ulteriore prova del loro singolare potere salvifico.
I santi di Gesù possono scegliere di espiare le colpe di una persona in particolare, di un gruppo, di una nazione, oppure possono far scegliere a Dio, offrendosi e basta. Possono anche diventare santi facendolo, ci sono addirittura casi di bambini che si offrono per le madri o per qualcuno in particolare o per amore di Gesù stesso, dei piccoli eroi spirituali che convertono non certo solo la persona che vogliono proteggere ma molti altri. Le modalità in cui i santi-vittime possono vivere la redenzione offerta sono numerose e totalmente in mano a Dio, una volta che ci si è offerti, tutto può accadere. Malattie, morte, tribolazioni, dolori mistici come il rivivere in sé la Passione di Cristo o testimoniarla in visione, il dolore della carne attraverso le piaghe di Gesù, più o meno visibili. Spesso più malattie e più dolori soprannaturali vengono insieme proprio a preparare alcuni eletti ad imitare il Maestro fino a vivere la passione nuda: l’abbandono totale di Dio mentre si vive dolore fisico, morale e spirituale, tradimenti, tentazioni e disperazione. Essa corrisponde ad una stigmatizzazione dello spirito ed è riservata ad anime già giganti nell’amore e nella trascendenza, che vengono istruite, tutelate e preparate da Gesù stesso. Tutte queste azioni sono ovviamente soprannaturali, non sono mai scelte o attuate da chi le vive, e hanno il marchio inconfondibile del Salvatore, a volte anche visibile agli altri, come nel caso delle stigmate. La volontà, la capacità e l’amore di sopportare e trascendere tanto, conservando l’amore di Dio, rende questi santi che potrebbero restarsene nella pace e nella più gestibile tribolazione della redenzione spontanea, già soprannaturali in terra. Sono corredentori di Gesù, guerrieri ed eroi che non ricevono medaglie, sono i nostri salvatori e, come il Salvatore, sono i meno compresi dall’ingrata e ignorante umanità.
Tutto questo sacrificio, tutto il dolore che devono caricarsi sulle spalle, è dovuto al fatto che sono un numero irrisorio rispetto ai distruttivi e ai loro infiniti complici, i quali non combattendo la distruttività inconscia in loro, la giustificano inconsapevolmente nei distruttivi e ne divengono assoggettati, se non corresponsabili. In questo stato di coscienza è la maggioranza della popolazione. L’umanità quasi nella sua interezza è corresponsabile del male mentre i corredentori di Gesù sono una manciata. “Satana ha un numero sterminato di figli e servitori. Il Figlio di Dio, di veri figli e veri servi ne ha un numero insignificante. E in questo squilibrio sta la causa della vostra rovina” conferma Gesù (Quaderni Valtorta). Non sarebbe necessaria tanta immolazione se tutti noi provassimo a fare il nostro dovere, anche solo naturale, di prenderci carico della nostra croce e divenire esseri perlomeno umani, maturi, forti e capaci di vero amore. Ma ciò non accade, l’uomo non vuole prendersi la responsabilità di cambiare e l’incomodo che questo comporta così porge agli esseri più evoluti della terra un amarissimo calice che essi, con amore perfetto, bevono per impedire alla specie umana di estinguersi. Questo può apparire ingiusto anzi, se non lo capiamo nel profondo, può addirittura disturbare la nostra sensibilità umana, ma Gesù incarna la divina misericordia, il suo amore non può essere capito umanamente e solo chi, grazie a Lui, arriva all’amore perfetto, può capire e realizzare il mistero della croce.
Prendiamoci un po’ di tempo per ringraziare il Salvatore e i suoi se, come spero, abbiamo capito quanto dobbiamo loro infinita gratitudine. Essi sono talmente fondamentali alla nostra sopravvivenza come specie che, nel momento in cui non ne avremo più, finirà la nostra storia così come la conosciamo. “Il Signore mi ha fatto conoscere chi è che sostiene l’esistenza dell’umanità, sono le anime elette. Quando il numero degli eletti sarà terminato il mondo cesserà di esistere” Santa Faustina Kowalska (Diario).
Nel parlare dell’espiazione abbiamo, per forza di cose, citato il concetto di peccato. Tenteremo di capirlo insieme nel prossimo articolo. Questo ci aiuterà a capire come alleggerire l’amaro calice dei nostri salvatori, migliorando noi stessi al massimo delle nostre capacità, da qualsiasi livello partiamo.
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Il Salvatore III

Il Mistero Della Croce
‘È una missione austera. La più austera di tutte. Quella rispetto alla quale la vita del monaco o della monaca della più severa regola è un fiore rispetto ad un mucchio di spine. Perché questa non è regola di Ordine umano. Ma Regola di un sacerdozio, di una monacazione divina, il cui Fondatore sono Io, Io che consacro e accolgo nella mia Regola, nel mio Ordine, gli eletti ad essa, e impongo loro il mio abito: il Dolore totale, sino al sacrificio.’ (da "L'Evangelo come mi è stato Rivelato")
Gesù qui dice chiaramente che la Sua missione speciale ed unica continua attraverso un Suo Ordine divino, l’elezione dei chiamati ad esso è direttamente impartita da Lui, il Fondatore. Offrirsi come vittima e mettersi in croce con Gesù è una vera e propria missione di salvataggio della specie umana. La differenza sostanziale tra gli altri e Gesù è proprio questa Redenzione non solo dei giusti ma dei peccatori-distruttivi che non può venire in essere in altro modo se non scontando il loro dolore come atto di totale sacrificio.
Abbiamo chiarito già il ruolo chiave della gestione del dolore nello smaltimento della distruttività e ciò che questo comporta in termini di salvezza della specie che invece, scansando il dolore in massa, non fa che richiamare su di sé la distruttività inconscia con esperienze sempre più dolorose. Abbiamo spiegato che il meccanismo sottostante questa proiezione esperienziale attuata dall’inconscio è sano e rappresenta l’opportunità illimitata al cambiamento di cui necessitiamo. Lo stesso non può dirsi, ahimé, dell’attitudine che ci caratterizza perché se errare è umano, perseverare è diabolico e di fronte al dolore l’uomo sembra rispondere sempre con maggiore distruttività. La visione di un Dio punitivo senza comprensione delle Sue leggi è, a mio avviso, falsata, esse infatti si rivelano sempre e comunque non solo giuste ma infinitamente pazienti, fino a riproporre interminabilmente un tentativo di soluzione nell’individuo ma la callosa attitudine dell’uomo spinge verso la distruzione.
Chi persevera nel bene, trasformando il dolore in amore, s’introduce invece in una via d’amore, in cui ci sono, come detto, tre gradi principali, il cui più alto è proprio formato dai Santi della Regola di Gesù per la nostra salvezza. Traducendo ora in termini cristiani possiamo dire che chi fa il suo dovere, a qualsiasi livello della scala, abbraccia la Croce, abbraccia il dolore e lo trasforma in amore mentre chi scansa la Croce, rende il dolore inconscio e porta distruttività nel mondo e crea le basi per l’auto-distruzione della specie. Queste sono le due polarità.
È risaputo che bene e male convivono nello stesso individuo quindi la battaglia tra tali polarità è presente in primis dentro di noi e poi a livelli diversi. Ora, sebbene il recupero di sociopatici e psicopatici sia quasi impossibile e difficilissimo quello dei narcisisti maligni che dovrebbero esercitare un fortissimo fiat o ricevere una grazia totalmente immeritata che lo stimoli (su questo argomento torneremo), i narcisisti moderati, vulnerabili, gli auto-distruttivi, coloro che hanno sviluppato un adattamento caratteriale malsano ai traumi subiti, nonché i biofili, quindi tantissimi, potrebbero, se volessero, entrare in questa scala d’amore grazie alla gestione del dolore. Partiamo dal primo grado per capire pian piano il sommo grado dell’amore di Gesù.
A livello personale, per passare dalla distruttività alla biofilia è utilissima la solitudine e la riflessione (per approfondimenti leggi ‘Viaggio nella Solitudine’). L’isolamento fa salire il dolore trattenuto nell’inconscio e si cominciano a vedere i contenuti distruttivi che si sono accumulati dentro, si comprende molto meglio ciò che è bene e ciò che è male, senza l’influenza esterna, e la morale diventa autonoma. Si impara una prima gestione delle sensazioni che, non potendo trascendere, in questa fase ancora acerba, si subiscono e basta ma ciò è già sufficiente a liberarsene, è solo un processo più lungo poiché inesperto e dipendente dalla solitudine. Non essendo già allenati alla consapevolezza interiore, non sapendo cosa fare per tirare fuori dall’inconscio i residui passati, la solitudine si rivela indispensabile per creare la condizione perfetta e naturale a far salire il baccano che, credetemi, non vede l’ora di essere ascoltato. Salgono così i residui inconsci senza dover far nulla. Offrirsi a questa prima gravosa purificazione non è facile e non va certo di moda. Si viene spinti alla superficialità e alla ricerca del piacere col risultato di scansare la nostra croce per gettarla sugli altri in modo inconsapevole. Uno scaricabarile psicologico che porta l’individuo ad essere distruttivo. La solitudine può essere vissuta in modo continuativo o a fasi ma va vissuta per un primo esercizio alla conoscenza di sé. Qui l’attenzione viene diretta da fuori (società, altri, mondo) ad un fuori più circoscritto, al corpo e alle sensazioni più fisiche. Il consiglio è di stare col dolore che sale proprio come sensazione fisica, al massimo delle proprie capacità, e per farlo bisogna alzare l’attenzione, dirigerla verso la sensazione e imparare a stare fermi. Non vi mangerà, più imparate a star fermi meno dura, è solo una sensazione. Per dare attenzione alle sensazioni si toglie automaticamente attenzione al pensiero e così si spezzano quei legami creatisi in precedenza, tra pensiero ed emozioni mal gestite, che causavano risposte autodistruttive o distruttive. Ogni altra emozione negativa dev’essere trattata allo stesso modo del dolore, ne saliranno tante proprio perché questa è la prima purificazione a cui ci sottoponiamo. Aspettatevi rabbia, amarezza, odio, di tutto e di più. Questa prima fase è dedicata alle accumulazioni personali passate, si sciolgono i nodi del passato, nodi quasi ‘fisici’ tra emozioni distruttive e pensiero meccanico che, in questo momento, vi travolgerà senza pietà. Il nostro solo dovere è quello di abbracciare la croce, cioè subire ciò che abbiamo dentro, senza fiatare, senza pensare, ma stando fermi lì. È spazzatura nostra e ce la dobbiamo subire noi. Se questo processo va avanti si acquisisce la capacità di vivere il dolore senza scappare il che vuol dire arrivare alla maturità psicologica che frena gli impulsi narcisistici peggiori. Portare la propria croce vuol dire fare il proprio dovere a livello individuale, diventare un elemento sano nella società, amorevole e rispettoso di natura e compiere il proprio dovere a livello sociale. Qui affiora l’amore umano, il rispetto della vita: la biofilia. Il biofilo è più forte, sereno, creativo ed emotivamente indipendente. È magnetico perché saper gestire il suo dolore lo rende leggero e tale rara leggerezza è avvertita come un sollievo da chi gli è intorno. Ma il tratto distintivo per eccellenza del biofilo è la sua propensione ad amare. Bio filia vuol dire proprio amare la vita, rispettare gli esseri viventi. Questo è il primo grado di amore naturale a cui si giunge vivendo il dolore. Giunti qui è davvero ottimo iniziare letture filosofiche o spirituali per favorire il processo di riflessione e cominciare a capire bene ciò che si è fatto e come continuare a farlo meglio.
Proseguiamo a livello di specie. (per approfondimenti vai a ‘La comprensione della mente’) La cosa più penosa da constatare è che quasi tutti i biofili si fermano, vivono una vita creativa, ma piuttosto egoistica e non smettono di pagare questo atteggiamento con una costante amarezza verso chi è immaturo e verso la società nel suo insieme. I pochi che si prendono il tempo di ponderare l’importanza del percorso fatto possono procedere molto di più con risultati molto maggiori. Se si vuole interiorizzare e rendere più intenso possibile il processo di purificazione bisogna direzionare l’attenzione dentro e renderla stabile il più possibile. Questo è quello che viene chiamato il ‘conosci te stesso’, l’esame di coscienza più costante possibile che, con il tempo, diviene meditazione e poi raccoglimento. È il primo sgrosso interiore serio, in cui si allena l’attenzione ad una vigilanza interiore quasi perenne per cui ci occupiamo a pulire il presente, mantenendo la coscienza più pulita possibile. Il suo risultato ottimale è chiamato anche solitudine interiore proprio perché il processo che, in modo acuto, si può vivere con la solitudine esterna, può essere stabilizzato, allenando l’attenzione a monitorare l’interiorità. Si trova ancora molta umanità e tante risposte distruttive soprattutto nel pensiero ed è importante distaccarci il più possibile da ciò che vediamo dentro di noi per evitare di creare ulteriori legami. Qui si scopre davvero tutta la nostra miseria come esseri umani, scopriamo che tutte le componenti di umanità difettosa e d’impurità vivono nella nostra coscienza direi di default. Questo pacchetto di miseria è insito nella coscienza umana. Non è un caso scoprirlo ora perché si sta portando la croce come esseri umani. Ci si vergogna per non aver agito prima, si capisce il tempo sprecato nella biofilia, in cui eravamo troppo intenti a giudicare gli altri senza vedere quanto ancora c’era da fare in noi.
La forza creativa e vitale aiuta tantissimo chi si offre a questa purificazione, proprio perché più estesa e di aiuto generale. Trascendendo il dolore in modo costante si ha accesso alla Fonte d’amore, di pace, di forza e di ogni altra virtù. La perseveranza è importantissima poiché la vigilanza interiore scatena proprio una lotta, vissuta in fasi alterne, tra la conoscenza della propria miseria, fase purificativa, e la conoscenza della Fonte, fase illuminativa. È la natura stessa di questo percorso, come spiega San Giovanni della Croce: ‘Se l’anima vorrà riflettere su questo cammino, vedrà bene a quanti alti e bassi va soggetta e che, dopo il godimento di un periodo di prosperità, subentra subito quello della tempesta o della prova; vedrà, altresì, che le è stata concessa la bonaccia per prepararla e rafforzarla in vista delle tribolazioni successive; in breve, l’anima deve convincersi che alla miseria e alla tormenta fa seguito l’abbondanza e la pace: per questo motivo deve passare la vigilia nella prova, se vuole godere le gioie della festa. Questa è la norma ordinaria dello stato di contemplazione fino a quando l’anima non raggiunge lo stato di quiete; per dirla in una parola, l’anima non è mai nello stesso stato, non fa altro che salire e scendere. Il motivo di questa norma sta nel fatto che lo stato di perfezione esige il perfetto amore di Dio e il disprezzo di sé, il che non può verificarsi senza conoscere Dio e se stessi. Perciò l’anima deve necessariamente esercitarsi prima in una, poi nell’altra conoscenza. Dapprima Dio le fa gustare il suo amore e la esalta, poi le consente di conoscere se stessa e la umilia, finché, acquistate le abitudini perfette, l’anima smette di salire e di scendere. Arrivata alla sommità di questa scala mistica, l’anima si unisce a Dio, a lui si aggrappa e in lui trova il suo riposo’. Questa alternanza c’è sempre e, come emerge, nelle fasi di conoscenza di sé non porta solo a testimoniare le propria pochezza interiore ma può proiettare ancora quelle esperienze esterne che umiliano e fanno soffrire per far arrivare ad essere successivamente più vicini a Dio. Verso la fine di questa seconda fase c’è infatti una purgazione forte, accompagnata da una crisi importante che coinvolge l’essere umano a tutti i livelli e lo prepara al battesimo nello Spirito. È chiamata la ‘notte dei sensi’ da San Giovanni. Superata questa crisi si riscopre la propria figliolanza a Dio e questo cambia per sempre l’individuo. La sua visione è trasformata per sempre. Vede se stesso negli altri, riconosce un unico io, l’‘io sono’ presente in tutti. Ama gli altri come se stesso poiché non vede alcuna differenza sostanziale tra sé e gli altri. Questo non è più semplice amore per la vita ma è amore per lo Spirito presente in tutti, è un amore più profondo e sacro. Inizia qui l’opera di redenzione spontanea in cui ci si perfeziona, purificandosi sempre più minuziosamente, e si aiuta gli altri senza dover fare nulla. La purgazione è personale fino alla più profonda ‘notte dell’anima’ la quale predispone all’unione con Dio. Approfondiremo queste notti quando tenteremo di spiegare il peccato. Comunque, già alla fine della notte dei sensi, quando lo Spirito comincia ad illuminare l’essere umano direttamente, il praticante viene introdotto alla contemplazione, ai ‘grandi silenzi’, alla solitudine interiore. Passa dalla meditazione alla contemplazione. Il contemplativo vive il dolore ormai con grande agilità ed è sempre consolato dalla pace infusa dallo Spirito. Vive il dolore con pace.
Arriviamo ora finalmente a spiegare il livello soprannaturale del Mistero della Croce con una base, spero, più chiara. Essendo al di sopra del naturale, questo livello è difficile da capire anche per chi è evoluto, figuriamoci per chi non ha raggiunto neanche la maturità psicologica e, di conseguenza, l’amore naturale e umano. Per loro la comprensione razionale della missione di Gesù è totalmente impossibile, sono facilmente portati a scambiare i Santi di Gesù per dei pazzi con nevrosi pseudo-religiose. Si può ovviamente credere per fede ma molto difficilmente per sforzo intellettivo, tanto che purtroppo questa interpretazione malata, se non patetica della missione redentrice, è condivisa da tutto il mondo della psicologia. La motivazione di tale visione risiede sempre nella mancata evoluzione interiore, nella mancata conoscenza di se stessi e delle leggi che governano l’interiorità.
Nella redenzione soprannaturale dell’esercito di Gesù, il Santo prende in carico più dolore possibile per tramutare le forze distruttive in amore, così da salvare l’umanità. Per offrirsi bisogna provare l’amore perfetto in cui si è pronti a sacrificarsi anche per i propri nemici. Nell’amore perfetto non si ama più gli altri come se stessi ma al di sopra di se stessi. Tale amore è ben diverso da quello dei gradi precedenti, è talmente alto da rendere gli esseri umani, arrivati a tali vertici, divinizzati. Vivono non più il dolore con pace ma addirittura la gioia nella sofferenza. ‘L’amore perfetto da la chiave della gioia del soffrire. Coloro che hanno capito il maestro e che hanno totalmente voluto imitare il maestro sanno morire perché gli uomini vivano nella giustizia e siano risanati dalle ferite dei loro peccati. Per tutti i fratelli tutti o veri cristiani, senza fariseismi che annullano il cristianesimo: religione d’amore.’ ‘È detto: ‘amate coloro che vi odiano e sarete figli dell’Altissimo’ perché avrete il perfetto amore. La più grande somiglianza e immagine con Dio […] Ne divenite veri figli non per uguaglianza di natura e sostanza ma per soprannaturalizzazione della creatura che così diviene divinizzata per partecipazione relativa alle azioni di Dio uno e trino e per somiglianza facendo ciò che Egli sempre fa: amando’’ (Evangelo M.V.)
Questo è l’amore per eccellenza ed è il tratto distintivo del Cristianesimo, che si distingue da ogni altra religione per via della redenzione offerta, frutto di tale amore. Negli ultimi insegnamenti agli apostoli, poco prima della sua Passione, Gesù dà un nuovo comandamento: “Il mio comandamento è che vi amiate come io vi ho amato”. Chiede ai suoi Santi di arrivare all’amore perfetto e di imitarlo ad esser pronti a sacrificarsi con gioia, per amore e in cambio di amore.
Ma, proviamo a capire, noi miserelli, come possono questi eroi provare addirittura gioia nel patire. La prima considerazione che mi viene in mente è che provano un dolore privo di ogni insoddisfazione, amarezza, scontentezza perché è una scelta fatta per amore e con piena cognizione di causa e con piena fede nel proprio Maestro. È quindi solo dolore, una sensazione nitida ed isolata, non solo priva dell’ignoranza che scatena l’amarezza e l’odio nei distruttivi, ma ricolma di significato e di scopo spirituale.
Se ci pensiamo, già a livello naturale, un distruttivo e una persona molto evoluta soffrono molto diversamente. Se il distruttivo, abilissimo ad evitare di entrare in contatto col suo dolore, ne viene sopraffatto suo malgrado, lo sente come una forza brutale incontrollabile e non sa letteralmente cosa fare, il pensiero ribolle fino a farlo impazzire e cade nella disperazione. Si arrabbia, accusa gli altri, ripiega nella soddisfazione della vendetta o di una qualsiasi risposta distruttiva per evitare la sensazione per lui letteralmente insopportabile. L’evoluto invece ha un allenamento ottimale alla trascendenza del dolore e ogni volta che lo fa prova una vera e propria cascata di benessere, di amore e di forza. I più avanzati vengono introdotti nella pace dello Spirito, come detto poco fa, quella quiete soprannaturale che ricarica il corpo, illumina la mente e ricolma d’amore il cuore. Riescono infatti a portare molto più dolore rispetto agli altri, poiché sono immensamente più capaci e altresì aiutati.
Immaginiamo ora che un individuo con questa capacità, già di molto superiore alla norma, la offra a Dio con lo scopo di salvare gli altri e glorificare il suo Divin Maestro. È facile immaginare che il ciclo di trascendenza si velocizza a dismisura e la relativa infusione di amore e di forza che ne deriva diventa, man mano, divinizzata, rendendo questi Santi davvero simili a Cristo.
Vediamo un esempio pratico della mole di carico che portano questi santi. Un devoto di Padre Pio, attraverso la sala gremita della chiesa, guarda il santo e gli chiede, mentalmente, di permettergli di aiutarlo a portare la croce, di fargli sentire in parte il dolore che prova ogni giorno. Viene accontentato e quello che prova per qualche secondo è, a suo dire, umanamente insostenibile e chiede subito di ritirare quanto chiesto.
Per capire la peculiare gioia che provano nel patire leggiamo la mistica Maria Valtorta, già vittima con cinque malattie e paralizzata a letto, nel vedere Gesù durante un momento della Sua Passione, se vogliamo, anche meno straziante degli altri. Vivere o vedere la Passione di Gesù è uno dei tanti modi in cui si può vivere il dolore della Redenzione offerta: ‘A chi lo posso dire quello che soffro? A nessuno di questa Terra, perché non è sofferenza della Terra e non sarebbe capita. È una sofferenza che è dolcezza e una dolcezza che è sofferenza. Vorrei soffrire dieci, cento volte tanto. Per nulla al mondo vorrei non soffrire più questo. Ma ciò non toglie che io soffra come uno preso alla gola, stretto in una morsa, arso in un forno, trafitto fino al cuore. [...] Devo fare un grande sforzo per dominare l’impulso di gridare il grido di gioia e di pena soprannaturale che mi fermenta dentro e sale con l’impeto di una fiamma o di uno zampillo. Gli occhi velati di dolore di Gesù: Ecce Homo, mi attirano come una calamita. Egli m’è di fronte e mi guarda, ritto in piedi sui gradini del Pretorio, con la testa coronata, le mani legate sulla sua veste bianca di pazzo con cui l’hanno voluto deridere, ed invece lo hanno vestito del candore degno dell’Innocente. Non parla. Ma tutto in Lui parla e mi chiama e chiede. Che chiede? Che io lo ami. Questo lo so e questo gli do sino a sentirmi morire come avessi una lama nel petto. Ma mi chiede ancora qualcosa che non capisco. E che vorrei capire. Ecco la mia tortura. Vorrei dargli tutto quanto può desiderare a costo di morire di spasimo. E non riesco. Il suo Volto doloroso mi attira e affascina. Bello è quando è il Maestro o il Cristo Risorto. Ma quel vederlo mi dà solo gioia. Questo mi dà un amore profondo che più non può essere quello di una madre per la sua creatura sofferente. Sì, lo comprendo. L’amore di compassione (nota mia: si intenda con-passione, ‘passione con’ ossia compartecipazione)è la crocifissione della creatura che segue il Maestro sino alla tortura finale. È un amore dispotico che ci impedisce ogni pensiero che non sia quello del suo dolore. Non ci apparteniamo più. Viviamo per consolare la sua tortura, e la sua tortura è il nostro tormento che ci uccide non metaforicamente soltanto. Eppure ogni lacrima che ci strappa il dolore ci è più cara di una perla, e ogni dolore che comprendiamo somigliante al suo [ci è] più desiderato e amato di un tesoro.’ (07-03-44 quaderni Maria Valtorta).
Vediamo adesso un esempio vivente che il ciclo di trascendenza di dolore e la ricarica d’amore atto a rioffrirsi diventa tanto veloce da non riuscire più a sentire dolore ma solo amore e gioia. Santa Margherita Maria Alacoque scrive: “avevo paura che non avrei potuto provare una sofferenza peggiore di quella che provavo perché non soffrivo a sufficienza, dal momento che il suo amore non mi lasciava requie né di giorno né di notte, queste dolcezze mi affliggevano, volevo la croce tutta pura”. (da 'La Vita di Santa Margherita Maria Alacoque'). Qui la Santa quasi si lamenta di non sentire dolore ma solo amore. Allo stesso riguardo non possiamo non menzionare l’immensa Santa Veronica Giuliani, un vero campione della Croce, che si offre come ‘mezzana’, intermediaria, tra Dio e i peccatori così follemente da non riuscire più a percepire sensibilmente il dolore e doverne chiederne sempre di più. Troviamo scritto nel suo diario: “La mia pena era di non trovare pena”. “Dove sta il patire? Mandatelo a me”. “Non sentivo niente”. “Penavo per non trovare pene”. “Non vi è cosa piú cara in questa vita che il patire; non vi è cosa più preziosa che la croce” (da 'il Diario di Santa Veronica Giuliani'). Capisco che, se non conoscete le vite di queste Sante, potreste pensare che semplicemente non soffrivano abbastanza, invece il dolore che erano capaci di sopportare era semplicemente sovrumano tanto che leggerle è un’esperienza scoraggiante, che fa provare vergogna (e ne abbiamo bisogno!). Leggere le loro vite, così come meditare sulla Passione di Gesù, è una purificazione di per sé. Comunque, a conclusione di questa serie di conferme, ci aiuta a sintetizzare Santa Teresa del Gesù Bambino: “Sono giunta a non poter più soffrire. Avendo mutato in gioia tutte le mie sofferenze.”
Se il primo e più importante Mistero della Croce è quello di eliminare la distruttività dal mondo, il secondo è che essa è la sede delle virtù: la forza e l'amore scaturiscono dal vivere il dolore e se lo si fa in modo così portentoso tali virtù divinizzano l'anima.
Ora, se questa gioia nel patire non fosse già abbastanza incomprensibile per le persone comuni, c’è un’altra possibilità, la più cara a Gesù, quella che rende più simili a Lui di ogni altro sacrificio o pratica, destinata agli amanti più appassionati della croce. È anche il più potente espediente contro la distruttività e rivela un altro segreto della Croce. Ne parleremo nel prossimo articolo.
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Il Salvatore II

Redenzione soprannaturale offerta
Avendo compreso l’azione di redenzione presente nell’evoluzione interiore, possiamo passare a capire la più complessa redenzione offerta.
Pensate a un santo che è vicinissimo all’unione con Dio, vive nella pace, ha già le sue lotte per via dell’azione redentrice spontanea ma viene consolato immensamente dalla pace che gli infonde lo Spirito Santo e dona facilmente a Dio il dolore che gli provocano. Se questo santo è cristiano sa di avere una scelta, lo impara e ci crede per fede: se vuole farsi simile al suo Maestro può offrirsi vittima. Deve farlo volontariamente perché non è un’azione spontanea, non è parte delle leggi che governano il mondo nonostante le sfrutti, non è evolutiva, è molto di più, è un’invenzione soprannaturale che solo chi conosceva perfettamente le leggi di Dio, il suo stesso Verbo, poteva creare.
Non essendo spontanea va espresso il proprio fiat, la volontà personale di offrirsi come vittima per i peccatori.
Ma chi sono questi peccatori? Tutti noi? Ah sì certo lo siamo tutti e tutti dobbiamo proseguire senza sosta la nostra purificazione ma, alla luce di quanto abbiamo detto prima (precedente articolo), chi sono i peccatori?
I distruttivi. Quelli che mai vorrebbero guardarsi dentro, mai vorrebbero migliorare, mai vorrebbero purificarsi, quelli che hanno tonnellate di impurità e irrisolti, risposte distruttive inconsce e dolori occultati che quando salgono fanno un male cane. Sono coloro che, tra l’altro, spingono tante altre persone manipolabili, che di loro non sarebbero cattive, al male. Sono quindi anche pedine importantissime nella lotta contro il male. I distruttivi, nel cristianesimo, sono definiti dannati, lo sono già o sono vicinissimi ad esserlo. Sono gli irrecuperabili. Se ci pensate, anche a detta dei maggiori esperti di psicologia, la possibilità della conversione alla semplice bontà umana e naturale, nei narcisisti maligni, è talmente rara da poter essere convenzionalmente negata. È talmente insolita che gli psicologi stanno agendo al contrario, non potendo aiutare loro che non vogliono farsi aiutare, aiutano tutte le vittime e i complici, più o meno consci di esserlo, a conoscere il fenomeno e a liberarsi dalle trame negative innescate da questi individui. Se siete vittime di un narcisista maligno vi si dirà di scappare perché non cambiano. Potete cambiare mille terapisti ma la risposta rimarrà la medesima.
Gesù ha però creato, attuato e diffuso, sulla terra, un potente contrattacco, che agisce proprio sui distruttivi, l’unico che ha un potenziale di riuscita altissimo. Chi si offre vittima, infatti, prende sulle sue spalle il carico del peccatore, prova al suo posto quei dolori nascosti che quando salgono fanno un male cane, paga al posto suo e lo riscatta. Tornando alla metafora del pentolino col latte, l’azione del santo-vittima è proprio quella di trascendere tutta l’ebollizione del narcisista senza creare caos, senza schizzare, senza macchiare, senza scatenare distruttività, solo in nome dell’amore di Dio e dei fratelli, con l’ovvio risultato di togliere la distruttività dal mondo. Non solo quella presa in carico, perché quando il distruttivo fa del male, colui che lo riceve, a meno che non sia un santo, gestirà male il dolore a sua volta e lo trasformerà in ulteriori risposte distruttive o, per lo meno, nevrotiche o auto-distruttive. La propagazione del dolore e della distruttività è virale. Inoltre, come già accennato, quelli che erano, o sarebbero stati, influenzati al male dal distruttivo vengono liberati sia in caso fossero complici diretti sia che fossero manipolati inconsciamente al male. Infine c’è l’effetto, forse il più importante, di annullare la punizione che quella distruttività porta con sé. Tutto questo male infatti si paga e quando arriva il conto a livello di specie travolge con punizioni e catastrofi che l’uomo causa praticamente a se stesso, attirando su sé la distruttività. Per capirlo di più vi sprono alla lettura de ‘la comprensione della mente’, testo più dedicato agli aspetti del meccanismo psicologico dell’inconscio, che scatena questo fenomeno di restituzione inconscia della distruttività, a livello personale e di specie, per puro tentativo di risoluzione.
Questo concetto è simile a quello del karma, che è molto compreso e diffuso ormai in tutto il mondo, però è molto poco compreso in termini cristiani. Il karma viene inteso quasi sempre come personale e sottintende la continuità della vita sulla terra, ma si sa che ci sono effetti karmici anche più ampi, a livello di nazione, di specie e più veloci come quelli del karma istantaneo. Il concetto che il peccato si paghi caro e la nozione delle punizioni divine, invece, che sono identici nel senso, ad esclusione della credenza in molteplici vite, fanno quasi allontanare dalla cristianità, che si vede come religione severa, accusatrice, nonché triste, per via della speciale missione che assolve. Un trattamento più ingiusto a chi sta garantendo la salvezza dell’essere umano come specie non è stato riservato mai a nessuno, fuorché al suo Capostipite. Stiamo trattando queste perle di Santi e di saggezze esattamente come abbiamo accolto Gesù. Per questo la traduzione spicciola in linguaggio semplice e comune di alcuni dei capisaldi della cristianità può tornare utile, almeno spero, a far capire il suo infinito valore.
Tornando alla punizione, che sia personale, di massa, di nazione o addirittura di specie, io personalmente credo che pochissime di queste siano dovute a diretti interventi divini. Ci sono anche questi sicuramente e a volte avvengono proprio attraverso i santi. I figli di Dio diventano infatti delle ‘prove’ per gli altri e come vengono accolti è un test e un giudizio per tutti coloro che orbitano intorno a lui. Molto più spesso, però, siamo semplicemente soggetti alle leggi di natura che conosciamo e sfruttiamo bene a livello esteriore ma non capiamo affatto a livello interiore. Tali leggi operano perfettamente e quando noi le trasgrediamo, prendendo come un insignificante dogma quello della conseguenza del peccato e non sapendo come funzioni il nostro inconscio, ci attiriamo sciagure, guerre, devastazioni e catastrofi, causate solo ed unicamente dalla nostra negligenza nell'evolvere interiormente. Dobbiamo allora capire come operano queste leggi e cos’è il peccato.
Se non capiamo che ogni nostra azione ha conseguenze gravissime sia per noi stessi che per gli altri e se non capiamo il grande ruolo che copre la gestione del dolore nel ripulire le nostre azioni esterne, non riusciremo a capire il Mistero della Croce.
LEGGI E RUOLO DEL DOLORE
Partiamo dalle leggi. La coscienza stessa è dotata intrinsecamente di un potere proiettivo per risolvere le dinamiche psicologiche irrisolte. Interiormente siamo delle opere incompiute ed essendoci urgente bisogno di evolvere e migliorare, meno ci si dedica alla pulizia della propria coscienza più si richiama una proiezione, ossia un’esperienza esterna, che dona possibilità di farlo, per cambiare.
Queste esperienze comportano un nuovo passaggio attraverso il dolore, poiché il ruolo del dolore è cruciale, essendo il sentimento spartiacque tra distruttività e creatività. Avendolo precedentemente buttato nell’inconscio e trasformato in distruttività, l'inconscio causa esperienze esterne atte alla sua risoluzione. Il processo di proiezione di cui parliamo è dunque di dinamiche prettamente psicologiche. Più si ignora l’inconscio più esso fa baccano esternamente. Non è una punizione, in realtà, ma un’eccellente meccanismo di riproposizione delle dinamiche psicologiche arretrate nell’essere umano. Possiamo addirittura dire che se il contenuto celato nell’inconscio è ignorato e distruttivo, il meccanismo che lo ripropone è invece super conscio e tende a costringerci alla purificazione nonché all’evoluzione della coscienza umana, proprio per evitare che arriviamo ad auto-distruggerci come specie.
Il dolore vissuto, risolto e trasceso porta amore in sé e per gli altri, comprensione, empatia e compassione. A livello personale, più si vigila interiormente e più pace e ordine si proverà, l’unico limite a tale pace è dato dal fatto che oltre ad essere individui siamo parte di una specie e viviamo comunque nella proiezione della distruttività insita nella coscienza umana. Per questo i più evoluti stanno meglio da soli.
La proprietà di riproposizione degli irrisolti garantisce l’opportunità di cambiare ed evitare che il dolore si trasformi in distruttività, a tutti. La reazione però, come detto, può essere estremamente diversa. Se per chi si dedica alla propria santificazione è una purificazione e per i manipolati inconsciamente al male è un’opportunità di risveglio e conversione al bene, diventa giudizio per chi si rifiuta di guardarsi dentro e mettersi in discussione. Quando il narcisismo è distruttivo, come dicevamo, il cambiamento è davvero poco probabile. Nonostante non ci sia nessun impedimento, l’atteggiamento superbo di negazione e di proiezione verso gli altri delle proprie colpe, trasforma la grazia in giudizio. La grazia di essere venuto in contatto con un figlio di Dio che lo costringe alla purificazione diventa giudizio quando il maligno punisce il suo catalizzatore. Quando questo giudizio si compirà non sta a noi saperlo. Nel cristianesimo è nota la nozione che i peggiori vivono il giudizio e la punizione alla morte quando la coscienza finalmente si apre e si palesa per ciò che è, restituendo tutto il male dato e pensato.
Se capiamo il potere proiettivo dell'inconscio a livello individuale e lo portiamo a livello di nazione o addirittura di specie, come purtroppo è il nostro caso, capiremo facilmente che, vivendo la maggioranza senza guardarsi dentro, senza volersi purificare e mettere a posto la coscienza, la stessa coscienza umana proietta forti esperienze dolorose per dar modo a tutta la specie di svegliarsi da questo torpore interiore e fare il proprio dovere evolutivo come esseri umani. Questo purtroppo equivale a vivere guerre, calamità e catastrofi che nessuno vuole vivere.
La vigilanza interiore, la pulizia della coscienza, la meditazione, la lectio divina, la preghiera, tutti questi sono gli strumenti che abbiamo per evolvere interiormente e sono parte integrante del cristianesimo. Colgo l’occasione per spezzare una lancia anche per la confessione, tanto poco apprezzata e capita. Essa tenta di costringere i più pigri a guardarsi dentro con onestà, anche quel tanto che basta per riferire ciò che si è visto con chiarezza nella coscienza. È un tentativo di spingere l’attenzione del tiepido dentro di sé per cominciare il lavoro di conoscenza di sé indispensabile alla purificazione interiore; è un primo freno alla distruttività personale.
In parole povere dobbiamo rendere conscio l’inconscio, ciò che ignoriamo in noi, le risposte distruttive non solo esterne bensì interiori. La pulizia interiore è più importante del controllo delle azioni, perché è da ciò che abbiamo dentro che scaturiscono le risposte e le azioni e solo una coscienza pulita può operare il bene.
Se quanto detto e, spero, meditato, ha aperto un orizzonte sul funzionamento e sull’impatto del nostro mondo interiore sul mondo esterno, potrete tranquillamente capire ora l’amore perfetto di Gesù nonché il Mistero della Croce, a cui dedicheremo il prossimo articolo, rendendo evidente il ruolo di Salvatore di Gesù Cristo.
Abbiamo già anticipato che ci sono tre gradi nell'evoluzione interiore, considereremo i primi due brevemente per aiutarci a capire più agevolmente il più raro e potente di tutti: l’immenso mistero della Croce.
Nel primo grado l’individuo soffre per la distruttività che ha dentro e per il suo dolore personale precedentemente mal gestito. Se si occupa in autonomia della sua purgazione interiore sta progredendo semplicemente come individuo dalla necrofilia (distruttività-odio) alla biofilia (creatività-amore).
Chi invece si dedica costantemente a questa opera di purificazione e lo fa interiormente, comincia a purificarsi più profondamente, ad assorbire e trasmutare il male in bene, la distruttività in amore, a livello di specie. Questo è il secondo grado. Come specificato, diventa un catalizzatore di purificazione in modo localizzato, ossia per chi è in contatto con lui e aiuta tutti coloro che si impegnano in questa trasformazione.
Il terzo grado è raggiunto da pochi. L’amore perfetto di Gesù è una vera e propria presa in carico del dolore altrui, personale o generale, per porre un freno alle inevitabili conseguenze che l’inconscio proietterebbe esternamente. Questo amore non ha alcun limite spazio temporale, è del tutto soprannaturale.
Non è perdono o trascendenza è molto, molto di più. La redenzione offerta è la goccia che non fa traboccare il vaso.
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Il Salvatore
PRIMA PARTE

Spero di riuscire a spiegare in modo semplice e più razionale possibile la meraviglia messa in atto da Gesù per salvare l’umanità. L’azione redentrice da lui portata è esclusiva, il che lo rende infinitamente degno del titolo di Salvatore nonché del titolo Re dei Santi, infatti la redenzione da lui iniziata non ha avuto fine ma è proseguita attraverso l’esercito dei suoi Santi, ai quali dovremmo dare la nostra più profonda gratitudine. Il trasporto alla redenzione dei Santi di Gesù è portato dall’amore per il loro Divin Maestro e dalla fede in Lui, perché amore e fedeltà vanno di pari passo. Nella nostra interiorità abbiamo due forze principali: l’intelletto e la sensibilità. Mente e cuore. Nelle vie spirituali filosofiche, intellettuali e contemplative si arriva spesso con velocità alla comprensione di se stessi e di Dio ma si rimane delusi che ciò non sia abbastanza. Questo crea uno smarrimento nei praticanti che va colmato spiegando il ruolo del cuore, della volontà e della fedeltà. L’illuminazione è una grazia riservata all’intelletto che ferisce anche il cuore d’amore per Dio ma se il praticante ha ancora attaccamenti, per il mondo e la carne, dovrà vivere delle purificazioni importanti che sono segnate dal dolore e dalla trascendenza dello stesso. Tali purificazioni portano il necessario distacco dai sensi e un maggiore attaccamento a Dio, ad esclusione del resto. È dunque sempre importantissimo ricordare che la pratica deve seguire con buona volontà anche dopo l’illuminazione perché si è letteralmente all’alba della vita spirituale e bisogna convertire bene il cuore, purificandolo dagli attaccamenti ai sensi e al mondo. Nelle vie di fede si segue per amore, con fede e volontà, spesso senza neanche aver bisogno di capire nei minimi dettagli la portata della propria missione. Poiché le vie di fede prendono il cuore e la volontà, a volte l’intelletto arriva più tardi ad interessarsi dei meccanismi sottostanti le proprie credenze.
Questa serie di articoli può perciò aiutare sia quei cristiani non ancora approdati a una comprensione profonda dell’azione redentrice di Gesù e dei suoi Santi, sia i ricercatori liberi a cui il titolo di Redentore o Salvatore potrebbe sembrare addirittura una peculiare pretesa del mondo cristiano per il proprio Maestro. Io appartenevo a quest’ultima categoria, purtroppo, ed oltre ad aver chiesto perdono al Salvatore, mi devo scusare in anticipo con tutti i cristiani che leggeranno questo testo. Il mio linguaggio non sarà simile a quello delle loro letture classiche. Non mi propongo come esperta del cristianesimo in alcun modo, perché non lo sono, ma avendo risolto questo rebus in me, sento di condividerlo solo ed esclusivamente per dare lode a chi le merita più di chiunque altro, Gesù. Le modalità con cui sono arrivata a capire non sono tipiche del cammino religioso e potreste trovare contaminazioni che credo siano più linguistiche che di contenuti e che vi invito a prendere solo come esempi o modi di dire che aiutano la comprensione. Non propongo alcuna filosofia alternativa o via nuova, ho messo in atto insegnamenti vecchi di secoli e presenti anche nel cristianesimo, ma nel tentativo di spiegare come posso ciò che posso, potrei usare esempi e paralleli che appaiono lontani dal mondo religioso cristiano.
Premesso questo, iniziamo a capire la differenza tra ciò che chiameremo redenzione soprannaturale spontanea vs redenzione soprannaturale offerta, ossia la differenza tra qualsiasi illuminato e Gesù col suo esercito di Santi .
Evoluzione effetti spontanei
Per coincidenza anni fa scrissi in termini molto poco religiosi una spiegazione sull’azione evolutiva spontanea. La rispolvero e ripropongo qui, per chi non avesse letto il libro (‘la comprensione della mente’). Proponevo l’immagine della rete spazio-temporale. Immaginate proprio gli esseri umani poggiati su di essa come su di una rete gigante. Ora, dobbiamo ricordare che il concetto di massa, in fisica, è diverso da quello di quantità. Un pianeta piccolo può avere una massa gravitazionale infinitamente superiore ad un pianeta grande e può riuscire a direzionare i moti di pianeti vicini anche molto più vasti di lui. Questo è ciò che succede infatti nella legge di gravitazione universale: un pianeta con più massa, piega la rete spazio-tempo e porta gli altri pianeti a ruotargli intorno. Se viene posto un oggetto con notevole massa sulla rete, per piccolo che sia, essa comincia a sprofondare e ad influenzare tutto ciò che è intorno. I ‘pianeti vicini’, nell’analogia con l’evoluzione interiore, corrispondono ai nostri simili. I simili s’influenzano inconsciamente.
A livello sociale si ha bisogno di numeri superiori per guadagnare il potere di influenzare gli altri facilmente e, nella lotta dei buoni vs cattivi, purtroppo questo vorrebbe dire perdere sicuramente. Sebbene la maggioranza degli esseri umani non sia consciamente cattiva è estremamente manipolabile. La forza predominante, a livello sociale, è distruttiva e trascina la massa senza sforzo perché essa vive nella totale dimenticanza delle proprie responsabilità, non dedicandosi alla pulizia interiore e restando, così, inconsapevolmente inetta. Per trascinarli senza neanche lo sappiano, proprio a livello inconscio, pur non avendo i numeri a nostro vantaggio, si deve avere una notevole massa, allora sarà la pressione esercitata sulla rete a far cadere gli altri senza la loro volontà cosciente. Questa azione avviene a livello di specie e la chiamo evolutiva non per difendere la teoria evolutiva, della quale tra l’altro so poco e niente, ma per sottolineare la differenza tra azioni che influenzano a livello sociale e azioni che influenzano a livello di specie.
Il praticante spirituale perseverante incide non solo a livello sociale ma soprattutto a livello di specie, nell’evoluzione interiore, perché la persona altamente vigilante, che conosce se stessa, si purifica e si distanzia da tutto ciò che è umano, attira una forza superiore, la forza creativa, che le dona notevole massa. Dunque un illuminato o un santo non sono esseri umani comuni ma influenzano tutti coloro che gli orbitano intorno, in modo profondo. Proprio come il piccolo pianeta muove tutta una serie di pianeti giganti senza il loro impegno. In questo primo caso, c’è comunque bisogno di vicinanza.
Questo è il motivo per cui molti sono davvero attratti a voler restare con un illuminato per tutta la vita, questo è il motivo per cui nascono quasi sempre strutture nuove intorno a questi esseri che sono, per dirla semplicemente, le persone più evolute della terra. La loro influenza dura anche dopo la loro morte e la costruzione di santuari non è un semplice atto di venerazione ma un vero e proprio rifugio di salvezza per chi desidera avere un aiuto e progredire quasi ‘gratuitamente’, ossia con una grande spinta.
C’è però anche un’altra azione, a distanza, che il santo mette in atto. Tutti coloro che imparano qualcosa di necessario all’umanità si aiutano l’un l’altro. Ci sono molte teorie anche scientifiche a riguardo, come la risonanza morfica, che dimostrano l’influenza che si innesca tra persone che imparano qualcosa di simile ed importante per la specie. Nella sfera dell'evoluzione interiore questo si spiega proprio con la comprensione delle dinamiche consce e inconsce, ma rimando al suddetto libro per approfondimenti.
In linguaggio cristiano, l'influenza dell'azione a distanza che si mette in opera viene chiamata 'comunione dei santi’. In termini semplici chiunque stia facendo un sincero cammino spirituale è aiutato da chi è avanti e aiuta chi è indietro. Per alcuni mistici questo fenomeno è addirittura visibile, ma anche nel caso di semplici contemplativi, senza alcuna visione del soprannaturale, l’aiuto che si avverte è quasi palpabile. Non mi dilungo su questo ragionamento perché immagino che, se non se ne fa esperienza, sia difficile da accettare. Ciononostante l’azione a distanza esiste e scatena un vero e proprio circolo virtuoso, contrario ed opposto al circolo vizioso distruttivo predominante sulla terra.
In termini piuttosto brevi abbiamo allora illustrato l’azione di un illuminato che purifica chiunque gli capiti intorno, sia buoni che cattivi, il che può rendere la sua vita anche molto complicata e dolorosa, e inoltre aiuta l’intera evoluzione interiore umana anche a distanza, aiutando chiunque si stia impegnando ad attuarla. In quest’ultimo caso infatti ci deve essere uno sforzo personale della persona distante.
Dunque se il primo tipo di purificazione subita è quasi sempre inconscio e sempre gratuito. Nel secondo tipo è quasi sempre conscio ma non è gratuito, ci vuole l’applicazione della volontà, ci vuole il proprio fiat. Consideratelo come un bonus che si guadagna sforzandosi e staccandosi bene dalla forza distruttiva per entrare nella forza creativa e ricevere aiuto nella santificazione, nelle comprensioni e nelle prove. È quasi esattamente quello che accade alle masse inette sotto la manipolazione dei distruttivi ma estremamente più potente perché attuata dalla forza creativa, vicina alla fonte della creazione stessa.
Approfondiamo brevemente il ruolo del dolore in questo tipo di evoluzione.
Ho appena accennato al fatto che la purificazione che subisce chi è intorno a un illuminato può diventare problematica per l’illuminato stesso. Ovunque viva, che sia un monaco o che sia un laico che lavora otto ore al giorno, sarà bersaglio di tutti i distruttivi che vivono vicino a lui. I distruttivi non vogliono guardarsi dentro, non vogliono migliorare, non vogliono purificarsi, hanno tonnellate di impurità e irrisolti, risposte distruttive inconsce e dolori occultati, che quando salgono fanno un male cane. Negano le proprie mancanze, le rifiutano e le proiettano su chi le fa salire al conscio, loro malgrado, ossia sul povero santo in questione.
Proprio come nella proiezione narcisistica, butteranno addosso al santo qualsiasi cosa affiori in loro perché, più o meno consapevolmente, riconoscono chi sta scatenando il conflitto interiore e la crisi che vivono, spesso per la prima volta, nella loro coscienza. Senza contare il fatto che sono aiutati dalle forze distruttive che si scatenano contro il santo per pura necessità di sopravvivenza e che amano trovare e sfruttare come complici, come veri e propri canali distruttivi, chiunque abbia sentimenti malvagi verso di lui.
Nel caso di un laico che s‘impegna nella sua pratica spirituale assidua, con una vita piuttosto regolare, sarà stimato da chiunque abbia raggiunto la maturità psicologica ma sarà anche bersaglio continuo dei narcisisti maligni che incontra, ovunque vada. La sua vita sarà una prova durissima, una lotta tra forze del bene e del male. Si accollerà e trascenderà tutto il male che riceve, purificando se stesso sempre più e purificando l’’aria’, innalzando chi è intorno a lui senza non solo ricevere mai un grazie ma attirando spesso vere e proprie persecuzioni.
Questa azione purificatrice è nota in tutte le vie spirituali serie. Tant’è vero che guru genuini, con tanto di ashram, per esempio, non accettano chiunque come discepolo, perché sanno benissimo il prezzo che si paga per i distruttivi. Purtroppo una buona fetta dei narcisisti è attratta dall’immagine e dalla forza degli spirituali e, nel tentativo di imitarla, senza cambiare dentro, si intrufola in varie iniziative e in luoghi di ritiro. Alcuni cercano allora di attuare una selezione ma quando un distruttivo riesce ad intrufolarsi, state certi che darà problemi seri. Nelle grandi religioni spesso ci sono contaminazioni serie e vaste. Un gran numero di narcisisti riescono a vestire solo l’abito senza attuare alcuna purificazione interiormente e un povero monaco santo può, se sfortunato, ritrovarsi in situazioni peggiori del laico lavoratore. Il suo unico vantaggio è di essersi staccato dal mondo, ma la sua lotta può essere ugualmente durissima.
C’è un peggioramento netto in chi entra in luoghi di ritiro spirituale senza aver già purificato significativamente se stesso o in chi, come dicevamo, entra in contatto con un illuminato. Capitava anche nell’ashram dedicato a Ramana Maharshi, gli fu chiesto il perché e lui rispose con la metafora del latte nel pentolino. Se si ha poco latte nel pentolino esso evaporerà in fretta e questo fenomeno si vivrà come una liberazione e una benedizione, ma se il pentolino è pieno, il latte, bollendo, farà un gran caos, schizzerà, andrà fuori e sporcherà tutto. Questo perché il grande ego quando vede salire la sua tossicità attua la strategia di proiezione per non riconoscere il male in lui. Non sa stare col suo male, non sa viverlo e lo schizza a destra e manca in modo distruttivo. Le sue tossine, nei casi peggiori, vanno dritte dritte a sfogarsi contro il proprio catalizzatore di progresso, il santo.
Finché non si ha una perfetta unione con Dio, tutti sono soggetti al dolore, anche gli illuminati. Nella via di santificazione s'impara a donarlo a Dio con una velocità e un impegno tali da poterne sopportare una quantità enorme rispetto agli altri ma nel loro cuore cercano sempre e solo la pace. Vivono con rassegnazione e accettazione quello che scatenano intorno a loro perché ne capiscono l'importanza, come purificazione propria e altrui, ma si rifugiano il più possibile nella pace del raccoglimento interiore dove si ricaricano e scaricano le tossine altrui. Ovviamente stanno molto meglio da soli che con chiunque altro e bramano di stabilizzarsi nell’unione con Dio, il Datore di Pace.
Sia nella spiritualità individuale senza appartenenze sia nelle religioni serie, che non siano il cristianesimo, ci si ferma qui. Si accetta, per spiegarlo in termini cristiani, la croce che dà la propria vita e basta.
Questa è l’azione spontanea che si attua nel cammino spirituale intenso. È sempre più palese a chi la vive quanto più si avanza. È già un’azione soprannaturale poiché spronata dalla forza creativa ma ‘viene naturale’ nel senso che non è voluta né cercata, è messa in atto dalle leggi naturali ed è, anche se un’azione evolutiva e profonda, limitata. Nello specifico, come detto, è limitata a chi riesce ad avvicinare il santo o all’impegno di chi è lontano.
Se avete capito e vi sembra plausibile il ragionamento sull'evoluzione interiore, coi ragionamenti proposti e se la domanda che vi siete posti qualche volta è: ma cosa c’è di diverso in Gesù rispetto agli altri illuminati e santi? Siete vicinissimi a scoprirlo.
Lo ha detto Lui stesso, lo ha detto più volte. "Io vengo per i peccatori." "Io sono l’agnello che toglie i peccati dal mondo". La Sua venuta è stata profetizzata secoli prima, la Sua missione rimane unica.
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I Padri del deserto e il conosci te stesso
‘Chi conosce se stesso, conosce Dio’ (Abba Antonio)
‘La conoscenza di sé è l’inizio della salvezza’ (Abba Poemen)
‘La vera conoscenza inizia con la conoscenza di sé’ (Evagrio Pontico)
‘La conoscenza di sé è il primo passo verso l’umiltà’ (Abba Doroteo di Gaza)
‘Più conosci te stesso meno giudichi gli altri’ (Macario il Grande)
‘Osserva te stesso e non giudicare gli altri’ (Abba Mosé l’Etiope)
‘La conoscenza di sé è la porta della compassione’ (Abba Giovanni Cassiano)
‘Conoscere se stessi significa accettarsi come si è ma non rimanere come si è’ (Abba Paolo)
‘Chi non conosce se stesso vive nell’illusione’ (Abba Isacco il Siro)
‘Conoscere se stessi è più difficile che conoscere il mondo intero’ (Abba Sisoes)
‘Chi si conosce veramente conosce la propria nullità e la grandezza di Dio’ (Abba Arsenio)
‘Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei’ (Abba Nilo)
‘La conoscenza di sé è un viaggio che dura tutta la vita’ (Abba Isaia)
fonte: fra stefano
Buona celebrazione dei santi!
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Nel testo di Maria Valtorta sul Vangelo come le è stato rivelato ci sono due aspetti che vorrei capire. Si parla di un battesimo di Gesù per aspersione, anziché immersione, in poche parole, come è avvenuto? Inoltre si parla del diavolo. Che cos’è il diavolo?
Nel battesimo d’acqua a volte il liquido si sparge sul capo, come nel cattolicesimo, in altri casi c’è l’immersione. Si dice che, nei suoi viaggi, San Tommaso battezzasse talmente tanti nuovi cristiani insieme da dover spruzzare l’acqua a distanza con la mano, ne è nata anche una festa in cui ci si spruzza d’acqua per celebrarlo, in alcuni luoghi del medio oriente. Come me lo sono immaginata io, Giovanni Battista faceva mettere in ginocchio nell’acqua per poi bagnare il capo con le mani. Rileggi il brano e vedi se coincide con la tua comprensione.
Ben più delicata è la seconda domanda che mi poni. Credimi, se me lo avessi chiesto qualche anno fa, ti avrei parlato di Satana e dei suoi diavoli come distruttività e forze distruttive che vanno contro alla creazione e alle forze creative. Tale spiegazione regge ed è assolutamente consigliata a tutti i razionali, non la rinnego, anzi la propongo senza pentimento perché sono stata la prima ad essere scettica. Non è però completa perché esclude il soprannaturale, cioè la possibilità dell’esistenza di vere e proprie creature soprannaturali e immortali con nomi propri e forme sottili a noi generalmente non visibili. Solo alcuni umani possono vederli. Sono di solito proprio alcuni santi di Cristo, specialmente votati alla lotta di Gesù contro le entità distruttive. Qui se ne dovrebbero spiegare le motivazioni, il che equivarrebbe a spiegare che Gesù, con il suo esercito di santi, è davvero il Salvatore. Difficilissimo farlo in poche righe. Lo farò, se volete, in uno scritto più lungo, per dare lode a Gesù ma doverlo fare io mi fa tanta tristezza. Non per chi mi legge (intendetemi bene, nessuno che cerca Dio è messo male o fa tristezza!) ma per i tempi che viviamo e per tutti coloro che non fanno il loro dovere spirituale nel cristianesimo. Il quale si è talmente macchiato che l’uomo che cerca Dio ha bisogno di ponti esterni che riconducano alla verità.
Ma cos’è il diavolo, allora?
Se sei razionale puoi tranquillamente pensare alle forze distruttive, senza dare nomi e forme, senza credere a niente. La cosa essenziale e che tu ti ponga dalla parte opposta, il che di solito avviene per fasi. La persona matura psicologicamente arriva ad amare e rispettare la vita in tutti, qui l’abbiamo chiamata biofila o creativa. Il biofilo rispetta l’’anima’ nel senso di soffio vitale e non potrebbe mai essere violento e distruttivo in modo conscio a livello fisico, anzi aiuta e ama la vita. Questa è una bontà naturale che tutti possono raggiungere facilmente ma che nasconde ancora distruttività a livello inconscio, che agisce sul piano psicologico e morale. Dalla biofilia si deve allora passare alla spiritualità, col raccoglimento interiore e la conoscenza di sé, per rendere consce le impurità sottili e staccarsene. Tale processo di conoscenza di sé culmina nella scoperta dello Spirito. La natura più intima dell’anima è infatti spirituale, l’inizio di questa fase è segnato da un battesimo nello spirito in cui si ridiventa figli di Dio. Il figlio di Dio, purificandosi, diventa spesso strumento per il bene dell’umanità ed è aiutato da forze creative ben oltre la propria naturale. Pensate ai miracoli, alla saggezza divina, alla lettura dei cuori, alla santità in tutte le sue varie manifestazioni.
Lo stesso purtroppo accade al distruttivo, che può essere tale solo in modo naturale, cioè con le sue sole forze umane o può, se peggiora e non muta, divenire strumento delle forze distruttive in modo soprannaturale. Dal narcisismo maligno alla psicopatia si è spesso aiutati da tali forze in modo inconscio. I cattivi hanno una scaltrezza, doppiezza e capacità di usare l’intelligenza per il male, non solo per proprio ‘merito’. Sono carnefici morali, spirituali e anche fisici ‘guidati’ e aiutati da forze oltre la loro. Ti dirò di più, moltissimi narcisisti maligni, i ‘serpenti’ che vogliono sembrar buoni ma nascondono una fortissima carica distruttiva, ricorrono consciamente al richiamo di entità distruttive. Ricorrono all’occultismo, proprio perché è occulto, nascosto, e dà loro il senso di potere che bramano nel fare del male o nell’ottenere ciò che vogliono. La cosa è poco discussa nel mondo della psicologia, per ovvie ragioni, ma accade spessissimo. Anche a livello sociale, in cui il narcisismo maligno prende forme aggregate, come massoneria, sette e società segrete, si ricorre di frequente all’esoterismo, se non al vero e proprio satanismo.
La lotta tra queste due fazioni è duale ed è parte integrante della vita di ogni buono ma diviene sempre più forte, palpabile e violenta per i figli di Dio, soprattutto se sono cristiani o lo divengono. Perché, nella dualità, è Gesù il Re dei Santi, è Lui il Salvatore dell’essere umano, ed è Lui che sconfiggerà il diavolo e le forze distruttive.
So che è molto cercata la non dualità nel mondo della ricerca spirituale ultimamente e io non ho nulla in contrario. Bhagavan Ramana Maharshi è un santo non duale a cui io devo personalmente tantissimo. Ma la non dualità spiega la dualità, non l’annulla. ‘È così com’è’ diceva Bhagavan a tal proposito. La non dualità è l’amore spirituale che prova il figlio di Dio per chi ha di fronte ma non cancella chi ha di fronte. Tu sei me in altra forma, questo è l’amore non duale, spirituale. Ami l’altro proprio come te stesso, poiché sai che è te stesso, ma la forma rimane.
Come esiste la nostra forma può esistere la possibilità di una forma distruttiva che non vediamo perché non abbiamo i sensi per vederla o perché non è necessario vederla per crederci. Possiamo percepirla e capirla in altri modi ma, soprattutto, non è necessario vederla per combatterla. Ciò però non equivale a dire che chi la vede sia matto ma che, per piani divini a noi ignoti, è necessario a lui vederla e ha i sensi per vederla.
Nella spiritualità ci sono sempre stati quelli che non vedono e quelli che vedono, nel cristianesimo vengono chiamati gli ‘aridi’ (contemplativi senza visione del soprannaturale) e i ‘mistici’ (santi con visione del soprannaturale), sono entrambi graditi a Dio. Se posso avanzare un’ipotesi, credo che i primi siano i discepoli dello Spirito Santo e che i secondi siano discepoli del Figlio di Dio. Gli aridi non vedono forme soprannaturali perché il loro Maestro non ne ha, i mistici le vedono perché il loro Maestro ce l’ha e può manifestarla come può presentare il suo esercito o i suoi nemici. Essendo sia lo Spirito Santo che il Figlio di Dio persone divine della Trinità, sono in mani sicure sia gli uni che gli altri. Uno e trino, duale e non duale. La magia di Dio è che la creazione non è separata dal Creatore ma per saperlo, viverlo e soprattutto salvarsi, bisogna tornare e restare vicini al Creatore, praticare spiritualmente, staccarsi da tutto e rimanere nello Spirito che dimora in noi, seguendo le orme dei figli di Dio.
Spero di aver risposto alla tua difficilissima domanda. Ho la netta sensazione che il soprannaturale sarà sempre più evidente, per i tempi che viviamo. Troverai prima o poi nella lettura dell’’evangelo come mi è stato rivelato’ una frase di Gesù simile a questa: ‘negli ultimi tempi i cattivi saranno soprannaturalmente cattivi e i buoni saranno soprannaturalmente buoni’. Troverai anche la definizione ‘uomini-demoni’ o qualcosa di simile. Non le ricordo perfettamente ma sono frasi che sintetizzano ciò che ho provato a dirti qui.
Grazie.
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torna a scrivere
Chiedere di tornare a scrivere ad un insignificante creatura che come voi cerca, prova, tenta di camminare verso Dio; cade, si rialza, continua a cercare, provare, tentare, esattamente come voi. Con i maestri eccelsi, i grandi santi che abbiamo avuto, col Divin Maestro, Gesù, così poco capito e conosciuto. Chiedere a me, perché?
Perché siamo messi male. È un periodo tanto buio, la confusione dilaga, le menzogne dilagano, le false strade che tentano di deviare dal giusto percorso sembrano moltiplicarsi a vista d’occhio. Le istituzioni religiose danno il peggio del peggio, lasciandoci soli in un percorso fitto di tranelli. Se ciò non bastasse siamo tutti troppo lontani da Dio, troppo presi dal mondo, dai problemi, dalla vita, dai desideri, dai bisogni, dalle distrazioni. Il ‘peccato’ (le cose che allontanano da Dio) è talmente diffuso e considerato normale che i più grandi maestri possono intimidire con la loro purezza e farci sentire indegni. Ciò che chiedeva Gesù sembra ormai improponibile nell’epoca moderna piena zeppa di richiami all’egoismo, al narcisismo, alla sessualità, all’avidità di ogni sorta. La Sua religione perfetta ed eterna sembra piena di dogmi solo perché non siamo interiormente ordinati e puri per poterla capire e apprezzare. Lui ci vuole puri per farci trovare l’Amore che cerchiamo forsennatamente nei posti sbagliati e noi scappiamo dall’altra parte vergognosi, o superbi, ma forse sinceri e chi troviamo?
Magari una piccola scrittrice sconosciuta che non ci può intimidire perché è una mezza cartuccia come noi e che ci incoraggia, ricordando che Dio ci vuole… tutti!!!! Nessuno escluso!!! Nessuno è troppo peccatore per Dio, nessuno è così lontano da non poter tornare alla Fonte, se lo vuole! Nessuno!
Ma per avere quell’Amore dobbiamo cambiare vita! Dobbiamo mettere Dio al primo posto! Dobbiamo provare a fare ciò che dice per trovare la completezza, la forza, la pace che cerchiamo. Dobbiamo capire la direzione giusta per non farci mai confondere dai mille tranelli delle vie errate, che saranno sempre più propagate.
C’è un indizio semplice, semplice per rimanere sulla retta via:
Dio è dall’altra parte.
Rispetto a cosa? A tutto! Poiché Dio è Spirito.
Il distacco da tutto ciò che è materia è essenziale per trovare l’Amore. Dunque ogni distacco dalla materia (grossolana e sottile) è la via giusta e lo capiremo ad ogni giusto tentativo perché esso sarà premiato da una manifestazione d’Amore di Dio, che ci attira a Lui anche sensibilmente. Anche si partisse da molto lontano ciò che conta è il cambio di direzione e la perseveranza.
A volte il distacco è facile, a volte no, è difficilissimo, cosa fare? Innamorarsi un po’ più di Dio e sarà Lui la forza che ci staccherà dal resto. Leggete i santi! Leggete gli illuminati… e se volete riscoprire il Divin Maestro in tutta la sua perfetta meraviglia… leggete l’‘Evangelo come mi è stato Rivelato’, di Maria Valtorta (se non vi interessa l'inizio, cominciate dal capitolo 45). Io non ho fatto che dire: ‘il mio Gesù!’, ‘il mio Gesù!’, ‘il mio Gesù!’ mentre lo leggevo, come se mi fosse stato strappato ingiustamente dalle mani nell’infanzia e l’avessi finalmente ritrovato!
Prova a leggerlo gentile lettore e sappi che sei qui per sapere questo: DIO VUOLE TE!
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in merito alla crescita spirituale intesa come “cammino”, che ruolo ha il concetto di pellegrinaggio? Senza etichetta confessionale ma concentrandoci solo sullo spirito, qualcosa come il cammino di Santiago potrebbe alimentare quel fuoco che arde dentro di noi?
Il viaggio è una metafora molto usata per il cammino spirituale. All’inizio della trasformazione personale i due viaggi possono addirittura coincidere perché, per cominciare a dedicarsi al proprio stato interiore, eliminare i condizionamenti e maturare autonomia, bisogna staccarsi dal contesto abituale. Uno dei modi più comuni per farlo è proprio quello di viaggiare da soli, trasferirsi o staccarsi in qualche modo dal conosciuto.
Se pensi al pellegrinaggio di qualche secolo fa, quando non c’erano i mezzi di adesso, ti rendi conto che era un vero e proprio ‘viaggio dell’eroe’. Era un cammino lungo, solitario, tortuoso, spesso fatto a piedi o con mezzi di fortuna in ogni tipo di condizioni atmosferiche e, a volte, era anche pericoloso. Questo, per forza di cose, costringeva ad una maturazione psicologica dovuta all’affrontare indipendentemente le avversità e favoriva un contatto importante con le reazioni psicologiche e con la propria coscienza. Il tutto senza neanche considerare, per ora, la sacralità della meta.
Oggigiorno, un viaggio con un potenziale d’impatto tanto forte non esiste neanche. Anche affrontare viaggi comodi da soli e trasferimenti in giovane età è molto raro. L’abitudine alla comodità, alla sicurezza e alla superficialità non ispira certo progetti del genere. I pochi fortunati che riescono ad intraprendere un piccolo viaggio da eroe si accorgono presto che, parallelamente all’avventura esterna, si viene forzati dalla solitudine a vedere ciò che sale al conscio. Questo è ciò che io chiamo il ‘ritiro nel corpo’, perché l’attenzione non viene più soltanto dispersa esternamente ma si ritira più vicino a noi, dirigendosi alle condizioni fisiche, ai dolori, ai disagi del corpo, alle reazioni della mente e alle sensazioni. La concentrazione inoltre migliora naturalmente perché bisogna stare attenti di momento in momento, attività che la routine non stimola. A questo stadio non si è ancora in grado di gestire mente ed emozioni, si subiscono e basta, ma è già l’inizio di una purificazione del subconscio e una prima abitudine a questo processo che, in questa fase, può essere davvero duro. Scegliere di affrontare questo cammino verso l’indipendenza con la giusta prospettiva, con la voglia d’imparare a vivere e di gestire la propria emotività, può davvero cambiare la vita dei giovani e farli approdare ad una maturità ormai introvabile.
Quando si capisce la valenza di questo processo e lo si vuole intensificare, iniziano i tentativi per interiorizzare la capacità di stare con la nostra interiorità, a prescindere dalle condizioni esterne. Questo è quello che chiamo ‘ritiro nella mente’. Qui l’eroe cerca di purificare la sua coscienza sempre, osservando senza giudizi e indulgenze tutto ciò che sale nei pensieri e iniziando anche a sperimentare un contatto totale con le emozioni, che vedrà sparire molto velocemente. Questa è la pratica del conosci te stesso, la meditazione o la purificazione della coscienza. È un’allenamento dell’attenzione che quindi si alza e si concentra di momento in momento. Sono i primi tentativi per interiorizzare la solitudine e aumentare i suoi effetti salutari.
Nonostante il praticante cerchi di farlo sempre, ci sono alcune condizioni esterne che possono aiutare ad approfondire la pratica, prima fra tutte la solitudine esterna, da alternare saggiamente al ritorno agli altri. Avere la coscienza più in ordine è come avere una calamita per le cose spirituali e questo può indurre l’eroe a cercare appositamente luoghi di ritiro o a fare pellegrinaggi. Se il tuo intento è quello di dedicarti in modo concentrato alla pratica di purificazione, il pellegrinaggio, fatto seriamente, può aiutarti certamente ad ‘alimentare il fuoco’, soprattutto se ti porta dove ha vissuto un santo o un illuminato a te particolarmente caro, dove puoi meditare e studiare i suoi insegnamenti. Sono luoghi permeati di sacralità che aiutano effettivamente anche nella pratica. Lo percepirai nettamente, è come avere un aiuto extra. Il tuo scopo poi sarà quello di cercare di stabilizzare il risultato, lì ottenuto, indipendentemente e ovunque sei.
L’ultimo livello di interiorizzazione è ‘il ritiro nel sé’, nel nucleo più profondo che abbiamo dentro, il luogo più sacro che c’è. In questo raccoglimento dimoriamo nella nostra vera natura, che è spirito. I praticanti di questo livello hanno la coscienza abbastanza libera, pulita, in grazia, per questo tornano spesso nello spirito. Hanno una spiccata sensibilità per i luoghi sacri e vengono quasi ‘rapiti’ da un profondo raccoglimento al minimo cenno di sacralità. Anche loro però devono stabilizzarsi in modo più indipendente possibile dalle circostanze esterne e dai luoghi in cui si trovano.
Come vedi, fino alla fine c’è, nel praticante, questo altalenarsi tra la ricerca di condizioni favorevoli esterne per intensificare la pratica e la ricerca di una condizione interna sempre più stabile, a prescindere dalle condizioni. L’intensità e la stabilizzazione sono entrambe importanti: per la prima c’è per forza bisogno di un po’ di solitudine esterna, per un tempo limitato, la stabilizzazione invece è la versione tascabile della pratica, da portare sempre e ovunque, è quella che ci sostiene nelle sfide di ogni giorno. Abitualmente ci si può dedicare all’intensificazione nella caverna della propria stanza e alla stabilizzazione durante le normali attività.
Il punto da comprendere è sempre lo stesso: se è presente la pratica onesta e perseverante, le condizioni favorevoli particolari come i luoghi sacri, i ritiri ecc., che aiutano moltissimo ma non sono essenziali, possono esserci o meno. Se invece si fanno due pellegrinaggi all’anno ma ci si scorda della pratica quotidiana, non si andrà tanto lontano. È tutta questione di serietà.
I luoghi sacri hanno l’effetto di aiutarci nel viaggio più importante: quello dentro di noi! Ci spingono letteralmente dentro, verso colui che è sempre in ogni luogo: l’onnipresente ‘Io Sono’.
Restare ai suoi piedi, abbassando la testa, deve divenire nostro impegno costante.
Buon pellegrinaggio.
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"La mente è illusione. La realtà è oltre la mente."
Sri Ramana Maharshi

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Sri Ramana Maharshi Citazioni

- Chi è Dio?
- ‘Colui che conosce la mente’
- Il mio sé, lo spirito conosce la mia mente.
- ‘Quindi tu sei Dio; per di più la sruti dichiara che esiste un solo Dio colui che conosce. Qual è la luce che ti fa vedere?’
- Il sole di giorno, la lampada di notte.
- ‘Attraverso quale luce vedi queste luci?’
- Attraverso gli occhi
- ‘Attraverso quale luce vedi l’occhio?’
- La luce della mente
- ‘Attraverso quale luce conosci la mente?’
- Il mio sé
- ‘Tu sei quindi la luce delle luci.’
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‘Raggiungi il cuore tuffandoti nel tuo profondo alla ricerca del sé’
‘Nel loto del cuore si trova la coscienza pura e immutabile, sotto forma di sé. Una volta eliminato l’io questa coscienza del sé conferisce la liberazione dell’anima.’
‘Non rendendosi conto di essere mossi da un’energia che non è loro, certi sciocchi sono tutti affaccendati nella ricerca di poteri miracolosi. Queste pagliacciate sono come le vanterie di uno storpio che dica ai suoi amici: “se mi aiutate a reggermi, quei nemici fuggiranno di fronte a me”.’
‘Mentre in realtà è Dio a sostenere il fardello del mondo, l’io impuro considera suo il fardello’
‘Se un passeggero seduto in una carrozza, che può sostenere qualunque peso, non posa il suo bagaglio a terra ma si ostina a tenerlo sulle spalle, di chi è l’errore?’
‘Se, in virtù della pratica, la percezione “io solo lui, io sono il Signore della caverna”, si stabilisce fermamente in voi, così fermamente come adesso è stabile nel vostro corpo la nozione di essere un io individuale, e in tal modo vi ponete come Signore della caverna, l’illusione di essere il corpo perituro svanirà come l’oscurità davanti al sole che sorge.’
‘Il cuore che ha la forma della pura consapevolezza si trova sia dentro che fuori non ha né interno né esterno’
‘Quello invero è il cuore essenziale’
‘La consapevolezza può essere definita il cuore di tutti gli esseri’
‘Grazie alla pratica di fondere l’io nel cuore puro che è totale consapevolezza, le tendenze della mente così come il respiro saranno messi sotto controllo’
‘Eliminate ogni attaccamento all’io’
‘Fai la tua parte nel mondo, o eroe, in ogni momento. Tu hai conosciuto la verità che è il cuore di tutte le apparenze di qualsiasi tipo. Senza distoglierti da tale realtà, gioca nel mondo, o eroe’
‘Eroe che ha ucciso la morte’
‘Colui che ha trovato la verità brillerà di uno splendore, un’intelligenza e un potere sempre crescenti’
‘La mente di chi è libero dall’attaccamento è inattiva anche mentre agisce’
‘Le persone non istruite sono più facili da salvare di coloro che sono colti ma pieni di sé. Gli analfabeti sono liberi dalle grinfie del demone orgoglio, liberi dalla malattia dei molti pensieri e parole che affollano la testa; sono liberi dalla folle corsa alla ricchezza’
‘Per quanto un uomo possa guardare al mondo come a una pagliuzza e avere tutto il sapere sacro sul palmo della mano, sarà difficile per lui sfuggire alla schiavitù se cede alla vile meretrice: l’adulazione’
‘Se dimoriamo sempre nel sé, chi mai può esserci estraneo? Che importanza ha ciò che la gente dice? Che importanza hanno la lode e il biasimo?’
‘Tieni l’advaita nel tuo cuore. Non applicarlo mai all’azione’
‘Quando l’io muore e diventa quello, solo il sé di pura consapevolezza resta’
dal supplemento alla ‘Realtà in quaranta stanze’ (Bhagavan Ramana Maharshi) da 'Opere' Ubaldini Editore
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Le due facce del dolore

"Perché in alcune tradizioni il dolore è esaltato, quasi cercato direi, e in altre è considerato qualcosa da superare?"
Perché sono le due facce della stessa medaglia.
Per prima cosa ricordiamo che la gestione del dolore è importantissima perché il dolore è l’emozione spartiacque tra i sentimenti di pace e quelli di distruttività. Non gestire il dolore porta alla distruttività, trascenderlo perfettamente porta all’amore e alla pace. Tra questi due estremi ci sono tanti gradi diversi di gestione: da quella puramente psicologica, ai primi tentativi di elaborazione in solitaria, che portano alla creatività, a quelli di presenza mentale, tipici della meditazione, fino ai risultati di trascendenza.
Chiunque abbia già una buona capacità di trascendenza del dolore ‘personale’ comincia a star meglio degli altri, non perché gli giungano meno colpi o abbia meno ostacoli ma perché li supera sempre meglio. Su questo mi soffermo un attimo per farvi notare che è sempre la pratica ad elevarsi e migliorare, mai il resto. Nessuno dovrebbe mai porsi limiti sulla pratica, i limiti dettati dalla natura umana sono più che sufficienti. Sappiamo teoricamente che esiste un grado talmente ottimale da non richiedere più uno sforzo ma il modo di arrivarci è di praticare sempre. I miei maestri, che non finirò mai di ringraziare, sono chiarissimi su questo punto.
Più capiamo che è la consapevolezza a risolvere tutto, meno la lasceremo andare. Meno la lasceremo andare e più risolverà tutto.
Tornando al dolore, quello che succede in chi supera ormai facilmente quello personale è molto importante: può cominciare a trascendere il dolore collettivo. Avendo compreso il carattere spartiacque del dolore, capirete che questo significa cominciare ad eliminare la distruttività dal mondo. Capite l’importanza evolutiva di queste persone? Forse no e purtroppo non si può dimostrare. Comunque, sebbene sia proposto in modo diverso nelle varie tradizioni, è una cosa naturale ed è presente in ogni insegnamento.
In oriente è generalmente più esaltato l’effetto positivo delle pratiche meditative: la serenità, la calma, la pace e si tende a dire meno che il realizzato è una specie di ‘macchina mangia karma’. Si sa che è così e gli stessi illuminati a volte lo ammettono ma si dà più risalto al fatto che ne rimangono imperturbati. In occidente, soprattutto nel cristianesimo, è più esaltato il concetto di sacrificio, dell’offerta del dolore a Dio per salvare l’umanità, nello specifico per salvare ‘i peccatori’. Capisco che la terminologia cristiana è meno moderna e allettante ma è esattamente ciò che avviene. È formulato diversamente ed ha una sua peculiare missione per la salvezza dei distruttivi, che nelle altre religioni non c'è. Qui i concetti di ‘salvatore’ del mondo, per quanto riguarda Gesù, e di ‘co-redentori’, per i santi, sono da prendersi, per quanto mi riguarda, alla lettera. I santi non invitano il dolore per masochismo ma per consolidata capacità di trascendenza e il fatto di farsi carico del dolore di altri per offrirlo a Dio rappresenta il loro motivo, ad imitazione di Cristo, esempio più straordinario mai giunto al mondo di tale capacità d'amore e di sacrificio per gli altri.
Il bilanciamento tra i due atteggiamenti apparentemente diversi, negli insegnamenti, è da cercarsi nell’eterna lotta tra conscio e inconscio. La pratica non è altro che questo.
La barriera del ‘personale’ è già molto ridotta nei praticanti esperti e le sensazioni in entrata, anche negative, non vengono neanche sempre percepite come proprie. So di ripetermi ma non è l’inconscio ad essere collettivo, è il collettivo ad essere inconscio. Qualsiasi sensazione salga al conscio, a prescindere se accompagnata o meno dalla sensazione ‘personale’, è un fenomeno collettivo. Questo il praticante esperto lo sa solo più degli altri.
Quando si presenta un’emozione sgradevole sa restare pienamente attento e fermo, in perfetta comunione con essa, determinandone la scomparsa.
Più fa questo, per i sentimenti, e più capisce e si allontana dal pensiero psichico, più acquisisce una sorta di trasparenza, dovuta proprio alla mancanza di barriera ‘personale’. Tale barriera, il nostro ego, è infatti solo un insieme di pensieri incessanti che riguardano il personale e di resistenze inconsce alle sensazioni che non vogliamo, il che sfocia, a seconda della gravità, in vari gradi di distruttività. Più va via la sensazione personale, più importante diviene il ruolo evolutivo dell’individuo per la collettività e più grande è la pace che egli prova. Questo è il secondo punto d'incontro che, nonostante la differenza tra terminologie, troviamo in tutti gli insegnamenti.
La pace è la meta di tutti.
‘Vi lascio la pace, vi do la mia pace’ dice Gesù. Anche se più sottolineata negli insegnamenti orientali, la pace è il risultato per tutti e, per fortuna, non è solo la meta finale, perché ogni tentativo di trascendenza, o anche di mera elaborazione del dolore, sarà ricompensato da una pace mai provata prima. Questa ricompensa spetta a qualsiasi praticante di qualsiasi livello. Intraprendere davvero questo cammino vuol dire cominciare ad accumulare talmente tanti vantaggi da non poter più neanche immaginare di vivere come prima.
Questa pace è da guadagnarsi interiormente attraverso ciò che, nel linguaggio meditativo, è presentata come ‘igiene mentale’, e, in quello devozionale, è espressa come ‘coscienza pulita’. Sono la stessa identica cosa. Qualsiasi sia il tuo maestro e la tua tradizione, o anche se non credi a niente e nessuno, la pace puoi averla se pulisci i contenuti psichici. Per farlo devi renderli dapprima consci, ed ecco le due facce della medaglia: la prima faccia del dolore non è tanto gradevole e dobbiamo imparare in primis ad accoglierlo, senza condanne o giustificazioni, senza resistenze, altrimenti non sale al conscio. Quando si presenta va ‘cercato’, proprio come dici nella domanda. Dopo tale accoglimento e in virtù di una totale comunione viene poi trasceso o ‘superato’… e arriva la pace, la seconda faccia del dolore.
Se si è molto pratici i due aspetti diventano quasi impercettibili, poiché meno c'è resistenza più c'è trasparenza.
Quando la purezza aumenta, infatti, si comincia una pratica più profonda in cui si trascende l’ego stesso e non più i contenuti psichici. Diverse tradizioni danno diversi nomi a questa pratica: ‘dimorare indipendente’, ‘dimorare nel sé’, dimorare nella ‘vacuità’, nel ‘silenzio’, nel ‘cielo’ dell’anima, nella ‘consapevolezza’, nell’‘auto-attenzione’, a volte lo chiamo samadhi. Qui si comincia a morire alla carne e a rinascere allo spirito. La sensazione di essere materia va via e l’evanescenza rivela la nostra vera natura. Che lo si chiami spirito, coscienza, consapevolezza o non lo si definisca affatto non importa, la cosa essenziale è che questa leggerezza la sperimenterai tangibilmente ogni volta che trascenderai il dolore, a qualsiasi livello lo farai, e potrai spingerti fin dove vorrai, anche fino al punto di non volerla più lasciare!
La teoria da sola non ha mai portato la pace a nessuno, la pratica sì.
Buona sperimentazione!
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